Autore: Redazione

  • OLI 257: LETTERE – Riso amaro per Fiorello

    Riportiamo per intero la lettera di Gabriella Corbo, pubblicata parzialmente su Repubblica Genova il 18 aprile.

    Di questi tempi non abbondano certo i motivi per ridere e divertirsi, e l’occasione di una serata da trascorrere alla Fiumara in compagnia della verve e del talento di Fiorello pare ghiotta.
    I biglietti vanno a ruba, e quando finalmente si riesce a prenotare nel negozio di dischi che fa prevendita, si è solleciti – come già accaduto in passato – a specificare: “Uno di noi è disabile: è possibile avere biglietti a inizio fila, di fianco a lui che rimane nel (largo) corridoio che separa i settori?”. Come già accaduto in passato – lo ripeto – la richiesta viene accolta e si acquistano tre biglietti (interi) per il settore “poltronissima numerata”, fila 10: ottima posizione pagata profumatamente.
    Giunge la serata tanto attesa. I (pochi) posteggi all’aperto per disabili sono già tutti esauriti un’ora e mezza prima dello spettacolo. Pazienza: il guidatore ci lascia dai botteghini e inizia la sua personale odissea per parcheggiare l’auto (che è alta per permettere alla carrozzina di entrarvi e non può accedere per questo nei parking coperti della struttura) in maniera regolare e non selvaggia, come quella di altri che hanno bloccato il passaggio sul marciapiede. Sup erate le solite infinite barriere umane e logistiche, arriviamo finalmente in platea. Chiediamo indicazione a una signorina su come raggiungere i nostri posti, quando veniamo fermati – in modo gentile, ma assolutamente granitico – da un vigile del fuoco, che si qualifica responsabile della sicurezza e ci informa che i disabili debbono stare categoricamente in fondo alla platea, ai piedi della gradinata.
    Di fronte alla nostra reazione, prima di stupore, poi francamente di – chiamiamola così – arrabbiatura, il paziente vigile del fuoco ci spiega come esistano precise norme di sicurezza che limitano a 14 (sic!) il numero dei disabili che possono accedere alla struttura; che “sul sito” (quale? e poi: sono io tenuta ad avere un pc e a collegarmi a un sito di prevendita quando mi sono sempre rivolta a Fnac od Orlandini?) venivano chiaramente indicate le modalità di fruizione dello spettacolo per i disabili; e che comunque i disabili in carrozzina ostruiscono le vie di fuga e impediscono ai “bipedi” di scappare velocemente. Noi poggiavamo le nostre rimostranze sul fatto che al momento della prevendita non ci era stato detto quanto egli, ora, riferiva; che si erano comunque acquistati tre biglietti a prezzo intero (e carissimo) per stare nelle prime file ed ora si era retrocessi in fondo, con scarsa visuale, ai piedi di posti di ben minore costo; che *mai* in precedenza, nella stess a struttura e in spettacoli di eguale successo di pubblico (penso a Battiato, al concerto del Primo Maggio, a Guzzanti, allo stesso Fiorello due anni fa, a Elio e le storie tese solo poche settimane prima) avevamo avuto problemi di questo tipo (“Ci denunci pure, ne ha il diritto”, risponde seraficamente il vigile del fuoco al disabile che provocatoriamente fa notare questa incongruenza). Tutto questo si rivela inutile, così come l’eloquenza (solitamente abilissima) del disabile, rivelatasi però in questa occasione inefficace per far mutare opinione al gentilissimo e davvero paziente vigile del fuoco.
    Non vi è stato nulla da fare. Chi scrive è rimasta appollaiata su un gradino accanto allo sconfortato disabile, molto più sconfortata e certo ben più inca**ata di lui, forse fin troppo abituato a scontrarsi con le “abilità” altrui.
    Al ritorno, ragionava infatti sull’assurdità di un simile “apartheid” per i disabili. Assurdità sia nel senso della gratuità offensiva per quelli come lui (analoga sorte era toccata infatti a un’altra ragazza in carrozzina e al suo accompagnatore, che pure aveva biglietto di poltronissima), ma anche per il fatto che – adottando un simile bislacco parametro – egli non dovrebbe frequentare neppure convegni, conferenze, presentazioni di libri; e che non si capisce perché lui in carrozzina, con un accompagnatore prontissimo a spingerlo correndo in caso di allarme, dovrebbe intralciare di più l’eventuale evacuazione di quanto lo farebbe un’altra persona che – per qualsivoglia motivo – fosse lenta nel deambulare. Il sospetto, concludeva, è che in realtà si voglia confinare la vista di chi è in carrozzina in fondo alla sala, sottraendola alle file delle persone “presentabili”.
    Sì, ieri sera Fiorello è stato bravo e il suo spettacolo scoppiettante come al solito. Ma stavolta abbiamo riso davvero molto poco. E amaramente.

