Un’amica, a commento degli articoli finora usciti su Oli (*) a proposito del mangiar carne, degli allevamenti intensivi e del libro “Se nulla importa” di Safran Foer, mi chiede: “Bene, e ora? Che si fa?”
La via più facile è non fare proprio niente e continuare a “mangiare come tutti gli altri”. A stare ai dati (**) parrebbe a prima vista che la direzione sia proprio questa: in USA siamo ad un consumo di 125 kg. annui di carne pro-capite, in Europa la Danimarca va anche oltre con i suoi pazzeschi 145 chili, e anche in Italia, con tutta la nostra dieta mediterranea, siamo passati dai 57 kg annui pro-capite del 1972 agli attuali 90 / 92 chili, una media di due etti e mezzo di carne tutti i santi giorni. E quasi tutta questa carne viene da allevamenti intensivi.
Ma, dice Foer, “questa che fino a poco tempo fa, e quasi ovunque, era un’ottima idea, ora non lo è più”, perché aggiunge gocce su gocce ad un vaso prossimo a traboccare. Oltre all’aspetto etico delle condizioni di vita degli animali, l’agroindustria influenza infatti pesantemente inquinamento, salute, consumo di acqua, condizioni di lavoro, declino delle comunità rurali e povertà globale.
Per quello che lo riguarda lo scrittore Safran Foer, dopo i tre anni passati a raccogliere informazioni per il suo libro, ha deciso che “non vuole avere niente a che fare con l’allevamento intensivo”, e che astenersi dalla carne è per lui l’unico modo realistico di farlo.
Però le strade possibili sono più di una, e a volte si intersecano.
Dice Foer “I rancher possono essere vegetariani, i vegani possono costruire mattatoi, e io posso essere un vegetariano che appoggia il meglio della zootecnia”.
Così agli acritici e ai vegetariani si affiancano i carnivori moderati che, senza azzerarlo, riducono il proprio consumo di carne, e gli “onnivori selettivi” che evitano di acquistare prodotti (carne, uova, latte, formaggi) provenienti da allevamenti intensivi. Cosa che può essere parecchio complicata.
Naturale essere assaliti dai dubbi: ma davvero scelte di questo tipo possono avere una influenza concreta sulle pratiche agricole globali? Lo scrittore americano osserva che “non possiamo evitare, nutrendoci, di irradiare un’influenza anche nostro malgrado”, e che quindi questa influenza esiste, ed è sorpendente.
Negli USA (****) il numero di vegetariani nel 2008 era il 3,2% della popolazione, mentre un altro 10% denunciava una dieta orientata in senso vegetariano. Le previsioni sono in crescita.
Più difficile – immagino – valutare l’entità della platea dei carnivori moderati e degli onnivori selettivi, ma di certo l’industria alimentare inizia a tenerne conto.
Sarebbe interessante capire cosa sta avvenendo da noi: condizione degli animali negli allevamenti, impatto ecologico, conseguenze sanitarie, orientamento dei comportamenti alimentari, influenza di questi sul mercato. Chissà che qualche giornalista – prima o poi – lo faccia.
* La forza dei paradossi http://www.olinews.info/2010/10/oli-274-alimentazione-la-forza-dei.html
Quanta sofferenza sei disposto ad accettare? http://www.olinews.info/2010/10/oli-272-alimentazione-quanta-sofferenza.html
OLI 271, “Se nulla importa” http://www.olinews.info/2010/09/oli-271-informazione-se-nulla-importa.html
** vedi il sito http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=30646 e i molti altri rintracciabili cercando su Google con parole come: consumo / carne / pro capite / dati
*** http://trashfood.com/2009/12/carnivori-moderati.html
**** http://www.articlealley.com/article_1351542_23.html
Altri link:
http://www.eat-ing.net/getpage.aspx?id=73&dx=2&m=2&pf=f&sez=carne#1
http://www.ecowiki.it/allevamenti-sostenibili-il-parere-dei-produttori-e-la-figuraccia-di-fazio.html
(Paola Pierantoni)
Autore: Redazione
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OLI 275: ALIMENTAZIONE – I vegetariani, gli acritici e gli onnivori selettivi
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OLI 275: PAROLE DEGLI OCCHI – Popolarità delle acciughe

Foto (C) Giorgio Bergami -
OLI 275: LETTERE – I tagli del governo mettono a rischio il Centro anti violenza
La violenza “di genere” colpisce ogni anno migliaia di donne e figli minori, avvelenando in profondità il tessuto sociale del nostro Paese.
