Categoria: INTEGRAZIONE

  • OLI 376 – IMMIGRAZIONE: Le nude verità di Kyenge

    Disegno di Guido Rosato

    Kyenge, ministra dell’integrazione, ha recentemente rilasciato alcune dichiarazioni. Dopo aver sostenuto la necessità di un decreto che riconosca il diritto di cittadinanza per i figli di stranieri nati in Italia, ha affermato che “il reato di clandestinità andrebbe abrogato”. La reazione immediata di Schifani, capogruppo del Pdl al Senato, è stato di ricordare la composizione del governo di “larghe intese” e di ricordare che le priorità del governo, al momento, sono altre http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/05/immigrazione-il-neo-ministro-kienge-abrogare-reato-di-clandestinita/583941/ .
    La notizia è stata riportata sui media e sui social network, generando una mole di commenti in gran parte xenofobi e razzisti (come è possibile verificare il calce all’articolo segnalato), che incolpano Kyenge di voler favorire l’immigrazione irregolare o sottrarre lavoro e pane agli italiani.
    Nessuna testata giornalistica ha però ricordato qual è stato l’iter che ha portato alla approvazione del reato di clandestinità. Esso è stato introdotto abbastanza recentemente, dalla legge n. 94 del 15/7/2009 (il famigerato Decreto Maroni) passando dall’iter della giustizia amministrativa, che – prima dell’entrata in vigore del reato di clandestinità – prevedeva il rilascio di un provvedimento di espulsione, a quello della giustizia penale.
    Una conseguenza è stata l’introduzione dell’obbligo, da parte dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio, come medici o insegnanti, di denunciare gli irregolari. Ulteriore differenza rispetto alla gestione amministrativa degli ingressi irregolari, l’istituzione di un processo per direttissima che, nel corso dell’applicazione del decreto, ha causato enormi costi alla spesa pubblica (cfr. http://www.olinews.info/2011/02/oli-290-migranti-quanto-ci-costa-il.html), ed intasato i tribunali. Al contrario dei suoi principi anticostituzionali e degli effetti collaterali, l’efficacia del decreto Maroni nel contrasto all’immigrazione irregolare non è mai stata dimostrata. Anzi, alcune parti, come l’aggravante per clandestinità, sono state già abrogate dalla Corte Costituzionale.
    Per gli addetti ai lavori, Kyenge ha ribadito concetti basilari da cui partire per costruire l’integrazione, ma per chi manovra la fabbrica del consenso le sue dichiarazioni sono facilmente strumentalizzabili; unico antidoto, un’informazione sobria e responsabile.
    (Eleana Marullo – immagine di Guido Rosato)

  • OLI 335: IMMIGRAZIONE – L’integrazione ai tempi delle TV satellitari

    Nell’articolo di Rania Ibrahim sul Corriere della Sera del 12 marzo “Grazie alla parabola…”, la confusione regna indisturbata. Da una parte la parabola è screditata in quanto non è da quartieri “fashion” ed è “tipicamente da banlieue parigina” e da circonvallazione di Milano, dall’altra si indigna quando i vicini di casa protestano per l’installazione della sua di parabola: “rovinava la facciata del condominio…capirai.”
    La parabola della scrittrice è “buona” ed ha contribuito ad insegnarle la lingua araba, a conoscere il suo paese d’origine e tante altre belle cose mentre quella delle altre donne immigrate che dice siano (non poteva mancare) “la maggior parte musulmane”, e che definisce come “mogli-sforna bimbi” di uomini immigrati è “cattiva”: con la parabola, si barricano “nelle loro case, chiuse in un mondo che non hanno mai lasciato realmente, tutto il giorno a guardare esclusivamente programmi arabi, sentire musica araba, telegiornali arabi, la Rai?, non sanno neppure cosa sia”.
    Naturalmente non è così: la scrittrice non è l’unica tra le figlie ed i figli degli immigrati ad usufruire dei vantaggi della parabola nel mantenere la lingua e la cultura d’origine e non è certamente colpa della parabola se le comunità immigrate vivono separate dalla società ospitante che fa poco per integrarle. E’ spiacevole che quando una persona immigrata ha la possibilità di scrivere su una testata importante, non faccia altro che ripetere gli stessi stereotipi sugli immigrati che da vent’anni si va scrivendo sullo stesso quotidiano. Massima cura della scrittrice è di rassicurare di essere diversa da altri immigrati che non sanno parlare l’italiano, sfornare bimbi ecc.
    Articolo a parte, qualche sociologo dovrebbe fare una seria indagine sull’influenza della diffusione delle TV satellitari nell’integrazione degli immigrati in Italia. Ad esempio, se il modello dell’assimilazione degli immigrati era di difficile attuazione esso è, ora, impossibile: moltissimi immigrati ben integrati a livello lavorativo e linguistico seguono più i telegiornali del paese d’origine che quelli italiani. In molti casi si guardano quotidianamente due telegiornali del paese d’origine e nessuno italiano. Cosa significa questo per l’integrazione e per la politica? E’ nell’interesse dell’Italia che milioni di persone che vivono nel nostro paese seguano i nostri telegiornali? Sembrerebbe evidente, ma allora TV e telegiornali dovrebbero cambiare: ad esempio, assumere l’antirazzismo come etica fondamentale. Quando denunciano l’integralismo e il fanatismo religioso, dovrebbero farlo con equilibrio ed obiettività coinvolgendo tutti gli integralismi compresi quello cristiano e quello ebraico. Quando parlano di Palestina e medio oriente dovrebbero essere obbiettivi e rappresentare tutti i punti di vista e non appiattirsi, come accade oggi, su un unico punto di vista. Insomma TV e telegiornali italiani dovrebbero diventare multietnici e interculturali. Mi rendo conto che potrebbe sembrare qualcosa di utopico, visto il degrado delle nostre TV, ma è necessario.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 325: SOCIETA’ – La marcia dei fratelli neri e bianchi

