Categoria: Informazione

  • OLI 417: INFORMAZIONE – La forza dei titoli

    Un titolo di giornale ha la forza di cambiare l’interpretazione di una notizia, poi riportata correttamente in fondo all’articolo, che però pochi leggono fino alla fine. E’ il caso dell’articolo “Bonus bebè, “no agli immigrati”. Blitz Lega, M5S d’accordo. Il testo non passa” pubblicato su Il Fatto Quotidiano online del 30 ottobre 2014. Una strategia tecnica da aula parlamentare viene stravolta al punto di far capire esattamente il contrario della realtà.

    Il caso: il Movimento 5 Stelle in Senato coglie l’occasione per votare una proposta della Lega Nord, che vorrebbe aumentare la durata degli aiuti fino al 2017 per il “bonus bebè”, a scapito però della sua applicazione alle persone con nazionalità diversa da quella italiana.
    I senatori pentastellati hanno votato a favore della proposta leghista, ma ben consci che sarebbe poi sopravvissuta soltanto la proroga, con la decadenza del restringimento di applicazione ai soli italiani per la sua inammissibilità costituzionale. Il titolo corretto avrebbe quindi dovuto essere: “Bonus bebè. Proroga al 2017 bocciata dai partiti della maggioranza“.
    (Stefano De Pietro – illustrazione di Guido Rosato)
  • OLI 397: (DIS)INFORMAZIONE – Pesce in barile

    Il mare visto dalla collina di Sant’Ilario

    Giornale da bar di circolo, titolo conseguente. Così potremmo definire la “testata” Il Secolo XIX e un articolo che intitola a Grillo il vantaggio della bocciatura da parte della Capitaneria di porto di Genova di un progetto di pescicoltura proprio di fronte alla passeggiata Anita Garibaldi. Un’arguzia sopraffina, riuscire a trovare un collegamento tra il fatto crudo (vasche di pesci che danneggiano i pescatori e la navigazione) e il fatto mediatico, come dire, lavorato di fine all’uncinetto (la vista salvata dalla villa di Beppe), non è cosa da tutti. Se non fosse per la smorfia di dolore etico che questo artifizio crea in chi ancora crede nell’importanza dell’informazione vera, dei fatti e delle idee, sarebbe da applaudire il giornalista, purtroppo sconosciuto, un articolo figlio di NN. Anche guardando la foto, ci si accorge che da Sant’Ilario la visione delle vasche sarebbe stata impossibile, sia per la collocazione che per la distanza.
    Poiché i fatti sono sconosciuti al redattore, ci tocca presentarli noi, supplendo a quello che avviene ormai spesso a questo giornale, che quando si riferisce al Movimento 5 Stelle e a Beppe Grillo pare andare in cortocircuito. Eccoli quindi.
    Alcuni mesi fa, a settembre 2013, durante una commissione sul litorale, alcuni residenti di Nervi cominciarono a chiedere della pescicoltura che un progetto già approvato dalla Regione e molto ben visto dal Comune stesso piazzava proprio di fronte al Castello di Nervi, all’inizio della passeggiata. Molti consiglieri restarono interdetti, non se ne sapeva nulla. Come sempre, la Giunta e gli Uffici comunali lavorano senza alcuna partecipazione, né con i cittadini, tanto meno in questo caso con i pescatori professionisti che da questa installazione trarrebbero un danno, figuriamoci con i Consiglieri.
    Nel tempo che intercorre tra allora e la giornata di mercoledì scorso, alcuni gruppi consiliari si “scatenano” nell’attività di indagine, tra i quali il Movimento, che organizza una riunione pubblica in un locale in passeggiata, durante la quale insieme ai pescatori, invitati dai volantinaggi di preparazione all’evento, spunta anche l’imprenditore. Ne nasce una discussione molto civile, senza urla ma con posizioni divergenti, quel minimo di confronto partecipato. Ulteriori indagini del Movimento fatte con persone abitanti di fronte ad un impianto similare a Lavagna lasciano presumere che l’impianto, in quella posizione, oltre ai problemi indicati dalla Capitaneria sul traffico navale, sarebbe inquinante e pericoloso per la biologia della costa. La posizione cinquestelle si attesta quindi su un diniego dell’opera. In commissione, viene anche posto l’accento sul sistema ombroso usato per l’iter della pratica, che è transitata tra regione e comune senza che i cittadini fossero minimamente interessati. La partecipazione, si sa, è scomoda, allunga i tempi, soprattutto non riempie le pagine dei giornali se non quando, come in questo caso, arriva l’inghippo: una recente norma statale leva al Comune la competenza sul demanio marittimo che ritorna al Ministero dell’agricoltura e, quale suo braccio operativo, alla Capitaneria di porto. Ma al giornale serviva parlare male di Grillo, quindi il titolo assume la forma di una colpa inevitabile, un marchio di spregio, pazienza se la Verità viene sacrificata alla linea editoriale non propriamente “movimentista”. Amabili contastorie.
    (Stefano De Pietro – immagine da internet)

