Categoria: OLI 368

  • OLI 368: LIGURIA – Derivati, le regole della politica e quelle dei cittadini

    Foto da internet

    La minaccia “derivati” ha fatto sentire i suoi effetti – dal passato – anche sul Comune di Genova. La miccia è stata accesa da Il Giornale, che ne ha ricavato un’inchiesta pubblicata a partire dall’8 febbraio con l’articolo d’esordio “Il Monte dei Paschi anche a Palazzo Tursi: 118 milioni di derivati” (8/2/2013). Lo si ricorda per i lettori inesperti di ingegneria finanziaria: il derivato è uno strumento, un contratto, un accordo il quale lega il suo valore a quello di un’attività. Nel caso dei derivati acquistati dal Comune di Genova, ci si basa sull’oscillazione dei tassi di interesse dei mutui. Ritornando al caso di Genova, Il Giornale ha sollecitato l’intervento dell’assessore al Bilancio Miceli che ha dichiarato “Si tratta di due contratti, il primo stipulato nel 2002 con Unicredit per un valore di 7.272.000 euro, il secondo stipulato con Bnl nel 2001 per 13.066.882 euro con scadenza 2020” (“Derivati, la Corte vuol fare i conti col Comune”, Il Giornale 9/2/13). Sull’onda dell’inchiesta, la Lega ha proposto un’interrogazione comunale, non ammessa per ora a discussione (Il Giornale 13/2/2013). Il modo di riportare le notizie segue l’orientamento ideologico della testata, tanto che Il Giornale in un primo momento minimizza il fatto che i derivati risalgano alla giunta Pericu, rimarcando le responsabilità a riguardo dell’attuale amministrazione, mentre in altri articoli gioca sul fatto che i derivati non siano stati annullati immediatamente dal Comune, ma – contemporaneamente – una sentenza del Tar Toscana solleva questioni che sono d’ostacolo alla possibilità per le P.A. di liberarsene (“Swap impossibili da annullare”, Il Sole 24 Ore 23/2/2013). Il Secolo XIX si occupa della questione e riporta la dichiarazione di Miceli, secondo cui “si tratta, come si è detto, di due contratti senza rischi occulti o non prevedibili, che hanno sole finalità di tutela da forti oscillazioni dei tassi, per cui si valuta che in questo momento non sia conveniente rescindere questi contratti per il pagamento delle penali” (Il Secolo XIX 1/3/2013). Rimane invece silenziosa sull’argomento la Repubblica – Lavoro. L’alone di mistero che sembra comunque continuare a circondare la faccenda (a quanto ammontano le penali che impediscono di rescindere da un contratto in cui il comune, comunque, è in perdita?) riporta alla mente vicende di simili derive e simili misteri: i derivati non sono una novità per la Liguria: nel 2011 la giunta Vincenzi aveva chiuso un contratto con BNP Paribas, che costava 24 milioni di euro soltanto di interessi e che era stato siglato poco prima del suo insediamento, ancora sotto la giunta Pericu. Nel 2007 invece era stata la Regione a finire nei pasticci: un ex impiegato della banca giapponese Nomura a Londra aveva denunciato enormi ricavi ottenuti da un prestito della Regione Liguria nel 2006, (Il Secolo XIX, 6 aprile 2007, vedi anche OLI 160). Anche in quel caso, l’accordo era circondato dal massimo segreto e riserbo: il governatore Burlando dichiarava di dover seguire le “regole”. Ma non si riferiva a quelle che tutelano il diritto dei cittadini di sapere e di pretendere trasparenza, bensì a quelle contenute nei contratti ed imposte dalle banche. Ritornando al presente, al momento il sito del comune non riporta alcuna indicazione riguardo alla stipula dei contratti derivati: la trasparenza rimane uno dei punti più dolenti delle iniziative finanziarie ad alto e medio rischio intraprese dalle pubbliche amministrazioni.
    (Eleana Marullo – foto da internet)

  • OLI 368: GENOVA – C’è chi dice casiNo


    28 febbraio, ore 14 e 55, pubblico sul mio profilo Fb.
    Facile dire “a Zena se ciamman bagasce”, facile anche scriverselo sulla maglietta. Facile gridarlo a Nicole Minetti, troppo facile. Il problema a mio avviso è che sarebbe superficiale, machista, ipocrita. Non esiste un corrispettivo maschile: insultate un uomo corrotto, marcio, approfittatore etc., cosa gli dite? Minetti è donna, si è comportata in un certo modo, quindi è bagascia. Bene. Se anche fosse il problema non è lì ma in chi fa l’investimento per quel luogo in cui di sano, economicamente e non solo, ci vedo ben poco. Possiamo anche prendercela con lei ma lo trovo miope: chi ha i capitali per fare una cosa del genere? A chi importa che cosa si farà lì dentro? Chi controllerà che la gente non ci si rovini? Sapremo da dove arriva il denaro che ci circola, lì come in tutte le altre sale e salette spuntate come funghi ovunque? Non sempre (secondo me quasi mai) il bersaglio più facile è quello giusto. Per fortuna ci sono persone lungimiranti che si fanno le domande giuste e che non mollano. Per fortuna l’antimafia a Genova non sono parole al vento.
    1 marzo 2013, sera, dopo il presidio CASI-NO a Genova Pegli.

