Categoria: lavoro nero

  • OLI 389: CITTA’ – Dieci anni dalla morte di Albert Kolgjegja

    L’8 novembre cade il decennale della morte di Albert Kolgjegja. Una targa all’interno del Galata – Museo del mare, ricorda l’operaio albanese che perse la vita nel crollo delle solette di cemento dell’edificio, nel cantiere che lavorava per concludere i lavori per l’inizio del 2004, e per Genova capitale europea della cultura.

    Albert aveva trent’anni ed era figlio del medico di Lura, ma aveva deciso di non seguire la strada del padre per non gravare sulla famiglia durante gli studi. Aveva passato la frontiera attraverso la Grecia ed era arrivato in Italia da Corfù, dopo aver pagato tre milioni di lire agli scafisti.
    Dal 2000 aveva deciso di vivere a Genova, dapprima lavorando nei cantieri stradali (di notte, però: essendo clandestino, la ditta che lo aveva assunto pensava fosse più prudente), poi – una volta ottenuto il permesso di soggiorno – come muratore nei cantieri edili.

    Albert aveva iniziato a lavorare al Galata, attraverso la Impreval, ditta bergamasca che aveva in subappalto cantieri della Carena e della Cemedile. La Impreval, grossa azienda con cinquemila dipendenti, aveva molta fretta di finire. Per trovare operai e terminare il lavoro, raccontò uno dei colleghi di Albert, non andava per il sottile: “Lavoravamo senza sicurezza e in nero, a sei euro l’ora, ci chiedevano solo la fotocopia del permesso di soggiorno. Se ce l’avevi, potevi lavorare, non ti chiedevano altro”. “Volevano accorciare il tempi, abbiamo disarmato la soletta troppo presto, il cemento era ancora fresco”.

    Albert quindi da Lura in Albania finì a lavorare a 6 euro l’ora in nero al Galata, fino a che una mattina (era un sabato) un ammasso di cemento e macerie lo seppellì. Il suo regolare contratto di lavoro gli fu spedito il 10 novembre 2003, due giorni dopo la sua morte.
    Tanti altri operai rimasero feriti, ma fuggirono dopo l’incidente e si fecero medicare in incognito negli ospedali genovesi.
    Ci furono numerosi indagati, fu nominata una commissione d’inchiesta e designato un commissario straordinario per la lotta al lavoro sommerso.

    Il Galata fu inaugurato a fine luglio 2004: oggi ospita anche il Mem, museo delle migrazioni.
    Una cerimonia al MuMa ricorderà il decennale, l’8 novembre alle 18, alla presenza del console onorario d’Albania.

    (Eleana Marullo)
  • OLI 340: IMMIGRAZIONE – Permesso di soggiorno e riforma del lavoro

    Con il disegno di legge della riforma del mercato del lavoro, il governo interviene ancora positivamente sull’immigrazione. Dopo aver trasformato, con il decreto Salva – Italia,  in provvedimento legislativo la buona prassi amministrativa sulla validità della ricevuta della richiesta di rinnovo o rilascio del permesso di soggiorno (ad esempio per poter avere un regolare contratto di lavoro), ora il governo interviene per rafforzare la regolarità del permesso di soggiorno con l’obbiettivo di contrastare il lavoro nero. L’art. 58 del Disegno di legge di riforma del mercato del lavoro raddoppia la durata minima del periodo di disoccupazione che garantisce la regolarità del permesso di soggiorno riportandola da sei mesi ad un anno. E nel caso che il lavoratore straniero percepisca una prestazione di sostegno al reddito (indennità di disoccupazione, ecc.), tale periodo si estende per tutta la durata della prestazione. Inoltre è prevista la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno anche in assenza di contratto di lavoro, a condizione che lo straniero dimostri la disponibilità di un reddito sufficiente proveniente da fonte lecita. Ciò è quanto movimenti, sindacati, associazioni andavano proponendo da tempo per un efficace contrasto alla clandestinità e al lavoro nero.
    Si tratta di provvedimenti positivi, razionali e di buon governo dopo molti anni di irrazionalità, demagogia e malgoverno. La norma di legge che viene ora emendata dall’art. 58 ha prodotto nel solo 2010 684.413 permessi di soggiorno non rinnovati (Dossier Caritas 2011). Ogni anno centinaia di migliaia di persone regolari vengono costrette alla clandestinità ed al lavoro nero dopo sei mesi di disoccupazione in un paese a corto di risorse e già fortemente colpito dall’evasione fiscale e contributiva. Ci sarebbero molti altri provvedimenti di consolidamento della regolarità del soggiorno e di ampliamento dei diritti di cittadinanza, che avrebbero un effetto moltiplicatore sulla possibilità dei migranti di contribuire alla crescita del Paese: occorre ad esempio modificare la norma del Testo Unico sull’immigrazione che lega la durata del permesso di soggiorno alla durata del contratto di lavoro. Non è infatti razionale né rispettoso delle persone immigrate costringerle alle lunghe e costose pratiche burocratiche di rinnovo del permesso di soggiorno ad ogni scadenza del contratto di lavoro che può avvenire ogni tre mesi.
    (Saleh Zaghloul)