Autore: Redazione

  • OLI 361: POLITICA – Roberto Benigni visto da uno “straniero”

    E’ stato molto bravo, anzi, splendido, Roberto Benigni ieri a spiegare i primi 11 articoli della Costituzione Italiana. Io seguivo con molta attenzione e ammirazione, mia figlia si chiedeva “Ma perché non si candida, meglio il comico Benigni che il comico Grillo, almeno è un uomo di cultura!”.
    Ogni tanto, guardo bene il marchio della TV, ma è proprio vero, siamo su Rai Uno!
    Saranno anni che non seguo quasi nulla su quel canale (ad eccezione delle partite di calcio della nazionale italiana).
    Finita la performance meravigliosa di Benigni, ho subito messo “mi piace”, su facebook, sul post che gli diceva semplicemente “Grazie”.

    Grazie perché ha ridato dignità alle persone che fanno politica e che, nonostante la desolante realtà dei politici e dei partiti italiani, non hanno mai smesso di fare politica intesa come contributo per il bene della collettività.
    Grazie perché mi sono reso conto di essere una “piccola costituzione” italiana fatta persona che cammina per le strade. Non c’è uno solo dei principi costituzionali negli undici articoli spiegati che non faccia parte delle fondamenta della mia cultura e della mia persona, e che non cerchi, faticosamente, in ogni momento, di mettere in pratica. Ieri sera, mi sono sentito più italiano io (che non ho la cittadinanza italiana), di moltissimi italiani. Non che non lo sentissi già prima: è fin troppo facile a confronto di un certo presidente del consiglio italiano, di tutti quelli come lui e di un intero partito italiano razzista e secessionista.
    Ma il legame emerso ieri, grazie a Benigni, tra italianità e Costituzione, mi ha dato una grande conferma, ed ho aggiunto alla lista persino certe istituzioni italiane, con il consenso di mia moglie e mia figlia (italiane).
    Faccio una proposta al governo italiano: la smetta di vessare i cittadini stranieri che fanno domanda di permesso di soggiorno, della carta di soggiorno o della cittadinanza italiana, con richieste xenofobe come il versamento di somme esagerate di denaro, oppure esami di lingua, di cultura o contratti di integrazione (soggiorno a punti). Basterebbe che i nuovi cittadini assistessero almeno una volta in pubblico ed in silenzio alla presentazione di Benigni degli undici articoli principali della Costituzione Italiana.
    Il grandissimo Benigni ha sbagliato su due cose: parlando dell’Unione Europea come se fosse l’intero contenente europeo, ha dimenticato una bruttissima e recente guerra nel cuore dell’Europa, a pochi chilometri di distanza dal nostro Paese, come se i Balcani e i paesi dell’ex Yugoslavia non facessero parte dell’Europa e come se il bombardamento di Belgrado non fosse una guerra. Se ne è dimenticato perché era una guerra condotta tra gli altri da Bill Clinton e Massimo D’Alema, persone forse simpatiche a Benigni?
    Il secondo sbaglio è che non ha citato, tra gli altri, il nome di un grande sindacalista e padre costituente, l’allora segretario della CGIL, Giuseppe Di Vittorio, il contributo del quale è stato fondamentale in particolare nella stesura del primo articolo della costituzione che definisce l’Italia “una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
    (Saleh Zaghloul – Immagini da internet)