    Passo in moto, c’è già una folla pochi minuti dopo le 18, sorrido, qualche faccia nota, attraverso veloce il traffico e il ponte per parcheggiare e partecipare. Bandiere, di partito e non, striscioni con slogan, volantini, si aspetta Don Gallo, intanto prendono la parola il presidente del municipio, Domenico Chionetti, di San Benedetto, detto Megu  , una cittadina di Pegli… Ciascun* esprime gratitudine rispetto alla partecipazione della gente – quante e quanti lo lascio dire a chi sa fare queste stime, a me sembravamo un bel po’ – e cerca di sensibilizzare sulla problematica del gioco d’azzardo e delle ludopatie, del dilagare degli investimenti poco puliti, in particolare negli ultimissimi tempi e approfittando del periodo di crisi. Don Gallo arriva annunciato e abbandona l’auto in mezzo al traffico, provocato dalla folla che attraversava di tanto in tanto la strada mostrando i cartelli (casi-NO) e invitando chi passava a restare e manifestare, raggiungendoci a piedi, circondato da foto ed entusiasmo. Prende la parola – “una sedia per il Gallo!” passa sulle nostre teste – soffermandosi sulle lotte del ponente, sulla dignità di queste lotte, sulla tenacia e sulla rilevanza politica e pubblica della partecipazione della gente, sul coinvolgimento, sull’esserci e sul contare. “Nicole Minetti vada a mostrare tette e culo altrove” – scivola, la gente si infiamma, troppo facile, continuo a pensare che il problema non sia la scelta della “madrina” per l’inaugurazione. Don Gallo prosegue, gli interventi si alternano e si respirano interesse, passione. Ascolto e ragiono: non si è fermata l’apertura del casinò: a detta di chi vive a Pegli e ne è al corrente, come racconta una signora, “la sera ci sono macchine ovunque, in terza e quarta fila, pullman addirittura, e poi, si sa, come dire, l’indotto di questi affari… prostituzione, spaccio”. Si è in qualche modo rimandata l’inaugurazione grazie alla mobilitazione cittadina e all’intervento del comune che ha voce in capitolo per quanto riguarda i permessi necessari per l’apertura e la gestione del locale. Quello che ci si aspetta ora e per cui si auspica una partecipazione e un’attenzione costante è il seguito: riciclaggio di denaro, traffici illeciti e ottime coperture, famiglie rovinate e attività commerciali che vengono sostituite da casinò, la gente è stufa, la partecipazione di oggi l’ha dimostrato: “siamo qui, torneremo!” chiude Megu di San Benedetto, applausi, speranza, desiderio di cambiare, coraggio!
    (Valentina Genta – foto di Marco Pelizza)

  • OLI 368: ELEZIONI – L’inverno del nostro sconcerto

    Sono davvero sconcertata e tristissima per i risultati elettorali e per quello che sta succedendo adesso nella società politica e civile. 
    (Frammento di una mail a commento delle recenti elezioni)

    Se si imbocca la sopraelevata da Sampierdarena, la Lanterna, prima visibile al visitatore, è stata oscurata da una quinta di due torri, astutamente battezzate Torri Faro. Non si tratta di edilizia popolare e poco importa in quale PUC fossero inserite. Al progetto ha certamente dato approvazione il Comune di Genova storicamente amministrato da giunte di sinistra.
    A Cornigliano, le aree bonificate – oggetto di una recente inchiesta – e promesse alla cittadinanza con tanto di distribuzione di bulloni provenienti dall’area siderurgica nel maggio 2007, sono tuttora occupate dai container di Spinelli.
    Sui lavori per la messa in sicurezza del Bisagno ha posato gli occhi il Tar, che accolti due ricorsi, ha annullato il bando.
    Villa Raggio, in Via Pisa, era sede di ambulatori ASL. Donata alla collettività per un utilizzo a fini sanitari è stata venduta dalla Regione Liguria per fare cassa. Inutile il ricorso al Tar della famiglia Raggio. La dimora, suddivisa in lotti, oggi ospita appartamenti prestigiosi dotati di parco con piscina. Non risulta che una parte sia stata destinata alla cittadinanza.
    Mentre a Cogoleto l’enorme area dell’ ex-manicomio a Pratozanino era oggetto di cartolarizzazione, esattamente come Villa Raggio, i pazienti psichiatrici venivano comodamente ospitati in container per ben quattro inverni
    Cosa aggiungere sul buco di quaranta milioni dell’Istituto Brignole, sulla definitiva sepoltura all’Ist, e sugli investimenti fatti all’ospedale Evangelico Internazionale?
    Sono solo alcuni dei successi inanellati negli anni dalla politica locale e regionale, piccoli cammei che hanno contribuito, insieme al resto, alla scientifica polverizzazione di risorse collettive. Si tratta di scelte fatte in nome dei bilanci, del contenimento della spesa, da chi si dichiarava di sinistra. Dove la creatività distruttiva toccava il suo culmine si è arrivati a far credere al cittadino come necessaria la costruzione di un parcheggio al posto di una creuza storica.
    Quanti comitati gridavano il loro sconcerto in città e nel paese totalmente inascoltati da chi la politica la faceva di professione?
    Trasparenza, onestà e competenza: erano le parole chiave. Qualcuno ha aperto un cassetto e le ha tirate fuori.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • OLI 368: INFORMAZIONE – Grillo e i giornalisti d’assalto

