Circolo Zenzero, 10 maggio, a programma la conferenza-concerto I Beatles e i sogni degli anni Sessanta: musica, cultura, società. Interpreti Marco Zappa, Renata Stavrakakis e Ginger Poggi, presentati dal professor Nando Fasce
L’idea è quella di riascoltare per chi c’era e proporre a chi non c’era un pezzo fondamentale della storia sociale e musicale del secolo breve. Gli interpreti avvisano presenti fin dall’inizio: non suoniamo i Beatles come quarant’anni fa, non sarebbe giusto e nemmeno vogliamo farlo; qui proviamo un’altra strada, partendo da quello di cui disponiamo oggi musicalmente.
L’esperimento dicono abbia funzionato bene anche in università, dove, già in mattinata, il gruppo di Marco Zappa ha suonato e spiegato i Beatles agli studenti insieme a Nando Fasce.
Ed allo Zenzero non è stato un Amarcord – anche se molti dei presenti conoscevano a memoria musica e testi – perché strumenti utilizzati, bouzouki, flauti in legno, vari tipi di percussioni, e la voce bellissima di Renata Stavrakakis, hanno favorito un ascolto fresco e ironico.
I tre vengono dal Ticino, Ginger Poggi, batterista, è nato a Voghera ma abita in Svizzera, ha iniziato a suonare nelle navi Costa a ventan’anni, Marco invece mostra le dita “bruciate” dagli strumenti.
Presenti a numerosi festival in India, Grecia, Chicago, Sud Africa, hanno suonato nella cattedrale di Liverpool, dove una sola arcata “contiene mille persone” ed un semplice suono può durare dodici interminabili secondi.
Amano la Liguria e Genova al punto di cantare in genovese ed aver messo in musica, tra le altre, anche la famosa poesia di Caproni l’Ascensore.
Il nuovo cd PolentaEPéss verrà presentato a Genova al Teatro della Tosse l’11 ottobre prossimo.
(Giovanna Profumo – foto Stefano Emilio Porta)
Categoria: musica
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OLI 377 – MUSICA: Dal Ticino, storia, Beatles e Liguria
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Oli 329: CULTURA – Ivano Fossati, concerto d’addio
Perché tanto notevole questo concerto? Perché indica un termine. Comunica che le cose non possono durare per sempre. Accetta e fa accettare l’esistenza di un limite.
Lunga vita a tutti, dopo questo concerto. A Ivano Fossati e a tutti noi.
Ma non c’è dubbio che la prima cosa che si pensa di fronte ad un evento come questo è che, come la stagione di un musicista, anche la vita avrà il suo termine.
Non a caso il concerto stenta a finire. Una uscita di scena dopo l’altra, ed altrettanti ritorni sul palco. Un bis dopo l’altro. L’ultimo applauso, che non è mai l’ultimo.
Difficile faccenda dire “fine”. Sembra che la conclusione arrivi quando Fossati rientra, da solo, siede al pianoforte, e attacca “La costruzione di un amore”, forse uno dei pezzi più amati, più intimi, più difficili.
Ma il momento dell’addio viene ancora dilazionato. Poi il suono del flauto pronuncia la nota definitiva.
Ora a casa ci si va davvero, accompagnati da una bella tristezza, ricchi del patrimonio di umanità e di speranza “intelligente” lasciatoci da Fossati con le sue canzoni.
Grazie, Ivano.
(Ivo Ruello – immagine da internet) -
OLI 323: CULTURA – Ken Russell: un ricordo personale
“Correva l’anno 1987”, si usa dire, molti anni sono trascorsi, eppure la memoria in me è ancora vivida. Nel Teatro Margherita di allora, i cui spazi sono ora utilizzati dal supermercato Coin, si rappresentava Mefistofele, di Arrigo Boito, sotto la regia di Ken Russell (*): le scelte di Russell avevano creato un clima burrascoso già nei giorni precedenti (**), per scatenarsi poi, la sera della prima, in una forte contestazione, senz’altro attesa e, forse, programmata, visto che alcuni si presentarono in teatro muniti di fischietti da vigile urbano (***).
