Autore: Redazione

  • OLI 422: PAROLE DEGLI OCCHI – Heidi ribelle

    (Foto di Surya)
    Padova, febbraio 2015
  • OLI 422: CITTÀ – “Vola solo chi osa farlo”, da Antigone a Santa Maria in Passione

    San Silvestro e Santa Maria in Passione, marzo 2015

    Sulla vetta della Collina di Castello dove Genova nacque 2500 anni fa, accanto al complesso di San Silvestro ricostruito come sede universitaria di Architettura si estende Santa Maria in Passione, altro convento femminile dalla storia millenaria anch’esso devastato dalla seconda Guerra mondiale, che però giace ancora rovinato dai crolli bellici e postbellici, proprietà del Comune.

    San Silvestro e Santa Maria in Passione, circa 1985

    Contestualmente alla rinascita di San Silvestro, alla fine degli anni Ottanta si erano avviati consistenti lavori di sgombero delle macerie, ritrovando vani sepolti congelati al momento della distruzione, con affascinanti tracce della vita che vi si svolgeva: quasi una Pompei di pochi decenni prima con saloni, cucine, cisterne, scale, corridoi, scantinati, i parlatori e la grande lavanderia, oltre alla chiesa e al chiostro con giardino che erano rimasti sempre in vista. Saggi di scavo avevano indagato anche testimonianze dell’antichissimo insediamento preromano. Dal 1992, con l’intenzione di farne un parco archeologico co-finanziato dall’Unione Europea, si era proceduto alla messa in sicurezza delle strutture pericolanti, alla protezione dei resti con coperture moderne e alla ricostruzione della parte affacciata su via di Mascherona, adibita a sede dell’Osservatorio Civis, un ufficio comunale che forniva un eccellente servizio di documentazione e monitoraggio computerizzati, con la diffusione di informazioni sul centro storico, attività di sostegno della pianificazione urbana e ottimizzazione della gestione operativa degli interventi sul territorio.

    San Silvestro e Santa Maria in Passione, circa 1985

    Custodiva anche le chiavi della zona recintata, curandone la pulizia e l’ordinaria manutenzione e consentendone l’accesso al pubblico in occasioni particolari, come visite guidate o nel 1999 e 2005 le affollatissime Giornate di Primavera del Fai, il Fondo per l’Ambiente Italiano, durante le quali flussi ininterrotti di centinaia e centinaia di genovesi e no entrarono per la prima volta a scoprire tale inaspettato tesoro.
    Subentrata nel 2007 la giunta Vincenzi a reggere la Civica Amministrazione con differenti indirizzi rispetto alla precedente, l’Osservatorio venne smantellato e sostituito da nuovi organismi collocati altrove, mantenendone però il sito web che consente di continuare ad accedere almeno in parte al patrimonio di dati raccolti.

    Attualmente quei locali ospitano il Centro antiviolenza e l’Ufficio cittadini senza territorio, realtà degnissime che però nulla hanno a che vedere con la specificità di un sito così ricco di significati e di storia e soprattutto che più non si curano del suo mantenimento. L’area delle rovine, scampata a un immaginifico progetto di ricostruzione come ampliamento della Facoltà e annessa biblioteca, rimase abbandonata a se stessa e preclusa alla città, nell’apatia degli enti che avrebbero dovuto occuparsene. Una squallida rugginosa ed eternamente provvisoria barriera in tubi Innocenti, rete metallica e filo spinato, in mezzo alla ricostruita piazza di San Silvestro, la separava dall’accesso ad Architettura, finché il 15 marzo del 2012 un gruppo di studenti e altri volontari che già si dedicavano a una sottostante zona verde utilizzata per sperimentazioni didattiche all’aperto e occasioni di incontro, da loro risistemata e battezzata Liberi Giardini di Babilonia (vedi Oli 345), in cui si parlava pure di analoghe azioni in salita della Misericordia e nei Giardini Rotondi) decise che i tempi erano maturi per abbattere lo sbarramento e occupare l’area non per sé, ma per riaprirla a tutti e in primo luogo agli abitanti nei dintorni.