Nel 2005, su impulso della Provincia di Genova, è nata la Rete provinciale antiviolenza, che connetteva competenze, servizi e volontà politica di chi, da fronti diversi, lavorava su questo tema.
Negli anni la Rete è cresciuta, e ad oggi ne fanno parte 24 associazioni, 24 Comuni, 6 Pronto Soccorso, due ASL con una buona collaborazione con le Forze dell’Ordine.
La L.R. 12/2007 “Interventi di prevenzione della violenza di genere e misure a sostegno delle donne e dei minori vittime di violenza”, nata su proposta della Rete, prevede, tra l’altro, il finanziamento per la costituzione di almeno un Centro antiviolenza in ogni Provincia, il sostegno a progetti individualizzati per le donne, case rifugio e alloggiative, campagne di sensibilizzazione.
Il Centro Antiviolenza di via Mascherona a Genova è stato inaugurato ufficialmente il 25 novembre del 2008 da Provincia, Comune e Regione assieme alle associazioni della Rete.
Oggi, a due anni dalla sua apertura, sono stati registrati 416 contatti, e 243 donne hanno iniziato il percorso di fuoriuscita dalla violenza, con la presenza di oltre 100 minori vittime di violenza assistita o subita.
Nel 2010 le prese in carico sono aumentate del 30 % rispetto al 2009, e i contatti sono aumentati del 40 %. Analogo riscontro hanno i Centri d’ascolto nati nel frattempo in cinque Comuni del territorio provinciale, e possiamo prevedere che la crescita continuerà anche nei prossimi anni.
Importanti collaborazioni sono state stabilite con ASL 3, Direzione consultoriale, Dipartimento di Salute mentale, Servizio di reperibilità dei servizi sociali, Rete madre-bambino e con le case rifugio e accoglienza del Comune di Genova.
Ma ora ciò che abbiamo costruito in questi anni rischia di essere messo in discussione. Le politiche economiche, la riforma federalista e i tagli diretti o indiretti previsti dal governo Fini – Bossi – Berlusconi sullo stato sociale ricadranno su Regioni, Enti Locali e quindi sulla popolazione, e la società arretrerà dai diritti conquistati faticosamente nel secolo scorso a favore di un aumento esponenziale delle disparità sociali, della perdita progressiva di diritti, dell’impoverimento progressivo delle fasce più deboli e della classe media.
Si passerà dai diritti alla carità, cancellando anni di lotte e conquiste sociali.
Nel 2011 anche i finanziamenti per il Centro antiviolenza, e per i Centri d’ascolto e i servizi ad essi collegati, rischiano di essere messi seriamente in discussione: un pericoloso arretramento in un paese in cui ogni giorno la violenza contro le donne e i loro figli continua a rimanere sostanzialmente fuori dall’agenda politica.
Ma non intendiamo rassegnarci, a maggior ragione dopo i risultati fin qui ottenuti, a veder messa in discussione l’esistenza del Centro e del lavoro di rete, e a ridurre nuovamente a silenzio le donne picchiate, vessate, umiliate tra le pareti di casa dal proprio partner.
Non intendiamo rassegnarci ad un Governo che massacra lo stato sociale e approfitta della crisi per cancellare diritti.
Denunciamo i tagli e l’inesistenza di finanziamenti da parte del Governo, ma chiediamo anche a Regione ed Enti Locali uno sforzo concreto affinchè confermino l’impegno contro la violenza di genere di cui si sono fatti carico in questi anni.
Facciamo appello alla società civile affinchè ci sostenga in questa lotta di democrazia e civiltà, anche costruendo assieme iniziative di raccolta fondi affinché le donne maltrattate non restino sole.