    Sabato 17 dicembre in tutta Italia si sono svolte manifestazioni per l’assassinio a Firenze dei senegalesi Mor Diop e Samb Modou e il ferimento di altre tre vittime. Opera certamente di uno squilibrato, la cui follia era però alimentata non solo dalla xenofobia e dal razzismo dilaganti in certi strati della popolazione, minoritari ma non per questo meno inquietanti, se si considerano per giunta gli indegni compiaciuti commenti pubblicati sul web, ma anche dalle posizioni ripetutamente espresse da forze politiche presenti in parlamento e nello scorso governo, ai quali si è inteso contrapporre una risposta ferma e di grande civiltà.
    Anche a Genova sono sfilate centinaia e centinaia di persone, dalla Commenda fino a De Ferrari per ridiscendere infine a Caricamento, in un corteo organizzato dalla comunità senegalese, dalle reti antirazziste e dall’ARCI. La stragrande maggioranza era nera. Tra i bianchi si riconoscevano volti noti e meno noti nel popolo della sinistra, dalle diverse collocazioni politiche e impegnati a vari livelli, tra cui l’avvocato Alessandra Ballerini e l’assessore comunale Bruno Pastorino. Non solo, ma pure cittadini “comuni” che via via si univano all’imponente marcia, tra i quali  famiglie con i figli visibilmente partecipi anch’essi, soddisfatti di esserci per propria convinzione e non per compiacere i genitori.
    Dal furgone in prima linea si alternavano musica e discorsi. La parola più ricorrente era “fratelli”: fratelli neri e fratelli bianchi, tutti uniti a ribadire la volontà di vivere insieme.

    (Ferdinando Bonora)

  • OLI 311: IMMIGRAZIONE – Chiamateli “persone migranti”

    Foto di Giovanna Profumo

    Il procuratore capo di Savona Francantonio Granero con una circolare chiede ai pubblici ministeri e agli agenti di polizia giudiziaria di non utilizzare, negli atti giudiziari, termini come “extracomunitario” “il clandestino” “il rumeno” ecc.., che – dice Granero – hanno assunto nel corso degli anni un significato discriminatorio anche nel linguaggio comune e nella percezione di chi opera nelle istituzioni. 

    Granero chiede invece di utilizzare, di fronte a uomini e donne che non appartengono all’Unione Europea, i termini “persone migranti” oppure “cittadino di un determinato paese” solo laddove questo risulti significativo per le indagini. “Per il resto – dice Granero – si utilizzino gli stessi termini che valgono per i cittadini italiani. Raramente del resto capita di leggere “italiano investe un pedone” o “italiano sorpreso a spacciare stupefacenti in tale zona”.
    Le disposizioni del procuratore capo sono state accolte molto bene dai suoi colleghi di Savona  e dai colleghi a livello ligure e nazionale: il presidente della sezione ligure dell’Associazione Nazionale Magistrati Franceso Pinto ha dichiarato di essere totalmente d’accordo con il collega di Savona, aggiungendo che la circolare Granero “riveste anche un’importante valenza tecnica, visto che sembra uniformarsi agli indirizzi della Corte di Giustizia Europea la quale, in più occasioni, ha sottolineato come vadano eliminate anche le discriminazioni lessicali”.
    “Extracomunitario”, uno dei termini incriminati dalla circolare Granero, nasce negli anni ottanta per indicare persone non appartenenti alla Comunità europea ed è testardamente ancora usato malgrado la Comunità non esista più dal primo novembre 1993, data di entrata in vigore del trattato di Maastricht che crea l’Unione Europea.
    Con questa ennesima iniziativa i giudici italiani confermano il loro contributo concreto per l’integrazione e contro la discriminazione, un contributo che assume un’importanza enorme in assenza di quello di politici e  giornalisti (che usano spesso e volentieri tutti i termini incriminati dalla circolare). Meno male che ci sono i giudici che imponendo legalità, rispetto della Costituzione e delle leggi riescono a limitare la prepotenza dei più forti, dei più ricchi e dei razzisti.

    (Saleh Zaghloul)