    San Silvestro
    e Santa Maria  in Passione, marzo 2015

    “L’inerzia burocratica e il rimbalzo delle responsabilità hanno portato a questa condizione di immobilismo e hanno fallito: per questo motivo un atto semplice, spontaneo, consapevole e risolutore trova legittimazione anche se varca i confini della consuetudine legalitaria. Ci assumiamo la responsabilità di questo gesto collettivo, perché crediamo nella necessità di tornare a pensare la società non solo come insieme di leggi, ma come sistema di valori etici, culturali e politici”, aggiungendo “Vola solo chi osa farlo”, citazione da Luis Sepúlveda.
    E ancora: “Oggi dimostriamo quanto possa essere semplice ed efficace interagire con lo spazio pubblico in autonomia: la responsabilità individuale e collettiva è infatti il motore del nostro agire, giusto anche se illegale”.
    Questo e molto altro hanno scritto – e non può non venire in mente Antigone, nodo cruciale della coscienza civile occidentale – nei comunicati che via via producono, frutto di matura riflessione politica alimentata da assemblee settimanali che non si esauriscono in teorizzazioni, ma producono azioni concrete come la faticosa pulizia dell’area invasa da arbusti e sterpaglie, bonificata e resa praticabile nell’ottobre 2014, con la massima attenzione al rispetto e alla salvaguardia dei resti poi commentati con visite guidate e apparati illustrativi, restituendole quella dignità di parco archeologico in nuce vagheggiato all’inizio.

    A dicembre si è avviata l’impegnativa organizzazione delle periodiche Raibe, le animate aperture al pubblico così chiamate ricordando gli antichi magazzini/mercati genovesi dal nome arabeggiante, d’ora in poi con cadenza mensile, ogni seconda domenica.

    Video https://www.youtube.com/watch?v=XpDKYYXsDHI

    Raiba, 8 marzo 2015

    L’ultima è stata lo scorso 8 marzo, dal mattino a sera inoltrata, riuscitissima con folta partecipazione e attività di vario genere distribuite ovunque, come si può vedere nella pagina Facebook dei Liberi Giardini di Babilonia.  Nel desolante panorama partitocratico locale e non solo, verso il quale la disaffezione e il disgusto dei cittadini stanno crescendo in modo sempre più preoccupante, questa esperienza di entusiasta gestione diretta di una sia pur minuscola porzione della polis da parte di chi vi abita o studia o lavora o desidera comunque prendersene cura – che tra l’altro la fotografa Federica De Angeli ha scelto quale stimolante tema per l’edizione 2015 del suo Corso di Fotografia Avanzata – rappresenta un vitale laboratorio di buona politica che le istituzioni, con le quali sono già avviati contatti, farebbero bene a non ignorare né sottovalutare, o ancor peggio ostacolare, ma favorire, senza tentare di fagocitarlo ma rispettandone l’autonomia e la libertà, come modello positivo per il diffondersi di analoghe pratiche di buon governo dal basso, qui a Genova e nel resto d’Italia.
    Non siamo che agli inizi. Il seguito alla prossima puntata.
    (Ferdinando Bonora – fotografie dell’autore)

  • OLI 422: BENI COMUNI – Valletta Cambiaso, se il Pubblico è distratto

    L’ultimo derby è stato rinviato per pioggia e per lo stato horribilis del campo in un rimpallo di responsabilità anche se il Comune ha già passato la palla per la manutenzione dello stadio di Marassi tempo fa e il consorzio che gestisce sostiene che Samp e Genoa non pagano, come del resto succede per l’affitto.
    A Nervi la piscina ha chiuso per problemi strutturali e chi l’aveva in gestione ha lasciato un buco a sei zeri, fra bollette e impianto che non ha mai visto migliorie: con il miraggio di fondi europei è stato presentato un progetto dalla sostenibilità economica pari a una lotteria.
    Ad Albaro lo stadio del Tennis è a malapena agibile per i campi, ma tutto il resto, ovvero l’ex splendido verde del parco è un pianto. Che succede? Succede che i soldi sono finiti e la cuccagna pure.