  • OLI 387: INFORMAZIONE – Fukushima è sparita dai giornali

    Non si riesce a capire il motivo per il quale il problema mondiale della centrale di Fukushima, colpita nel 2011 dallo tsunami che l’ha resa un problema da risolvere *per la sopravvivenza della vita sulla terra*, trovi così poca attenzione sui media nazionali.
    Da quando due anni fa la notizia tenne il mondo col fiato sospeso per alcune settimane, oggi se ci si limitasse a leggere le poche notizie diffuse da giornalie televisioni su questo argomento, si verrebbe portati a pensare che tutto sia ormai sotto controllo e che i potentissimi mezzi tecnici e cerebrali messi a disposizione dalla Tepco, società privata che ha in gestione Fukushima, abbiamo risolto ogni problema. Ma non è affatto così.
    E’ ormai evidente che la Tepco non è in grado di mettere in sicurezza Fukushima, e forse nessuno lo è veramente, è notizia di pochi giorni fa che il premier giapponese ha ufficialmente chiesto aiuto ai paesi più tecnologicamente avanzati affinché diano un aiuto tecnico. Pareva che non si decidessero mai, ma questa resa giapponese deve aver fatto perdere alla politica oggi al potere molti punti percentuali di gradimento dai suoi elettori, e se un premier di un paese democratico arriva a tale “suicidio” elettorale evidentemente la situazione deve essere davvero grave.
    Che lo sia, lo confermano alcune notizie ritrovate qua e là grazie ai motori di ricerca: uno sversamento di acqua radioattiva avvenuto perché nei serbatoi pare non siano stati installati non dico allarmi di massimo livello ma nemmeno dei semplici misuratori di livello – il che lascia di stucco per un ambito come quello nucleare – o che gli stessi serbatoi non siano stati costruiti per durare a lungo: nella fretta non ci si è posto il problema di eventuali ritardi nella procedura del loro successivo svuotamento. E’ poi notizia della settimana scorsa che un tifone avrebbe colto impreparata la Tepco, la quale si era fidata delle previsioni meteo: avrebbe “perso” per una seconda volta acqua radioattiva, che finirà in mare.
    Il Giappone pare aver perso lo smalto di precisione cronometrica che lo contraddistingueva: pare ormai caduta nel baratro della approssimazione, della corruzione. E potrebbe essere proprio la corruzione la causa scatenante dei problemi di Fukushima. Leggendo gli articoli, si pensa: “menomale” che in Italia il referendum sul nucleare ha dato l’esito di fermare la costruzione di centrali a fissione.
    A tranquillizzare un po’ ci pensa questo blog “antibufala” che riporta alcune informazioni in controtendenza: http://tagli.me/2013/09/24/tutte-le-bufale-su-fukushima-2-il-pericolo-di-catastrofe-radioattiva/
    Un po’ di link:
    http://it.euronews.com/2013/08/28/fukushima-fuga-acqua-radioattiva-serio-incidente-di-livello-3
    http://it.euronews.com/2013/10/17/giappone-tifone-provoca-perdita-radioattiva-a-fukushima/
    http://it.euronews.com/2013/09/03/fukushima-governo-stanzia-47-miliardi-di-yen-per-acqua-contaminata
    http://it.euronews.com/2013/08/07/disastro-di-fukushima-il-premier-abe-chiede-provvedimenti-all-esecutivo
    http://www.greenstyle.it/fukushima-il-premier-abe-chiede-aiuto-al-mondo-56155.html
    http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/10/fukushima-giappone-chiede-aiuto-alla-comunita-internazionale/739956/
    (Stefano De Pietro)
  • OLI 381: INFORMAZIONE – Microcronache dalla Grecia, la ERT / 2

