Autore: Redazione

  • OLI 295: CITTA’ – Mazurka Clandestina


    E’ stata la prima volta per Genova. Sabato 26 marzo, sera piovigginosa e scoraggiante, alle dieci e mezzo di sera trecento persone si sono incontrate nel grande spazio, fino ad un istante prima assolutamente deserto, della Galleria Darsena, dietro al Museo Galata. Un piccolo impianto di amplificazione portatile, giacconi, cappotti, borse abbandonati per terra, e inizio delle danze. Il repertorio è quello popolare francese: balli in cerchio e balli di coppia, valzer e mazurke, appunto. Età dalle giovanissime alle mature. Dopo un’oretta iniziano ad aprirsi le custodie e appaiono fisarmoniche, chitarre, violini, flauti.
    Dalle borse escono panini e bottiglie, ma il bar nei pressi deve aver comunque festeggiato incredulo l’evento totalmente inatteso. A notte inoltrata una torta con candeline accende un punto di luce: si festeggia un compleanno.
    Il fenomeno è quello della “Clandestina”: una rete di relazioni nate nel mondo della danza popolare lancia un appuntamento informale in un luogo di una città. La comunicazione passa solo attraverso mail, Facebook, sms: nessun altro preavviso. Le esigenze tecniche sono minimali: CD, un piccolo amplificatore, e poi non mancano mai i suonatori.
    Non è molto che sono nate le Clandestine, l’inizio è il 2009. Se ne svolgono a Torino, Milano, Napoli, Roma … ma anche in Francia, in Spagna, a Praga, a Londra.
    Irene Gonzales di Napoli (*) li descrive come “Eventi totalmente gratuiti, non patrocinati da nessuno, che non mettono in gioco nessun tipo di organizzazione o associazione” e che “si svolgono in luoghi poco usuali della città, poco popolati alla sera, in cui portiamo la nostra bellezza”.
    Marco Gheri, uno degli organizzatori di quella genovese, mi parla dello spirito che le anima, e che è lo spirito della “festa”, rito sociale scomparso dalle città, vivo ormai solo in ambiti territoriali molto specifici, ma che covando sotto la cenere nel cuore dell’uomo, ha trovato nuovamente il modo di esprimersi: stante le condizioni al contorno.
    Come definire una festa? E’ una comunità che si incontra e che in quel tempo e in quel luogo vuole esprimere e condividere la gioia, attraverso la musica, la danza, il cibo, il vino, le chiacchiere. C’è chi balla bene, chi balla male, chi non balla affatto: non ha nessuna importanza. Un tempo era la comunità del territorio, del paese, del quartiere, che si incontrava. La comunità delle clandestine si muove su spazi più articolati. C’è una rete che si incontra da una città all’altra, relazioni che corrono attraverso l’Italia e l’Europa, scambi di ospitalità, amicizie, partecipazioni ai festival europei di musica popolare, e questo è il nucleo che anima e suggerisce gli eventi; poi c’è l’incontro, quel giorno, con le persone del posto, molte fanno parte di gruppi di danza popolare, ma c’è anche il passante, quello a cui è giunta la voce, e che magari, prima o poi, entrerà nel cerchio.
    (*)INTERVISTA A IRENE GONZALEZ.pdf

    (Paola Pierantoni)

  • OLI 295: CULTURA – Assalto alla Banca

    Sabato 26 e domenica 27 marzo si è svolta, come di consueto da 19 anni a questa parte, la Giornata Fai di Primavera.
    In questa edizione, i volontari del Fondo per l’Ambiente Italiano hanno organizzato e gestito in tutta Italia il servizio dell’apertura straordinaria di circa 660 beni che normalmente sono chiusi del tutto o in parte, oppure che – pur accessibili al pubblico – non hanno la notorietà e la frequentazione che meriterebbero.
    Di questi, per l’anniversario dell’Unità, circa 150 erano legati al Risorgimento, come i due scelti dalla Delegazione Fai di Genova: il Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano e la Banca d’Italia.
    Il successo oltre ogni aspettativa conferma il gradimento dell’attesa ricorrenza e il desiderio dei cittadini di conoscere e di sentirsi consapevoli comproprietari di un patrimonio che appartiene a tutti, trasmessoci da chi ci ha preceduto e che siamo tenuti a lasciare in eredità a chi verrà dopo di noi.
    Un bilancio più che positivo: sono stati circa 1500 i visitatori al Museo e oltre 8000 quelli che si sono messi ordinatamente in coda per accedere agli inaccessibili interni della Banca il cui nucleo iniziale – la Banca di Genova, poi Banca Nazionale – nacque proprio a Genova nel 1844 e il cui direttore Carlo Bombrini sostenne economicamente a più riprese la politica civile e militare di Camillo Benso conte di Cavour.