    Se dallo stadio di calcio il Comune è pur riuscito a defilarsi come manutenzione dell’erba dopo gestioni in fallimento, tutto il resto è ancora a suo carico, dallo stato tribune, ingressi e quant’altro.
     Il patrimonio pubblico costituito dagli impianti sportivi è dunque nebbia fitta. Mala gestione si dirà. Non solo. Il punto vero è pure un altro: sono gli accordi a fare acqua, ovvero le fatidiche Convenzioni che le Istituzioni fanno con chi ne assume la gestione. Non si capisce se sono poco accorti i funzionari o incapaci, idem i gestori, ad essere carini. Parliamo di un impianto sportivo di indubbia valenza architettonica e di un parco storico vincolato. Il fatto è che quando si “concede” un impianto pare che chi lo acquisisce faccia un piacere all’Ente. Si stipulano così contratti alla picchio che, se puta caso, non vengono rispettati nessuno paga. E non soltanto in senso metaforico.
    Si cita sempre “la funzione sociale  dello sport”, con buona pace di tutti e se l’impianto va in malora, si chiude e ci si arrabatta poi per trovare le risorse con fregature annesse, il più delle volte.
    Accade così per Valletta Cambiaso, un parco storico in cui fu costruito decenni fa lo stadio del Tennis, il più pregiato in Italia dopo il Foro Italico di Roma: una costruzione artistica di valore e una collocazione in un contesto di verde addirittura vincolato. Nel 2006/ 2007 la Federazione Italiana Tennis, dopo decenni di corsi Coni di successo, fece il gran passo e ne assunse la gestione con l’impegno di una riqualificazione delle opere strutturali per mezzo milione di euro, altri centomila euro sarebbero stati spesi per rimettere a posto il parco. Il canone sarebbe stato di quindicimila euro l’anno per i primi dieci anni e il doppio nei venti successivi, mentre ci si impegnava altresì sulla manutenzione del verde per un onere di trentamila euro l’anno.
    Gli anni sono passati e niente di tutto questo è successo, anzi spesso è dovuto intervenire il Comune di Genova per riparare e ripristinare alberi, vialetti. Ma siccome sanzioni non ne erano state inserite nella Convenzione non si potrà pretendere nulla. Due anni fa è subentrata in subconcessione una società, la MyTennis, costituita ad hoc dai due circoli più vip della città: fame di spazi, 400 allievi, l’organizzazione di un grande evento internazionale, il Challenger, e una gestione delle ore praticamente esclusiva, alla faccia della funzione sociale, a parte una manciata di ore nessun altro circolo vi ha più battuto palla. Quatta quatta la FIT ha rimesso alla vigilia di Natale la concessione e My Tennis ha scodellato a gennaio un progetto per riqualificare il tutto, approfittando di supposti fondi europei. Si farà una gara naturalmente, partendo da quel progetto e siccome risorse non ce ne sono, vinca il migliore…
    Il progetto è valido: peccato che si vorrebbe abbattere un bel numero di alberi di un parco vincolato storico, gli aghi dei pini si sa son fastidiosi, si vorrebbe recintare parecchio, occupare uno spazio consistente per “evitare commistioni fra atleti e bambini”, parola del progettista che ha presentato presso il Municipio Medio Levante il piano. Il Municipio ha approvato il progetto con molti paletti. Sarà ascoltato? Preoccupazione primaria per i cani, a quanto pare i più importanti fruitori, cui si propone di dedicare un’oasi del parco da sempre frequentata dai bimbi: che ce ne facciamo di questi mocciosi molesti, sempre meno a dire il vero, che corrono, giocano, importunando la concentrazione dei giocatori di tennis?
    (Bianca Vergati)

