Autore: Redazione

  • OLI 285: TRASPORTI – Aereoporto di Genova: la ciliegina e la torta

    Sui giornali genovesi del 12.1.2011 sono comparsi diversi articoli riguardanti la conferenza stampa del direttore dell’Aeroporto Cristoforo Colombo di Genova Paolo Sirigu, in cui si afferma che l’aeroporto genovese, al quinto posto in Italia per i jet privati, punta a conquistare il terzo posto entro i prossimi cinque anni: nell’occasione si sottolinea l’inizio di voli regolari degli executive jet della compagna MyJet verso destinazioni italiane ed europee (Trieste, Zurigo, Ginevra, Venezia, Marsiglia, Barcellona ed Olbia), prezzi da 850 a 1800 euro a/r.
    Si tratta di una notizia sicuramente positiva, anche in prospettiva, per l’economia ligure, l’offerta di voli rapidi, affidabili, chiaramente destinati al pubblico Vip di vario genere, verso scali difficili da raggiungere con voli di linea: l’utilizzatore abituale genovese, però, che viaggi per motivi di lavoro o di vacanza, si trova spesso obbligato a scali a Roma, in qualche hub europeo, o a pesanti trasferimenti in auto o treno verso aeroporti vicini (Milano, Pisa, Nizza) che offrono un’ampia scelta di voli low cost.
    Visto che, inoltre, utilizzare l’Aeroporto di Genova non dà propriamente la sensazione di trovarsi nell’ombelico del mondo, punge il desiderio di approfondire la questione, allargando la visuale.
    Andando a prelevare i dati di traffico aeroportuale (*) degli anni dal 2000 al 2009 compresi (il 2010 è limitato ai dati di novembre), la posizione dello scalo genovese nel settore dei jet privati è confermata.
    La situazione diventa però dolente quando si passa ai dati riguardanti il numero totale di passeggeri: l’aeroporto di Genova passa infatti dal 17° posto su 35 aeroporti nel 2000 (1.063.146 passeggeri su un totale di 92.441.619) al 21° posto su 37 nel 2009 (1.136.798 passeggeri su un totale di 130.687.350).
    Ciò significa che, mentre il traffico passeggeri in Italia aumentava del 41%, l’incremento dei passeggeri nel nostro scalo si è fermato ad un misero 7%; gli aeroporti che hanno sopravanzato Genova sono Roma Ciampino, Lamezia, Treviso ed Alghero. I dati 2010 (limitati a novembre) vedono addirittura precipitare Genova al 23° posto, superata da Brindisi e Trapani.
    I voli VIP andranno anche bene, ma la percentuale degli utilizzatori di jet privati rispetto al totale dei viaggiatori si aggira attorno allo 0,2% (2 ogni 1000), e anche solo in termini di ricadute economiche per il territorio, sembra ci si occupi della ciliegina anziché dell’intera torta.
    L’entusiasmo di Paolo Sirigu nell’illustrare il successo dei voli Vip filtra invece senza ostacoli nei titoli e nei testi degli articoli senza che ai redattori venga in mente di offrire ai lettori un quadro generale della situazione tutt’altro che brillante del nostro aereoporto, alla vigilia del delicato passaggio della vendita del 60% delle quote oggi di proprietà della Autorità portuale.
    Della torta si occupa invece Nicoletta Viziano presidente del gruppo “Giovani di Confindustria” che in una intervista (Corriere Mercantile del 18 gennaio) afferma la necessità “Di creare una rete per aumentare i collegamenti dal Cristoforo Colombo e sviluppare i traffici” e di stabilire “un tavolo” di confronto con le istituzioni, Regione in primo luogo.
    (*) La fonte di tutti i dati di traffico (numero di voli e passeggeri) è costituita dal sito di Assaeroporti, Associazione Italiana dei Gestori Aeroporti, che permette di visualizzare velocemente tutti i dati traffico negli aeroporti italiani dal 2000 fino ad oggi (http://www.assaeroporti.it/defy.asp ).
    (Ivo Ruello)