    P.S. il disabile era il giornalista e scrittore Enzo Costa.

    (Gabriella Corbo)
  • OLI 257: LETTERE – Detto caffè ma non era caffè

    La mia storia di un giorno.
    Ho iniziato un lavoro una settimana fa, lavoro presso una ditta di scavi.
    Il secondo giorno di lavoro alle 7 di mattina mi reco presso un bar quartiere di Molassana (Ge) per prendere un caffè.
    Entro in quel bar, erano 3 persone gli dentro. Gli dico a barista vorrei un caffè lungo se e possibile la fai nella tazza grande (tazza di cappuccino) cosi la giro meglio e poi il caffè mi piace molto a me.
    Barista sente ma fa finta di non sentire, a fianco a me era un Marocchino anziano su i 50 anni anche lui andavo al lavoro.
    Sono entrati 2 italiani ha fatto il caffè prima a loro, io e il Marocchino aspettavamo il caffè, gli dico io signore ho detto prima un caffè, si aspetta un attimo e te la faccio subito.
    Barista aveva un faccia non vi dico brutta ma si vedeva un razzista.
    Allora su espresso del caffè mette la macchinetta per due caffè, un caffè glielo da ad un italiano e al Marocchino gli dice, tu volevi cappuccino ? essendo mattina e dobbiamo andare al lavoro in orario e si cominciava a fare tardi Marocchino gli risponde di si.
    Macchinetta del espresso che aveva fatto il caffè e il cappuccino prima mette sotto una tazza di cappuccino per me senza cambiare il caffè. Vi dico che lo ha riempito più del ¾ della tazza. Lo vedevo nero come acqua di castagna, ho bevuto due volte ma faceva schifo tanto, e lo ho lasciato cosi senza bere il resto. (Vi dico quella tazza mi sembrava come un secchio di acqua marchia).
    Non e finita qui, gli dico quanto costa? 1.00 € . Quanto !!!!!!! gli dico io ???? 1.00 € mi risponde. Ho pagato l’euro e sono andato via senza se e senza ma. Se era un altro al posto mio??? Chissà cosa succedeva, io mi allontano ai litigi e odio quanto vedo anche se esco perdente.
    Ho aspettato 15 minuti per un caffè, quando di mattina le cose sono in fretta, ho ricevuto una tazza grande di acqua e ho pagato 1.00 euro.
    Io di lui dico che più di un razzista era un fascista perché mi guardavo dritto negli occhi con odio. non lo so perché…
    Durante la settimana ho lavorato in via De Gaspari quartiere di Albaro, trovo una accoglienza in quella via anche di passanti. Vi dico una cosa vera in un bar di quella via il caffè solo una volta ho pagato 0.90 € altre volte 0.50, 0.60 dipende a giornate ma no più di 0.75 € ( siamo in due operai a volte dice subito 1.50 € la cassiera 2 X 0.75 = 1.50 € ) oltre il cassino creato con dei buchi grossi e disaggio dei passanti la cassiera del bar dice che lo meritate il super sconto. Grazie mille.
    Questo fatto non gli ho raccontato fino adesso nessuno per prima volta ve lo racconto a voi.
    Purtroppo il razzismo è una brutta cosa e ancora vivo in giro, il razzismo alimenta odio e odio diventa razzismo (spero si aver scritto bene in italiano per capire).
    Vi ringrazio tutti
    Con affetto 
    (Altin Bici)
  • OLI 257: LETTERE – Segnalazione