  • OLI 422: ILVA – Landini, media assemblea

    Un reporter riprende un lavoratore che fotografa un fotografo mentre scatta primi piani a Landini. L’immagine più evidente che si è nel cuore di una rappresentazione è data dal fatto che, ad un certo punto, due fotografi sistemano un casco ILVA proprio sopra i tubi innocenti che reggono il palco, come se quel casco fosse stato dimenticato da un operaio, ed iniziano a scattare foto.
    Quella con Landini, non è, come promesso dal volantino affisso nelle bacheche aziendali, un’assemblea. Ma è incontro a porte spalancate, con stampa, lavoratori e cittadini. Un momento storico per l’ILVA di Cornigliano una giornata che ha dato alla siderurgia genovese visibilità, ma non un’assemblea che significa confronto, riflessione, condivisione di idee, tra lavoratori e sindacato.
    Landini – dio lo benedica per il suo impegno politico – ha detto le cose che dice a Ballarò, Piazza Pulita, Servizio Pubblico, ma ha perso un’occasione importante: sentire le opinioni di chi in quella fabbrica lavora e di chi da quella fabbrica è stato messo in cassa integrazione. Dispiace che tutto diventi media, che in questo cacofonico rivolgersi all’esterno non ci sia più tempo per un ascolto autentico, il tempo per le parole. Anche scomode. Quelle che il sindacato non vuole sentir dire. I numeri, investiti in questa partita, sulla carta non permettono di immaginare grandi scenari sul fronte dei salari che drenano  milioni di euro al mese. Un miliardo e duecento milioni dei Riva – ancora da rimpatriare – sono esclusivamente destinati alla legittima realizzazione dell’AIA e 556 milioni, provenienti dalle risorse della cassa depositi e prestiti oltre che dai soldi di Fintecna, sono una cifra che ILVA è capace di fumarsi in 6 mesi soprattutto alla luce dell’anticipata chiusura dell’altoforno 5 – indispensabile per la messa in sicurezza dell’impianto – che ridurrà ulteriormente la capacità produttiva del sito di Taranto già oggi, in perdita. I conti non tornano.
    La Newco è ancora un soggetto molto magmatico. Si aggiunga che i Riva hanno fatto ricorso contro lo stato di insolvenza dell’Ilva lamentando che La mano pubblica potrà impunemente non eseguire quelle stesse misure per la realizzazione delle quali ha illegittimamente sottratto a degli imprenditori privati la propria fabbrica. E’ vero che nella fase più delicata della discussione del decreto legge, Claudio Riva aveva chiesto che si terminasse il ciclo delle audizioni in Commissione Senato, prima di procedere alla dichiarazione di insolvenza dell’ILVA, richiesta inascoltata. Che piaccia o meno – e la gestione Riva non è piaciuta affatto – a processo ancora da fare, le scelte strategiche che hanno riguardato l’Ilva rischiano di essere oggetto di ricorsi da molti fronti e sanzioni, comprese quelle della Comunità Europea.
    Un ragionamento con Landini poteva mettere a fuoco dove trovare 150 milioni di euro per l’impianto della banda stagnata. Altro spunto di riflessione cosa ne sarà delle centinaia di lavoratori genovesi oggi “utile risorsa” degli enti pubblici, destinati però a rientrare a settembre 2015 con i contratti di solidarietà, e ancora cosa significa nel testo della legge, votata dal parlamento “garanzia di adeguati livelli occupazionali”.
    Adeguati, rispetto a quale modello siderurgico? Sulla base di quale piano industriale?
    Si fa strada il precedente Alitalia, e qualcuno, purtroppo, vuole afferrarlo al volo.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 422: PALESTINA – La Campagna Open Shuahada Street in Italia