  • OLI 285: IMMIGRAZIONE – Non si tratta di nuovi ingressi

    Alcune posizioni contrarie al decreto flussi espresse da parte di persone e associazioni amiche degli immigrati hanno suscitato perplessità. Nasconoci auguriamo dall’equivoco che si tratti di nuovi ingressi di lavoratori immigrati. In una crisi senza precedenti e in presenza di molti lavoratori italiani e immigrati disoccupati sembra illogico farne entrare altri.
    In verità non sono nuovi ingressi ma persone che sono già in Italia, costrette a lavorare in nero in quanto prive di permesso di soggiorno, per le quali il decreto flussi rappresenta praticamente l’unica speranza per uscire dalla “clandestinità”. Tutti sanno dell’assurda procedura secondo la quale i pochi fortunati che riusciranno ad ottenere il nulla osta faranno finta di non essere in Italia ma torneranno nei loro paesi d’origine, si presenteranno alle ambasciate italiane per chiedere i visti d’ingresso e rientreranno di nuovo in Italia per ottenere il permesso di soggiorno. Molti giornalisti ormai lo scrivono, ma sembra siano pochi quelli che leggono. Chi è d’accordo con i leghisti che non vogliono i decreti flussi è contrario alla regolarizzazione degli immigrati e li costringe a continuare a vivere nella clandestinità e a lavorare in nero.
    Le associazioni di volontariato, i sindacati, i democratici (persone e partiti) dovrebbero denunciare fortemente questa assurda procedura e chiedere al governo di rilasciare il permesso di soggiorno a coloro che ottengono il nulla osta e che sono già presenti in Italia, senza l’obbligo di un inutile e costoso viaggio di andata (al paese d’origine) e ritorno (in Italia). Un viaggio drammaticamente avventuroso perché alla frontiera esiste il rischio di essere espulsi proprio nel momento in cui si abbandona il territorio italiano, dopo anni di vita in “clandestinità”, di sacrifici, di speranza e di attesa dell’occasione di regolarizzarsi.
    Un altro ostacolo da superare è quello delle ambasciate: i lavoratori sperano che non siano informate della loro presenza in Italia durante il periodo di presentazione delle domande. Oltre al costo del viaggio c’è anche quello di un nuovo passaporto pulito da timbri di ingresso in Italia o nell’Europa di Schengen.
    Al limite si può sperare che succeda come dieci anni fa, quando Cgil Cisl Uil avevano chiesto ed ottenuto una circolare del ministero delle esteri (telegramma n. 4771 del 9 marzo 2000) nella quale si affermava quanto segue: “Pertanto, fin da ora, la presenza dello straniero sul territorio italiano – e più in generale sul territorio Schengen – durante l’iter autorizzativo, non costituirà più elemento ostativo al rilascio delle autorizzazioni o nulla osta previsti per il lavoro subordinato, né al rilascio dei relativi visti d’ingresso”.
    Era possibile, legale e di buon senso dieci anni fa. Oggi, con l’entrata in vigore della direttiva europea sui rimpatri che favorisce il rimpatrio volontario, lo sarebbe ancora di più. Così che il viaggio, comunque costoso e inutile, sia almeno sicuro e tranquillo. Certo che sarebbe più intelligente eliminare del tutto questo viaggio ipocrita ed ingiusto.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 285: PAROLE DEGLI OCCHI – Daltonismo culturale

    A cura di Giorgio Bergami. Foto Stefano De Pietro.
  • OLI 284: VERSANTE LIGURE – RICUSATIO NON PETITA…

    “Pm criminali!”
    “Togati complottisti!”
    “Tutt’altro che imparziali!”:
    per tosti vittimisti
    sui magistrati strali:
    van bene per Battisti
    oppure, tali e quali,
    per Papi ed i papisti.
    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA
  • OLI 284: DIRITTI – Appello per la FIOM

    Una delle persone della redazione ha ricevuto nella sua posta personale una mail di Chiara Ingrao a sostegno dei diritti dei lavoratori della Fiat e della battaglia della FIOM. E’ una bella lettera, esplicitamente destinata alla diffusione, e abbiamo deciso di pubblicarla.