Durante la replica a cui assistetti, la contestazione si scatenò solo alla scena in cui Margherita canta la sua aria, in una cucina moderna, nell’atto di stirare panni, davanti ad un frigorifero contenente la testa della madre. Scelte provocatorie, dissacranti, certo, ma anche divertenti, almeno a giudizio di un melomane “dilettante”, quale lo scrivente si ritiene: il gusto della provocazione cercata, della contestazione che evidentemente risultava in qualche modo gradita anche a Ken Russell.
A quella replica cui assistetti, il regista sedeva in galleria, qualche fila davanti a noi: ai fischi ed agli applausi che si contendevano la scena, rispose alzandosi in piedi, voltandosi verso il pubblico, ringraziando tutto il pubblico, contestatori e non, vestito con un’incredibile giacca a grandi scacchi rossi, quale solo un’inglese, per quanto eccentrico, si può permettere. Indimenticabile.
Al di là di giudizi estetici, a livello di reazione puramente emotiva, è per me un piacere ricordare quella sera, un salutare schiaffo al tradizionalismo imperante nei teatri d’opera.
(Ivo Ruello)
(*) http://www.teatrodel900.it/index.php?option=com_content&task=view&id=449&Itemid=360
(**) http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/24/il-vecchio-faust-diventato-hippy.html
(***) http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/01/25/evviva-mefistofele-abbasso-ken-russell.html -
LE CARTOLINE DI OLI.5: SOCIETA’ – I desilenziatori
Su Radio 3 questa estate, dal 2 luglio al 25 settembre, ogni sabato e domenica mattina alle 9.30, splendide lezioni di musica, da scaricare e risentire con calma, d’inverno:
http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/PublishingBlock-4e02a2ec-4046-486f-b7b2-54b8a5ab86ab.html?refresh_ce
Si tratta di ventisei lezioni curate da Giovanni Bietti, tenute da grandi musicologi e musicisti
italiani; un’iniziativa divulgativa rielaborata per la radio, promossa dalla Fondazione Musica per Roma e dall’Accademia di Santa Cecilia.
Bene, durante una di queste lezioni il docente, di cui purtroppo non ricordo il nome, parlava dell’importanza del silenzio nella musica. E nel discorso citava il suo incontro, avvenuto qualche tempo fa, con una strana parola: il “desilenziatore”. Aveva scoperto, con una stretta al cuore, che questo era il termine usato per definire la musica di fondo che viene immessa ormai ovunque. L’orrore, la minaccia, del silenzio, horror vacui sensoriale da cui difendersi con accanimento.
Scopro che dei “desilenziatori” aveva parlato un articolo della sezione domenicale di La Repubblica del 2 luglio 2006. Ve ne propongo l’interessante lettura:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/07/02/dal-supermarket-all-aeroporto-prigionieri-della-musica-flebo.html
(Paola Pierantoni)
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OLI 298: CULTURA – La barriera di Palazzo Ducale
Giovedì 14 aprile alle 21 nel salone del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale c’è stato un concerto bellissimo, parte del calendario de “la Storia in Piazza”.
Titolo del concerto “Musica Al Hurria”, direzione musicale di Davide Ferrari che ha riunito cinque musicisti di nazionalità egiziana, marocchina, tunisina, algerina ma che vivono in Italia, per un progetto in cui l’espressione musicale diventa veicolo per un rapporto con il Nord Africa, e con la sua aspirazione alla libertà e alla democrazia.La sala del Maggior Consiglio era piena, il rapporto tra musicisti e pubblico molto caldo, la qualità della musica e degli artisti davvero alta, gli applausi tantissimi. La cortesia dei musicisti aveva inserito nel programma una canzone napoletana, Dicitencello vuje, cantata in arabo, ma non era solo la lingua a cambiare, anche la melodia aveva subìto una trasformazione, si colorava di scale e di ritmi che non erano nostri, ma richiamavano antiche radici comuni. Un’altra musica conteneva indiscutibili echi di flamenco, altre avevano suoni e ritmi non arabi, ma decisamente africani. La musica parlava di contatti, di legami, di spostamenti, di commerci. Di storia, appunto.
