Categoria: OLI 386

  • OLI 386: PAROLE DEGLI OCCHI – Urla tra i sassi

    (Matera, agosto 2013 – Foto di Giovanna Profumo)
  • OLI 386: COMUNE – Le partecipazioni per le partecipate

    Un “matrimonio” tra pubblico e privato per salvare la situazione, con le “partecipazioni” inviate al Consiglio comunale in una delibera di fine luglio. Così il sindaco Doria ha finalmente calato la maschera, e si è allineato alle richieste che una parte preponderante del Pd sta avanzando da tempo, a cominciare dalla prima delibera Amt del giugno 2012, dove si dava mandato alla giunta di pensare ad una possibile entrata dei privati nella compagine sociale.
    Dopo un anno esatto la richiesta si allarga alle principali aziende quali Aster, Amiu, quest’ultima tra l’altro in attivo di bilancio, arrivando al progetto di alienazione totale su quanto considerato non strategico, ossia Bagni Marina – l’azienda che governa i bagni comunali – e sulle farmacie comunali. Naturalmente la mano nera colpisce ma ritrae l’artiglio, lasciando l’ingrato compito di presentare la cosiddetta “delibera partecipate” al Consiglio comunale a firma del Sindaco stesso e dell’assessore al bilancio e alle partecipate Miceli, Lasciando fuori una catastrofe come Fiera di Genova, anzi interessata da un’azione di salvataggio multimilionaria piuttosto strana ed effettuata sul filo della legalità (si parla di 40 milioni di euro, con l’affidamento al comune del padiglione blu che Fiera non riesce a pagare). Ma anche salvando Sportingenova da un palese fallimento: con i suoi 15 milioni di euro di debito accumulato non pagando le bollette, sarà chiusa, ma non prima di aver ricomprato gli impianti sportivi cedendo parte degli immobili di proprietà del Comune in uno scambio immobiliare che qualcuno in giunta ha definito a “costo zero”: davvero incredibile. Per Sportingenova la delibera viene fatta poi passare in Consiglio con un voto della maggioranza, senza aver avuto modo di leggere i bilanci, chiesti e richiesti e apertamente negati dalla Giunta in più occasioni.
    Dopo un’opposizione ferrea del Movimento 5 Stelle, che con più di 600 emendamenti e ordini del giorno presentati ha consentito di rimandare la delibera delle privatizzazioni al primo Consiglio comunale di settembre, seguito del successivo ritiro della stessa da parte della Giunta con la promessa di ripresentarla dopo una serie di consultazioni con OOSS e dirigenze, ci si aspetta adesso a giorni che ricompaia in commissione per la discussione e la “chiamata in aula”, atti istituzionali obbligatori.
    A seguito di questo ritardo favorevole, il M5S si è organizzato, invitando al confronto le OOSS, la dirigenza, ma anche direttamente i lavoratori e, novità assoluta per il Comune di Genova, i cittadini utenti. Fino ad oggi si sono susseguiti diversi incontri, tra i consiglieri cinquestellati e molte delle parti invitate, consentendo di chiarire i rispettivi punti di vista, talvolta fortemente contrari alla privatizzazione anche da parte della dirigenza, altre volte allineati con le direzioni della Giunta. Il punto di vista del M5S è quello di convincere l’amministrazione, tra le altre cose, che considerare Farmacie comunali e Bagni marina aziende non strategiche e quindi certamente cedibili è un grave errore sociale, che porterà conseguenze negative per i cittadini, aumenti di tariffazione, riduzione di servizi scomodi dal punto di vista commerciale ma necessari per il sostegno sociale a chi fosse più in difficoltà. E naturalmente di non privatizzare, visto che è ormai certo che si andrebbe incontro a tagli del personale, e alla formazione delle solite “bad company” che resterebbero a carico del Comune per salvare posti di lavoro rifiutati dai privati, i nuovi patron anche con la minoranza delle azioni, grazie agli inevitabili patti parasociali: vedi Ami e Amt ai tempi dell’ingresso dei francesi.
    Pubblicheremo i documenti del Consiglio man mano che perverranno alla redazione, per consentire ai lettori di seguire questo ennesimo capitolo nefasto della storia di Genova.
    Intanto, ecco la delibera di Luglio.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 386: IMMIGRAZIONE – Il sogno americano sarà mai italiano?

    “Rachid il laureato”, titolava così pochi giorni fa Repubblica e i Tg hanno dedicato gioiosi servizi alla storia del giovane marocchino, 26 anni, arrivato quattordici anni fa con i fratelli e laureatosi al Politecnico di Torino, vendendo accendini e fazzoletti. I compagni stralunavano ad incontrarlo fuori dalle aule, ma poi è diventato uno di loro, la gioventù non è così classista.