    Cari tutti/e,
    intanto buon anno, anche se l’anno non mi sembra cominciare sotto i migliori auspici. Tanto per citarne una, nei prossimi giorni lavoratori e lavoratrici della Mirafiori saranno costretti a votare su un quesito assurdo: o accetti orari di lavoro più pesanti, meno pause, più straordinario, turni di notte, malattia non pagata, rinuncia a diritti indisponibili come il diritto di sciopero e di rappresentanza sindacale democraticamente eletta, o la fabbrica chiude. Molti hanno sottolineato quanto il ricatto sia menzognero, oltre che ignobile: non è vero che sia così semplice per la Fiat andarsene dall’Italia, non è vero che i SUV (i SUV!!) che vuole produrre a Mirafiori si possono produrre ovunque e poi caricarli su navi o tir e portarli a scorrazzare in giro per il mondo, non è vero che dalla crisi Fiat si esce distruggendo il sindacato e spremendo i lavoratori oltre ogni limite, ma serve ricerca, nuovi prodotti e un nuovo piano industriale, riconversione ecologica e innovazione tecnologica, e così via.
    Cose di buon senso, che invece vengono bollate come pericoloso estremismo, mentre sempre di più circolano fra noi interrogativi angosciosi: e se la prossima volta, per ottenere un investimento in Italia, chiedessero alle lavoratrici di rinunciare alla maternità, che per esempio non è garantita né negli Stati Uniti né in Cina? Se ci chiedessero di far cucire palloni ai bambini anche qui in Italia, anziché fare campagne internazionali contro il lavoro minorile? Se ci chiedessero di cancellare le ferie, le festività, di lavorare 18 ore al giorno? Nelle campagne di Rosarno già si fa: invece di indignarsi, perché non esportiamo quei modelli di lavoro anche in fabbrica? Dov’è il confine, di questa corsa al ribasso per inseguire un’idea di globalizzazione sempre più feroce? E non lo abbiamo già visto nella crisi finanziaria globale, quali risultati può portare dare mano libera totale alle imprese, senza alcun controllo né vincoli? … non rassegnarsi a un centrosinistra plaudente o “neutrale” di fronte al più grave attacco alla libertà, alla democrazia, alla dignità dei lavoratori, mai verificatosi negli ultimi 50 anni. Se siete iscritti o sostenitori del PD, andate nelle sezioni, scrivete ai vostri gruppi dirigenti, chiedete che il vostro partito ascolti e rifletta, che non si consegni inerme ai ricatti del più forte. Se come me sostenete SEL, o Italia dei valori, o la Federazione della sinistra, chiedete di non arroccarsi nelle proprie giuste scelte, ma invece di continuare a incalzare il PD e perfino “i moderati”, perché una violazione della democrazia come quella cui stiamo assistendo, probabilmente la DC non l’avrebbe mai accettata. Se siete impegnati nei movimenti nella scuola, nelle università, nella cultura, che tanta forza e speranza ci hanno comunicato in questi mesi, fate della vicenda Fiat uno dei temi centrali della vostra riflessione e del vostro lavoro. Infatti che speranza c’è per la cultura nel nostro paese, se vince la cultura della giungla? Che speranza c’è per i diritti di precari e migranti, se ogni idea di diritti viene spazzata via come un orpello inutile?”

    Su questa vicenda stanno circolando due appelli, uno di Micro Mega:
    http://temi.repubblica.it/micromega-appello/?action=vediappello&idappello=391202

    e uno della FIOM: www.fiom.cgil.it

    Sottoscriverli o meno è questione di scelta e orientamento personale. Conoscerne l’esistenza e poterli valutare è un diritto di informazione.