    (Ferdinando Bonora, fotografia di Lietta Dufour)

  • OLI 295: UNIVERSITA’ – Auguri Mohamed

    In controtendenza con il resto d’Italia l’Università di Genova aumenta gli iscritti del 5% ma la Facoltà di Ingegneria dimagrisce per effetto della riforma Gelmini, pur aumentando del 10% le matricole.
    Diminuiscono non gli alunni ma i professori, ne mancano oltre sessanta fra pensionati non più sostituiti e mancate assunzioni: chissà se la sentenza del tribunale di Genova farà testo ora che il Ministero della P.I. è stato condannato a risarcire i precari poiché di fatto “Sussiste un fabbisogno certo e non episodico della prestazione”, visto che i docenti anno dopo anno vengono riconfermati nell’incarico (Il Sole 24 Ore, 26 marzo).
    Anche i corsi si riducono, alcuni rischiavano di sparire, non raggiungendo il quorum dei cento iscritti, come elettronica ad esempio, e così sono stati accorpati. Si darà maggior spazio alla tecnologia dell’informazione insieme all’elettronica: forse non sarà studiato il caso Mediaset con meno spettatori e sempre più pubblicità. Si istituisce una laurea in yacht design a La Spezia, di cui ne esiste soltanto un altro esempio a Southampton, forse perché sono aumentati i ricchi vogliosi di mega-imbarcazioni, pur essendo in crisi il mondo, cantieri compresi.
    Già funzionano corsi in inglese a Savona per l’energia, e a Genova per la robotica.
    Insomma una proposta culturale nuova per internazionalizzare l’offerta e attrarre studenti dall’estero perché è proprio all’estero che i nostri laureati piacciono e anche le nostre lauree.
    Auguri ragazzi, intanto facciamo il tifo per Mohamed Z., cittadino marocchino, che si laureava in questi giorni nella triennale di Ingegneria Meccanica. Non era partito bene cinque anni fa e al primo corso aveva copiato un compito di disegno, mettendo nei guai un altro studente: compagni e professore però avevano capito e lui, che masticava un franco-italiano stentato, è arrivato al traguardo. Chissà se continuerà gli studi, se rimarrà in Italia, magari tornerà al suo paese e cercherà di essere parte attiva di quel mondo, che ha tanto bisogno di tutto. Ma c’è un futuro là per chi ha fatto tanti sacrifici per studiare?
    Ci consolerebbe sapere che dall’Occidente potessero arrivare nel Nord Africa in tumulto, giovani preparati per aiutare il proprio paese, nuovi cittadini che sappiano far progredire queste giovani società.
    La colpa più grande dell’Europa è quella di non aver aiutato le sue ex colonie a formare nuove classi dirigenti, a rafforzare il tessuto sociale, la cultura del diritto e delle tecnologie: comodo il rais di turno.
    Faticosamente istruzione e cultura si sono fatti strada e con la Rete si è fatta la rivoluzione.
    Troppe le diseguaglianze, la povertà e l’anelito di democrazia.
    Certo viene alla mente il ricordo di un altro Mohamed, disoccupato, ambulante occasionale per sopravvivere, datosi fuoco in Algeria perché la polizia aveva distrutto il suo carretto di merci. Mohamed Bouaziz era laureato in economia.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 295: PAROLE DEGLI OCCHI – H2O

    Foto: Paola Pierantoni

    22 marzo, giornata mondiale dell’acqua: i sostenitori del referendum contro la privatizzazione dell’acqua disegnano nella città un lungo acquedotto di palloncini azzurri per ricordare a tutti che gli interessi in gioco sono enormi, e che il 12 giugno bisogna assolutamente raggiungere il quorum.
  • OLI 295: LETTERE: Sì al “no” (ma se olofrastico)

    Sperando di contribuire al miglioramento della qualità di “Oli” segnalo che, nel bell’articolo della prof. Marta Sereni,
    a un certo punto si legge «Cattolici e non:…» Bene, l’italiano è errato. In italiano corretto si dice «Cattolici e no». Per saperne di più si veda qui
    Ho ritenuto di segnalare la cosa che riguarda una delle mie due battaglie (già perse, purtroppo) sul mantenimento del “no olofrastico” e sull’intransitività del verbo “inerire” (si dice “inerente a” e non “inerente il”).
    Cordialmente,
    Franco Bampi