    Atene, striscione sulla sede della ERT: la ERT è e resterà aperta

    Chiamo Atene, sotto l’emozione della chiusura della rete televisiva pubblica ERT, per raccogliere le reazioni di un amico.
    Mi attendo preoccupazione e indignazione, invece trovo una presa d’atto disincantata.
    Guarda, mi dice, che la ERT è stata, come tutto il settore pubblico in Grecia, un grandissimo serbatoio clientelare. Ci lavora il triplo di quelli che lavorano per la BBC.
    Informazione vera e di qualità non ne ha mai fatta, è stata solo la voce dei partiti di volta in volta dominanti.
    A Tutta la città ne parla su Radio 3 questa mattina un esponente del Pasok dice che la ERT non andava certo chiusa con un colpo di mano, ma riformata, razionalizzata: era nell’agenda politica procedere in questo senso.
    Ma l’amico mi dice che sono anni che questo viene detto, e mai fatto, e che mai si sarebbe potuto fare senza forzature, perché le resistenze interne ed esterne erano invincibili.
    Skype mi permette di raggiungere un altro amico al Pireo, nei saloni di una mostra d’arte, dove ha esposto alcune sue opere. Mi dice che la ERT era una fonte incredibile di spreco e clientelismo, ma che chiuderla d’imperio con un colpo di mano è un fatto gravissimo, è fascismo. Aggiunge: è una prova generale di quel che si potrà fare anche in altri Paesi.
    In queste ore le trasmissioni, per iniziativa dei giornalisti, proseguono attraverso internet. O vengono ospitati da canali stranieri.
    Il mio amico manifesta la sua inquietudine. Dice che è stato un errore lo sciopero dichiarato da una parte dei giornalisti: per chi fa informazione ora è il momento di lavorare più che mai, in qualunque condizione.
    Con lui è un’altra mia grandissima amica. Mi dice: le trasmissioni non si sono interrotte nemmeno durante la guerra. In queste ore girano i documenti d’archivio: è anche una grande questione culturale. Un patrimonio custodito nell’archivio storico che rischia di andare perduto.
    Attraverso la web cam gli amici mi portano a visitare le opere esposte nei grandi, asettici, bianchi locali di questi spazi espositivi allestiti nei locali di una vecchia fabbrica dismessa. Questa è un’oasi, mi dicono, fuori c’è il caos. La cultura si sta frantumando. Ne trovi tracce sempre più deboli. Si perde ormai la qualità nella musica, nella danza, nel cinema. Ci sono solo isole di resistenza.
    La ERT on line si può seguire a questo indirizzo:
    http://www3.ebu.ch/cms/en/sites/ebu/contents/news/2013/06/monitor-ert-online.html
    Molto spesso viene offerta anche la traduzione in italiano di quel che viene detto.
    (Paola Pierantoni – Immagine da internet)