    In questi giorni è partita la quinta Campagna Internazionale Open Shuhada Street in solidarietà con gli abitanti di Hebron e della Palestina. Lo scorso 25 febbraio gli abitanti di Hebron hanno ricordato il massacro del 1994 in cui il colono israeliano Baruch Goldstein uccise 29 palestinesi mentre stavano pregando nella Moschea di Ibrahim, e a seguito di questo evento il governo israeliano chiuse la Shuhada Street, l’allora via di commercio principale per i palestinesi, con i suoi 500 negozi.
    Oggi sulla Shuhada street possono passarci solo israeliani, internazionali, animali, ma non palestinesi.
    La campagna internazionale con attivisti per i diritti umani provenienti da tutto il mondo, chiede la riapertura della strada, chiede rispetto dei diritti umani e la fine dell’occupazione militare israeliana nei Territori Occupati Palestinesi. Hebron è divisa in due: nella zona H1 vivono circa 120 mila arabi sotto l’autorità palestinese e nella zona H2 vivono 30mila palestinesi sotto l’autorità israeliana e 400 coloni “protetti” da 3000 militari israeliani. Il divieto di accesso alla Shuhada Street limita libertà di movimento ai palestinesi.
    In occasione della quinta campagna internazionale è arrivata in Italia Sondos Azza, una giovane studentessa di 21 anni dell’associazione Youth Against Settlements. L’associazione è formata da un gruppo di giovani attivisti palestinesi che organizza azioni di disobbedienza civile contro l’occupazione israeliana e supporta le famiglie danneggiate dai soprusi dei coloni.
    Ci sarebbe dovuta essere con lei anche Naywa Amro ma dopo essere stata trattenuta ed interrogata per 3 ore alla frontiera, gli israeliani non le hanno permesso di entrare in Giordania per poi volare verso l’Italia.
    Najwa Amro e’ una donna di 40 anni impegnata con le associazioni di donne, suo marito è stato condannato a diversi ergastoli e tre fratelli sono in carcere. Un fratello è stato ammazzato dai soldati israeliani.
    Ho incontrato Sondos a Padova durante il suo tour nelle città italiane in cui ha dato testimonianza della difficile quotidianità che l’associazione YAS e i palestinesi sono costretti a vivere ad Hebron.
    E’ difficile proteggerci, se andiamo in Shuhada street i militari ci arrestano e per andare a visitare una famiglia che abita a 5 minuti da casa mia devo chiedere un permesso” dice mentre mostra dei video che denunciano la repressione da parte di militari sui giovani, “ogni nostra azione di resistenza viene repressa violentemente dai soldati, è più dura di quello che vedi dai video“. L’associazione, che si trova nell’area H2, documenta tramite video la repressione sui palestinesi. “Gli israeliani non vogliono che si racconti la verità” dice Sondos, per questo spesso il materiale video e fotografico viene sequestrato.
    Per Sondos spesso è difficile raggiungere una delle università di Hebron che frequenta per diventare insegnante di lingua inglese. I check point, le barriere, i blocchi e i continui controlli impediscono la libertà di movimento.
    Il governo israeliano impedisce anche la libertà di studio: colpire l’istruzione per colpire il futuro del paese. Dal 1967 ad oggi sono stati arrestati 800mila palestinesi soprattutto giovani.
    Non vogliono aprire la strada, spero un giorno succederà” Sondos spera come tanti giovani che un giorno possa correre sulla Shuhada street e che l’occupazione finisca, nel frattempo la sua lotta quotidiana di resistenza ai soprusi non si ferma perché per lei, respirare, stare in quel posto, è già esistere!
    (Maria Di Pietro – foto dell’autrice)

  • OLI 422: ESTERI – ISIS, Religione e barbarie

    Ihttp://www.al-akhbar.com/node/227147.

    l professore americano di origine libanese Asad Abukhalil, che insegna scienze politiche all’Università della California, ha scritto un articolo sul libanese al-Akhbar, il 28 febbraio 2015, sulle barbarie dell’ISIS e del rapporto tra barbarie e religione,

    In seguito alcuni stralci dell’articolo tradotti dall’arabo:
    “Stigmatizzazione di terrorismo una religione è ingiusto perché rende la religione responsabile dei comportamenti delle persone, poche o molti chi siano. Il terrore e la brutalità non sono sinonimi di religione, anche se laici e atei desiderano attribuire ogni terrorismo ed ogni brutalità alla religione.
    Questo non significa che la religione (ogni religione) non sia necessariamente responsabile di quanto le viene attribuito, come nel caso del papato, la più alta autorità della religione cristiana, che è stato responsabile dell’indizione ufficiale delle Crociate, di aver terrorizzato le donne in nome della “guerra contro le streghe” o della repressione delle minoranze. Questo non vale per l’Islam per la semplice ragione che è il governatore a sottomettere il sacerdote alla propria autorità. Il Gran Mufti saudita (o quello di Al-Azhar) non è altro che uno strumento nella mano del tiranno, il quale è legato più al colonialismo che alla religione. Il caso iraniano è diverso perché il sacerdote ha sottomesso il governatore alla propria autorità (non tutte le autorità religiose scite del mondo sono d’accordo).” (…)
    “Una volta, nel 1993, ho detto ad una giornalista del “New York Times”, che mi ha chiesto della folle copertura della prima esplosione “al World Trade Center nel 1993”: non intendo negare l’accusa di terrorismo nei confronti di alcuni musulmani, al contrario, i musulmani hanno tra di loro, come tutti i popoli e i fedeli di tutte le religioni, un certo numero di criminali, terroristi e malfattori, senza che la responsabilità  dei comportamenti di criminali, terroristi e stupidi musulmani sia attribuita alla religione islamica, alla cultura araba o alla storia della regione.” (…)
    “Ci sono più modi per studiare la brutalità dell’ISIS. In primo luogo, il fenomeno può essere studiato mettendolo in un contesto politico e storico contemporaneo. Questo è ciò che ha fatto Robert Pape, nel suo libro Volere la morte per vincere sul fenomeno degli attentati suicidi contemporanei, arrivando alla conclusione che essi non sono legati ad una sola religione o ad una sola fede, che diversi popoli con differenti dottrine (compresa quella della sinistra atea) hanno compiuto atti come questi con un motivo comune: sbarazzarsi dell’occupazione straniera.
    In secondo luogo, il fenomeno può essere collocato nel proprio contesto regionale contemporaneo, senza immergersi nella storia profonda. La brutalità dell’ISIS o di altre organizzazioni può essere riferita alle organizzazioni terroristiche contemporanee. La nascita delle milizie armate nella nostra regione è avvenuta negli anni trenta del secolo scorso per mano delle milizie sioniste (non erano musulmane).