    Gentile Oli,
    vi scrivo per segnalare due appuntamenti organizzati dal Movimento Difesa del Cittadino MDC Ligure e Legambiente che mi paiono importanti:
    – Martedì 27 Aprile,alle 16.30 presso lo Star Hotel, Genova Uso e consumo del territorio: una questione di tutti a cui interverrà, tra gli altri, il Prof. Prof. Paolo Pileri del Politecnico di Milano
    – Mercoledì 12 Maggio,sempre alle 16.30 allo Star Hotel “La Pubblica Amministrazione di fronte a cittadini, comitati e associazioni” A cui interverrà L’avv. Luigi Cocchi, amministrativista.
    (Bianca Vergati)
  • OLI 257: LETTERE – Circolazione in città

    Chi è l’Assessore alla circolazione in Genova?
    1 – Genova è una città che “privilegia la sosta rispetto alla circolazione”, vedi Via P. Giacometti
    2 – l’uso di rotonde, normale in Europa, da noi è sconosciuto; perché a Corvetto non c’è la rotatoria? forse perché 5 semafori rendono a qualcuno?
    3 – perché vengono aggiunti semafori pedonali (p.es. Via P. Giacometti e Via Torti)? si disimpara a rispettare le strisce e si intralcia i l traffico. Ma qualcuno avià a sò conveniensa?
    4 – perché le fermate degli autobus AMT sono sempre dopo i semafori e non prima? così si fermano 2 volte.
    A chi devo inviare questi mugugni? 

    (Gin Migone)
  • OLI 257: LETTERE – Che fine hanno fatto i verdi? /1

    Pubblichiamo il dibattito seguito all’articolo di Bianca Vergati Che fine hanno fatto i verdi?, pubblicato su Oli 256.

    Attribuire la quasi scomparsa dei “Verdi” alla politica dei no è scorretto e funzionale a chi vuole sostenere proprie tesi (tipo decrescita slow dell’articolista bv). Da anni nel partito della Federazione dei Verdi avvengono abbandoni e fuoriuscite (l’ultima a novembre verso Sinistra e Libertà) dovute alle furibonde lotte per le segreterie. Non sono molti gli ambientalisti che si riconoscono nell’attuale gruppo dirigente (forse solo alcuni animalisti): in particolare in Liguria l’operato di Cristina Morelli ha alienato tutte le residue simpatie. Cordiali saluti e grazie per l’ottimo lavoro che fate.

    (Marco Gegoli)
  • OLI 257: LETTERE – Che fine hanno fatto i verdi? /2

    Cara Bianca,
    Con tristezza leggo l’articolo che mi hai gentilmente inviato e la lettera del lettore. L’immagine dei Verdi sta naufragando spesso per mancanza di contatti diretti con i cittadini sulle questioni territoriali ed ambientali, a volte per mancanza di presenze costanti sul territorio, spesso ‘accaparrate’ da altre forze politiche che con grinta riescono bene ad intervenire sui problemi della gente (vedi Lega per Moschea o sicurezza a Sampierdarena), o da comitati che con forza portano avanti iniziative sopra le parti con grande merito e con scarsa fiducia nelle amministrazioni (Gronda e Scarpino).
    Ma i Verdi si sono sempre impegnati, sono sempre intervenuti qualora i cittadini si appellano a loro, ma, come dice la nostra Cristina Morelli, noi siamo come la Croce Rossa: arriviamo sempre ma quando si tratta di votare la gente preferisce votare i poteri forti che ahimè involontariamente provocano la nostra ‘alienazione’.
    Ma sebbene siamo pochi, o tanti, noi continueremo a lanciare le nostre sfide ambientali, a prescindere dalle ferite che spesso subiamo. Siamo come i cani, fedeli, attenti, a nonostante le nostre ferite che sappiamo curare in modo naturale, restiamo sempre fedeli e attenti ai temi ambientali. Fino a quando avremo aria, acqua e luce sulla nostra terra.
    Per quanto riguarda gli abbandoni e le fuoriuscite non nego l’evidenza, mentre per le segreterie…non mi risulterebbero le lotte furibonde…almeno credo.
    Se non hai nulla in contrario, inoltrerei la mail a qualche rappresentante importante dei Verdi affinché possa ulteriormente intervenire.
    A presto
    (Ester Quadri)
  • OLI 257: LETTERE – Che fine hanno fatto i verdi? /3