(Marina Dondero – Vice Presidente – Assessora a Costa ed Entroterra e Pari Opportunità della Provincia di Genova) -
OLI 275: LETTERE – Ingiustizie. Che fare?
E’ iniziata una stagione di caccia alla ricerca di chi si presume percepisca indebitamente 267,00 Euro mensili per una inabilità fisica o psichica non vera.
I controlli si sono moltiplicati. Si augurano tutti un buon bottino tale da poter andare ad alimentare le magre casse dello stato.
L’esiguità della somma erogata non fa scandalo e non è di interesse collettivo. Ma per chi conosce direttamente le storie di povertà e malattia risulta evidente la profonda ingiustizia.
I veri poveri non sanno cosa vuol dire arrivare a fine mese senza soldi. Per loro il primo giorno è già l’ultimo.
La legge finanziaria approvata dal governo e in vigore dal 1 Gennaio 2011 non ha modificato i miseri introiti dovuti per le pensioni minime, ha invece stabilito parametri severi per poter usufruire della pensione di anzianità lavorativa. Una moltitudine di lavoratori si è visto allontanare nel tempo il tanto ambito desiderio di riposo e ciò ha generato sconforto.
Mi è venuto incontro uno scritto sindacale che riportava la sintesi di un intervento fatto in parlamento il 21 settembre 2010 da un deputato dell’opposizione. Questi chiedeva l’approvazione di un ordine del giorno in cui veniva chiesta l’abolizione del vitalizio spettante ai parlamentari dopo cinque anni di legislatura. Stupisce l’accordo con cui la maggioranza dei deputati ha rifiutato la proposta presentata.
Riporto i risultati della votazione e alcuni stralci dell’intervento:
Presenti 525
Votanti 520
Astenuti 5
Maggioranza 261
Hanno votato sì 22
Hanno votato no 498
“Penso che nessun cittadino e nessun lavoratore al di fuori di qui possa accettare l’idea che gli si chieda, per poter percepire un vitalizio o una pensione, di versare contributi per quarant’anni, quando qui dentro sono sufficienti cinque anni per percepire un vitalizio. È una distanza tra il Paese reale e questa istituzione che deve essere ridotta ed evitata. Non sarà mai accettabile per nessuno che vi siano persone che hanno fatto il parlamentare per un giorno – ce ne sono tre – e percepiscono più di 3.000 euro al mese di vitalizio. Non si potrà mai accettare che ci siano altre persone rimaste qui per sessantotto giorni, dimessisi per incompatibilità, che percepiscono un assegno vitalizio di più di 3.000 euro al mese. C’è la vedova di un parlamentare che non ha mai messo piede materialmente in Parlamento, eppure percepisce un assegno di reversibilità.
Credo che questo sia un tema al quale bisogna porre rimedio e la nostra proposta… è che si provveda alla soppressione degli assegni vitalizi, sia per i deputati in carica che per quelli cessati, chiedendo invece di versare i contributi…
Proprio la Corte Costituzionale, con la sentenza richiamata dai colleghi questori, ha permesso invece di dire che non si tratta di una pensione, che non esistono dunque diritti acquisiti e che, con una semplice delibera dell’Ufficio di Presidenza, si potrebbe procedere nel senso da noi prospettato, che consentirebbe di fare risparmiare al bilancio… milioni di euro l’anno.”
Che fare ? Qualcuno in passato si era già posto questa domanda ma a quanto pare il tempo della storia non è riuscito a dare ancora una risposta.
(Maria Paola Veardo) -
OLI 275: LETTERE – Oscenità al Tg3
Ieri 24 ottobre poco dopo le 19, mentre cucinavo, stavo ascoltando il Tg3, ed ecco che mi raggiunge la voce di questo Misseri che descrive i dettagli dell’omicidio in cui è coinvolto.
La redazione del Tg3 aveva deciso di fare ascoltare a tutti noi la deposizione di questo disgraziato sul fatto terribile che tutti sappiamo.
Subito dopo lo stesso Tg3 rendeva criticamente conto del “turismo dell’orrore” che si sta svolgendo dalle parti di Avetrana.
Questa – io trovo – è una cosa oscena, che taglia alla radice il diritto di prendersela con gli altri, i Fede, e i Vespa con i loro modellini.