    I sionisti israeliani erano i veri pionieri nell’introdurre nella regione modelli di brutalità e terrorismo che la nostra regione non aveva mai conosciuto prima. Le bande sioniste sono state le prime ad aver fatto ricorso ai seguenti atti di brutalità terroristica: 1) lanciare bombe nei caffè (la prima volta a Jaffa nel 17 Marzo 1937). 2) lanciare bombe a bordo dei bus (la prima volta in agosto-settembre del 1937 indiverse parti della Palestina). 3) lanciare bombe nei mercati popolari (la prima volta nel luglio 1937 aHaifa). 4) far esplodere gli alberghi (la prima volta nel 22 luglio 1946 a Gerusalemme). 5) fare esplodere le ambasciate (la prima volta in 1 ottobre 1946 a Roma). 6) usare le ambulanze come auto bomba (la prima volta il 31 ottobre 1946 a Petah Tikva). 7) mettere esplosivo nei pacchi postali (la prima volata in giugno 1947 contro obiettivi britannici).”
    (traduzione a cura di Saleh Zaghloul) 
  • OLI 422: TEATROGIORNALE – Sala riunioni bambini interiori

    immagine tratta da:
    http://fractalenlightenment.com/it/32306/life/healing-our-inner-child

    Entra una bambinetta senza i denti davanti, ha un vestito a righe bianco e rosso e i codini allentati, il moccolo al naso le cade sulle labbra e ritmicamente lo lecca.
    La stanza è spoglia, al centro cinque sedie di metallo disposte in cerchio, le finestre danno su un parco cementato con tre alberi grandi, segno di un passato giardino. Il cielo è plumbeo. La bambina gira attorno alle sedie, spinge con le mani gli schienali, gira sempre più velocemente spingendoli con sempre più forza, le sedie iniziano a spostarsi, poi a cadere.
    – Perché sei arrabbiata?
    Una maestra magra, con la collana di perle è sulla soglia dell’aula, guarda la bambina con benevolenza.
    – Non sono arrabbiata, mi annoio.
    Da dietro una scatola bigia che si confonde con i muri esce un’altra bambinetta, ha una scamiciata rosellina e i calzettoni bianchi.
    – Perché hai paura?
    Chiede sempre la maestra, non alla bambina nascosta ma quella senza denti.
    – Non ho paura!
    – Io sì.
    Dice la bambina nascosta. La bambina senza denti le lancia una sedia, la maestra si siede tranquillamente su un’altra sedia.
    – Maestra, mi ha tirato la sedia!
    Urla la bambina nascosta correndole incontro.
    – Non fare la spia, cara, non lo sai che chi fa la spia non è figlio di Maria, non è figlio di Gesù e all’inferno ci vai tu?
    Le dice la maestra allontanandola gentilmente.
    La stanza si riempie di bambini e bambine, sono tutti vestiti da adulti con scarpe troppo grandi, giacche e pantaloni penzolanti tanto che spesso devono tenersele con entrambe le mani. Hanno tutti una gran fretta e guardano preoccupati nella direzione della bambina senza denti.
    – Sedetevi!
    Dice la maestra con voce autoritaria.
    – Perché l’avete lasciata sola con la sua rabbia? Lei non era sbagliata, lei era solo una bambina rifiutata, negata. Le hanno fatto credere di essere sbagliata. Ma voi che l’avete lasciata sola l’avete fatta diventare sbagliata.
    Tutti i bambini adulti sono seduti e si guardano la punta dei piedi, qualcuno inizia a frignare che non è colpa sua, una bambina con la sporta della spesa farfuglia che non è mica sua madre… In realtà oltre la punta delle scarpe tengono d’occhio anche la bambina senza denti. Hanno paura e non vedono l’ora di andarsene. Una bambina signora è rannicchiata sulla sedia e piagnucola ma non si capisce cosa dica. L’unica tra i bambini che continua a giocare annoiata è la bimba senza denti.