Nel corso del concerto più volte i musicisti hanno fatto riferimento agli avvenimenti del Nord Africa, alla speranza di un cambiamento che è ancora sospeso nell’incertezza. Hanno detto che la prossima volta tra loro avrebbe dovuto esserci qualche musicista libico. Gli applausi del pubblico hanno sostenuto con calore queste frasi. Solo che in sala, salvo due o tre persone chiaramente nordafricane, c’erano solo italiani.C’è una barriera anche nella nostra città, e il Salone del Gran Consiglio di Palazzo Ducale, per gli immigrati, è al di là di questa barriera. Potremmo definirla, in senso lato, una barriera di classe.
Immagino la sala se la barriera non fosse esistita, immagino le danze che sicuramente si sarebbero accese, la commozione che ci sarebbe stata, il filo invisibile che – come dice Calvino per una delle sue città – avrebbe allacciato per un attimo, in quella sala, un essere vivente ad un altro.
Ma la barriera c’era eccome, visibilissima attraverso le assenze. Per superarla ci sarebbe voluta una precisa azione ed intenzione politica da parte di chi gestiva gli eventi, che invece è mancata.I nomi degli artisti: M’Barka BEN TALEB Tunisia: voce; Samir ABDELATY ELTURKY Egitto: voce – darbouka – daf – riqq – bendir; Marzuk MEJRI: Tunisia voce -darbouka – ney; Abbes BOUFRIOUA: Algeria voce – oud – chitarra; Abdenbi EL GADARI: Marocco voce – guinbri – qarraqeb – t’bel
(Paola Pierantoni – foto Ivo Ruello) -
OLI 295: CITTA’ – Mazurka Clandestina
E’ stata la prima volta per Genova. Sabato 26 marzo, sera piovigginosa e scoraggiante, alle dieci e mezzo di sera trecento persone si sono incontrate nel grande spazio, fino ad un istante prima assolutamente deserto, della Galleria Darsena, dietro al Museo Galata. Un piccolo impianto di amplificazione portatile, giacconi, cappotti, borse abbandonati per terra, e inizio delle danze. Il repertorio è quello popolare francese: balli in cerchio e balli di coppia, valzer e mazurke, appunto. Età dalle giovanissime alle mature. Dopo un’oretta iniziano ad aprirsi le custodie e appaiono fisarmoniche, chitarre, violini, flauti.
Dalle borse escono panini e bottiglie, ma il bar nei pressi deve aver comunque festeggiato incredulo l’evento totalmente inatteso. A notte inoltrata una torta con candeline accende un punto di luce: si festeggia un compleanno.
Il fenomeno è quello della “Clandestina”: una rete di relazioni nate nel mondo della danza popolare lancia un appuntamento informale in un luogo di una città. La comunicazione passa solo attraverso mail, Facebook, sms: nessun altro preavviso. Le esigenze tecniche sono minimali: CD, un piccolo amplificatore, e poi non mancano mai i suonatori.
Non è molto che sono nate le Clandestine, l’inizio è il 2009. Se ne svolgono a Torino, Milano, Napoli, Roma … ma anche in Francia, in Spagna, a Praga, a Londra.
Irene Gonzales di Napoli (*) li descrive come “Eventi totalmente gratuiti, non patrocinati da nessuno, che non mettono in gioco nessun tipo di organizzazione o associazione” e che “si svolgono in luoghi poco usuali della città, poco popolati alla sera, in cui portiamo la nostra bellezza”.
Marco Gheri, uno degli organizzatori di quella genovese, mi parla dello spirito che le anima, e che è lo spirito della “festa”, rito sociale scomparso dalle città, vivo ormai solo in ambiti territoriali molto specifici, ma che covando sotto la cenere nel cuore dell’uomo, ha trovato nuovamente il modo di esprimersi: stante le condizioni al contorno.