  • OLI 361: LETTERE – Mio padre all’ILVA di Taranto

    Mentre passavo da piazza Corvetto osservando la disperazione e la rabbia degli operai dell’ILVA, ho pensato a quando, nel 1967 a Taranto, mio padre mi disse che costruire in quel modo lo stabilimento siderurgico preludeva a disastri ambientali e sociali. E che la colpa era della politica, dell’avidità, dell’ignoranza e dell’infernale combinazione di questi tre elementi. Oggi avrebbe usato il termine collusione. L’Italsider aveva trasferito Giovanni Sissa a Taranto nel 1966. Dottore in Chimica, siderurgista, aveva lavorato prima alla SIAC (Società Italiana Acciaierie Cornigliano) e poi all’Italsider. Era un quadro (anche se allora l’espressione non usava), ma soprattutto era un tecnico. Bravo. Conosceva i processi industriali e chimici, ma anche la realtà del lavoro in officina, che aveva seguito come responsabile a Campi, prima e dopo la Guerra. La fabbrica aveva contribuito a salvarla da partigiano durante la resistenza in città. E poi, dopo la fine della Guerra, in fabbrica ci stava e tanto, con gli operai nei reparti della lavorazione a caldo.

    La SIAC fu assorbita dall’Italsider a metà degli anni ’60. Forse i suoi eroici trascorsi da partigiano di Giustizia e Libertà non gli giovarono in un’Italia dove solo chi era democristiano o comunista aveva dei punti di riferimento e sostegno. Essere un bravo tecnico, competente, indipendente, coraggioso e senza copertura politica non era il mix vincente. Appena entrato all’Italsider fu spedito a Taranto, quando si stava costruendo appunto lo stabilimento.
    In quanto siderurgista e innovatore, con anche una ottima conoscenza dell’inglese, spesso era stato a contatto con tecnici del settore di altri paesi, in particolare giapponesi e russi. Era stato Bruxelles presso la CECA. Conosceva i processi di produzione dell’acciaio, capiva la dinamica industriale internazionale. Insomma conosceva bene il settore ed era dotato di una buona capacità previsionale, come dimostrato in altre occasioni. Antifascista della prima ora, aveva infatti perso i diritti politici per aver detto in fabbrica nel 1939 che se l’Italia fosse entrata in Guerra l’avrebbe persa perché l’esercito non era equipaggiato (la Guerra però la fece ed in Africa, salvandosi per puro miracolo).
    Quella di Taranto fu per lui un’esperienza devastante, perché sentiva che nessuna ascoltava il suo parere ed i timori di quanti non accettavano di chiudere gli occhi. Ma i giochi erano troppo grossi per permettere ripensamenti. Sentiva che restando in servizio si sarebbe reso complice di quello che lui aveva previsto sarebbe stata una catastrofe industriale ed ecologica. Accettò dunque nel 1968 un prepensionamento forzoso, molto penalizzante.
    Trascorsi con lui a Taranto solo un breve periodo, durante le vacanze scolastiche. Era una città lontanissima da Genova nel 1967. Ricordo la meraviglia nello scoprire come fosse il mare al Sud. Nata e vissuta Genova, non avevo mai visto tanto pesce, tante conchiglie, tanti coralli, e su una spiaggia così bianca. Proprio in città. Era davvero un viaggio andare da Genova a Taranto, in auto, quando ancora l’autostrada fra Sestri Levante e La Spezia non c’era. Si iniziava con il Passo del Bracco e poi via, fino a perdersi sui monti dell’Irpinia. Si arrivava dopo decine di ore. Di aerei neanche a parlarne (forse i treni invece erano meglio di adesso).
    Era là che tutto era diverso. Era un territorio che non aveva alcuna tradizione industriale, quindi né una cultura né una coscienza collettiva pregressa. Senza esperienza di incidenti sul lavoro, di lotte per il lavoro, di sviluppo industriale e di sue contraddizioni, mancano gli anticorpi sociali sul territorio per reggere l’impatto di un’industrializzazione improvvisa di quella portata.
    Oltre all’ambiente marino, bellissimo, dove sembrava il tempo di fosse fermato, c’era intorno alla città una campagna splendida, con caratteristiche di armonia arcaica. Era inimmaginabile che le pecore delle masserie locali sarebbero state un giorno abbattute perché contaminate della diossina.
    Nonostante questa immagine “da cartolina” della Taranto di allora, era però possibile prevedere. Se era stato in grado di farlo mio padre, al punto di preferire di chiudere malamente la sua carriera piuttosto che rendersi connivente dello scempio in nuce, evidentemente era possibile.
    Mi domando oggi cosa penserebbe oggi se fosse vivo. Di almeno una sua considerazione sono certa: che per non ripetere gli errori vanno comprese le cause. Non dimenticare per non ripetere gli errori.
    Il conflitto fra potere esecutivo e potere giudiziario in atto su questa vicenda è troppo pesante perché si possa sperare che il Decreto “tutti contenti” sia davvero risolutivo. Il groviglio istituzionale è enorme, le implicazioni giudiziarie anche. Io non ho né titolo né intenzione di aggiungere altro su questo.
    Su ieri però i giudizi si devono dare. Giudizi politici. Una delle peggiori brutte abitudini della nostra vita democratica è quella, inaugurata nei primi anni ’90 e mai abbandonata, di togliere alla politica la funzione di giudicare scelte e relative conseguenze e di scaricare sulle spalle della magistratura anche oneri che non le spettano. Di affidare al potere giudiziario quanto dovrebbe invece essere invece squisitamente politico (e non penale): valutare le responsabilità. Questo è il grumo paradossale, inestricabile, perché sbagliato nei termini. Stiamo parlando di vicende iniziate mezzo secolo orsono, forse un tempo sufficiente perché almeno la Storia possa esprimersi. Genova ha avuto una parte così importante, prima durante e dopo, nelle vicende di Taranto che forse gli storici potrebbero iniziare a leggere i fatti di allora. Anche per stabilire finalmente le responsabilità, quelle storiche almeno.
    Non per allungare la lista degli indagati, ma per non ripetere gli errori. I disastri ambientali hanno origini lontane e se vogliamo capirci qualcosa dobbiamo guardare molto indietro.
    (Giovanna Sissa)