  • OLI 371: INFORMAZIONE TV – Si dice(va) donna

    Tilde Capomazza oggi è un’anziana signora, come molte, ma non tutte, le donne che il 20 marzo avevano riempito la sala della Provincia per la presentazione del libro “La tigre e il violino”, storia della trasmissione televisiva “Si dice donna” che lei aveva diretto per quasi quattro anni, dal 1977 agli inizi del 1981.
    L’autrice del libro, Loredana Cornero, interessata ed esperta di temi della rappresentazione femminile in televisione, non era presente.
    Il compito di coordinare l’incontro era di Silvia Neonato, giornalista, all’epoca una delle redattrici che Tilde Capomazza aveva chiamato accanto a sé per realizzare quella che lei definisce “la prima ed ultima trasmissione femminista di donne per le donne” che sia mai apparsa in TV.
    La più vecchia di noi, racconta Silvia Neonato, aveva 32 anni, eravamo un piccolo gruppo di donne giovanissime a cui era stato affidato il compito di raccontare “un Paese che cambia”. E in quegli anni a cambiare erano soprattutto le donne.
    Non si trattava di una trasmissione di nicchia, ad orari improbabili, si trattava di un’ora e un quarto di servizi (storie di vita, talk show, inchieste) in prima serata.
    La puntata più disgraziata ebbe quattro milioni e mezzo di ascolti, e si raggiungevano punte di nove milioni.
    Tilde Capomazza dice: “Tentavamo di essere complesse senza perdere chiarezza”. Parole che sono musica oggi che siamo degradati da un linguaggio politico giocato su semplificazioni volgari. Ma il linguaggio che usavamo, ricorda Tilde, era diretto, non usavamo perifrasi. Le donne dicevano di sé, della loro sessualità usando parole mai pronunciate in TV: coito interrotto, la prima notte di nozze subita come una violenza, quanto si era rivelata deludente la sessualità nel matrimonio, il non aver mai visto nudo il proprio marito, il rapporto con i clienti raccontato dalle prostitute.
    E poi le inchieste sul lavoro delle donne, e lo sguardo sulle altre realtà: il ruolo delle donne in Cina, un parto in acqua filmato in Olanda, in anni in cui la visione di un parto era fuori discussione. Anni in cui l’Osservatore Romano declamava “I movimenti femministi non possono stravolgere la natura femminile. Strappata da una famiglia patriarcale la donna si trova in una realtà drammatica, ma la casa è il suo rifugio”.
    Anni in cui Tilde Capomazza, donna dell’Azione Cattolica alla ricerca della sua strada per diventare giornalista, si sentiva dire dal Direttore della Rai di Napoli “Lasci stare, si trovi un bel marito …”, e da altri “Lei è una brava ragazza, pensi piuttosto alla maternità”.
    Tilde dice “Questo miracolo potè compiersi perché sotto c’era un movimento femminista, e perché c’era questo canale televisivo che si voleva differenziare”.
    Nel 1975 infatti la riforma della Rai  aveva reso possibile la nascita di Rete 2, politicamente vicina ai partiti di sinistra e laici (PCI, PSI e PRI), sotto la direzione del socialista Massimo Fichera.
    Una donna tra il pubblico commenta: “Era una trasmissione dentro un’epoca”. L’esperimento si chiuse agli inizi del 1981: ci attendevano gli anni ’80, e l’ultima trasmissione dedicata al tema dell’aborto segnò la parola fine. Fichera fu sostituito, Tilde Capomazza messa a far niente, tutte le altre redattrici mai più chiamate a collaborare in TV. La trasmissione fu dimenticata, mai più citata in nessuna occasione. Inutilizzabile perfino nel curriculum, dicono le protagoniste. Il flusso delle parole nella sala della provincia viene interrotto due volte dalla proiezione di spezzoni tratti dalle Teche della Rai. Il pubblico resta incantato a vedere quelle immagine così belle, così vere.
    Il libro, corredato da un DVD con immagini della trasmissione, è attualmente esaurito. L’augurio è che la Rai si decida a ristamparlo.
    (Paola Pierantoni – Immagine da Internet)

  • OLI 368: INFORMAZIONE – Grillo e i giornalisti d’assalto

    Roma, 4 marzo 2013, l’uscita di Beppe Grillo è attesa da decine di giornalisti e fotografi che letteralmente assaltano il popolare personaggio scavalcandosi l’un l’altro. Qualcuno (vedi foto a sinistra) sale anche sul tetto di un’autovettura posteggiata, foto rubata da un attivista e pubblicata su Facebook, per cercare di dare una mano al proprietario a trovare il responsabile delle inevitabili ammaccature subite. Nella ressa, una persona che si era appoggiata all’auto di Grillo resta con le dita schiacciate nella portiera (vedi video in basso), che viene immediatamente riaperta e, nonostante la situazione di pericolo per il ferito, ripresa di nuovo d’assalto dai fotografi. Grillo deve intervenire personalmente per tenerli lontani.
    Domenica sera, alla fine del primo incontro tecnico a Roma degli eletti,  la stampa blocca la strada, non è ammessa all’interno: gente che lavora, certamente, se di lavoro si può parlare vedendo un simile girone infernale, come a Sant’Ilario aspettando Grillo che voti alla scuola di agricoltura: quindici ore in attesa, al freddo, la polizia che alla fine distribuisce bevande calde alle persone in attesa di scattare una sola foto utile al giornale. Non mi pare che sia questa la stampa che faccia vera informazione. Ha fame di notizie del Movimento 5 Stelle, i cui attivisti se ne stanno tranquilli ben lontani dai riflettori, in attesa di nominare i due portavoce per Camera e Senato, che saranno cambiati ogni sei mesi, scelti a votazione, come nella tradizione del Movimento. I giornalisti, non abituati a questo diniego, stanno letteralmente perdendo la bussola, chiamano amici e parenti nel tentativo di avere un numero di cellulare, appaiono nelle riunioni plenarie, negli incontri dove prima non erano mai stati, pare che il sistema di stare molto lontano da loro ripaghi con un interesse moltiplicato: poi, adesso, con un 30% dei voti, avere una foto di un “grillino” diventa un must irrinunciabile.
    Alcuni, negli alti ranghi, cominciano a preoccuparsi sentendo avvicinare il pericolo della fine del finanziamento pubblico all’editoria, che comporterebbe per molte testate la fine di un sistema consolidato di lavoro, e di potere. Una considerazione che riguarda il futuro: dovranno reinventarsi tutto, lavorare davvero su internet per abbattere i costi, livellare le redazioni e “far da sé”, come già sta accandendo sulla rete, insomma “bloggare la stampa” e poi, per evidenti necessità di veicolazione pubblicitaria, chiedere al governo che si dia davvero da fare per far arrivare internet a tutti.