    Un vanto per la nostra Università, frequentata da 66 mila stranieri, di cui 52 mila extracomunitari, un bel traguardo per il ragazzo immigrato e anche per il Bel Paese perché significano nuova linfa, nuovi talenti, che diventeranno parte della nostra società, così vecchia e così giovanilmente “ignorante”per competenze alfabetiche, secondo l’Ocse in coda ai Paesi occidentalizzati.
    Il Sole 24 ore, nel suo inserto di Economia e Società del 29 settembre, pochi giorni prima di Lampedusa, dedicava una pagina  “all’immigrazione che fa profitti”, gli immigrati sono anche produttori e consumatori. Provocatorio e un po’ “leghista”,  l’articolo analizzava invece pacatamente il saggio di Alvaro Vargas Llosa “Global Crossing:immigration, civilization, and America”: riguardo l’immigrazione non c’è nulla di nuovo e nulla da temere, si sottolineava, se non i luoghi comuni.
    Oggi l’immigrazione internazionale pesa per il 3% della popolazione mondiale e la questione islamica ne riguarda una percentuale modesta,  mentre l’argomento migliore su cui giocano i “chiusisti” è l’idea che la ricchezza, ovvero l’occupazione, sia una torta da fare a fette, ogni lavoro ad un immigrato sottrae pane ad un lavoratore autoctono. Ma, rileva l’autore, se così fosse, come mai negli Usa dal 1950 fino alla crisi del 2008, quando si è triplicata la forza-lavoro composta pure da tanti  immigrati, non si era mai registrato alcun aumento a lungo periodo nel tasso di disoccupazione?
    Si dirà poi che gli immigrati competono in prevalenza per lavori a bassa specializzazione, vanno a danneggiare una categoria di lavoratori fra i più deboli; ma sostiene Vargas, “gli immigrati hanno quasi per definizione spirito imprenditoriale”: un sesto delle start up  statunitensi è sorto per iniziativa di un americano di prima generazione. Cita esempi illustri, come Sergey Brin di Google, che lasciò la Russia da bambino, Pierre Omidyar, fondatore di Ebay, figlio di immigrati iraniani, Jerry Jang, di Yahoo, arrivato da Taiwan.
    Nel nostro Paese una larghissima maggioranza di nuovi imprenditori sono stranieri, anche sotto casa vediamo tanti negozi di frutta e verdura un tempo spariti e ora riaperti da immigrati, che cercano una chance di vita dignitosa, aiutano la nostra economia. Eppure in Italia ci vogliono fino a ventiquattro mesi per ottenere lo stato di rifugiato, e aridi, realistici conti rilevano che un rifugiato costa trenta euro rispetto ai centosedici di un detenuto.
    Curiosamente, nell’Europa, che pure considera la libertà di movimento uno dei suoi pilastri, solo un europeo su dieci è nato da genitori stranieri: al di là della pietas per il cimitero del mare, forse siamo noi del civile Antico Continente i veri chiusisti.
    (Bianca Vergati – foto di Giovanna Profumo)

  • OLI 386 – G8 DI GENOVA: Per non archiviare Carlo

    Giuseppe Filetto l’immagine simbolo di quei giorni di luglio non l’ha più voluta guardare. Ha cercato di non soffermarcisi, passando oltre. E’ la fotografia di Carlo Giuliani ammazzato, la scena che si è ritrovato davanti lui, quando, con due medici, è arrivato in piazza Alimonda . Filetto per fare il suo mestiere di giornalista si era travestito da infermiere della croce rossa ed aveva girato su un’auto medica per tutto il giorno.
    Quella, ha spiegato, è la foto “della cronaca di una morte annunciata, iniziata la mattina del 20, alle undici circa. Eravamo in Piazza Paolo da Novi e abbiamo visto che una ventina, una trentina di giovani avevano iniziato smontare le impalcature di un cantiere edile, a smontare le inferriate di un’aiuola, a riempire gli zaini di pietre, e dall’altra parte della piazza c’erano un centinaio, forse più, di carabinieri, polizia che guardavano e non intervenivano e ci chiedevamo per quale motivo stesse succedendo questo. Poi lo abbiamo capito al pomeriggio, dopo le 17.25, perché stava succedendo questo. L’abbiamo capito quando poi il corteo dei Cobas è stato invece caricato, mentre venti giovani che smontano le impalcature non vengono minimamente disturbati, poi un corteo dei Cobas viene caricato un’ora dopo”.
    Inquadrature, testimonianze, filmati, atti, vengono rievocati per ricostruire la trama della tragedia che ha segnato l’apice dell’assedio di Genova sotto il G8. E sono raccontati ai genovesi che il 3 ottobre, al Centro documentazione Carlo Giuliani, sono venuti per la presentazione del libro “Non si archivia un omicidio”, scritto da Giuliano, padre del ragazzo. Scritto perché la foto della cronaca non si può archiviare e per restituire al figlio “attraverso tutta la documentazione, la verità”.
    Un libro per denunciare “le singole persone” e la logica che non ha voluto celebrare il processo, una logica determinata “dal voler togliere da mezzo la cosa più grave accaduta in quei giorni e cioè l’uccisione di un ragazzo”.
    Giuliani descrive un clima, individua le responsabilità di chi era in piazza Alimonda racconta di pubblici ministeri che non hanno fatto il loro dovere, chiedendo l’archiviazione sulla base di una consulenza che sosteneva “l’invenzione” dello “sparo per aria” “che ha incrementato il giudizio di legittima difesa”. Ma ci si chiede anche perché Placanica, già stordito dai lacrimogeni viene fatto salire sulla camionetta e portato in giro per Genova armato.
    Parallele a piazza Alimonda e alla morte di Carlo corrono altre vicende giudiziarie del G8 come la Diaz – per la quale ci sono voluti otto anni prima che Michelangelo Fournier dichiarasse che si era trattato di “macelleria messicana” – ma che è arrivata a sentenza, grazie a pubblici ministeri adeguati e alla prova regina, “un filmatino di quindici secondi che mostra” i rappresentanti delle forze dell’ordine con le molotov, il falso in atto, moltov per le quali le vittime della Diaz si sarebbero prese “oltre alle botte” anche quattordici anni di carcere, per terrorismo.
    “Non si archivia un omicidio” dice il padre di Carlo è un libro che “può servire ai pigri” che allora si sono fermati a quanto raccontato in televisione e che oggi vogliono andare oltre. Ma è anche un libro che si rivolge a chi, in questa Italia tragica e desolante, vuole fare della legge la propria professione.
    (Giovanna Profumo – immagine da internet)