  • OLI 360: PAROLE DEGLI OCCHI – Amore rosso sangue

    Niki de Saint Phalle – Giardino dei Tarocchi – Capalbio (Foto di Giovanna Profumo)

  • OLI 360: FEMMINICIDIO – Il privato è politico

    Lunedì 10 dicembre a Staglieno si è svolta una semplice cerimonia, frutto della relazione che si è creata tra la giunta Doria e le donne, attraverso i diversi gruppi che le rappersentano: nel viale che fiancheggia il ‘tempio laico’, a cura del Comune, è stata scoperta questa targa:

    Una cinquantina di persone, donne e uomini, hanno fatto arco intorno, e hanno ascoltato le brevi parole pronunciate dall’assessore comunale a Legalità e diritti Elena Fiorini, da una rappresentante di “Usciamo dal silenzio” e da una donna dell’associazione Arcilesbica.

    Un minuto di raccoglimento, e un applauso. Tutto qui. Lo scopo è che le persone che transiteranno nel viale, volta dopo volta, si confrontino con la parola, femminicidio, e ci pensino su.
    Bice di “Usciamo dal silenzio” ringrazia il Comune proprio per avere accettato di nominare questa parola: “le parole sono importanti”.
    Il termine femminicidio – utilizzato per la prima volta nel 1992 dalla criminologa Diana Russel – dichiara senza equivoci il fatto politico che molte donne sono uccise proprio perché donne. La presa datto di questa realtà è un passo per cambiare una cultura che fino a poco fa è stata sostenuta e santificata dalla legge italiana: solo nel 1981 sono stati abrogati il delitto d’onore e il matrimonio riparatore, un pugno danni ci separa da questa barbarie legislativa.
    L’assessore Fiorini ad un certo punto dice che il femminicidio “non è un problema privato”. Intende che è un problema sociale e politico che va assunto da tutti.
    Non concordo. Le violenze verso le donne, il loro estremo esito nell’assassinio, sono un problema privato, e in quanto tale politico, perché hanno radici in quello che, sotto la superficie di una legislazione finalmente più moderna, si muove nell’intimità dei rapporti tra i sessi, in molti casi ancora segnate da elementi arcaici.
    Se non si trova la strada per agire su questo piano le cose non cambieranno.
    (Paola Pierantoni – foto dell’autrice)