  • OLI 284: NUCLEARE – La lista che mancava

    Deve essere stato davvero un gran lavoro quello di chi ha tradotto in italiano la lunga lista di incidenti che hanno a che fare con il nucleare, civile o militare, dalla fine del 1800 ad oggi. E’ stato pubblicato in forma completa su http://www.mongiello.it/chernobyl/elenco-incidenti-nucleari, e si può passare qualche minuto a scorrerlo cercando la parola Italia, che compare 42 volte per altrettanti articoli inerenti il nucleare. L’origine del post è il sito progettohumus.it, che a sua volta fa riferimento al sito svizzero del servizio geologico nazionale (il link indicato in Progetto Humus è però obsoleto e non funziona).
    Nella lunga lista si legge che il Giappone, nel 1945, fece esplodere in Corea un ordigno nucleare di prova. E’ una notizia che lascia perplessi: possibile che in tutte le cronache di guerra non ne sia mai stata fatta menzione?
    Ecco il testo dell’articolo: “11 Agosto 1945 – Corea. Due giorni dopo la bomba atomica di Nagasaki, gli scienziati giapponesi di stanza a Konan (il maggiore complesso industriale sotto il controllo nipponico) ed ignari della decisione presa dall’imperatore di arrendersi evitando ulteriore morte e devastazione, eseguono un test nucleare: il lancio partì dal bacino di Konan, fu guidato nel mare del Giappone per entrare nel porto di una piccolissima isola. Per diversi giorni relitti di imbarcazioni e altre vecchie navi furono portate sull’isola che era talmente piccola da non risultare su molte mappe. I pochi abitanti furono evacuati. Venti miglia dall’isola gli osservatori aspettavano e pregavano che gli assidui sforzi avrebbero prodotto il risultato che tanto speravano: una forza di distruzione enorme da poter usare nell’autunno sulle forze alleate in procinto di un’invasione. Il risultato fu sorprendente: sotto la nube radioattiva le imbarcazioni erano affondate o bruciavano mentre della vegetazione sulle colline ne rimaneva solo le ceneri. Un fungo atomico che probabilmente era molto simile a quello di Hiroshima e Nagasaki. Ma tutto fu inutile per la presa di posizione dell’imperatore di cessare i combattimenti. Pertanto, una volta a conoscenza dell’imminente resa, gli scienziati giapponesi si diedero da fare per distruggere tutti i loro documenti nonché tutto l’equipaggiamento e strumentazioni possibili (incluse altre bombe atomiche quasi completate) perché i russi ormai avanzavano verso il complesso di Konan dalle montagne nel nord della Corea. Tutta l’apparecchiatura non distrutta finì in Russia assieme agli scienziati che furono torturati, interrogati e cancellati dalle pagine della storia”.
    Ci sono anche spiegazioni sul caso Ilaria Alpi e sulle molte mancanze di sicurezza in centrali italiane e straniere. Ad esempio, a Caorso ci furono fughe radioattive, di cui la stampa non diede notizia.
    Nella lista manca il caso del furgone con materiale radioattivo spedito in giro per lo stivale senza misure cautelative e alcuna informazione all’autista (http://www.bur.it/sezioni/Foglietto_numero_0801.pdf, pagina 2).

    (Stefano De Pietro)

  • OLI 284: INFORMAZIONE – Linguaggio e realtà

    Rileggo a distanza di tempo due articoli, usciti su la Repubblica del 23 dicembre.
    Uno è di Curzio Maltese, l’altro di Adriano Sofri, ed entrambe descrivono e commentano lo stesso evento: la splendida manifestazione degli studenti dello scorso 22 dicembre a Roma.
    Non c’è differenza di orientamento tra i due giornalisti. Tutti e due mettono in rilievo la capacità dei ragazzi di spiazzare l’ansiosa e desiderante attesa di incidenti – possibilmente gravi – e sottolineano il momento simbolico dell’omaggio che i giovani hanno reso a Mohammed B., l’operaio marocchino morto sul lavoro in un cantiere dentro alla facoltà di Scienze Politiche. L’intervento di Sofri, in particolare, si concentra soprattutto su questo episodio.
    Nell’articolo di Maltese si incontra però, in più, questo passaggio: “Dopo il fuoco, il fumo e il sangue di piazza del Popolo, il movimento studentesco più pacifico della storia è tornato con saggezza allo spirito creativo. Il più femminile anche, un fattore che conta nell’evitare il rischio di militarizzazione. Ragazze ovunque a organizzare”.

    La stessa cosa avevo osservato a Genova alla grande manifestazione che il 4 novembre 2010 aveva percorso, insolitamente, la zona di Castelletto: ovunque ragazze a correre avanti e indietro lungo il corteo, a dare indicazioni.

