Categoria: Guido Rossa

  • OLI 397: ILVA – Guido Rossa, i bambini nel deserto

    Cosa direbbe oggi Guido Rossa se fosse qui? 
    E lui è qui! Basterebbe chiudere gli occhi e attorno a noi potremmo sentire una folata di vento dolcissima 
    E se lui è qui, cosa direbbe oggi in questo contesto?
    Lui direbbe che bisogna difendere la classe lavoratrice!
    Lui direbbe che oggi la crisi pretende che ci sia più giustizia e più uguaglianza!
    Lui direbbe che quando si firma un accordo, quell’accordo va rispettato!

    Carla Cantone, Spi-Cgil in occasione della commemorazione di Guido Rossa il 24.1.14 

    Quando tutto si mescola il quadro risulta confuso.
    Questa operazione favorisce i responsabili di azioni, ancor più se numerosi, nell’evitare con cura di riconoscere i propri errori e porvi rimedio.
    Nella faccenda dell’Ilva di Cornigliano il quadro, dopo nove anni, è diventato un pastone letale. Ma quello che lascia basiti è l’assenza totale di un bilancio politico che individui le ragioni per le quali si è arrivati qui.
    La colpa, quando si è parlato di siderurgia genovese, è sempre stata di altri – magistratura, ambientalisti, crisi – questo ha consentito negli anni passati l’auto-assoluzione di tutti i firmatari dell’Accordo di Programma. Con la differenza che un colpevole oggi – ma solo oggi – pare sia stato individuato: Riva.
    Adesso, che quel nome – dominus incontrastato di Cornigliano – è stato cancellato persino sui cartelli dei parcheggi riservati di stabilimento, è permesso prendere atto pubblicamente che l’Accordo di Programma non è stato rispettato, va riveduto e che bisogna porre rimedio all’emergenza occupazione.
    Il presidente della Regione ha il candore di un ragazzino che finisce un ciclo scolastico, non un ciclo

    amministrativo, quando invoca un nuovo accordo per l’acciaio.
    Ma che ne è stato dell’altro? Perché chi doveva vigilare o quantomeno proporre soluzioni alternative per una prospettiva occupazionale seria ha taciuto?
    Il deserto siderurgico descritto da Bruno Viani sul Secolo XIX del 25 gennaio è frutto di nove anni di assenza di vigilanza con la volontà di silenziare le voci di chi diceva che con quegli impianti era fantascienza occupare tutti. In quel deserto sono stati fatti rientrare cinquecento lavoratori tre anni fa, dopo cinque anni di lavori socialmente utili, per essere collocati il giorno dopo nei contratti di solidarietà. Di quel deserto prima era vietato parlarne. Scoraggiante sollevare la questione anche nelle assemblee sindacali dove l’analisi del rapporto occupazione-impianti veniva allontanata con malcelato fastidio.
    In tutto questo Guido Rossa cosa c’entra?
    La retorica sui lavoratori dovrebbe, almeno oggi, avere il pudore di fare un passo indietro, senza mettergli in bocca valutazioni sul presente e sul futuro della sua fabbrica.
    Meglio sarebbe stato dare più spazio ai bambini della scuola elementare X Dicembre in quell’ora di ricordo per Guido. Alle loro fabbriche dai nomi magici – Guanto Schioccante, Desiderio, Clanma – disegnate con cura e fatte scivolare sotto gli occhi di telecamere veloci a registrare la tenerezza dell’evento: i bambini nel reparto di Guido Rossa. O far raccontare alla loro maestra come si spiega oggi ai bambini la realtà delle fabbriche italiane.
    Chissà come si insegna a difendere i grandi sogni.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • OLI 363: ILVA – Il linguaggio della procura e quello della busta paga

    Patrizia Todisco è tutta in una notizia Ansa del 30 gennaio 2013 ore 13.40
    TARANTO – Il gip del Tribunale di Taranto Patrizia Todisco ha rigettato la richiesta dell’Ilva di revocare il sequestro preventivo dei prodotti finiti e semilavorati giacenti sulle banchine del porto, finalizzando il ricavato della vendita al pagamento degli stipendi e alle opere di ambientalizzazione previste da L’Aia. Il Gip ha precisato “Nessuna norma dell’ordinamento giuridico contempla la possibilità di una restituzione di beni sottoposti a sequestro preventivo, per giunta in favore di soggetti indagati proprio per i reati di cui i beni sottoposti a vincolo costituiscano prodotto, sulla base di esigenze particolari o dichiarazioni di intenti circa la destinazione delle somme ricavabili dalla vendita dei beni, che vengano ad essere dedotte dall’interessato”.
    Traduzione: non avevate la facoltà di produrre, lo avete fatto ugualmente, i vostri coils sono corpo di reato, non si possono restituire tanto più a “soggetti indagati” come il Presidente Bruno Ferrante.
    Si attende il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legge 231 che, in assenza di un piano B, è ad oggi l’unica garanzia in mano ai dipendenti del gruppo per contare sul salario futuro, sempre che la conferma del sequestro dei rotoli (valore commerciale un miliardo di Euro) non spinga l’azienda ad esacerbare lo scontro minacciando nuovamente la sospensione del pagamento degli stipendi del mese di Gennaio, alimentando manifestazioni nelle piazze tarantine e genovesi.
    In questo scenario, il linguaggio della Procura diventa incomprensibile per chi può parlare solo quello della busta paga che è affitto, mutuo, cibo, bollette e spesso figli a casa che studiano o sono disoccupati. In questi termini non c’è spazio per la comprensione delle faccende giudiziarie. La famiglia agli arresti è vittima, agli occhi di molti, di una magistratura ostinata, intenta a voler spezzare le gambe alla proprietà e ad annientare la filiera siderurgica italiana. Le trasmissioni televisive diventano di parte, i dati epidemiologici sono taroccati, la giustizia italiana ingiusta, incapace di comprendere che la legge 231 non è ad aziendam ma tutela i ventimila e oltre posti di lavoro. Questo – in estrema, edulcorata sintesi – il pensiero dominante dei ventimila che dal siderurgico e dalla proprietà dipendono. Nessuno di loro ha tempo per immaginare scenari diversi, per cogliere i limiti di una legge che politica, governo, sindacati, dichiarano essere la migliore delle leggi possibili. E nemmeno di giudicare articoli di stampa nei quali è scritto che “gran parte del tesoro dei Riva è all’estero” e “che la cassaforte del gruppo è in Lusserburgo dove esiste una fitta rete di società controllate”.
    Nonostante il contesto, anche quest’anno Guido Rossa è stato giustamente ricordato all’Ilva di Genova. L’anniversario del suo assassinio scandisce il tempo che passa sullo stabilimento e su tutto il Gruppo Ilva, e su quanto si doveva e poteva fare e non si è fatto, principalmente per indolenza. Da trentaquattro anni.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)