    (Stefano De Pietro)

  • OLI 365: INFORMAZIONE – Hangout, ovvero la Rivoluzione

    La schermata di un Hangout così come mostrata sul canale Youtube

    In uno spassoso libro di Luciano De Crescenzo intitolato Ordine e Disordine, si fa riferimento al minino di ordine che occorre trovare all’interno della cosa più disordinata che esiste, la rivoluzione, riassumibile in un concetto molto semplice: a che ora ci si vede, chi porta le armi, a chi si deve sparare. Parole sante, che suppongono che la comunicazione di questi dati sia fatta incontrandosi. Oggi il sistema più immediato per mettere su una congrega di carbonari senza soldi e con molte idee si chiama Hangout, è una tecnologia di Google, è gratuita e funziona egregiamente.
    Hangout è uno strumento di collaborazione video che consente il collegamento a distanza geografica di dieci postazioni, di mandare in diretta su Youtube la trasmissione e di trovarsela registrata una volta terminata la diretta. E’ il pezzetto mancante tra un semplice sistema di trasmissione “televisiva” in streaming e la vera collaborazione interattiva a distanza.
    Fare un Hangout richiede un account su Google+ (il nuovo sistema social di Google), una webcam, un computer, oppure uno smartphone collegato a internet. Pochi strumenti che oggi sono in possesso di moltissime persone; ovviamente non devono mancare amici e qualcosa da dirsi.
    La tecnologia è così stabile, utile e ben congegnata che il tour elettorale di Beppe Grillo si sta svolgendo interamente in diretta con un operatore sul palco che si collega usando un semplice smartphone ad un Hangout aperto dalla regia a Milano. La regia monta i titoli, fa un minimo di commento e il tutto finisce in onda in diretta, papere comprese, tipo una signora che a Parma arringa il “povero” sindaco Pizzarotti in un fuori onda un po’ tragicomico.
    Hangout rappresenta una novità editoriale davvero notevole. Mette fuori uso la televisione, consentendo a chiunque, gratuitamente, di disporre un semplice studio di regia basato su pochi comandi. E’ interamente online, non richiede quindi l’installazione di programmi sul proprio computer. Si usa in pochi secondi e, una volta accesa la trasmissione, ci si dimentica di stare a centinaia di chilometri di distanza dai propri interlocutori.
    Lo strumento ideale per la rivoluzione globalizzata, per dirsi, appunto, a che ora ci si vede, chi porta le armi, a chi si deve sparare, in un modo moderno.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 361: INFORMAZIONE – Ma è stampa questa?

    Eppure ci sono i gruppi di lavoro serali e notturni, sull’energia, sul lavoro, sulle partecipate, sui rifiuti, che tritano argomenti e sfornano, almeno ci provano, soluzioni. Ci sono le riunioni plenarie con cento persone ogni volta, stabili, in crescita, con le relazioni di tecnici che spiegano oggi il bilancio, domani la raccolta differenziata. C’è la webtv che sta partendo e che già ha dimostato le sue potenzialità. Ci sono i voli pindarici verso una società dove i cittadini aiutano 40 lavoratori della centrale del latte a continuare a vendere il latte, sputando in faccia a chi chiude la centrale. Ci sono gli articoli sul sito web che descrivono i piccoli e grandi successi dei cinque consiglieri comunali del cinquestelle, che fanno anche errori, che non sempre sono preparati sugli argomenti delle commissioni e dei consigli, divisi tra l’impegno istituzionale e i propri impieghi. Ci sono i comunicati stampa, e tutto l’impegno di pubblicare in anteprima i documenti in discussione in consiglio e nelle commissioni, chi mai lo aveva fatto prima di loro? Li consultano anche i consiglieri di altri gruppi, che si stupiscono loro stessi della loro trasparenza. C’è l’impegno a voler cambiare il regolamento del consiglio comunale, con l’opposizione schierata di molti, per dare a Genova la possibilità di vedere verbali, di sentire gli audio, di consultare documenti direttamente sul sito del proprio comune.