Se la differenza è solo nella quantità (quegli altri ci sguazzano di più, e più a lungo), è una differenza piccola piccola. La sostanza si equivale.
(Paola Pierantoni) -
OLI 274: VERSANTE LIGURE – COSA HO IN SERBO
Da ultrà, la faccio enormesguainando il medio ditomi atteggio in modo abnormeinsulto a menaditol’etnia sventolo in formefra il folle e l’inaudito:ministro alle Riformeio son (ma che hai capito?).Versi di ENZO COSTAVignetta di AGLAJA -
OLI 274: CULTURA – Grazie, Tiziano
Se n’è uscito di scena all’improvviso, Tiziano Mannoni.
C’eravamo incontrati qualche giorno fa, alla presentazione del programma di Genova Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, nell’affollato salone del Maggior Consiglio. Seduti vicini, mi mostrava fotocopie degli antichi statuti di Pontremoli sui quali stava lavorando per una sua ennesima pubblicazione. Per guadagnar tempo, scorreva i fogli e intanto seguiva i relatori sul palco, con l’intelligente, vivace e poliedrica curiosità di sempre. Ci conoscevamo da quasi quarant’anni, da quando, liceale non ancora diciottenne, avevo cominciato a frequentare nel 1971 gli incontri teorico-pratici di archeologia che egli, allora quarantatreenne, teneva presso la sezione genovese dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri per un gruppo di appassionati, d’intesa con la Soprintendenza (detta allora “alle Antichità”, oggi “per i Beni Archeologici”).Ogni venerdì sera ci si ritrovava in sede, a Palazzo Reale nel vecchio atrio dov’è ora la caffetteria del museo, a seguire le sue lezioni di tecnica di scavo e storia della ceramica. Il sabato e la domenica si saliva a scavare sulla Collina di Castello tra le macerie di San Silvestro, in una Genova ancora martoriata dalla guerra, inimmaginabile per chi vi vede adesso quella Facoltà di Architettura dove molti anni dopo lo stesso Mannoni sarebbe stato uno dei docenti più apprezzati e carismatici, a distribuire ai suoi studenti il proprio sapere con l’umiltà, la semplicità e la chiarezza che contraddistinguono chi è veramente grande.

San Silvestro negli anni Ottanta (foto F. Bonora) Le rovine del convento domenicano racchiudevano mura del precedente castello vescovile medievale, a sua volta eretto sulle vestigia dell’oppidum preromano, la cittadella fortificata ligure-etrusca da cui si sarebbe sviluppata l’intera città. Sotto la sua guida si praticavano scavi rigorosamente stratigrafici, andando a ritroso nel tempo dai giorni nostri fino al quinto/sesto secolo avanti Cristo, sviluppando le innovative metodiche d’indagine messe a punto da Nino Lamboglia, il direttore dell’Istituto di Studi Liguri tragicamente scomparso in porto nel 1977, che di tanto in tanto effettuava sopralluoghi e forniva consigli.
Mannoni e il suo gruppo hanno condotto significative ricerche anche in numerosi altri siti, sia a Genova sia nel resto della Liguria e pure fuori regione. In particolare nella Lunigiana, da dove proveniva e dove ha disposto che tornino i suoi resti.
La sua formazione al di fuori dei consueti binari (non aveva alle spalle studi classici, ma proveniva dall’ambito delle scienze, che da pioniere aveva cominciato ad applicare ai vari aspetti dei beni culturali) lo faceva guardare con sospetto e sufficienza da un certo mondo accademico legato a un’idea di archeologia come storia dell’arte antica e dei fatti eccezionali, che mal sopportava un nuovo approccio attento invece alla globalità dei fenomeni, in un’archeologia intesa come disciplina storica che indaga tutti gli aspetti del passato basandosi soprattutto sulle tracce materiali stratificatesi nel tempo in un dato territorio; non solo nel sottosuolo ma anche al disopra di esso, negli edifici, nelle infrastrutture e nelle forme del paesaggio tuttora in uso.