    °°°
    Rispondo volentieri al professor Bampi, che, nelle sue vesti di esponente del Mil, conosco bene per essere stato spesso illuminato – direttamente o indirettamente – dai Lanternini satirici di Enzo Costa (e talora dalle mie vignette che li illustrano sul web).
    In questa occasione, tuttavia, mi schiero a spada tratta al fianco del professore impegnato nella battaglia per il mantenimento del “no” olofrastico. Non tutto è perduto, non si avvilisca! In nostro soccorso scende in campo anche un cavaliere (no, non quel Cavaliere…) della lingua italiana di tutto rispetto: Luca Serianni, che ha scritto un interessante intervento, riguardante proprio l’uso dell’avverbio olofrastico, apparso su La Crusca per Voi (n. 11 ottobre 1995), articolo che può essere ritrovato seguendo questo LINK.
    Il nostro comune impegno di difensori della lingua italiana (ma non dimentichiamo che il professor Bampi è anche uno dei massimi esperti della lingua genovese) non ci faccia però perdere di vista il contenuto – a mio avviso condivisibile – della lettera della professoressa Marta Sereni che, con l’episodio riportato, rivela ancora una volta lo stato di sofferenza dell’istruzione pubblica.
    Un saluto cordiale
    Aglaja

  • OLI 295: LETTERE – Quando il sonno della ragione genera mostri: il caso De Mattei

    Da qualche giorno circola in rete questa lettera, con relativi link di approfondimento e per l’adesione alla raccolta firme. Anche la redazione di Oli l’ha ricevuta e – condividendola in pieno – la ripropone ai lettori con l’invito a diffonderla e a sottoscrivere la petizione.
    (Ricordiamo che l’indirizzo email che sarà usato per firmare la petizione potrebbe essere usato a scopi commerciali dal sito in questione).

    DIMISSIONI DEL VICEPRESIDENTE DEL CNR ROBERTO DE MATTEI
    S’è formato in questi giorni un gruppo aderente a Cronache Laiche che ha lanciato in facebook una petizione per chiedere le dimissioni di De Mattei (vicepresidente Cnr) alla luce delle sue dichiarazioni rese a Radio Maria sul terremoto in Giappone come “segno della punizione di Dio” e purificazione delle anime.
    Leggete l’intera intervista nel sito. I cattolici considerino che mai il Papa si esprimerebbe così.
    Il Cnr è un importante istituzione scientifica italiana, non ecclesiale.
    E la pietà un tratto umano universale.
    Abbiamo in pochi giorni raggiunto circa mille firme e ora lo stiamo facendo girare fuori facebook attraverso le mail.
    Se vi convince, oltre a firmare, diffondetelo.
    (Elena Gagliasso) – Facoltà di Filosofia Università “La Sapienza” di Roma

  • OLI 295: LETTERE – Nucleare: ci ripensi

    Sono d’accordo per la pausa di riflessione, ma non su abbandonare il nucleare.
    1 – Se in Italia ci fosse un sisma come quello di Fukushima, l’Italia sarebbe distrutta “da Napoli ad Ancona” (Rai 1)
    2 – I reattori BWR sono obsoleti
    3 – Per quei reattori si doveva prevedere un modo automatico per versare acqua senza elettricità (per esempio, costruire i reattori vicino a una centrale idroelettrica, per disporre dell’acqua dell’invaso). Comunque incredibile che non fosse garantita l’energia di riserva
    4 – comunque si deve pensare NUCLEARE ANCHE e non Nucleare si – Nucleare no
    5 – intanto i francesi, che hanno energia a costo inferiore di 1/3, si stanno comprando pezzi di Italia: Parmalat, Generali, Carige, ATM, Bulgari … (dimenticavo: Galbani, Locatelli,  Cademartori, Invernizzi)
    Noi contribuenti paghiamo lo sconto sull’energia di Alcoa, per non lasciare la Sardegna
    Io gestivo 50 MW, dove crede che siano ora? in Francia! l’Azienda da 2300 dipendenti ora è a 800.
    Vive l’atome, vive la France!
    Ci pensi
    (Gian Franco Migone de Amicis)

  • OLI 294: VERSANTE LIGURE – SCILIPOTIZZABILI

    Si dicon responsabili
    ma oscuro è il loro humus:
    volubili? Volabili?
    del Vuoto hanno il fumus.
    Son scilipotizzabili
    oppur carne da Floris?
    Venduti? Rivendibili?
    Bizzarra o rara avis?
    Hanno animi insondabili,
    i nuovi berluscones
    incognite, variabili
    per cui “hic sunt peones”.
    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA
  • OLI 294: NUCLEARE – La catastrofe necessaria

