L’Italia sta acquistando 130 aerei militari f 35.
Il costo sarà di 15 miliardi di euro (senza contare i costi di manutenzione.)
•      Sono aerei da bombardamento, potenzialmente capaci di trasportare ordigni nucleari. L’Italia non dovrebbe possederne alcuno, perché la Costituzione vieta la guerra di aggressione (e questi aerei non servono certamente a difendere il suolo dell’Italia); e perché ha firmato il trattato di non proliferazione nucleare.
•      Il Canada ha già rinunciato ad acquistarli per la loro inaffidabilità tecnica; nessuna penale è a carico di chi decida di rinunciare all’acquisto.
•      Un tenace movimento di opposizione cerca di impedire questa spesa immorale ed insensata. Il parlamento vota una blanda ed ambigua mozione che subordina ogni ulteriore acquisto ad una discussione parlamentare; ma il presidente della Repubblica Napolitano riunisce il Consiglio Supremo di difesa ed esautora il parlamento.
•      I favorevoli all’acquisto, tra le altre motivazioni, accampano quella dei posti di lavoro che la costruzione degli aerei in corso a Cameri, (Novara)  creerebbe. E’ facile rispondere loro che un’analoga spesa nell’istruzione, nell’arte e nel sociale creerebbe altrettanti o più posti di lavoro, in maniera eticamente più accettabile. Abbiamo deciso di rendere “visibile” l’insensatezza di questa spesa e di solidarizzare con le iniziative in programma in questi giorni a Cameri. Mercoledì 17 luglio consegneremo simbolicamente ad altrettanti enti ed associazioni “un pezzo” di f35: per esempio  un’ala (5 milioni di euro), la fusoliera (10 milioni di euro), il radar ( 10 milioni di euro), il casco del pilota (430 000 euro), il propulsore (30 milioni di euro); siamo certi che ne faranno buon uso. A riceverlo, saranno lavoratori/ trici e rappresentanti degli enti interessati.   Gli orari che seguono hanno valore indicativo, e potranno subire variazioni che comunicheremo tempestivamente:
Mercoledì 17 luglio consegneremo simbolicamente ad altrettanti enti ed associazioni “un pezzo” di f35: per esempio  un’ala (5 milioni di euro), la fusoliera (10 milioni di euro), il radar ( 10 milioni di euro), il casco del pilota (430 000 euro), il propulsore (30 milioni di euro); siamo certi che ne faranno buon uso. A riceverlo, saranno lavoratori/ trici e rappresentanti degli enti interessati.   Gli orari che seguono hanno valore indicativo, e potranno subire variazioni che comunicheremo tempestivamente:
•      Ore 13.30: consegna di “un pezzo di f 35” all’ospedale Gaslini (appuntamento di fronte all’ingresso principale, via Gerolamo Gaslini) •      Ore 14.30: consegna di “un pezzo di f 35” all’ospedale San Martino, all’IST ed alle facoltà scientifiche dell’università ( appuntamento di fronte al Pronto Soccorso dell’ospedale)
 •      Ore 15.30: un pezzo al teatro dell’Archivolto ( appuntamento di fronte all’Archivolto, piazza Gustavo Modena 3)
 •      Ore 16.30: un pezzo ciascuno a realtà di volontariato e di solidarietà che operano in centro storico: Centro antiviolenza di salita Mascherona, ambulatorio internazionale Città aperta, comunità di San Benedetto ed altre. ApPuntamento presso l’ambulatorio di Città aperta, vico del duca 37 
•      Ore 17.00: un pezzo ad Emergency, ed un pezzo alla consulta per l’handicap. Appuntamento presso l’info point di Emergency, sottopasso della metropolitana piazza De Ferrari
•      Ore 17.30: un pezzo al teatro Carlo Felice ed uno ai vigili del fuoco. Appuntamento di fronte al teatro Carlo Felice  La manifestazione si concluderà  dalle 18 alle 19 sui gradini del palazzo ducale con la 581° Ora in silenzio per la pace”,http://www.orainsilenzioperlapace.org/ durante la quale verranno  illustrate ai passanti le motivazioni dell’iniziativa.
Coordinamento genovese NO F 35  
Categoria: Pace
- 
		
		LE CARTOLINE DI OLI – F35 Vuoi un’ala? Vuoi una ruota? Vuoi il casco del pilota?
- 
		
		OLI 379: CITTA’ – Una bandiera di ombrelli per Don GalloAl funerale del Don c’erano tanti bambini. E un mare di ombrelli sotto il diluvio che formavano una bandiera della pace lungo tutto il percorso, una bandiera di cerchi rotondi, riconoscibile dall’alto. 