Dal vecchio Gruppo Ricerche nacque l’Iscum, Istituto per la Storia della Cultura Materiale oggi ospitato presso il Museo di Sant’Agostino, con archivi e biblioteca specializzata.
La chiesa gremitissima al funerale e i numerosi commenti “linkati” qui sotto dicono quanto fosse stimato non solo per i suoi meriti scientifici in Italia e all’estero, ma anche per l’umanità con cui sapeva rapportarsi agli altri.
Siamo in tanti a dovergli tanto: grazie, Tiziano, per tutto quello che ci hai lasciato.http://www.viveregenova.comune.genova.it/content/addio-tiziano-mannoni-archeologo-dellarchitettura
http://generazionediarcheologi.myblog.it/archive/2010/10/17/addio-tiziano-mannoni-l-archeologia-italiana-piange-un-pioni.html
http://www.ilsecoloxix.it/p/cultura/2010/10/18/AMSqeu9D-addio_delle_creuze.shtml(Ferdinando Bonora)
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OLI 274: ILVA – Perché quegli sguardi avviliti?
Mercoledì 13 ottobre. Fabbrica di Cornigliano, 8.30 del mattino.
Le macchine scivolano alla spicciolata nel grande parcheggio davanti alla portineria.
Si sono lasciate alle spalle un lungo percorso costeggiato da container colorati.
No. Non ci sono giornalisti della stampa locale a raccontare il fatto. Anche se la prima tranche di rientri in fabbrica – 55 dipendenti – dopo cinque anni di cassa integrazione, è di certo un evento cittadino. Occasione unica per chi vorrebbe occuparsi di cronaca del lavoro.Le facce, soprattutto donne, sorridono beffarde all’ineluttabile. Impiegate over quaranta che si salutano e si abbracciano per poi cercare nella borsa il badge, scovato nei cassetti e dimenticato per un lustro, puntualmente scambiato con l’addetto della proprietà con un pass più nuovo e meno ingiallito. Ma con la stessa foto vecchia di anni.
La fabbrica alla loro destra sembra inerte, come chiusa dentro il suo imballo azzurrino. Alla loro sinistra il cantiere è in movimento. Un pullman – sedili imbottiti e impolverati – le accompagnerà insieme ai colleghi alla scuola siderurgica per il loro primo giorno di lavoro. Che è poi formazione.
Nella catena di montaggio che li ha visti oggetto dell’accordo di programma donne e uomini si sono sentiti spostati come merce da una fase all’altra di un ciclo che li ha visti in azienda, poi in Comune e Provincia, ed oggi ancora in azienda. E il 13 ottobre non esitano a dichiararsi “merce di scambio”.
Dopo di loro, a scaglioni, entreranno gli operai. Per tutti è prevista una settimana in fabbrica e tre a casa. Con salario tutelato.
Con una proposta così di che si lamentano?
E perché quegli sguardi avviliti?
Gli hanno spiegato che lavoreranno meno che negli enti pubblici. Li hanno esortati a comprendere che questa è la madre di tutti gli accordi che verranno dopo. Hanno detto loro che l’offerta è talmente innovativa da essere stata d’ispirazione per il teatro dell’opera cittadino. E loro stessi hanno detto sì al contratto di solidarietà consapevoli che in cambio ci sarebbe stato il vuoto.
Capire perché sentano di non avere in mano nulla, e perché avvertano l’assenza totale di un progetto occupazionale serio è compito di sindacato e politica. Nessuno dei due ha affrontato la questione con serietà. Nessuno dei due ha registrato i picchi di un malessere molto diffuso che insieme al salario chiedeva l’impegno su un’occupazione vera.In immagine, la lettera che l’assessore Margini ha inviato in questi giorni ai cassintegrati ILVA rientrati in stabilimento in ottobre.(Giovanna Profumo)
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OLI 274: SOCIETA’ – Comunicazione umana ad alta densità
Interessanti, gli autobus.