    Cara Ester,
    ero all’estero per cui sono un po’ in ritardo nella risposta che comunque limiterò ad alcuni flash: ti pregherei di inoltrarla poi tu agli amici estensori della lettera in questione.
    1- sono, e mi vanto di esserlo, fondatore dei Verdi in Italia in quanto partito o Federazione delle Liste regionali: per quanto non abbia mai rivestito cariche a livello nazionale, per il fatto di essere sempre stato
    iscritto, eletto a livello istituzionale a Genova, rappresentante in Piemonte ecc. credo di poter dire senza tema di smentita che non ci sono mai state lotte per la segreteria che non fossero motivate da scelte politiche
    diverse. Il posto di segretario di un partito come i Verdi non ha mai potuto essere appetibile per motivi di potere: credo che lo scarso appeal dei Verdi vada ricercato in altre direzioni. Ad esempio non abbiamo mai avuto individualità forti in grado di “bucare lo schermo” visto che adesso la politica si fa in TV: penso ai radicali che invece hanno forti figure come Bonino e Pannella, per restare a fare i confronti con un altro piccolo partito.
    2- I problemi della gente: qui dobbiamo intenderci. Non è facile distinguere tra esigenze reali e bisogni indotti. La mia visione del mondo è che siamo su un treno in corsa verso il baratro e senza un guidatore: ci sono segnali di speranza ma la situazione è drammatica. Viviamo in maniera insostenibile: per ora lo è già per coloro che oggi non hanno acqua, domani lo sarà anche per i ricchi occidentali come noi. Io faccio l’oncologo e farò un esempio relativo al mio lavoro. E’ come se un paziente avesse il cancro ma non lo
    sapesse e continuasse a fumare, bere, ecc. senza preoccuparsi per la propria salute. Il problema c’è, è grave, ma lui non lo sa e spesso non vuole saperlo… I Verdi sembrano un po’ l’oncologo medico che dice di pensare alla prevenzione e alla diagnosi precoce a persone che invece devono e vogliono pensare al lavoro, alla carriera, al successo, al tempo libero,ecc. La domanda è: è colpa della gente che non si documenta oppure dei Verdi che non sanno essere convincenti? Ai posteri…
    3- I Verdi non sono un servizio sociale. Quante volte ho sentito recriminare “Ma i verdi cosa fanno? perché non intervengono?” : quasi fossimo la Protezione Civile. I Verdi ovviamente possono fare tanto se i cittadini li votano, se hanno tanti rappresentanti nelle istituzioni: altrimenti il loro ruolo sarà marginale. E’ quello che succede in Italia dove i Verdi oggi non hanno né deputati né europarlamentari e hanno, oggi, soltanto 4 consiglieri regionali in tutta Italia. Quando facevo il sindacalista erano pochi quelli che si iscrivevano e tanti quelli che dicevano “ma il sindacato cosa ci sta a fare?”: mi sembra che la situazione sia analoga.
    4- PRINCIPIO DI ANTI-RASSEGNAZIONE. Il vincitore non è quello che non perde mai: il vincitore è quello che dopo la sconfitta si rialza e riprende la lotta. La storia è piena di esempi di questo genere. La posta in gioco è così alta che non possiamo mollare: il fatto che in Europa i Verdi se la passino meglio ci è di conforto, ma in tutto il mondo c’è una “Moltitudine Irreversibile” (è il titolo di un libro) di movimenti e associazioni e partiti che si battono per l’ambiente e la salute prima di tutto, e sottolineo questo “prima di tutto”(che è poi quello che fa la distinzione dagli altri partiti). Chi vorrà cercarci in questo cammino ci troverà e se vorrà camminare con noi arriveremo tutti più presto e meno affaticati. 
    Scusate per la prolissità, ma un vecchio della mia età non riesce più ad essere sintetico.
    “Lentius, profundius, soavius. Più lenti, più profondi, più dolci” (A. Langer)
    “Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto” (A. Langer: parole dell’estremo congedo)
    (Gianfranco Porcile, Segretario provinciale dei Verdi)
  • OLI 325: RACCONTO DI NATALE – La prova

