Categoria: Aeroporto di Genova

  • OLI 385: INFRASTRUTTURE – Cornigliano tra illusione e realtà

    La notizia è che l’Unione europea ha dato il benestare ad un progetto di cabinovia che colleghi la stazione ferroviaria all’aeroporto Cristoforo Colombo. A basso impatto ambientale, formata da vagoncini da 10 posti, capaci di portare 4mila persone all’ora, in un minuto e mezzo da stazione ad aeroporto, in tre minuti fino agli Erzelli. La stazione che verrà collegata non sarà quella attuale, di Cornigliano (che, secondo il progetto, verrà trasferita più a levante, nella zona di villa Bombrini), ma una nuova stazione all’altezza di via Siffredi. Il finanziamento dovrebbe ammontare intorno al milione e 100 mila euro (La Repubblica – Genova, 10/7/2013). La Società per Cornigliano (Regione 45%, Comune 22,5%, Provincia 22,5%, Ministero del Tesoro 10%), tra i proponenti, ha in progetto, come si legge sul sito, anche il collegamento dalla strada a mare (in corso di realizzazione, vedi OLI 379) allo snodo autostradale di Genova Aeroporto (costo del progetto: 22 milioni di euro, che devono essere finanziati da Società per Cornigliano, a partire dalle risorse previste dall’Accordo di programma del 2005). Questo sarebbe il cosiddetto “lotto 10”, costituito da due rampe a due corsie, che dovrebbero scavalcare la ferrovia e collegare all’aeroporto (e all’autostrada) senza interferire col traffico cittadino.
    Accanto alla Cornigliano dei desideri – in cui le cabine oscillano leggere sullo sfondo del cielo, verso l’aeroporto e oltre – ce n’è un’altra, che si presta molto meno come argomento da affrontare in vista delle prossime tornate elettorali (OLI 384).
    Se si prova a snobbare il volabus e salire all’aeroporto a piedi da via Cornigliano, le condizioni del tragitto

    sono pessime. Nel primo tratto, sulla rampa d’accesso, tra i rifiuti e le carcasse abbandonate, ci sono da qualche mese alcuni camper di nomadi, che vivono in condizioni disastrose: le vetture sono parcheggiate – in pieno sole sotto la calura estiva – da entrambi i lati della strada, e lo spazio vitale delle persone che vi abitano coincide con la carreggiata, che i veicoli attraversano a velocità sostenuta. Poco oltre, lo spazio pedonale si restringe sempre più, per arrivare a scomparire all’altezza dello Sheraton. Un’aiola, poco prima di arrivare alla rotonda di fronte all’hotel, ospita le lapidi commemorative di qualcuno che, forse, nel tentativo di arrivare lì a piedi ci ha lasciato la vita.
    Altra notizia poco preelettorale, già di qualche mese (fine febbraio 2013) ma poco battuta dai media locali, è il rinnovo fino al 2018 della concessione a Spinelli dell’area adibita al deposito dei container vuoti : 67mila metri quadrati. Con un aumento (da 3 a 4 euro per metro quadrato) e la minaccia di elevate penali in caso di ritardo, i container, che dal 2006 sono nella zona di Cornigliano, originariamente destinata a spazio per la cittadinanza, eclisseranno la vista sul mare ancora fino al 2018 (Il Corniglianese, aprile 2013).

    (Eleana Marullo – foto da internet)
  • CARTOLINE 2012 – URBANISTICA: IL MITOLOGICO MUNICIPIO SCOMPARSO