    – Tu dove eri, quando questa bambina chiedeva aiuto?
    Continua la maestra, rivolgendosi a una bambina con un cappotto di lana cotta troppo grande.
    – Io facevo la spesa e questa qui mi voleva sputare in faccia e allora io ho cambiato marciapiede, mi ha chiamato vecchia rinco…
    La maestra alza le spalle scuotendo la testa, la bambina in cappotto di lana cotta vorrebbe dire ancora qualcosa ma nessuno l’ascolta, trenta bambini in silenzio, inchiodati alle loro sedie, infagottati in abiti inadatti.
    – Li hai fatti tu questi disegni?
    Chiede la maestra indicando una cartellina colorata.
    – Ti piacciono i miei paciughi? Non sono dei veri disegni, sono solo degli scarabocchi. I bambini non sono capaci a disegnare. L’ha detto la mia mamma.
    – Non gliel’ho detto io, io volevo essere brava…
    Frigna la bambina rannicchiata sulla sedia.
    – Noi dobbiamo parlare con te, con il tuo bambino interiore, per questo siamo qui, nella sala riunioni dei bambini interiori.
    – Per questo ci sono tutti questi mocciosi?
    Ha la faccia sfigurata dalla rabbia, in alcuni atteggiamenti scimmiotta le adolescenti della tivù.
    – Sì, sono i bambini interiori di tutti quelli che hanno partecipato all’”evento”, chiamiamolo così. Sono bambini, spaventati, bambini incapaci. Bambini che cercano conforto e che non lo trovano.
    La bambina nascosta lentamente si avvicina alla maestra, cerca di mettere la mano nella sua. La maestra l’allontana.
    – Ma sbrigatela da sola, belinona!
    La bambina nascosta torna a nascondersi dentro la sua scatola bigia.
    – E tu, perché sei arrabbiata?
    Continua la maestra.
    – Non sono arrabbiata, mi annoio! Non c’è niente che mi piaccia! Mi sembra che siano tutti degli sfigati e che dandogli due sberle possano capirlo meglio quanto sono sfigati!
    – Compi su di loro la violenza che altri hanno fatto su te?
    – Io ho paura.
    Dice una voce da sotto la scatola bigia.
    – Zitta sfigata!
    Rispondono in coro la maestra e la bambina senza denti. La stanza è di nuovo vuota, i bambini adulti sono scomparsi, le sedie sono riverse sul pavimento, la bambina senza denti le prende a calci e molte finiscono contro la scatola bigia. La maestra in collana di perle continua a scrivere i suoi appunti. Dopo qualche tempo esce dalla stanza, chiude la porta a chiave e si incammina verso la macchinetta del caffè. Vicino alla macchinetta c’è un grosso bidone dove gettare i bicchierini sporchi. La maestra sospira, guarda la sua cartellina e la getta. Si sistema i capelli, cerca in tasca due spiccioli per prendersi un cioccocaffè. Dalla sala riunioni dei bambini interiori si sentono delle urla. Dal lungo corridoio arriva un’altra maestra, si riconosce dal giro di perle attorno al collo.
    – Com’è andata?
    – Bene, credo che l’abbiano linciata ora.
    – Di già? Ma chi delle due?
    – Ha importanza?
    – Certo che no.
    – Cioccocaffè? Quanto zucchero?

    (Arianna Musso – Foto da Internet)

    Dal secoloxix.it:Gli amici: è una ragazzina pericolosa, va fermata: poteva uccidere”

