Categoria: pianificazione

  • OLI 381: INFRASTRUTTURE – Dal tunnel al nodino, San Benigno “ostaggio” della Gronda?

    San Benigno: come sarà dopo i lavori
    (da www.infrastrutture.regione.liguria.it)

    Il nodo viario di San Benigno è un punto nevralgico per la viabilità cittadina, anche per la promiscuità tra traffico urbano e merci, e fin dal 2002 in città se ne parla, si discute, si ipotizza.
    Il tunnel subportuale, progettato nel 2003 su richiesta della società Tunnel di Genova S.p.A. (formata da Comune di Genova, Autorità Portuale di Genova e Cassa e Depositi e Prestiti), prevedeva un passaggio sottomarino, che collegasse il nodo viario di San Benigno con la zona della Foce, presso Calata Gadda.
    Nel progetto originario, il tunnel doveva essere costituito da “due gallerie circolari e parallele lunghe 720 metri” fino ad una profondità di 35 metri; ogni galleria, secondo il progetto, avrebbe dovuto avere tre corsie, ciascuna larga 3,75 metri (come si legge sul portale della mobilità in Liguria).
    A dicembre 2005, dopo 31 mesi di attesa, il progetto venne approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici ma rimase fermo, in attesa dell’approvazione del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica).
    Nel 2008, dopo quasi 3 anni di attesa in cui il tunnel ormai era opera certa (nel 2006 il ministro per le Infrastrutture Di Pietro discuteva già della pianificazione e redistribuzione dei pedaggi), l’Anas divenne capofila del progetto.
    Bisogna aspettare ancora qualche anno per avere novità nell’avanzamento del progetto: dopo l’ingresso della Società autostrade (Anas), il destino del nodo di San Benigno e del tunnel sotterraneo si legano indissolubilmente a quello della Gronda.
    Nel 2010, per l’esattezza dopo la conclusione delle elezioni amministrative regionali, si viene a conoscenza che il progetto è saltato e che il nodo di San Benigno è diventato un “nodino” (http://genova.repubblica.it/cronaca/2010/04/02/news/fondi_tagliati_progetto_congelato_c_era_una_volta_il_tunnel_sotto_il_porto-3080988/), limitandosi ad una doppia rampa con due rotatorie, mentre il tunnel sotto il porto è scomparso del tutto dai progetti della Spea, Società di progettazione di Autostrade. Il risparmio sulla viabilità di San Benigno e sul tunnel sub portuale “dovrebbe”, secondo l’articolo citato, essere tenuto da parte per la Gronda. In seguito alla modifica di progetto, la Tunnel spa viene messa in liquidazione, e lo è tutt’oggi.
    Ma il tunnel sotto il porto non è destinato a sparire dalle cronache cittadine: ad ottobre 2012 il sindaco Doria e il presidente dell’Authority Merlo riprendono il progetto e si dichiarano d’accordo sulla ricerca di possibili investitori europei (http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2012/10/13/APRfOJhD-uffici_telepass_risorgere.shtml ); poco dopo, Doria si reca a Roma per discutere del tunnel subportuale presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e per discutere con l’a.d. di Autostrade per l’Italia, Castellucci, delle questioni in sospeso, tra cui il progetto Gronda (http://genova.repubblica.it/dettaglio-news/19:25/4285762).
    Nel frattempo, al tunnel ed al nodo sopravvive il “nodino” di San Benigno, il cui progetto è approvato nel luglio 2011. I lavori stentano a partire, anche perché la società Autostrade sembra temporeggiare per attendere l’esito della valutazione di impatto ambientale sulla Gronda, tanto da suscitare la risposta di Bernini, vicesindaco “Per noi il progetto nodo è fondamentale. Occorre realizzarlo subito perché è coerente al trasferimento della viabilità sulla nuova strada a mare, su Lungomare Canepa e sulla sopraelevata…Siamo stufi del gioco che sta conducendo Autostrade. Siamo di fronte ad un’evidente volontà di rallentare le cose. Non sta in piedi chiamare in causa le nuove norme previste dal Decreto Sviluppo per giustificare il ritardo nell’avvio dei lavori” (http://genova.erasuperba.it/inchieste-genova/nodo-san-benigno-ritardo-avvio-lavori-comune-genova-contro-autostrade) .
    Ma veniamo ad oggi. Di pochi giorni fa è la notizia che la realizzazione del primo lotto dei lavori a San Benigno è stata finalmente affidata a Pavimental, società controllata da Autostrade per l’Italia, e che i lavori dovrebbero partire durante l’estate (http://www.genova24.it/2013/06/nodo-san-benigno-in-estate-i-cantieri-del-primo-lotto-seconda-fase-ancora-da-approfondire-51835/ ). Il primo lotto prevede sistemi di accesso alla sopraelevata, rotatorie e rampa di accesso su via Milano: dopo più di un decennio di attesa e grandi aspettative, la città avrà finalmente il suo nod(in)o di San Benigno.
    (Eleana Marullo)