    La prova

    Genova, anno 2040

    L’ambulanza aziendale del secondo turno arrivò puntuale come sempre. Infermieri e badanti si avvicinarono all’area di sosta dove l’autista, con professionale esperienza, aveva appena completato la manovra di parcheggio. Uno sbuffo d’aria accompagnò l’apertura del portellone centrale ed il personale paramedico, ordinatamente, salì sul mezzo ormai fermo.
    “Come sta oggi, ingegner Ferretti?”, disse un’infermiera tastando il polso di un vecchio incartapecorito e scheletrico.
    “Meglio grazie”.
    “Ieri ci ha fatto proprio spaventare lo sa?”
    Un giovanissimo in camice bianco aiutò un’attempata signora a mettersi in piedi.
    “Le mie povere ossa!”
    “Coraggio signora; con calma e ce la facciamo”.
    “Ce la dobbiamo fare. Mi mancano ancora tre anni”.
    In fondo all’ambulanza un altro infermiere misurava la pressione di un anziano obeso costretto su una sedia a rotelle.
    “90/140. E’ sempre alta dottor Venturi. Sta facendo la cura?”
    “Sì, certo”.
    “Ma mangia anche un po’ meno?”
    Terminati i controlli di rito, gli impiegati claudicanti, una decina in tutto, si avviarono verso i cancelli dell’azienda controllati a vista dal personale addetto. Giunti nei pressi della timbratrice, già tutti pronti con il badge in mano, il gruppo si arrestò e si fece silenzio. Un uomo di mezza età, alto, ben vestito, con occhi piccoli e neri, stava entrando da un ingresso secondario. Aveva un braccio appeso al collo ed un vistoso cerotto sulla fronte, postumi evidenti di un incidente piuttosto grave che tuttavia non gli valsero alcuna compassione.
    “E’ lui!”, si sentì mormorare da più parti.
    “Quel maledetto!”, aggiunsero voci più aspre ed indignate.
    Il mormorio, diventò un vociare diffuso e quindi si trasformò in aperta contestazione.
    “Bastardo! Assassino! Merda!”
    Intervennero subito alcuni uomini della sicurezza che spinsero l’uomo verso un ascensore dove si dileguò. Non era previsto che venisse in contatto con i dipendenti; non era previsto ma era accaduto. Qualcosa non aveva funzionato nei meccanismi di controllo. Ormai, però, era troppo tardi per rimediare.
    Giunto al primo dei tre piani geriatrici, il dottor Venturi, liberatosi dall’assedio degli infermieri, diede fondo alle sue modeste energie ed attraversò tutto corridoio urlando dalla sua sedia a rotelle.
    “E’ qui! L’ispettore è qui!”
    La notizia si diffuse per tutta l’azienda. L’ingegner Vincenzi si strappò l’ago della flebo e si alzò dalla sua scrivania per discutere della situazione con i colleghi dell’altra campata. Gli infermieri di piano, quella mattina, ebbero il loro bel da fare per inseguire fra corridoi ed uffici tutti i dipendenti a cui dovevano cambiare il pannolone. I primi effetti collaterali non si fecero attendere. Chiazze di urina ed odori nauseabondi sommersero l’azienda e dovettero intervenire gli inservienti per ripristinare un minimo di decoro.
    Intanto la protesta cresceva. La signora Anna, contabile del terzo piano, era letteralmente furiosa.
    “Che fuole ancofa quel baffardo?”, disse battendo i pugni sul cuscino ortopedico.
    “Cosa dici? Non ti sento”, rispose il ragioniere De Carli regolando il guadagno della sua protesi acustica.
    “Che vuole ancora quel bastardo?”, ripeté la signora Anna dopo aver messo a posto la dentiera.
    De Carli, come suo solito, sospirò al cielo e poi allargò le braccia.
    “Cosa vuole lo sappiamo. Bisogna solo capire a chi toccherà questa volta”.
    “Sarà qualcuno del nostro piano?”
    “Non credo; qui siamo tutti abbastanza giovani”.
    “Ma tu quanti anni di contributi hai?”
    “38, me ne mancano altri 12”.
    “Ma solo 7 per arrivare al minimo; ce la puoi fare”.
    “Non lo so. Ho iniziato a lavorare tardi. Adesso ho 65 anni e, devo dire, sono un po’ stanco”
