Categoria: Blizquotidiano

  • OLI 390: TEATROGIORNALE – Evasione

    Corro, sono anni che sono rimasto rinchiuso.

    La cella, i guardiani, il cibo schifoso, gli occhi dei compagni: non posso più vedere quello sguardo rassegnato, quei movimenti languidi, quelle caviglie gonfie. Libero, giustamente, meritatamente libero perché io ho lottato.

    Niente più compagni di lavoro infidi, serpenti a sonagli pronti a morderti se solo ti avvicini troppo; altri invece erano apertamente aggressivi, feroci: tirano fuori gli artigli per ogni minima sciocchezza. Libero.

    Non devo far vedere che sto’ scappando, devo muovermi in maniera disinvolta, come se niente fosse: un passo dopo l’altro e poi via, di corsa dietro quel muro. Appiattirmi e nuovamente ricominciare a camminare, guardando di qua e di là in maniera disinvolta.
    Disinvolta, disinvolta…. Non ci riesco.

    Io, io me lo ricordo quello che ho lasciato qua fuori, lo so, me lo sono ripassato nella memoria per trenta lunghi anni, una forma di lotta silenziosa e tenace: ricordare, sforzarsi di non dimenticare: ogni notte prima di addormentarmi io ripensavo a quello che c’era fuori, l’ho sognato, l’ho immaginato, ho pianto di nostalgia e ora?
    E ora sono fuori ma questa terra non è la mia terra, è diversa, è più dura, più grigia.
    Provo ad appoggiarmi a queste piante ma si piegano e fanno un rumore strano, alcune poi si spostano. Non sono piante sono pietre colorate che si muovono da sole! No, queste non me le ricordavo proprio. Gli alberi hanno i tronchi lisci e delle foglie luminose. Provo ad odorarne una ma puzzano. Diciamo che puzza un po’ tutto qua intorno e non ci sono corsi d’acqua. Forse è una savana?
    Attorno a me le pietre si fermano ed escono dei tipi che mi ricordano i guardiani, meglio telare.
    Sento odore d’acqua, non ne sento il rumore, non so se è per colpa del frastuono creato da queste rocce mobili o a causa della musica assordante che mettevano i guardiani durante le ore di lavoro.
    C’era una canzone che non era male, faceva più o meno così: “non importa quel che muovi e allora muovi! tatattattatta e allora muovi!” . Questa musichetta mi fa ballare il naso, una volta che mi prende poi…

    Aspetta, aspetta, devo trovare la strada di casa, non mi devo distrarre: odore d’acqua. Ma queste montagne io non me le ricordo. Il mondo è così cambiato in trent’anni? Ci sarà ancora qualcuno ad aspettarmi? E soprattutto dove? Acqua e… che cosa è questo odore? Un odore dolce, verde diverso da questa puzza che mi invade le narici. Ci sono delle strane grotte sempre piene di quegli esseri… li schiaccio o li soffio via, o li sposto con una mossa di quelle ….”tatattattatta e allora muovi! ” No, no, non li schiaccio che iniziano tutti a urlare… che male alle orecchie! Arrivano a fare degli ultrasuoni.
    Verde, c’è una grotta piena di verde, vorrei provare a prenderne un po’, sembra meglio della sbobba della galera. Perché urlano sempre questi umani? Io provo a soffiarli via, via, via sparite.
    Io voglio solo tornare a casa ma qui non c’è più una casa per me. Qui non c’è più nessuno che mi conosca, che si ricorda chi io sia. Voi siete ovunque ma non parlate con me, non mi vedete. Chi sono io per voi? Un animale da circo, una cosa grossa di cui ridere per mezz’ora. Io sono, io esisto perché ho dei ricordi, ho una storia ma se voi mi togliete anche questo, cosa rimane? Una pelle ruvida con due zanne d’avorio. Via, via, volate via. Vi siete presi tutto, anche il mio ricordo del mondo e cosa mi avete dato in cambio? Puzza, grigio e rocce mobili. Vorrei urlare, uccidervi tutti a furia di “tatattattatta e allora muovi! ” ma a cosa servirebbe? A nulla, solo a farvi urlare più forte.

    Mi state accerchiando, ora inizierete a sparare le vostre siringhe dormiglione? No, vi avvicinate? Mi arrendo, non c’è nulla qua fuori per me, chiudo gli occhi, rimettetemi le manette, riportatemi in cella, domenica sarò di nuovo in pista, solo un po’ più triste, solo un po’ più solo: ora so che non ho più un luogo dove tornare.

    Da blizquotidiano: Elefante fugge e passeggia per Roma: ripreso al mercato di Ponte di Nona.

    (Arianna Musso- video da internert)

  • OLI 376: TEATROGIORNALE – Un postino sull’orlo di una crisi di nervi

    X IL POSTINO:
    NON CIO UN EURO
    RIPRENDILA, SE TI CHIEDONO
    QUALCOSA, NON MI HAI VISTO!