    Roma, 4 marzo 2013, l’uscita di Beppe Grillo è attesa da decine di giornalisti e fotografi che letteralmente assaltano il popolare personaggio scavalcandosi l’un l’altro. Qualcuno (vedi foto a sinistra) sale anche sul tetto di un’autovettura posteggiata, foto rubata da un attivista e pubblicata su Facebook, per cercare di dare una mano al proprietario a trovare il responsabile delle inevitabili ammaccature subite. Nella ressa, una persona che si era appoggiata all’auto di Grillo resta con le dita schiacciate nella portiera (vedi video in basso), che viene immediatamente riaperta e, nonostante la situazione di pericolo per il ferito, ripresa di nuovo d’assalto dai fotografi. Grillo deve intervenire personalmente per tenerli lontani.
    Domenica sera, alla fine del primo incontro tecnico a Roma degli eletti,  la stampa blocca la strada, non è ammessa all’interno: gente che lavora, certamente, se di lavoro si può parlare vedendo un simile girone infernale, come a Sant’Ilario aspettando Grillo che voti alla scuola di agricoltura: quindici ore in attesa, al freddo, la polizia che alla fine distribuisce bevande calde alle persone in attesa di scattare una sola foto utile al giornale. Non mi pare che sia questa la stampa che faccia vera informazione. Ha fame di notizie del Movimento 5 Stelle, i cui attivisti se ne stanno tranquilli ben lontani dai riflettori, in attesa di nominare i due portavoce per Camera e Senato, che saranno cambiati ogni sei mesi, scelti a votazione, come nella tradizione del Movimento. I giornalisti, non abituati a questo diniego, stanno letteralmente perdendo la bussola, chiamano amici e parenti nel tentativo di avere un numero di cellulare, appaiono nelle riunioni plenarie, negli incontri dove prima non erano mai stati, pare che il sistema di stare molto lontano da loro ripaghi con un interesse moltiplicato: poi, adesso, con un 30% dei voti, avere una foto di un “grillino” diventa un must irrinunciabile.
    Alcuni, negli alti ranghi, cominciano a preoccuparsi sentendo avvicinare il pericolo della fine del finanziamento pubblico all’editoria, che comporterebbe per molte testate la fine di un sistema consolidato di lavoro, e di potere. Una considerazione che riguarda il futuro: dovranno reinventarsi tutto, lavorare davvero su internet per abbattere i costi, livellare le redazioni e “far da sé”, come già sta accandendo sulla rete, insomma “bloggare la stampa” e poi, per evidenti necessità di veicolazione pubblicitaria, chiedere al governo che si dia davvero da fare per far arrivare internet a tutti.


    (Stefano De Pietro)

  • OLI 368: SOCIETA’ – Flexitariani, o dell’elogio della flessibilità

    Pochi gioni fa, chiedendo ad amici invitati a cena se avessero cibi sgraditi, diete particolari, la risposta è stata: “No, siamo onnivori, anzi flexitariani”.
    Wikipedia ci informa che flexitariana o semi-vegetariana (*) è una dieta vegetariana con introduzione occasionale di carne: tendenza in crescita, a leggere il recente articolo del Guardian (**), che spiega come la corretta interpretazione di questa dieta consista nel consumare carni di cui si conosce la provenienza “etica”. Nella speranza di essere percepiti dagli animali come una minaccia meno pericolosa di un carnivoro a tempo pieno.
    Analizziamo i termini: flexi, flessibile, flessibilità (***), una bella qualità che permette ad un albero di flettersi al vento senza spezzarsi, ad un edificio di resistere ad un terremoto: il termine opposto è rigidità, riassumibile nella locuzione latina frangar non flectar (mi spezzo ma non mi piego). Parrebbe che la flessibilità sia associabile ad una maggior “intelligenza”, ad una minore intransigenza, ad un comportamento mentale che obbliga a ragionare. In Italia ce ne sarebbe un gran bisogno.