    L’occupazione da parte dei giovani dei centri sociali di alcuni alloggi sfitti nel centro storico sta suscitando non poche polemiche tra chi manifesta solidarietà nei confronti degli occupanti e chi ne stigmatizza l’illegalità dell’azione. Tuttavia, ciò che sembra mancare è una seria riflessione su quello che, in fondo, rappresenta il nocciolo del problema: quante sono le case vuote in città?
    A questo proposito, sono stati dati letteralmente i numeri: in un intervista a la Repubblica (25 luglio 2012) i giovani occupanti hanno parlato di 15 mila appartamenti sfitti, diventati poi 20 mila nella ripresa dell’articolo fatta da un sito locale legato a Rifondazione Comunista. Non si tratta di cifre indebitamente gonfiate: appena qualche mese prima (febbraio 2012) il segretario locale del SUNIA in un’intervista a Primocanale aveva quantificato l’ammontare dello sfitto in città a 25 mila abitazioni, mentre in un documento ufficiale del Comune, redatto nel quadro del Patto dei Sindaci, l’entità delle abitazioni non occupate era stimata in 28.088 unità.
    Genova è una città strana, in cui frange (poco) eversive provenienti dai centri sociali si rifanno cifre assai meno preoccupanti di quelle snocciolate in tutta tranquillità dalla pubblica amministrazione; ma la cosa più curiosa è che, incrociando i dati provenienti dagli enti ufficialmente preposti alla quantificazione dei beni immobiliari e della popolazione urbana (l’Agenzia del Territorio e l’Ufficio Statistica comunale) il panorama dello sfitto cittadino appare ancora peggiore. In effetti, le Note Territoriali dell’OMI per il II semestre del 2009 valutavano lo stock immobiliare genovese in 325.069 unità immobiliari a destinazione residenziale, mentre la voce Aspetti Demografici della Descrizione Fondativa del PUC riporta la cifra di 280.095 abitazioni occupate da famiglie al 31 dicembre 2008: con una certa approssimazione si otterrebbe allora una stima di 44.974 case vuote, pari al 13,77% del totale. Sono dati di quasi quattro anni fa, ma l’andamento dei principali indicatori economici e demografici cittadini non lascia intendere che la situazione sia cambiata in modo sostanziale.
    Per rendersi meglio conto di cosa significhino queste cifre, basti pensare che 45 mila abitazioni corrispondono più o meno alla consistenza dello stock immobiliare di uno qualsiasi dei municipi cittadini: co un’esagerazione basata però su dati concreti, si potrebbe dire che Genova ha nove municipi, ma solo otto di questi sono effettivamente abitati.

    Vale la pena fermarsi un attimo a riflettere sul reale significato di queste cifre, dato che, se fossero vere, significherebbe che le case vuote a Genova sono più di una su dieci e che allora bisognerebbe cominciare a ripensare l’intero assetto urbanistico della città.
    Fino al 2011, il regime fiscale vigente rendeva conveniente il possesso ma non la messa a reddito delle abitazioni: si è perciò assistito ad un dilagare di nuove costruzioni il cui unico scopo era quello di essere acquistate e rivendute, ma non quello di essere abitate. Ne derivava un controsenso per cui un bene sovrabbondante (le case) invece di veder diminuire il proprio valore, lo aumentava. II costi ambientali di questo scempio sono sotto gli occhi di tutti; pensiamo non solo alla cementificazione delle colline, ma anche alla profonda crisi dell’Azienda Municipalizzata Trasporti, costretta a ramificare capillarmente il proprio raggio d’azione senza che la città potesse vantare un numero di passeggeri tale da sostenere questa espansione: il risultato è che AMT deve oggi per contratto garantire l’erogazione di 477 milioni di posti annui a fronte dell’effettivo trasporto di 157 milioni di passeggeri, non c’è da meravigliarsi che i conti non tornano. E questo è solo uno dei numerosi esempi di come l’espansione incontrollata del tessuto urbano abbia portato all’ “implosione” delle infrastrutture collettive.
    Con l’introduzione della nuova IMU e l’aumento della tassazione per gli immobili sfitti, il panorama è cambiato e il surplus delle unità abitative rischia di rivelarsi un boomerang per l’intero apparato economico: gli immobili sfitti finiranno per essere messi precipitosamente in vendita e questo porterà ad una drastica contrazione dei valori di mercato. Basta dare un’occhiata alla vicina Spagna per rendersi conto che quest’eventualità non porterà affatto ad un più facile accesso alla prima casa dei soggetti economicamente più deboli, ma che piuttosto sarà causa di una drastica diminuzione del valore del risparmio delle famiglie, spesso e volentieri investito nel mattone, per non parlare della crisi dell’intero sistema creditizio nazionale, ugualmente sovraesposto sul mercato immobiliare. Insomma, par di capire che gli irsuti punkkabbestia anarcoidi delle frange più estreme dei centri sociali sono ingenui ottimisti se pensano di poter danneggiare il sistema economico più di quanto non abbiano già fatto i solerti funzionari delle pubbliche amministrazioni assentendo inutili operazioni urbanistiche in nome di un fantomatico sviluppo di cui, a tutt’oggi, praticamente non v’è traccia.
    Che fare? Innanzitutto sollecitare la pubblicazione di dati ufficiali più precisi sul tema, anche sulla scorta dei rilevamenti effettuate durante l’ultimo censimento; poi mettere una croce sopra gran parte degli interventi che tendono a disperdere piuttosto che a concentrare le risorse cittadine: nuovi centri commerciali o nuovi quartieri residenziali. Infine, quando è possibile, privilegiare il potenziamento piuttosto che la sostituzione delle infrastrutture, tanto in termini di assi di attraversamento quanto in quelli di polarità urbane. Considerazioni in fondo già largamente condivise e fatte proprie tanto dalla Descrizione Fondativa del PUC – e purtroppo messe in sottordine nelle sue parti attuative – quanto da gran parte dell’opinione pubblica. In caso contrario, il volume dello sfitto della nostra città potrebbe trasformarsi nella fatidica “pietra al collo” destinata a trascinare a fondo le speranze di un rilancio cittadino.
    (Alessandro Ravera)