    Al primo piano, dove lavoravano i dipendenti più anziani, la situazione era addirittura tragica. In ogni campata c’era gente che piangeva e si lamentava. La geometra Marini, in preda alla disperazione, iniziò a strapparsi i pochi capelli che le erano rimasti. Ci vollero due infermieri ed un tranquillante per calmarla.
    Poi iniziò la cantilena dei luoghi comuni.
    “E’ colpa del governo!”
    “E’ colpa dei sindacati!”
    “Lo spread … il debito … la casta … la corruzione … l’evasione …”
    “Tutti i perché non aiuteranno il povero Accardo a vivere con una pensione di 750 euro al mese”.
    Ogni voce tacque, anche quelle più esagitate. Il ricordo di Giorgio Accardo era ancora vivo nel cuore di tutti i colleghi. Solo pochi mesi prima, l’ispettore aveva attivato nei suoi confronti la procedura di pensionamento coatto ed il poveretto era stato costretto a lasciare l’azienda dopo 44 anni di lavoro con la pensione minima.
    “Era un brav’uomo!”
    “Ma la legge parla chiaro: puoi lavorare quanto vuoi ma devi essere in grado, in ogni momento, di superare la prova, altrimenti …”
    “… a casa con il minimo!”
    La prova. L’ispettore doveva essere lì per questo. A chi sarebbe toccata stavolta?
    Cominciarono a circolare i primi nomi. Il papabile doveva essere qualcuno del primo, era ovvio. I dipendenti più vecchi e malmessi erano tutti stipati lì in attesa del traguardo dei 45 anni minimi … o di una prova. Alla fine di ogni semestre c’erano i cosiddetti passaggi di piano. Al diminuire dell’efficienza lavorativa, infatti, ogni impiegato veniva “declassato” fino a raggiungere il piano geriatrico per eccellenza: il primo.
    “Sarà Onofri?”
    “Perché non Vairo?”
    Alla fine fu chiaro a tutti che non poteva che trattarsi dell’ingegner Iachini.
    Previsto in arrivo con l’ambulanza aziendale del decimo ed ultimo turno, l’ingegner Alberto Iachini aveva resistito per oltre 10 anni a qualsiasi tentativo di pensionamento. Non avendo maturato i 45 anni di contributi minimi e con una moglie malata a carico, i 750 euro di pensione per lui sarebbero stati poco più che un obolo.
    I vertici aziendali ci avevano provato in tutti i modi a sbarazzarsi di lui, con le buone ed anche con le cattive a detta di qualcuno. Quando si era ammalato di Parkinson sembrava che ormai i giochi fossero fatti, ma Iachini, con una forza di volontà che nemmeno lui pensava di possedere, aveva continuato a presentarsi regolarmente al lavoro utilizzando il servizio di ambulanza aziendale.
    Per far fronte a gente indomita come lui, qualche legislatore lungimirante si era inventato quella che ormai tutti conoscevano come “la prova”. Non potendo abolire la norma che dava ad ogni lavoratore il diritto di lavorare ad oltranza, per tutelare il rendimento aziendale ne era stata emanata un’altra che prevedeva la possibilità per i dirigenti di testare l’efficienza di ogni loro dipendente. La prova appunto. Si trattava di una cosa molto semplice … se vista con gli occhi di un trentenne.
    “E’ Iachini, è chiaro”, continuavano a ripetere i colleghi di tutti i piani.
    “E’ Iachini, è Iachini”, confermavano gli infermieri più informati.
    Mai un dipendente fu più atteso nella storia di quell’azienda. L’ambulanza del decimo turno sarebbe arrivata alle 9 e 30 come ogni giorno e c’era già della gente affacciata alla finestra che aspettava di vederla comparire dietro l’angolo prima del viale.
    “Arrifa!”, disse infine la signora Anna.
    “Arriva!”, ripeté dopo il solito trattamento.
    L’ingegner Vincenzi era stato riattaccato alla flebo ma, pur di non perdersi l’evento del giorno, se ne andava in giro tenendo sollevato il flacone con l’altro braccio alla ricerca di una finestra che non fosse già occupata da qualche collega.
    L’ambulanza parcheggiò nel piazzale antistante all’azienda ed i dipendenti, quando iniziarono a scendere dal mezzo e videro tutti quei volti che li osservavano silenziosi, capirono subito che quella non sarebbe stata una giornata normale. Le scene di disperazione tornarono a ripetersi e gli infermieri dovettero procedere con i calmanti.