 Nella piazzetta antistante la chiesa del Carmine – durante la messa – i bambini parlottavano, stavano in braccio, sulle spalle. Applaudivano. Uno aveva fame e il padre lo ha allattato. Aveva smesso di piovere e sembrava di essere in gita quando esce un po’ di sole.
 Al funerale del Don c’era uno striscione dell’associazione culturale “L Ghirù” di Sondrio e accenti da tutta Italia, insieme ai pugni alzati e mani in preghiera.
 Al funerale del Don un’amica mi ha detto che no, Bagnasco per la morte di Don Balletto si era dato alla fuga, ma oggi il vescovo e quelli come lui “non lasciano niente… si prendono tutto, si prendono anche Andrea…” Al funerale del Don, Basso e Tullo si sono detti contenti dei manifesti che come “democratici” hanno fatto affiggere in città per la morte del Gallo, che forse, sui manifesti avrebbe pensato la stessa cosa dei fiori: non li avrebbe voluti.
 Al funerale del Don sembrava che una fetta di città fosse stata rubata. Qualcuno ha detto: “stiamo perdendo i pezzi”.
 Gli unici fiori, quelli stampati sulla borsa della spesa di una signora.(Giovanna Profumo – foto dell’autrice) 
- 
		
		OLI 353: ESTERI – Guerra tribale e di religione negli USA di ObamaSecondo il New York Times di ieri, i capi di quindici Chiese cristiane americane hanno scritto una lettera al Congresso invitandolo a riconsiderare la concessione di aiuti a Israele accusato di violazioni dei diritti umani. La lettera ha indignato i capi religiosi ebrei americani che hanno minacciato di bloccare il dialogo ebraico cristiano e gli sforzi di lunga data per costruire relazioni interreligiose. I leader cristiani affermano che la loro intenzione era quella di mettere sotto i riflettori la situazione palestinese ed i negoziati di pace tra palestinesi ed israeliani, oggi in stallo. Tutta l’attenzione alla politica in Medio Oriente – dicono – sembra oggi incentrata sulla Siria, la primavera araba e la minaccia nucleare iraniana. “Abbiamo chiesto al Congresso di trattare Israele come farebbe con qualsiasi altro paese – ha detto il Rev. Gradye Parsons, l’alto funzionario della Chiesa Presbiteriana (USA) – per essere sicuri che il nostro aiuto militare stia andando ad un paese che abbraccia i nostri valori come gli americani e che non sia utilizzato per continuare a violare i diritti umani degli altri.” I leader ebrei hanno visto l’iniziativa dei capi delle chiese cristiane come un tradimento epocale ed hanno annunciato che non parteciperanno alla riunione di dialogo ebraico – cristiano da tempo prevista per il Lunedì prossimo. In una dichiarazione, i capi religiosi ebraici, hanno definito la lettera dei gruppi cristiani come “un passo troppo lungo” ed un segnale di “vizioso anti-sionismo”.
 (Saleh Zaghloul)Il link all’articolo del New York Times di ieri: 
 http://www.nytimes.com/2012/10/21/us/church-appeal-on-israel-angers-jewish-groups.html?_r=0Il testo della lettera dei quindici capi religiosi cristiani americani 
 http://globalministries.org/news/mee/pdfs/Military-aid-to-Israel-Oct-1-Final.pdf
- 
		
		OLI 352: ESTERI – Osservatori internazionali per garantire la raccolta delle olive palestinesiI coloni israeliani continuano la loro aggressione contro i contadini palestinesi e contro i loro uliveti. Nei giorni scorsi i coloni hanno sradicato centinaia di alberi, ne hanno incendiato altri ed hanno rubato i raccolti degli alberi vicini agli insediamenti ebraici. E’ quanto scrive Hanan Ashrawi del Comitato Esecutivo dell’OLP nella sua lettera, di domenica scorsa, alle missioni diplomatiche in Palestina nella quale chiede di inviare osservatori internazionali nei territori palestinesi occupati per osservare i campi di ulivi, e porre fine al terrorismo organizzato dei coloni israeliani nei confronti dei contadini palestinesi, delle loro coltivazioni e proprietà. 
 “Il popolo palestinese – ha scritto Ashrawi – in concomitanza con la stagione di raccolta delle olive, durante la quale crescono gli attacchi violenti contro i nostri villaggi ed i nostri campi, vi chiede di inviare osservatori in tutte le aree di raccolta a rischio, per proteggere la nostra gente e documentare le violazioni dei coloni e dell’esercito israeliano. Siamo sicuri che la vostra presenza impedirà altri atti di violenza”.
 Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, gli attacchi contro i palestinesi con conseguenti lesioni a persone o danni alle proprietà sono aumentati del 32 per cento nel 2011. L’anno scorso – ha scritto Ashrawi – i coloni israeliani hanno distrutto 7.500 alberi di ulivo, e nel solo mese scorso hanno sradicato 300 alberi nei villaggi di Turmus’ayya e al-Mughir, hanno tagliato 120 alberi nella città di Nablus, hanno distrutto 100 piantine di ulivo nel villaggio di al-Khadr, hanno sradicato 40 alberi a Ras Karkar ed hanno aggredito tre contadini finiti in ospedale e ferito un altro.
 Il tutto avviene con la complicità delle forze di occupazione israeliane con i coloni. “L’esercito d’occupazione israeliana – ha detto Ashrawi – aiuta e sostiene i coloni aggressori, invece di difendere palestinesi vittime del terrorismo.” Ashrawi ha chiesto alla comunità internazionale di costringere Israele, la potenza occupante, a rispettare la Quarta Convenzione di Ginevra, ed ha detto: “visto il sostegno del governo israeliano ai coloni, e il suo rifiuto di consentire all’Autorità nazionale palestinese di proteggere il nostro popolo inerme, in particolare nei territori occupati denominati (B, C), la nostra gente vi chiede di prendere urgenti misure internazionali per garantirne la sicurezza”.
 (Saleh Zaghloul – immagine da internet)
- 
		
		OLI 313: Il presidente dell’OLP chiede all’ONU il riconoscimento dello Stato di PalestinaIl presidente palestinese Abu Mazen all’ONU: ” I nostri sforzi non hanno lo scopo di isolare o delegittimare Israele. (…) Perché crediamo nella pace, per la nostra convinzione nella legittimità internazionale, perché abbiamo avuto il coraggio di prendere decisioni difficili per il nostro popolo, e in assenza di una giustizia assoluta, abbiamo deciso di cercare la giustizia relativa, quella possibile, e di correggere una parte delle gravi ingiustizie storiche commesse contro il nostro popolo. Così, abbiamo deciso di costruire lo Stato di Palestina in solo il 22% del territorio della Palestina storica, sui territori palestinesi occupati da Israele nel 1967 (…). Una tale risoluzione, si presume, dovrebbe includere una riaffermazione che qualsiasi accordo finale deve includere il riconoscimento di Israele e garantire la sua sicurezza, che i due stati condivideranno Gerusalemme come capitale, e che il problema dei rifugiati palestinesi deve essere risolto. I palestinesi non useranno la loro sovranità conquistata per presentare azioni giudiziarie contro gli israeliani presso la Corte di giustizia internazionale”.Bill Clinton ex presidente degli Stati Uniti parlando giovedì scorso ai margini di una conferenza a New York : “La colpa del fallimento del processo di pace con i palestinesi è del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, non è interessato al processo di pace” http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4126490,00.html .
 Ali Rashid, italo palestinese, ex deputato italiano (indipendente nelle liste di Rifondazione Comunista): “Molti palestinesi considerano tardivo il passo coraggioso deciso da Abu Mazen di rivolgersi alle Nazioni Unite (…), l’assemblea generale dell’ONU ha già riconosciuto lo stato palestinese dichiarato da Arafat, nel 1988, con 104 voti favorevoli, due contrari e 36 astenuti. Anche secondo molti israeliani la cosa renderebbe Israele più sicura, favorirebbe la sua normalizzazione nella regione e rassicurerebbe la sua popolazione (..) Ritornerebbe così la presenza ebraica come elemento culturalmente originale e fondamentale nella storia della regione. Comunque più passa il tempo, più il costo del sostegno incondizionato alle politiche israeliane diventerà intollerabile a tutti” http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20110922/manip2pg/01/manip2pz/310332/.
 Daniel Cohen Bendit, presente alla manifestazione di centinaia di intellettuali ed accademici israeliani a Tel Aviv, giovedì scorso, a sostegno del riconoscimento dello Stato di Palestina, ha invitato i leader della protesta sociale in Israele a sostenere la causa palestinese: “Ho parlato con i leader della protesta sociale che sono diffidenti a legare le due lotte. Ma non ci può essere alcuna soluzione ai problemi sociali di Israele senza la fine dell’occupazione dei territori palestinesi” http://www.haaretz.com/news/national/israeli-intellectuals-back-palestinian-statehood-in-tel-aviv-rally-1.386215.