A volte la densità raggiunge il massimo possibile in termini fisici. A quanto si può arrivare? A molto. Autobus numero 18, ore 11, direzione levante: le persone (contate) compresse nello spazio compreso tra le porte di uscita e la parete opposta sono sedici, per una superficie di poco più di 2 metri quadri. Calcolando una media di sessanta Kg. a persona, si arriva ad una densità di 426 Kg. di carne per metro quadro, dodici volte più di quella di un allevamento intensivio di polli broiler. Per gli umani questo è possibile perché si sviluppano più verticalmente dei polli. Pensate che affari si potrebbero fare …
Bene, in queste condizioni si genera una situazione di immobilizzo anche emotivo, non c’è nemmeno la possibilità di litigare con i compagni di viaggio, e ognuno adotta la propria personale pratica zen.
Ma quando la densità, pur restando elevatissima, consente potenzialmente qualche movimento, ecco che si innesca la conflittualità: nessuno perdona al prossimo di non utilizzare i suoi reali o supposti spazi di libertà. Di nuovo sul 18, ore 12, questa volta direzione ponente. Sull’autobus già molto pieno sale un gruppo di sei / sette ragazzi sui quindici anni, e porta la densità al livello critico. In più i ragazzi sono ragazzi, molto più interessati a stare vicini tra di loro per scherzare, che a procedere razionalmente verso le uscite, per non creare un blocco umano al centro dell’autobus.
Inziano gli scambi. Una anziana signora invoca:
“Su ragazzi muovetevi … “
Nulla succede, e poco dopo:
“Devo passare, andate avanti, muovetevi!”
“Ma non rompere …”
“Ma dove le impari queste cose?”
“A casa e a scuola”
“Bella casa e scuola che hai … mi spavento per il mio futuro”
“Il tuo futuro? Quale futuro?”,
“Il mio futuro: io sono vecchia, e siete voi il mio futuro. E allora dico: guarda che bel futuro che mi aspetta”
“E io dico: guarda che bel presente che abbiamo”.
Si crea nell’autobus un momento di sospensione. L’aggressività svapora. Qualcuno commenta “Beh, accidenti, ha ragione …”
(Paola Pierantoni) -
OLI 274: ALIMENTAZIONE – La forza dei paradossi
Un capitolo di “Se niente importa”, il libro di Safran Foer sugli allevamenti intensivi, si intitola: “In difesa della cinofagia”. L’autore osserva che negli Stati Uniti “mangiare il migliore amico dell’uomo è un tabù come lo è mangiare il proprio migliore amico umano”. Però aggiunge che “i maiali sono altrettanto intelligenti e sensibili in tutto e per tutto, secondo ogni ragionevole definizione dei termini. Non possono saltare nel bagagliaio della Volvo, ma sono capaci di riportare oggetti, correre e giocare, fare i dispetti e ricambiare affetto”.
Foer si dedica a smontare le razionalizzazioni che supportano il nostro tabù del mangiare cani o gatti.
Se si vuole porre lo sbarramento sul non mangiare gli animali da compagnia, la controdeduzione è che, laddove vengono mangiati, i cani non sono animali da compagnia. Se lo si vuole porre sul non mangiare animali con capacità mentali ragguardevoli , Foer controbatte che molti altri animali lo sono: il già citato maiale, ma anche le mucche, gli asini o i polli (conoscerli intimamente per convincersi: da ragazzina mi avevano regalato una bianca gallina livornese che mi correva incontro e mi saltava sulle spalle quando tornavo da scuola), nonché diversi animali marini (molti pescatori subacquei vi diranno della loro particolare difficoltà ad uccidere un polpo).
Del resto, sottolinea malignamente Foer, ce li mangiamo già, i cani e i gatti perché diventano “cibo per il nostro cibo”: un processo industriale chiamato rendering permette di riciclare le proteine animali inadatte alla alimentazione umana facendone mangimi per il bestiame, e così finiscono cani e gatti soppressi nei centri di ricerca.
L’impegno di Foer a sbarrarci tutte le possibili le vie di uscita ha lo scopo di condurci alla osservazione conclusiva del capitolo: “Se hai difficoltà a vedere qualcosa, discosta un po’ lo sguardo … Mangiare gli animali ha un che di invisibile. Pensare ai cani, rispetto agli animali che mangiamo, è un modo per guardare di sbieco e rendere visibile l’invisibile”
(Paola Pierantoni)