    Da blizquotidiano.it: Caro bollette: i prelievi “parafiscali” valgono tre Imu

    Giovedì mattina, Via San Luca, Genova. Arrivo con il mio motorino bianco, la mia giacca gialla, il mio casco, la mia borsa. Sento il peso degli sguardi oltre le vetrine, le preghiere che mormorano a labbra strette. Sento il silenzio che si crea quando mi fermo. Le occhiate furtive dietro il bancone o un paio d’occhi persi nel vuoto. Quando ero al liceo anch’io facevo così durante le interrogazioni: per paura di sentire il mio nome facevo finta di non esistere, smettevo di respirare.
    Cosa sono diventato? Un avvoltoio, no, io non mi cibo dei cadaveri. Alcuni non lo sanno cosa vuol dire il mio arrivo, credono che io sia il piccione viaggiatore e mi accolgono sorridendo:
    – Ehi Gianni, come va oggi? Tutto bene?
    E io non voglio deluderli e quindi sorrido e con non-chalance gli porgo la raccomandata da firmare. E’ la prima, poi ci sarà una seconda, una terza, infine arriverò con mazzette da cinque, sette raccomandate per volta. E smetteranno di sorridermi e io entrerò scusandomi perché ormai mi avranno riconosciuto per quello che realmente sono: un messaggero di sventura.
    Dovrei arrivare su una Harley nera, coi teschi sul giubbino, dovrei avere una falce disegnata sull’elmo, non una PT.
    – Ancora qui?
    Mi chiede sarcastica una ragazza bionda, sarà lei la prossima a tirare giù la saracinesca.
    Quando saranno abbassate tutte le serrande da chi andrò?
    Voglio tornare ad essere una colomba: voglio portare lettere profumate, auguri in carte decorate.
    Le donne sono sempre le più toste, fino all’ultimo cercano una soluzione:
    – Se rateizzo la bolletta del gas magari ce la faccio, se licenzio tutti i miei collaboratori magari ce la faccio, se Equitalia non si fa sentire il prossimo mese magari ce la faccio, se mi pagano i crediti due o tre clienti magari ce la faccio, se tolgono l’IMU magari ce la faccio…
    Come se l’Imu fosse il problema, come se la rateizzazione fosse la soluzione e come se Equitalia potesse sparire chiudendo gli occhi.
    Le donne stringono i denti credendo di poter affrontare quel mostro senza nome che le porta via tutto, gli uomini si rassegnano prima e vanno al bar a giocare alle macchinette.
    Io vi ho visto nascere, crescere e morire. Conosco tutto di voi, chi siete, chi amate, i vostri bambini, i vostri peccati ma una volta chiusi non vi potrò più ritrovare. Molti stanno partendo, ritornano in Senegal, Brasile, Marocco, Egitto. Dove andrete non ci sarà più il Gianni, con la sua motoretta bianca, il suo casco, la giacchetta e ne sarete felici. Un incubo lui nonostante.
    Forse non dovrei fermarmi, forse dovrei andare avanti. Forse non dovrei rendermi complice anch’io di questo suicidio di stato. Scusate, l’angelo della morte dà le dimissioni, trovatevi un altro gufo.
    Il postino Gianni non si fermò davanti alla libreria, non si fermò davanti al rivenditore di sigarette elettroniche, non si fermò davanti al rivenditore di caffè di via del Campo, andò dritto fino a porta dei Vacca e lì non vide il semaforo rosso.
    (Arianna Musso – foto da internet)

  • OLI 367: TEATROGIORNALE – L’ultima corsa

    Immagine da internet

    Da BlizquotidianoCorreva nudo in autostrada

    Un ragazzo dalla pelle chiara, muscoloso anche se non grosso, corre nella notte. I piedi nudi si appoggiano ritmicamente sulla linea bianca tratteggiata sull’asfalto. Attorno guardrail, oltre vi sono campi piatti circondati di buio.
    Il ragazzo nudo corre sull’asfalto e non pensa a nulla. Un piede dopo l’altro. Quando i piedi sono entrambi sospesi in aria, a volte chiude gli occhi. Inspira. Sono brevi istanti di stupore in questa fuga silenziosa, inesorabile. Il pene sbatte tra le cosce; gli occhi sono rivolti verso il nero orizzonte. Nonostante il freddo il ragazzo inizia a sudare. Corre.
    Davanti a lui arriva una luce. Lui guarda la luce e continua a correre. Non aumenta il ritmo, non si ferma. Un piede dietro l’altro, una striscia bianca in mezzo all’autostrada. La luce è vicina, così vicina che non può non vederlo. Ispirando alza entrambi i piedi da terra, per un istante chiude gli occhi. Riappoggia il piede destro sull’asfalto che subito si risolleva: sbatte la testa contro il parabrezza che esplode.
    Il ragazzo nudo vola in alto e cade in un campo distante diversi metri. La macchina continua a correre tra un guard rail e l’altro fino a che il rumore della carrozzeria è sovrastato dalle urla sorprese di chi ha rischiato la vita.
    Oltre la strada, nel buio, un battito d’ali si specchia negli occhi chiari del corridore nudo e il suo cuore smette di pulsare.
    (Arianna Musso – immagine da internet)