    Caorso, maggio 1987 – catena umana contro il nucleare – Foto Pierantoni

    Per prendere atto delle conseguenze di quel che fanno pare sia indispensabile agli uomini che si compiano le catastrofi. E qui uso il termine “uomini” non per indicare l’umanità tutta, ma con un peso fortemente sbilanciato verso il maschile.
    Riprendo in mano gli atti – mai pubblicati – di un corso di formazione – otto incontri nell’arco di un mese – che alcune donne della Fiom organizzarono a Genova esattamente 20 anni fa, nel 1991.
    Il titolo era “Donne e innovazione tecnologica”. Si partiva dalla “estraneità” delle donne verso un sapere tutto maschile, per tentare di trasformare questa estraneità in capacità di agire sulla realtà, e modificarla.
    Parteciparono delegate sindacali da tutto il Nord Italia. Le docenti erano donne di grande livello professionale e intellettuale.
    Tra loro Elisabetta Donini, docente di Fisica alla Università di Torino, che metteva in discussione, con molta radicalità, “Lo spirito prometeico per cui la sfida al rischio, la volontà di superare tutte le barriere continua a indurre gli uomini ad esaltare come coraggio la capacità di affrontare dei pericoli”, e la conseguente ossessione “che le difficoltà si possano sempre dominare con il successivo passo scientifico-tecnologico, acquisendo maggiore capacità di dominio”. Ma dove sta la saggezza di questo coraggio? si chiedeva la Donini, quello che bisogna rivendicare è invece “la saggezza della paura”, la “coscienza del limite” e la “amichevolezza verso gli errori”, cioè saper rinunciare alla pretesa di non commettere errori, e imparare a “convivere con gli errori, rendere gli errori i più riparabili possibile, e nel possibile”. Rinunciare alla pretesa della onnipotenza, per cui “ogni sconfitta viene elaborata in: bene, adesso diventiamo più bravi e lo facciamo meglio”.
    Ma le discussioni appassionanti di quelle otto giornate sono rimaste chiuse nella memoria e nelle emozioni delle donne che vi parteciparono, e in un plico di fogli depositati in un archivio. A Genova, e in chissà quante altre parti del mondo.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 294: CITTA’ – La finestra sulla villa (Serra di cornigliano)

    Villa Serra di Cornigliano in una cartolina d’epoca

    Mi professo fortunata: abito a Cornigliano. Ogni giorno, quando apro la finestra di casa, mi si offre una cartolina da un’altra epoca: incorniciata dallo squadro degli stipiti in legno, appare una villa fatiscente, testimone muta di fasti passati e di presenti, durevoli manchevolezze. Vedo un degrado solido e costante, inesorabile come lo scorrere della sabbia nella clessidra: un giorno si stacca un pezzo di intonaco, il giorno dopo una persiana si scolla dalle cerniere, passa un mese e crolla un tavolato dalle ferruginose impalcature, un altro ancora e salta un intarsio dai marmi del pavimento, sul terrazzo. Eppure sono pochi anni che abito qui davanti e che spio – con un voyeurismo un po’ morboso -questa decadenza plateale. Quante volte mi sono ritrovata a pensare al “povero” Domenico: che cosa avrebbe pensato di fronte alla colpevole negligenza dei posteri?
    Villa Serra di Cornigliano fu infatti commissionata nel 1787 dal marchese Domenico Serra ad Andrea Tagliafichi. Progettista, scenografo, decoratore ed ingegnere civile ed idraulico, oltre che architetto, costui era molto famoso all’epoca, un personaggio assai “quotato” e di chiara fama, ricercato dalle maggiori famiglie genovesi per la sua abilità nell’abbinare al gusto classico un nuovo modo di concepire il giardino. Tagliafichi lavorò molto a Genova: tra i suoi progetti il recupero di Villa Doria de Mari (a Sampierdarena,1780), il parco di Villa Lomellini Rostan (alla foce del Varenna, 1780), la ristrutturazione della Villa Durazzo-Rosazza ( a Dinegro, 1787) e Villa Durazzo Groppallo nella zona di Manin.
    Mentre lavorava a Villa Durazzo-Rosazza, Tagliafichi ricevette l’incarico di costruire ex novo una villa per la famiglia Serra a Cornigliano, e se ne occupò in prima persona, dalle fondamenta al giardino, fino ai particolari dell’arredo. Grandi aiole a prato, palme e alberi sempre verdi fiancheggiavano i vialetti, una rinomata collezione di azalee trovava posto sulle gradinate alle spalle della villa, mentre un giardino d’inverno ricco di piante esotiche completava le delizie del parco. Nel 1916 la villa fu venduta dal marchese Orso Serra al comune di Cornigliano Ligure.
    Dell’opera di Tagliafichi rimangono ad oggi soltanto monconi: il parco di Villa Doria de Mari è stato distrutto dalle lottizzazioni, mentre la ferrovia e gli impianti industriali hanno eraso quello di Villa Lomellini Rostan e mutilato quello di Villa Durazzo Pallavicini.
    Sarà per questa consapevolezza che guardavo ogni giorno con maggiore desolazione alla decadenza della villa, mia dirimpettaia. Fino a quando…
    (Eleana Marullo)