    (*) http://en.wikipedia.org/wiki/Semi-vegetarianism
    (**) http://www.guardian.co.uk/lifeandstyle/2013/jan/21/flexitarianism-vegetarianism-with-cheating
    (***) http://en.wikipedia.org/wiki/Flexibility_%28engineering%29

    (Ivo Ruello – Immagine da internet)

  • OLI 368: TEATROGIORNALE – Madre di famiglia

    Da la Repubblica Benedetto XVI non è più Papa

    Mia nonna è sempre stata una donna forte. Una di quelle donne che tengono unite la famiglia, che non sono mai stanche e allevano quattro figli, otto nipoti con un marito che non è capace a cuocere la pasta.
    Mia nonna è sempre stata dietro, ha lavorato tutta la vita in silenzio, fino ad oggi. Oggi la nonna non è entrata in cucina e non ha acceso i fornelli, non ha apparecchiato la tavola, non ha cucito il vestito che le avevo chiesto di accorciarmi. Quando alle due siamo arrivate, io, mia mamma, mia zia e mio cugino, l’abbiamo trovata seduta in poltrona che si leggeva un Harmony.
    – Ma nonna, che succede?
    Le chiediamo preoccupati. Lei alza gli occhi e dice:
    – Finisco il capitolo e arrivo, intanto andate di là a mettere su una pentola per l’acqua.
    E riprende a leggere. Siamo rimasti a guardarla. Cercavamo dei segni evidenti di demenza senile, di depressione grave o almeno un tremore. Niente. Siamo andati in cucina e abbiamo avvertito la zia Gilda, lo zio Carlo e gli altri nipoti. Nel giro di mezz’ora c’erano tutti.
    Chi entrava la studiava senza parlare e poi, arrivati in cucina, chiusa la porta, iniziava a esporre le più fantasiose congetture per finire con le litigate di sempre, quelle che durano da sessant’anni e che in realtà sono sempre un miscuglio di invidie tra fratelli e sensi di colpa.
    Finalmente alle tre meno un quarto arriva la nonna in cucina e ci accorgiamo che non abbiamo messo su nulla per il pranzo. La nonna apre la porta finestra del terrazzo. La luce del sole la incornicia: ha il solito vestito a quadratini marrone, il pulloverino abbottonato, le calze color carne e le scarpe col tacchetto a tre centimetri.
    – Cari
    Inizia e la sua voce è dolce come sempre.
    – Questo giorno mio è diverso dai precedenti: da oggi non sarò più vostra madre o nonna, per la verità non sarò più neanche la vedova Giannelli: fino alle otto di questa sera lo sarò ancora, poi non più. Sarò semplicemente una donna che inizia l’ultima tappa di questa meravigliosa avventura che è la vita. Sono stanca, anziana, non so ancora quanto mi resta da vivere e non ce la faccio più a portare ancora avanti questa famiglia. Vorrei potervi aiutare ancora, prepararvi il pranzo o rammendarvi i calzini, è che non ce la faccio più. Sono sicura che chiunque di voi potrà prendere il mio posto, se lo desidera, e continuare a tenere unita questa famiglia. Mi dimetto da madre di famiglia. Vi benedico con tutto il cuore.
    Dal cielo cala una imbracatura, la nonna se la infila, solo allora capimmo che quel fragore non era un rumore di traffico e di vento o di lavori stradali: era un elicottero.
    La nonna si alza in volo e, aprendo le braccia, ci saluta:
    – Grazie e buona giornata a tutti voi.
    Siamo restati così tutto il pomeriggio: gli zii a piangere in silenzio e noi nipoti a guardarli piangere. L’ombra è entrata nella sala. ‘E arrivata la sera. “Fino alle otto di sera”, ha detto la nonna. Sono le sette e mezza. Quando saranno le otto gli zii saranno ufficialmente orfani sia di padre che di madre. Noi nipoti saremmo senza più nonni. E potremmo rimanere orfani anche noi? Non per l’ineluttabile morte ma per una scelta autonoma di mia madre o di mio padre? Allora anche un figlio può dare le dimissioni? E un cugino? Uno zio? Un cognato? Le lacrime hanno iniziato a scendere e una fitta mi ha attraversato il petto. Mi sento sola come mai nella vita.
    Sono le otto. La sala è buia ma nessuno può più accendere la luce. Hanno sospeso la fornitura dell’Enel.
    (Arianna Musso – foto di Giovanna Profumo)