  • OLI 360: POLITICA – Le retour de la momie

    Le retour de la momie.
    Crudamente titola così Libération alla notizia della ricandidatura di Berlusconi, un evento che ha scorato tantissimi italiani, ma non tutti, visti i sondaggi di lunedì 11 dicembre su La7. Per il Popolo della Libertà c’è stato nel giro di pochi giorni un aumento dell’uno per cento e spiccioli, pur sempre significativo. Dunque una fetta d’Italia crede ancora al Cavaliere, mentre due terzi dell’elettorato di destra pensa, sempre secondo il servizio di Otto e mezzo de La7, che  “B. potrebbe risollevare le sorti e ritiene che non ci siano altri che lo possano fare, anche se crede che sia troppo tardi, il Paese è cambiato, ormai non è più il tempo”. Ok è il mese dell’Imu, ma inquieta non poco.
    “Allora mamma, sei contenta di poter votare di nuovo il tuo cavaliere?”.
    Ecco il saluto di mio figlio su Skype, citando il “Mamma mia ritorna” dell’Economist. Lui, giovane ingegnere che lavora all’estero, ragazzo di 25 anni, che frequentava le elementari quando vide per la prima volta il “faccione” di Berlusconi sui manifesti giganti lungo la strada per la scuola, una scuola che gli regalava un po’ di vacanze per le elezioni, una consuetudine di tutti gli anni o quasi, come imparò da studente.
     Lo stesso ragazzo entusiasta di poter votare on line per le Primarie del centrosinistra: un piccolo tamtam, più che altro un ping pong fra amici per avvisare che loro dall’estero avrebbero potuto votare sin dal sabato, non soltanto la domenica come in Italia. Da Londra, dove ha vinto Renzi, da Bruxelles, che ha visto Bersani vincitore, da Parigi che ha incoronato Vendola. Pochi voti ma importanti.
     Non più sorrisetti come un anno fa, battutone non appena si parlava d’Italia, ma voi avete Ruby, l’han votato in Parlamento e poi la dacia e le ragazze, le televisioni del cavaliere: un tormento e una resa senza storia, inutile ribattere che non tutti tifavano per B., come non tutti impazziscono per il Milan.
     Vent’anni sono una vita: era da poco caduto il muro di Berlino, è arrivato internet, gli americani hanno eletto e rieletto un nero a presidente degli States, poi c’è stata la primavera araba… E noi? Ancora lui, il Berlusca. Domenica scorsa il giovane emigrante è stato da Cécile, tirocinante francese insegnante di lingue, per il suo flat warming, ovvero la festa d’inaugurazione dell’appartamento, preso con un gruppo di amici, tra cui Giovanni, architetto valdostano, partito dall’Italia con EurOdyssée, programma di scambio tra regioni europee per giovani lavoratori e Nicola, matematico da Forlì.
     “Ancora?” commentavano, rabbrividendo ai titoli dei media planetari.
    Quasi centomila le nuove iscrizioni all’Aire già a giugno di quest’anno, secondo Rapporto Migrantes, italiani all’estero che cercano chance altrove, hanno nel cuore l’Italia e tante sono le Associazioni dai diritti ai talenti, dalla Nave di Barcellona a Fonderia Oxford, a InnovItalia: quando li senti parlare sono felici dell’esperienza all’estero, da chi ancora studia, da chi già lavora, da chi racconta i benefit se hai figli piccoli. In tutta Europa, negli States, ma anche in Australia, risorse umane che l’Italia sta regalando al mondo.
     Chissà se riusciranno a tornare prima o poi, senza rivedere e risentire l’intramontabile Berlusconi: ma chi l’ha detto che vecchio è prezioso sempre?
    (Bianca Vergati – immagine di Guido Rosato)