  • OLI 422: LETTERE – G8, Toccofandi. Un medico dice no

    09/04/2014
    I consiglieri comunali Leonardo Chessa, Pier Claudio Brasesco, Clizia Nicolella e Paolo Repetto hanno inviato una lettera al presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Genova, Enrico Bartolini, per esprimere la loro approvazione sul licenziamento da parte di Asl 3 di Giacomo Toccafondi, medico responsabile dell’infermeria della caserma di Bolzaneto durante il G8 e per chiedere – in qualità di medici e di rappresentanti delle istituzioni – che venga immediatamente aperta la procedura per la radiazione di Toccafondi dall’Ordine stesso.
    In quei giorni del luglio 2011,150 persone fermate dalla polizia subirono violenze fisiche e psicologiche da parte di poliziotti, guardie penitenziarie e personale medico. La Corte di Appello di Genova, in una sentenza del 2010 le ha definite “trattamenti inumani e degradanti o azioni di tortura” che esprimono “il massimo disonore di cui può macchiarsi la condotta del pubblico ufficiale”.
    Giacomo Toccafondi, che secondo i giudici “agì con particolare crudeltà” fu accusato di omissione di referto, violenza privata, lesioni, abuso d’ufficio e condannato a 1 anno e 8 mesi e al risarcimento delle vittime. Il 12 marzo scorso, 12 anni e 8 mesi dopo e terminato l’iter giudiziario, il medico è stato licenziato dalla Asl 3 genovese con decorrenza immediata.” (dal sito del Comune di Genova)

    Genova, 8 marzo 2015
    Purtroppo i vertici dell’ordine dei medici di Genova prima di lasciare il posto al nuovo consiglio eletto hanno “evitato” ciò che avrebbe dovuto essere scontato: la radiazione del Toccafondi, disonore per qualsiasi medico che prenda sul serio la propria professione. Sono allibito e scandalizzato da tale scelta e mi chiedo: cosa deve fare un medico per essere radiato? Sarebbe almeno un minimo riparatorio sottoscrivere un appello : NON POSSO ACCETTARE DI FAR PARTE DI UN ORDINE DI CUI FA ANCORA PARTE IL DOTT.GIACOMO TOCCAFONDI
    (Dott. Pier Claudio Brasesco)

  • OLI 421: PAROLE DEGLI OCCHI – Promozione scientifica

    (Foto di Ferdinando Bonora)
    Genova, vico di Pellicceria, febbraio 2014: a due passi dalla Galleria Nazionale di Palazzo Spinola
  • OLI 421: AMBIENTE – Il Marsano tra tradizione centenaria e PUC prossimo venturo

    L’Istituto Agrario Marsano di Sant’Ilario a Genova è un’eccellenza nel panorama della conservazione della tradizione ligure. Fin dai tempi della sua costituzione Bernardo Marsano pensò a qualcosa che servisse alla creazione di posti di lavoro per i giovani attraverso la trasmissione di tradizioni agrarie arricchite dalle “nuove tecnologie”. Oggi, una nuova tecnologia potrebbe essere considerata una delle attività più antiche al mondo che si è persa: saper costruire a mani quasi nude un muretto a secco, uno di quei tanti che caratterizzano il paesaggio ligure e che hanno contribuito alla sua trasformazione nel rispetto delle proprietà di drenaggio dell’acqua.
    La gara dei muretti a secco che si è svolta giovedì 12 febbraio 2015 tra le classi delle varie succursali della scuola sparse per il territorio della provincia genovese ha trovato una giornata primaverile a mezzo febbraio. Bene per tutti: per i ragazzi che amano, a quell’età, muovere le mani più che piegare la testa sui libri, bene per i professori che hanno modo di conoscerli anche al di fuori dei banchi in un contesto pratico, per gli invitati esperti di muretti a secco ben felici di trasmettere le proprie conoscenze, e per gli ospiti con la fortuna di ammirare il paesaggio mozzafiato che si gode da quel posto selezionato. La professoressa Angela Comenale ci spiega nel video come mai sia così importante non perdere questa tradizione, fatta di saperi locali, lontani, e di natura che si incastra tra le pietre accatastate.

    Eppure, in mezzo a questo paradiso, incombe ancora una voce strana del Piano urbanistico comunale che presto passerà in Consiglio a Genova: una strada prevista in zona ma stranamente non disegnata, per scelta, per non segnare graficamente la pretesa assurda di attraversare il Marsano con una viabilità verso il nulla dei terreni a levante, pronti per una possibile speculazione, una cosa che nessuno vorrebbe votare ma che qualcuno pretende con forza ed insistenza.
    Una situazione più volte segnalata dalle associazioni ambientaliste, da alcuni gruppi politici, dal Marsano stesso che attende da anni un riconoscimento ministeriale di area protetta che non arriva, senza comprenderne la ragione.
    (Stefano De Pietro)