  • OLI 345: AEROPORTO DI GENOVA – Della torta di riso sono rimasti i chicchi

    La vocazione turistica della Liguria schianta nel vuoto inospitale dell’info point destinato ad accogliere i visitatori provenienti dal resto del mondo in arrivo all’aeroporto di Genova.
    All’interno del grande gazebo sedie abbandonate coperte da un leggero strato di polvere e l’ordine sciatto delle situazioni lasciate morire lentamente. Uno scenario da spaghetti western: questo il biglietto da visita della nostra regione nello scalo del capoluogo aggiornato al maggio 2012, un capolavoro di marketing e promozione turistica, la cura prescritta per il rilancio del settore, con uno sguardo attento alle risorse culturali della Liguria.
    Ricordate lo sketch della torta di riso? Quello che prendeva in giro il carattere brusco dei ristoratori liguri, la loro atavica incapacità ad essere ospitali. Bene, sono passati cinque anni. Allora la scenetta di Enrique Balbontin aveva talmente colpito i politici in regione e l’assessora Margherita Bozzano da chiedere la collaborazione del comico a partecipare ad una serie di incontri con gli addetti al settore turistico aventi come tema accoglienza e ospitalità da titolo “Liguria terra ospitale e accogliente, la torta di riso non è finita”.

    Oggi il sito della regione nella pagina Welcome to Liguria cita contenuti non linkati direttamene e quindi di nessuna utilità. Così accade per le sezioni nelle altre lingue.
    Nel gioco delle scatole cinesi proposte all’internauta desideroso di vistare la nostra regione, va meglio sul sito turismo in Liguria dell’ Agenzia Regionale per la promozione turistica “in Liguria” diretta fino al 2010 da Angelo Berlangeri, nella quale però, oggi, è impossibile individuare orari e i riferimenti del nuovo direttore e dello staff operativo. Inoltre indirizzo e numero di telefono sono cacciati a pié di pagina in caratteri piccolissimi. Proprio come chicchi di riso. Chiamo comunque l’agenzia, venerdì alle ore 15.30, una segreteria telefonica mi comunica: “Agenzia Regionale per la Promozione Turistica in liguria, i nostri uffici sono aperti dal lunedì al venerdì dalle ore 9.15 alle 13.00 e dalle ore 14.45 alle ore 16.30, Grazie”.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)