 Wassim Dahmash, italo palestinese, professore all’Università di Cagliari : “Il riconoscimento di uno Stato palestinese, sotto il profilo legale, è necessario ad Israele perché abbassa il tetto delle rivendicazioni palestinesi. A tutt’oggi, secondo il diritto internazionale, i profughi palestinesi hanno diritto a ritornare alle loro terre (risoluzione 194). Il riconoscimento di un “futuro” Stato palestinese limiterebbe questo diritto ai confini (virtuali) del costruendo Stato (virtuale). La proclamazione di uno Stato palestinese su una parte del territorio della Palestina mandataria renderebbe automaticamente legale l’esistenza sul rimanente territorio dello Stato coloniale tuttora illegale secondo la carta delle Nazioni Unite …” http://www.amiciziaitalo-palestinese.org/index.php?option=com_content&view=article&id=2840:uno-stato-palestinese&catid=23:interventi&Itemid=43.
 Il professore israeliano Galia Golan ha accusato la leadership israeliana del mancato accordo di pace con l’Autorità palestinese: “Avremmo potuto raggiunto un accordo dal 1988 ed è interamente colpa nostra che non l’abbiamo fatto. Nel1988, l ‘OLP ha accettato un compromesso storico. Hanno dato il 78% del territorio al fine di ottenere la pace e porre fine all’occupazione. Invece abbiamo continuato a chiedere loro altri cedimenti, ma non hanno più nulla da dare. Siamo stati noi i negazionisti in tutti questi anni. Abbas è il leader più moderato che si possa desiderare ed ha fatto bene a rivolgersi all’ONU. Noi con la nostra stupidità non andremo all’ONU insieme a lui, quando lo Stato che egli chiede ci dà un confine a est e il riconoscimento di Gerusalemme Ovest, cose che non abbiamo ancora ottenuto”, http://www.haaretz.com/news/national/israeli-intellectuals-back-palestinian-statehood-in-tel-aviv-rally-1.386215(Saleh Zaghloul) 
- 
		
		OLI 309: ISRAELE – Esportare immigrati in Australia
 Il Corriere della Sera del primo luglio, nell’articolo “Esportare clandestini: l’idea di Israele”, parla della proposta del governo israeliano a quello australiano di esportare in Australia gli immigrati africani che vivono in Israele in cambio di cooperazione tecnico–scientifica con Israele e la possibilità così per l’Australia di evitare l’obbligo umanitario di accogliere i profughi asiatici dall’afghanistan o da Timor Est. “Il governo Netanyahu – scrive il Corriere – eviterebbe (questo il vero scopo della proposta) un aumento dei musulmani nella popolazione d’uno Stato che preferisce ebraico”.Il carattere ebraico dello stato di Israele: uno degli ultimi pretesti che gli israeliani hanno inventato per bloccare le trattative di pace con i palestinesi ed impedire la nascita dello stato palestinese. Secondo i negoziatori israeliani non basta che i palestinesi riconoscano Israele (cosa che hanno già fatto dagli accordi di Oslo del 1993), ma occorre che i palestinesi riconoscano il carattere ebraico dello stato di Israele. I palestinesi temono che questo possa dare forza ai piani di pulizia etnica e di deportazione della “minoranza” di palestinesi che hanno la cittadinanza israeliana dal 1948. Stato confessionale dove la confusione tra nazione e religione viene accettata come qualcosa di normale, esattamente come vengono tollerate le aggressioni, le occupazioni di territori altrui (dei palestinesi e dei siriani dal 1967), le bombe atomiche di questo stato che si dice ebraico.In un altro articolo (http://mideast.foreignpolicy.com/posts/2011/07/05/the_million_missing_israelis) dell’americano Foreign Policy, del 5 luglio, si parla invece della forte emigrazione degli Israeliani per gli Stati Uniti ed altri paesi europei che coinvolge circa 800 mila – un milione di persone equivalenti al 13% della piccola popolazione israeliana. Si tratta, secondo il Foreign Policy, della parte più giovane, istruita, democratica e laica dei cittadini israeliani. Le ragioni citate dalla ricerca sono le migliori condizioni di vita, l’occupazione, le opportunità professionali, e l’istruzione superiore, così come il pessimismo sulle prospettive di pace con i palestinesi. Coerentemente con questi motivi, gli intervistati hanno frequentemente detto: “La questione non è per quale motivo l’abbiamo fatto, ma perché ci abbiamo messo così tanto tempo prima di farlo”. In questo caso la preoccupazione del governo israeliano è quella, opposta, di fermare l’emigrazione di ebrei da Israele: oltre a mettere in pericolo la purezza ebraica dello stato, la partenza degli ebrei israeliani contribuisce a minare l’ideologia sionista; se un gran numero di ebrei israeliani sceglie di emigrare, perché gli ebrei che sono ben integrati e accetti in altri paesi dovrebbero immigrare in Israele? Questo accade mentre persone illuminate di tante parti del mondo sono convinte che in Palestina sia necessario un unico stato laico, veramente democratico ed interculturale, dove palestinesi e israeliani, ebrei, musulmani e cristiani possano convivere in pace con pari diritti e opportunità