  • OLI 360: CITTA’ – Nuovo Puc, vecchio posteggio

    La salita a piedi verso il Fassicomo è diritta e piega i cuori non allenati, ma alla fine si arriva proprio di fronte al muro che sarà abbattuto per far passare i mezzi di cantiere. Dietro il muro una vegetazione impazzita da anni di incuria, ma pur sempre un po’ di verde in mezzo al cemento collinare che determina, a valle, la situazione alluvionale che tutti conosciamo. A lato, a valle del “bosco del Fassicomo”, tre condomìni interessati per vicinanza dalla costruzione di un nuovo posteggio, un progetto di silos privato di 98 posti auto con  sopra un po’ di verde acrilico e alcuni alberi salvati dalle ruspe, con due nuovi campi da calcio proprio all’altezza delle finestre. Una zona dove, oggi, costruire sarebbe vietato: troppa pendenza, ma per una magia tutta italiana la firma del Comune arriva due giorni prima del 7 dicembre 2011, data fatidica della votazione in Comune del nuovo Puc.
    Andrea Risso, il “patron” del comitato spontaneo che ha fatto ricordo al Tar riuscendo per ora a bloccare i lavori (vedi video nel M5Stelle), mi accompagna sul tetto del suo condominio, proprio di fronte al terreno che alcuni operai hanno cominciato a ripulire tagliando un po’ di alberi, sfoltendo i rovi, creando un inizio di strada di cantiere. Dall’alto, o meglio dalla stessa quota del cantiere, si comprende che l’opera sarà piuttosto invasiva, impatterà certamente sulla tranquillità degli abitanti per la presenza dei due campi da calcio, sia per il rumore che per l’illuminazione.
    Attualmente, la struttura del Fassicomo ha già un campo di calcio che resta più alto rispetto ai condomini sottostanti, nascosto dalla costruzione stessa che lo eleva oltre la visuale. I due nuovi campi sarebbero invece di fronte alle finestre dell’ultimo piano, difficile pensare a serate serene nelle notti d’estate.
    Un copione fin troppo conosciuto è che tutto l’iter per arrivare alla firma del permesso a costruire avviene con il parere contario del Municipio, che però sulla risposta favorevole degli uffici centrali non fa nulla per organizzare un incontro con i cittadini nel quale valutare il grado di sostenibilità sociale del nuovo inserimento.
    L’occasione di questa pratica consente un approfondimento sul pasticcio del nuovo Puc. Nel permesso a costruire, un articolo pone un paletto ben chiaro alla sua validità: l’entrata in vigore di norme in contrasto col permesso rilasciato ne determina la decadenza, se i lavori non fossero ancora iniziati. Ma nel nuovo Puc, si avvalora invece la tesi che tutti i permessi rilasciati prima della sua adozione sono da ritenersi validi: alla faccia della salvaguardia del territorio, del “costruire sul costruito”, delle linee verde, blu e sbirulò.
    Così il principio di salvaguardia viene messo in cantina per tutti i permessi a costruire emessi prima del 7 dicembre 2011: quasi una data spartiacque, o meglio spartisoldi, nel comune di Genova.
    (Stefano De Pietro)
    Intervista del Movimento 5 Stelle ad Andrea Risso
  • OLI 360: AMBIENTE – Posti barca, posti asilo e buchi nell’acqua

    Allora Signora, lo vuole comprare un bel posto barca a Chiavari? – il sorriso accattivante è quello del venditore di lungo corso
    No grazie. Non sono interessata. Ma mi tolga una curiosità: quanto ha pagato la sua azienda per gli oneri di urbanizzazione?
    Ma che razza di domanda è questa? – il sorriso sfiorisce, al suo posto un franco disappunto.