  • OLI 375: AMBIENTE – Degrado del bosco e fine delle istituzioni collettive, gli effetti imprevisti della pianificazione ambientale

    In risposta a AMBIENTE – Da Gerbonte al Monte Gottero, i boschi demaniali ai privati contro il degrado

    1,86 periodico. Ecco la percentuale delle foreste demaniali. Apparentemente poco rilevante, almeno sotto il profilo della superficie. In realtà, “demaniale” è un termine specifico, un dettaglio (o se si vuole una parte) del più ampio settore pubblico, mentre “privato” appartiene a una categoria molto generale e a una contrapposizione che finisce per essere generica, quella con il “pubblico”. E di “pubblico” ce n’è molto di più, un pubblico che afferisce a ogni livello dell’amministrazione, che attribuisce al bosco specifiche funzioni (come se non ne avesse), per esempio quelle di interesse militare, ma soprattutto di “privato”.
    L’intervento (OLI 374) mi sembra proporre tre riflessioni:
    * come si distribuiscono e come sono gestite le altre foreste “non demaniali” – oltre il 98%? Esiste una larga quota di boschi di generale attribuzione pubblica, ma una larghissima maggioranza sono i boschi di proprietà genericamente privata. E su questi ultimi la manutenzione è in generale modesta, in qualche caso scandalosa. D’altronde tutti i boschi sono soggetti a un regime normativo molto restrittivo che sembra garantire un riconosciuto interesse pubblico per il bosco e che dovrebbe essere oggetto di qualche riflessione;
    * di cosa si tratta? Boschi e foreste sono la stessa cosa sotto il profilo del “materiale” (legno), ma le seconde sono appunto beni unitari, come sembra affermare il Wwf; da questo punto di vista “demaniale” non è un attributo relazionale che descrive appunto il carattere della proprietà, ma un attributo sostanziale, uno statuto giuridico importato da Napoleone. Rimando alla voce “Forêt_domaniale” sulla versione francese di Wikipedia. Non sarebbe male una riflessione su questa “sostanza”;
    * la natura della proprietà e la sua regolazione. Questo terzo punto mi sembra centrale: il limitato interesse privato sul bosco e già citato interesse pubblico corrispondono anche a una larga diffusione di consorzi e altre forme di proprietà collettiva. Su questi soggetti si è più volte intervenuti con l’intenzione di promuoverne la privatizzazione, ma soprattutto le pretese iniziative di tutela della pianificazione regionale hanno accompagnato (se non causato) il degrado delle istituzioni collettive legate al bosco e al pascolo.
    Ci sono luoghi in cui queste istituzioni e le regole che consentivano l’accesso al bene (e al suo consumo) erano la vera struttura della comunità locale. Il venir meno di queste istituzioni è stata – nel bene e nel male, più spesso nel male – la vera rivoluzione dell’approccio regionalista.
    Forse nelle foreste demaniali si nasconde un problema ben più rilevante del 2% di cui stiamo parlando, le modalità con cui lo stato è intervenuto negli ultimi 40 anni in agricoltura, le caratteristiche della pianificazione nelle aree extraurbane. Ricominciare a parlarne è sempre un bene, soprattutto se fuori dalla retorica della “nuova agricoltura”.
    (Carlo Bertelli – foto da internet)