    C’è la vittoria dei libri mastri, che impegna un assessore sordo a portare in commissione tutti i dati della contabilità di particolare delle partecipate del comune, e la battaglia affinché tale decisione del consiglio sia attuata, con interpellanze, mozioni, denunce alla stampa, naturalmente senza risultato. E la vittoria della differenziata porta a porta, una mozione tutta a cinque stelle. Ci sono le manifestazioni, i video girati a dar voce a chi non desta abbastanza interesse ai giornali. Di tutto questo, sulla stampa genovese, non si legge nulla. Ma è stampa questa?
    Quando leggerete domani sul giornale, di Grillo, Favia, dell’attivista ignoto col passamontagna, delle parlamentarie bucate, pensate anche a quante cose utili a tutti devono essere fatte come muovendosi tra le canne in una palude con gli alligatori che ti chiedono un’intervista per sapere se hai altri parenti nel movimento.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 358: INFORMAZIONE – Repubblica censura Odifreddi su Israele

    Il noto matematico Piergiorgio Odifreddi, ha scritto fra l’altro, sul suo blog personale sul sito del giornale la Repubblica: “In questi giorni si sta compiendo in Israele l’ennesima replica della logica nazista delle Fosse Ardeatine. Con la scusa di contrastare gli “atti terroristici” della resistenza palestinese contro gli occupanti israeliani, il governo Netanyahu sta bombardando la striscia di Gaza e si appresta a invaderla con decine di migliaia di truppe…Cosa succederà durante l’invasione, è facilmente prevedibile. Durante l’operazione Piombo Fuso di fine 2008 e inizio 2009, infatti, compiuta con le stesse scuse e gli stessi fini, sono stati uccisi almeno 1400 palestinesi, secondo il rapporto delle Nazioni Unite, a fronte dei 15 morti israeliani provocati in otto anni (!) dai razzi di Hamas. Un rapporto di circa cento a uno, dunque: dieci volte superiore a quello della strage delle Fosse Ardeatine. Naturalmente, l’eccidio di quattro anni fa non è che uno dei tanti perpetrati dal governo e dall’esercito di occupazione israeliani nei territori palestinesi”.
    la Repubblica lo censura e subito cancella il suo post dal sito. Lui chiude il suo blog ed abbandona con tanti saluti alla favola della libertà dì espressione e di stampa. Libertà ipocritamente sbandierate durante la discussione sul film contro il profeta dei musulmani. Questo di Repubblica è soltanto un esempio sulla “non informazione da parte dei media sulle atrocità compiute da Israele a Gaza” denunciata da Noam Chomsky (ebreo americano) e altri esponenti del mondo culturale che hanno scritto un appello ( http://www.osservatorioiraq.it/speciale-gaza-il-jaccuse-di-chomsky-alla-stampa) ai media ed ai giornalisti nel quale si legge : “Se non fosse per i post su Facebook, non sapremmo nulla del livello di terrore patito ogni giorno dai civili palestinesi di Gaza. Questo contrasta in modo netto con la consapevolezza mondiale sui cittadini israeliani terrorizzati e sconvolti (..). Israele continua nei suoi crimini contro l’umanità con il tacito consenso e il pieno supporto finanziario, militare e morale dei nostri governi: Stati Uniti, Canada, Unione Europea. La mancanza di pubblica indignazione verso questi crimini è una diretta conseguenza del modo sistematico in cui i fatti sono negati e/o del modo sbilanciato in cui vengono dipinti. Vorremmo esprimere la nostra indignazione per la riprovevole modalità di copertura di questi atti da parte dei media. Facciamo appello ai giornalisti che, nel mondo, lavorano per le grandi testate mediatiche affinché rifiutino di essere strumenti di questa sistematica politica di dissimulazione. Facciamo appello ai cittadini perché si informino attraverso media indipendenti”.
    (Saleh Zaghloul)
  • OLI 357: INFORMAZIONE – Maschilisti di “Fatto”