    Solo in via Assarotti davanti alla Direzione scolastica regionale presidiata dalla polizia, i giovani maschi prendono la testa e i fianchi del serpentone, disponendosi a “servizio d’ordine”. Mi avvicino e chiedo a uno di loro “E le ragazze?”. Risponde imbarazzato, sorridendo: “No guardi le ragazze nell’organizzazione ci sono, sono dappertutto, ma qui può esserci pericolo …”
    Dunque in queste manifestazioni di persone giovani le ragazze, le donne, ci sono, dirigono e segnano una differenza.
    Questa è una novità politica che per essere comunicata va messa in rilievo in termini espliciti, come ha fatto Maltese. Non può bastare, a rilevarla, una trasformazione del linguaggio che superi l’utilizzo del genere maschile (gli studenti, i giovani, i ragazzi … ) per indicare il tutto.
    Detto questo, però, riprendo l’articolo di Sofri dove l’utilizzo del genere maschile per il tutto non ha eccezioni e arriva a formulare frasi come: “Un’immigrazione impetuosa che ha le fattezze di uomini giovani e prolifici “ … “Noi vecchi e con pochi figli, loro giovani come conigli” … “I giovani studenti che si ribellano e i giovani immigrati che vengono qui a faticare e morire”, e non posso che osservare che questo linguaggio mi esclude totalmente, come donna, e che questa esclusione porta la conseguenza di alterare la realtà che si vuole descrivere.
    Non c’è persona – credo – che leggendo questo articolo non veda formarsi in modo spontaneo e automatico nella mente immagini di schiere solo maschili che lavorano, emigrano, manifestano, (partoriscono?).
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 284: PORTO ANTICO – Desolazione al mercatino natalizio

    Natale, dall’8 al 24 dicembre la società Porto Antico di Genova organizza davanti a Porta Siberia il “Villaggio di Natale”, e sul suo sito (*) annuncia con letizia e baldanza: “L’area di Porta Siberia per le feste diventa un Villaggio per la vendita di prodotti e regali artigianali … Nel pomeriggio, dalle 15.30 alle 17.30 sul Palchetto Musicale del Mercatino di Natale ricco programma di spettacoli musicali che coinvolgerà scuole di musica e gruppi emergenti”
    L’organizzazione della scaletta musicale viene affidata alla “Casa della Musica”, che mi propone di partecipare: suono musica greca rebetika nel duo “To Pànsellino”. Non è previsto alcun compenso, nemmeno il rimborso delle ore di lavoro perdute, ma, si sa, suonare è un piacere e si accetta ben volentieri.
    Solo che il giorno previsto (mercoledì 22) il tempo è inclemente, piove con ostinazione. Pazienza, d’inverno succede. Si intrecciano scambi telefonici con la Casa della Musica, che propende per annullare l’incontro: non ci sono le condizioni logistiche per suonare in caso di pioggia, ci dice. Ma la “Porto Antico” insiste: non si deve assolutamente annullare il concerto. Si va avanti nell’incertezza fino alle 16, quando arriva la telefonata conclusiva: la Porto Antico non sente ragioni, the show must go on. Così timbro il cartellino ed esco dall’Ansaldo.

    Alle 16 ci presentiamo.
    Piove.
    Non c’è un’anima viva in tutto il cosiddetto “Villaggio di Natale”.
    La maggioranza dei banchi è chiusa.
    La pedana alta 20 cm. su cui dovremmo suonare (il “palchetto” del sito …) non ha alcuna copertura antipioggia, sedie bagnate, prese elettriche per i cavi della amplificazione messe precariamente al riparo di una delle casette destinate alla vendita.
    La responsabile della Casa della Musica è infreddolita e desolata: la richiesta di avere un palchetto coperto è stata recisamente rifiutata dalla Porto Antico per “ragioni di sicurezza” (?!).

    Domanda: ma come può pensare la Porto Antico che si possa suonare col rischio di danneggiare gli strumenti e senza protezione per l’amplificazione? Qualcuno si è preso il disturbo di venire lì a vedere?
    Così non suoniamo.
    Ma poi, per chi avremmo dovuto suonare? Intorno a noi non c’è nessuno, ma proprio nessuno. Deserto totale. Colpa del tempo cattivo? No, mercatini natalizi pieni di gente nonostante pioggia e neve affollano mezza Europa, incluse altre piazze di Genova, e anche nei giorni asciutti – ci dicono poi alcuni amici – di lì non passava nessuno.
    Colpa quindi di una idea improvvisata, realizzata male, e in più senza rispetto per le persone. Del resto si trattava solo di musicisti “emergenti” e per di più “agratis”, che pretendevano? Sono stati trattati in linea coi tempi. Inclusi quelli di candida chioma ed emersi da un bel po’, come il gruppo (musica e danza) di “Banda Brisca”.