Come definire una festa? E’ una comunità che si incontra e che in quel tempo e in quel luogo vuole esprimere e condividere la gioia, attraverso la musica, la danza, il cibo, il vino, le chiacchiere. C’è chi balla bene, chi balla male, chi non balla affatto: non ha nessuna importanza. Un tempo era la comunità del territorio, del paese, del quartiere, che si incontrava. La comunità delle clandestine si muove su spazi più articolati. C’è una rete che si incontra da una città all’altra, relazioni che corrono attraverso l’Italia e l’Europa, scambi di ospitalità, amicizie, partecipazioni ai festival europei di musica popolare, e questo è il nucleo che anima e suggerisce gli eventi; poi c’è l’incontro, quel giorno, con le persone del posto, molte fanno parte di gruppi di danza popolare, ma c’è anche il passante, quello a cui è giunta la voce, e che magari, prima o poi, entrerà nel cerchio.
(*)INTERVISTA A IRENE GONZALEZ.pdf(Paola Pierantoni)
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OLI 284: PORTO ANTICO – Desolazione al mercatino natalizio
Natale, dall’8 al 24 dicembre la società Porto Antico di Genova organizza davanti a Porta Siberia il “Villaggio di Natale”, e sul suo sito (*) annuncia con letizia e baldanza: “L’area di Porta Siberia per le feste diventa un Villaggio per la vendita di prodotti e regali artigianali … Nel pomeriggio, dalle 15.30 alle 17.30 sul Palchetto Musicale del Mercatino di Natale ricco programma di spettacoli musicali che coinvolgerà scuole di musica e gruppi emergenti”
L’organizzazione della scaletta musicale viene affidata alla “Casa della Musica”, che mi propone di partecipare: suono musica greca rebetika nel duo “To Pànsellino”. Non è previsto alcun compenso, nemmeno il rimborso delle ore di lavoro perdute, ma, si sa, suonare è un piacere e si accetta ben volentieri.
Solo che il giorno previsto (mercoledì 22) il tempo è inclemente, piove con ostinazione. Pazienza, d’inverno succede. Si intrecciano scambi telefonici con la Casa della Musica, che propende per annullare l’incontro: non ci sono le condizioni logistiche per suonare in caso di pioggia, ci dice. Ma la “Porto Antico” insiste: non si deve assolutamente annullare il concerto. Si va avanti nell’incertezza fino alle 16, quando arriva la telefonata conclusiva: la Porto Antico non sente ragioni, the show must go on. Così timbro il cartellino ed esco dall’Ansaldo.Alle 16 ci presentiamo.
Piove.
Non c’è un’anima viva in tutto il cosiddetto “Villaggio di Natale”.
La maggioranza dei banchi è chiusa.
La pedana alta 20 cm. su cui dovremmo suonare (il “palchetto” del sito …) non ha alcuna copertura antipioggia, sedie bagnate, prese elettriche per i cavi della amplificazione messe precariamente al riparo di una delle casette destinate alla vendita.
La responsabile della Casa della Musica è infreddolita e desolata: la richiesta di avere un palchetto coperto è stata recisamente rifiutata dalla Porto Antico per “ragioni di sicurezza” (?!).Domanda: ma come può pensare la Porto Antico che si possa suonare col rischio di danneggiare gli strumenti e senza protezione per l’amplificazione? Qualcuno si è preso il disturbo di venire lì a vedere?
Così non suoniamo.
Ma poi, per chi avremmo dovuto suonare? Intorno a noi non c’è nessuno, ma proprio nessuno. Deserto totale. Colpa del tempo cattivo? No, mercatini natalizi pieni di gente nonostante pioggia e neve affollano mezza Europa, incluse altre piazze di Genova, e anche nei giorni asciutti – ci dicono poi alcuni amici – di lì non passava nessuno.
Colpa quindi di una idea improvvisata, realizzata male, e in più senza rispetto per le persone. Del resto si trattava solo di musicisti “emergenti” e per di più “agratis”, che pretendevano? Sono stati trattati in linea coi tempi. Inclusi quelli di candida chioma ed emersi da un bel po’, come il gruppo (musica e danza) di “Banda Brisca”.
Mia moglie passa a dare un’occhiata anche il giorno dopo. Minaccia, anche se non piove, ma il deserto che circonda il gruppo di danza della Banda Brisca è lo stesso: giudicate dalle fotografie.(*) (http://www.portoantico.it/calendario_dettaglio.aspx?lang=ita&id_area=3&Id=3447).
(Ivo Ruello)