    Il Fatto Quotidiano propone, tra i numerosi blog che ne fanno parte integrante, anche un gruppo di blog di donne riuniti sotto il titolo – intrigante – di “Donne di Fatto”. Le autrici sono giornaliste, scrittrici, registe, psicologhe, avvocate, attiviste politiche e sociali: insomma, donne vere, che vivono nel mondo reale e che parlano delle difficoltà che molte donne incontrano nel lavoro e nella società, della violenza e della mercificazione del corpo femminile, dell’assenza delle donne dai luoghi dove si prendono decisioni, della lontananza spesso stellare da una politica consumata da se stessa, della lista sempre più lunga di donne uccise “per amore” dai loro padri, fratelli, mariti, fidanzati.
    Articoli mai banali, che aprono una finestra di grande interesse su un universo femminile variegato e dinamico, capace di critica ma anche di proposta, mai settario, sempre disponibile all’interlocuzione e al confronto.
    Tutto bene, dunque? No, non proprio.
    Perché, quando dalle autrici si passa ai commenti, incominciano i dolori addominali acuti.
    I commentatori, in gran parte uomini, non ci fanno mancare alcuno dei peggiori stereotipi che si attribuiscono, di solito, ai maschi più reazionari e oscurantisti.
    Il peggio di sé, però, questi signori lo offrono quando si parla di femminicidio. La fantasia nel trovare giustificazioni per gli uomini che picchiano, maltrattano, violentano, uccidono le donne non ha limiti: si va dalle giustificazioni economiche (crisi, disoccupazione, Imu, protesti di cambiali) a quelle relazionali (donne fedifraghe, prepotenti, che non vogliono far loro vedere i figli, che li obbligano a convivere con la suocera, che vanno a lavorare e non fanno i lavori domestici), fino ad invocare la legittima difesa nei confronti di donne a loro volta manesche, violente e inclini al mattarello. Né mancano le invettive contro le femministe, definite di volta in volta arrabbiate, isteriche, pazze furiose, tese all’annichilimento del genere maschile senza se e senza ma.
    Il problema è generale, ed è da tempo al centro della attenzione e della analisi delle blogger femministe. La rete, avvertono, “non è neutra”. Conquistarvi il diritto di parola (con tematiche femministe) non è affatto scontato. Occorre “presidiare il web” e sapere come utilizzarlo per veicolare il proprio pensiero e contrastare il sistematico attacco di maschilisti e sessisti. “Femminismo a Sud”, che si definisce “un blog collettivo antisessista, antifascista, antirazzista, antispecista e non addomesticabile”, da tempo tratta a fondo il problema (*) che introduce dicendo: “Sin dai primi tempi in cui abbiamo iniziato a presidiare e monitorare la rete, ritenendo a ragione che non fosse uno spazio neutro, abbiamo sommato innumerevoli esempi di misoginia e sessismo, talvolta persino vera e propria istigazione alla violenza contro le donne”.
    Alla radice la pericolosa immaturità di uomini “che si rifugiano in un fragilissimo modello fatto di dogmi e di tradizioni che gli si sgretolano tutto attorno”. La contro-strategia delle blogger è stata: “Lasciavano commenti offensivi e minacciosi? Li abbiamo segati via senza lasciarci intimidire. Denunciavano censura? Rivendicavamo il diritto a veicolare contenuti utili e non insulti. Ricevevamo acide e velenose mail? Le abbiamo ignorate. Qualcun@ ci indicava al branco per istigare al linciaggio? Noi andavamo avanti e costruivamo un sapere alternativo che volevano nascosto, cancellato, defunto. Volevano impedirci di esistere? Noi abbiamo denunciato quanto avveniva e abbiamo studiato ed elaborato forme di autodifesa”.
    Tra queste il manuale: “L’Abc della femminista tecnologica”, che consigliamo non solo a tutte le blogger, ma anche al direttore e a giornalisti/e del Fatto Quotidiano.
    (*) http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2009/10/07/sessismo-misoginia-e-maschilismo-in-rete/ 
    (Paola Repetto e Paola Pierantoni – immagine tratta dal sito “Femminismo a Sud”)