    Mia moglie passa a dare un’occhiata anche il giorno dopo. Minaccia, anche se non piove, ma il deserto che circonda il gruppo di danza della Banda Brisca è lo stesso: giudicate dalle fotografie.

    (*) (http://www.portoantico.it/calendario_dettaglio.aspx?lang=ita&id_area=3&Id=3447).

    (Ivo Ruello)

  • OLI 284: TRASPORTI – Amt informa, ma come e quanto informa?

    Per certi aspetti Genova è all’avanguardia. Da qualche tempo anche qui gli utenti del servizio pubblico hanno la possibilità di conoscere i tempi di attesa dei bus e altre informazioni, grazie al centinaio di indicatori del sistema Infobus collocati alle principali fermate.
    Ma c’è di più! Da alcuni mesi Amt ha esteso il servizio a tutte le circa 2500 fermate dell’intera rete, non mediante paline elettroniche, il cui costo sarebbe stato improponibile, ma attraverso semplici scambi di sms: gli utenti inviano (a loro spese) al numero 320 2043514 il codice della fermata in cui si trovano e l’azienda risponde immediatamente (a sue spese) con un sms che fornisce i tempi di attesa per le varie linee in transito.
    Per chi possiede un cellulare di ultima generazione o uno smartphone, con accesso a internet, basta impostare nel browser un paio di indirizzi:
    http://www.amt.genova.it/pianifica/passaggi_tel.asp per le previsioni di arrivo alle singole fermate;
    http://www.amt.genova.it/pianifica/orari_tel.asp per le tabelle delle partenze programmate dai capolinea.
    Ovviamente tale consultazione può essere effettuata anche dal computer di casa, per non dover attendere troppo alla fermata, specie quando le corse son meno frequenti.
    Tutto ciò è descritto con dovizia di particolari sul sito Amt alle pagine http://www.amt.genova.it/pianifica/infobus_sms.asp e http://www.amt.genova.it/COMUNICATI_STAMPA/2010/0853.asp.

    Benissimo, meglio di così non si potrebbe fare. Almeno sembrerebbe…
    Alcune riflessioni infatti si impongono, considerando la distanza che separa il mondo ideale delle citate pagine aziendali in cui si dà per scontato che tutti navighino in internet con disinvoltura e che addirittura molti dispongano già di cellulari di ultima generazione e il paese reale costituito da utenti di ogni tipo in attesa alle fermate, sovente a disagio, la maggior parte dei quali non solo non possiede apparecchi in grado di connetterli al web ovunque si trovino, ma neppure ha internet a domicilio, o se ce l’ha è ancora troppo informaticamente imbranato per riuscire ad accedere a tutto quanto sarebbe necessario.

    In questi mesi Amt sta procedendo all’apposizione dei relativi codici su tutte le fermate della rete.
    Benissimo. Ma il numero al quale inviare l’sms dov’è?
    Ci sono soltanto, in piccolo, l’indirizzo del sito internet e il numero verde 800.085311 del Servizio clienti, attivo dal lunedì al venerdì dalle 8.15 alle 16.30. E al di fuori di tale orario? O, anche nell’orario, non tutti hanno modo di telefonare e appuntarsi il numero richiesto, magari impediti da borse e sacchetti o sotto le intemperie.
    Di fatto, in questi termini il sofisticato servizio offerto è affatto inutile: inutilizzabile dalla maggior parte dei viaggiatori, salvo quei pochi che hanno memorizzato sul proprio cellulare il fatidico numero, copiandolo dal materiale promozionale distribuito al momento del lancio, oppure dal sito aziendale.
    A pensar male, si direbbe che vi sia dietro una strategia che da un lato confeziona e propone raffinati prodotti da esibire come fiori all’occhiello, ma dall’altro ne scoraggia un uso diffuso che comporterebbe ulteriori costi di gestione difficilmente quantificabili – con la miriade di sms di risposta alle interrogazioni degli utenti, a carico dell’azienda sia pure in un piano tariffario concordato a condizioni di favore – o fors’anche un intasamento delle linee telefoniche tecnicamente problematico.
    Ma preferiamo credere che si tratti di una semplice dimenticanza o sottovalutazione della questione, facilmente risolvibile apponendo accanto al codice della fermata un vistoso adesivo con il benedetto numero e le istruzioni per l’uso.

    (Ferdinando Bonora)