    Anche Iachini capì cosa stava per accadere e, per quel sesto senso che gli anziani acquisiscono nel corso degli anni, non tardò a capire che sarebbe stato proprio lui il protagonista di quegli eventi. D’altra parte lo sguardo del dottore che lo adagiò sulla sedia a rotelle era più che esplicativo, così come l’occhiata furtiva del guardiano presso il cancello. Semi paralizzato dalla malattia, ebbe appena la forza di sollevare una mano per salutarlo. Come avrebbe potuto superare … la prova?
    Un piccolo esercito muto di colleghi, consulenti e personale paramedico lo vide raggiungere l’ascensore, poi attraversare il lungo corridoio che conduceva alla sua campata, quindi messo di fronte alla sua scrivania dall’infermiere che, per la prima volta dopo tanti anni, se ne andò via senza quasi salutarlo; tanta era la vergogna che provava per ciò che stava accadendo.
    L’ispettore si materializzò proprio in quel frangente. Con l’aiuto di alcuni guardiani si fece strada fra la folla silenziosa che occupava la campata di Iachini e si mise alle spalle dell’ingegnere.
    “Buongiorno”, disse con una voce priva di qualsiasi inflessione.
    “Buongiorno”, biascicò appena Iachini.
    “Come sta oggi?”
    “Mi sento proprio un leone”, mormorò ancora il vecchio dipendente provocando un minimo di ilarità fra i presenti.
    “Bene, mi fa piacere. Le dispiace se rimango qui mentre digita la sua login e la sua password per accedere al terminale?”
    La prova.
    Oggi non ci sarebbe stato nessuno per aiutarlo ad entrare nel sistema.
    La mano destra dell’ingegnere si mosse lentamente utilizzando le lunghe dita bianche per arrampicarsi sul proprio corpo, come un ragno canuto che guadagna la sua meta verso una preda ancora lontana ma ben visibile. Quando la scheletrica propaggine giunse all’altezza della scrivania, si lasciò andare come un peso morto. Chi in seguito ebbe l’onore di raccontare questa storia, giurò di aver sentito lo scrocchiare di quelle vecchie falangi sul duro legno.
    Un mormorio di approvazione vibrò nell’ufficio per spegnersi subito dopo alla mossa successiva di quella mano indomita che ora avanzava piano nell’immensa pianura grigia. La tastiera laser proiettava sulla scrivania un’insieme bluastro e ben definito di lettere, numeri e segni d’interpunzione. L’indice si alzò proprio in corrispondenza della linea orizzontale che delimitava il tasto “spazio” e piombò sulla “i”.
    Il “click” di sistema confermò la presa in carico del carattere da parte del sistema operativo e sullo schermo, alla sinistra del cursore lampeggiante, apparve la lettera digitata. Un altro mormorio di approvazione sottolineò la nuova impresa, ma non era che all’inizio. “iachinia”, la login, era ben lunga da scrivere. Mancavano ancora 7 lettere senza contare la password.
    “Click”, ancora.
    “a”, scandirono i colleghi più vicini.
    “Click”
    “c”, scandirono anche quelli più lontani.
    Al sesto “click”, “n” rimase sospeso a mezz’aria. L’ingegnere per sbaglio aveva digitato il tasto “m”. Il momento era drammatico. Il tasto “backspace” per cancellare il carattere errato si trovava lassù in alto, troppo in alto per arrivarci senza alzare il polso, almeno così sembrava. Iachini, però, non aveva alcuna intenzione di mollare. Prese tanto fiato quanto i suoi deboli polmoni gli consentirono di fare e con l’indice che sembrava quello di un contatore Geiger affondò sul tasto. Non c’era solo il rischio di premerne uno sbagliato, ma anche di cancellare un carattere corretto. L’indice, tuttavia, si sollevò in tempo ed un “Ooooh” liberatorio si diffuse nella campata.