 (Saleh Zaghloul)
- 
		
		OLI 302: POLITICA – Obama, la pace in medio oriente non può più basarsi su accordi con uno o due dittatori arabi Nel suo secondo discorso strategico sul medio oriente, dopo quello de Il Cairo nel settembre del 2009, il presidente Obama ha affermato che “Una pace duratura tra palestinesi ed israeliani è sinonimo di due Stati con i confini del 1967. I palestinesi devono avere uno stato sovrano”. L’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen ha giudicato positivamente il richiamo di Obama ai confini del 1967 quale base di partenza di un accordo di pace, mentre il rifiuto di Israele è puntualmente arrivato con il premier israeliano Benyamin Netanyahu che ha ribadito il no a un ritiro di Israele sui confini del 1967, cioè da tutti i territori della Cisgiordania, compresi i quartieri arabi di Gerusalemme est, occupati da Israele in quella data. Nel suo secondo discorso strategico sul medio oriente, dopo quello de Il Cairo nel settembre del 2009, il presidente Obama ha affermato che “Una pace duratura tra palestinesi ed israeliani è sinonimo di due Stati con i confini del 1967. I palestinesi devono avere uno stato sovrano”. L’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen ha giudicato positivamente il richiamo di Obama ai confini del 1967 quale base di partenza di un accordo di pace, mentre il rifiuto di Israele è puntualmente arrivato con il premier israeliano Benyamin Netanyahu che ha ribadito il no a un ritiro di Israele sui confini del 1967, cioè da tutti i territori della Cisgiordania, compresi i quartieri arabi di Gerusalemme est, occupati da Israele in quella data.
 C’è da ricordare che la risoluzione n. 181 dell’Onu del 1947, riconosce ad Israele il 56% del territorio storico della Palestina e che la proposta di Obama sui confini del 1967 riconosce ad Israele il 78% di tale territorio: l’assurdo è che siano proprio gli israeliani a non essere d’accordo. Fabio Scuto su La Repubblica di Sabato 21 Maggio parla di amarezza e rabbia di Netanyahu che “considera Obama ormai quasi un suo nemico” e che non c’è dubbio che ora in poi tenterà in ogni modo di impedire la sua rielezione facendo leva sulle grandi lobby ebraiche negli States.
 Obama, dopo aver ricevuto Netanyahu, si presenta proprio davanti alla platea di una delle principali lobby ebraiche americane (l’Aipac) e fa un discorso che nella sua parte iniziale (e maggiore) non fa altro che assicurare l’appoggio ad Israele: “avere Israele forte e sicuro rientra negli interessi strategici degli Stati Uniti, che sono impegnati a mantenere la superiorità della forza militare israeliana nella regione”. Attacca l’Iran ed assicura che impedirà che si impossessi di armi nucleari, attacca Hamas e chiede che riconosca Israele, dice persino che la riconciliazione tra Hamas e Al Fatah è preoccupante. Ma è chiaro che tutto è funzionale a ribadire la linea dell’amministrazione Usa espressa nei giorni precedenti: ” i legami tra gli Stati Uniti e Israele restano indistruttibili, anche se a volte si è in disaccordo, come accade tra amici”. La novità è che “le parti coinvolte negozieranno da sole un confine diverso da quello che esisteva il quattro giugno del 1967 tenendo in conto i cambiamenti avvenuti negli ultimi 44 anni”.
 Nella seconda parte del discorso Obama ha ribadito che Israele, proprio per i suoi interessi, deve capire che la situazione in medio oriente è cambiata, che c’è una nuova generazione di giovani arabi che stanno costruendo la democrazia nei loro paesi, lottano per i loro diritti e non accettano l’occupazione, che non è più possibile rimandare la pace con i palestinesi, che non è più possibile sostenere una pace basata su accordi con uno o due dittatori arabi.
 (Saleh Zaghloul)