    Fiera di Genova, Salone delle Identità Territoriali, 24 novembre, diversi stand per promuovere qualsiasi cosa: dalla donna imprenditrice, all’essenza alla lavanda, al canestrello, fino all’acciuga di Camogli, e perché no? Anche il posto barca. Un evento tra mercatino del Tirolo, fiera gastronomica, Ted Conference: in cerca di identità, appunto.

    L’agente di posti barca risponde vago alla domanda accennando a milioni di euro a favore del Comune di Chiavari. Il progetto – brochure alla mano – dovrebbe fare incassare all’ente pubblico una bella cifra: 149 posti barca e 147 posti auto. Quindi sarebbe interessante sapere con precisione il beneficio effettivo per chi non ha un natante da parcheggiare, giusto per persuaderlo che il porticciolo vale la candela.
    E se un posto barca corrispondesse a un posticino in un asilo nido?
    O a un posto a letto in residenza protetta per un anziano?

    In Liguria ce ne sono pochi – mi dice un’amica che va in barca – in Francia è pieno.
    Ride dei circa 350 posti barca in costruzione a Ventimiglia, poco lontani da Villa Hanbury e dal confine.
    Il cantiere, visto dall’alto pare un cratere sul mare, destinato a soddisfare le voglie di approdo anche dei pirati.
    Tre anziani seguono imperturbabili l’avanzamento lavori.
    Forse hanno capito che il buco nell’acqua esiste.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • OLI 360: ESTERI – Integralismo religioso del terzo tipo

    Tutti gli integralismi religiosi sono da condannare, non soltanto quello musulmano e quello cristiano ma anche quello ebraico. L’informazione italiana, purtroppo, trascura molto il fondamentalismo ebraico. Non vi è stata, infatti, alcuna traccia delle due notizie riguardanti questo integralismo riportate la prima dal  Daily Mail del 28 novembre e la seconda da Israel Hayom del 7 dicembre. Notizie che se riguardassero la religione o un paese musulmano avremmo trovato in prima pagina su tutti i giornali e tra le più importanti di tutti i telegiornali. Il Daily Mail racconta del processo contro un rabbino della comunità ebraica di New York che avrebbe abusato sessualmente di una ragazzina per diversi anni. I genitori della ragazza avevano portato la loro figlia ribelle di 12 anni da lui dopo che lei aveva violato diverse rigorose regole della setta ebraica Satmar Hasidic, tra cui la lettura di riviste come Cosmopolitan e People, e aveva osato indossare calze troppo sottili. Il Rabbino Weberman, leader rispettato della piccola comunità, doveva ricondurre la ragazza all’osservanza della dottrina ultraconservatrice. Invece, qualche anno più tardì, la giovane ha confidato che il rabbino abusava sessualmente di lei.
    La notizia di Israel Hayom riguarda invece un cartello pubblicitario a Gerusalemme che ha suscitato un grande scalpore tra gli attivisti che operano contro l’esclusione delle donne dalla sfera pubblica in Israele. Il cartello ordina alle donne di nascondersi per non tentare gli uomini in preghiera. “Aspetta tuo marito dietro il furgone bianco e luoghi del genere in modo da non essere un ostacolo per chi prega”, dice il cartello, fotografato dal Canale 2 israeliano.
    Al di là delle dichiarazioni della destra italiana che ha sempre strumentalizzato il maschilismo islamico e i diritti delle donne musulmane per diffondere il razzismo tipico della parte peggiore dell’Italia, e promuovere e giustificare la guerra contro i popoli ai quali appartengono queste donne, fondamentale sarebbe che la sinistra italiana – quella che si è battuta per la pace e per i diritti delle donne – si preoccupasse di tutelare anche le donne ebraiche dall’integralismo ebraico, le donne cristiane dall’integralismo cristiano, allo stesso modo con cui si è preoccupata di tutelare quelle afghane ed egiziane dall’integralismo islamico, altrimenti le battaglie per le donne non hanno efficacia e risultano poco credibili perché rischiano di essere confuse con la campagna antislamica occidentale.
    (Saleh Zaghloul  – foto da internet)