    Iachini, galvanizzato da quel piccolo successo, proseguì lentamente ma con precisione nella digitazione della login. Quando, dopo la pressione del “Return”, il cursore lampeggiò nell’area di input della password, qualcuno accennò ad un applauso ma fu subito bloccato dallo sguardo algido degli altri colleghi. Non era ancora finita e l’ingegnere aveva bisogno di concentrazione. La policy aziendale prevedeva che la password fosse almeno di 8 caratteri di cui almeno due dovevano essere delle cifre. L’impresa sembrava sovrumana per uno nelle condizioni di Iachini. Come avrebbe potuto digitare due cifre, in una posizione così scomoda, dopo lo sforzo fatto per raggiungere il “backspace”?
    L’ingegnere, però, ostentava una certa sicurezza, qualcuno giurò di averlo perfino visto sorridere. Con estrema calma mise la mano alla sinistra della tastiera e allungando il mignolo digitò otto volte “1”. Fu l’apoteosi. I colleghi vollero sottolineare l’ultima pressione del tasto “Return” con un sonoro “Ooooolè!” che si trasformò in un applauso scrosciante quando il computer, con un brevissimo “bip”, confermò l’accesso al sistema.
    Sembrava tutto finito ma qualcosa di improvviso quanto inspiegabile catalizzò l’attenzione dei presenti che ammutolirono all’istante. Con evidente difficoltà ma altrettanta determinazione, l’ingegnere girò la mano ponendone il dorso sulla scrivania. Nei suoi occhi adesso si leggeva una rabbia atavica covata negli anni, ora per ora, minuto per minuto. Doveva essere il preludio ad un gesto forte, significativo, esemplare, ma cosa poteva fare un povero vecchio costretto su una sedia a rotelle?
    Iachini distese la mano il più possibile e poi lasciò che il dito medio venisse su. Non fu facile, ma per un brevissimo periodo, pochi secondi in tutto, riprese il controllo completo del suo corpo e vinse il tremore della malattia. Quel dito bianco e scheletrico rimase immobile e ben visibile a tutti, simbolo di libertà e di riscatto sociale.
    I colleghi erano in delirio. L’ispettore cercò di divincolarsi con l’aiuto dei guardiani ma non fu abbastanza lesto nel guadagnare l’uscita. Bastò una semplice esclamazione della signora Anna per scatenare il putiferio.
    “Addoffo!”
    Calci e pugni iniziarono a volare da ogni direzione e quando l’ispettore raggiunse la scala antincendio sul suo volto era apparso un altro profondo graffio e con la gamba destra zoppicava vistosamente.
    Da allora, nessuno importunò più l’ingegnere. Iachini raggiunse i fatidici 45 anni minimi di contributi e visse il resto della sua vita su una sedia a rotelle con una pensione poco più che dignitosa.
    La morale di questa piccola storia è semplice. Se vogliamo prenderci la soddisfazione di alzare quel dito sotto il naso di prepotenti, corrotti e privilegiati, facciamolo prima che sia troppo tardi.
    (Nino Miano)

  • Versante Ligure



    Sani Veleni


    Intossicano bili
    di Unti, servi & affini
    producon stizza a chili
    deturpano i santini:
    le polveri sottili?
    Macché: polveri Fini!





  • Storia – L’orizzonte transnazionale

    Ad ogni popolo la sua nazione e ad ogni nazione il suo popolo! Assunto che sembra appartenere a La Repubblica di Platone, logico quanto la geometria euclidea. Connubio fondato sull’epica narrazione della storia dei popoli. In realtà idea che risale all’epoca moderna e vede nel XX° secolo, con la conclusione dei due conflitti mondiali, la definizione in strutture statali dai confini geopolitici ridisegnati o assegnati ex-novo.
    Il 17 aprile scorso per La Storia in Piazza, dinnanzi ad una gremita sala del Gran Consiglio del Palazzo Ducale di Genova, Beshara Doumani, professore di storia all’Università della California di Berkley, e Shlomo Sand, professore dell’Università di Tel Aviv, hanno provato a scardinare l’equivalenza popolo-nazione partendo dalla più emblematica situazione internazionale, Israele, Palestina e i rispettivi abitanti.

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