Categoria: OLI 361

  • OLI 361: PAROLE DEGLI OCCHI – Rispettiamo l’infanzia

    Foto di Paola Pierantoni

    Bambini come tutti gli altri, questi in una strada di Barcellona. Come quelli uccisi ogni giorno, ovunque, dalle guerre, dalla fame, dagli attentati, dalla lobby delle armi.
  • OLI 361: GLI AUGURI DELLA REDAZIONE

    Care lettrici e cari lettori di Oli, fedele pubblico della nostra newsletter, 
    l’augurio di Oli è che il 2013 sia meno incerto e difficile, 
    che ci offra qualche spiraglio in più.
    Torneremo con i nostri aggiornamenti settimanali dopo la prima settimana di gennaio.  
     
     Resta attiva la rubrica “Le cartoline di Oli”che inizieremo a pubblicare, senza alcuna periodicità, seguendo le occasioni che via via si presenteranno.
    Chi volesse condividere un’immagine, un’esperienza, una testimonianza, o qualsiasi spunto di riflessione può farlo inviando le proprie cartoline all’indirizzo mail della redazione.
    Buone Feste e Buon anno!
    La Redazione
  • OLI 361: NATALE – Betlemme, il Natale a un passo dall’inferno

    Buon Natale.
    Betlemme si sta preparando al Natale: il piazzale della Chiesa della Natività è illuminato da luci colorate, dentro la chiesa ci sono le processioni di avvento in attesa del Natale.
    Nella chiesa al piano inferiore c’è la stella dorata che indica il luogo dove più di 2000 anni fa è nato Gesù Bambino.

    In questo periodo molti pellegrini si recano a Betlemme per il pellegrinaggio natalizio e visiteranno i luoghi circostanti come da classico programma di pellegrinaggio: Gerusalemme, Nazareth, Gerico e Betlemme.
    Chissà che momenti suggestivi per un pellegrino cristiano partecipare alla messa di Natale proprio in uno dei luoghi più importanti del Vangelo.
    Ma a Betlemme non c’è solo la chiesa della Natività che ogni anno attira pellegrini da tutto il mondo, lì vicino c’è il campo profughi di “Aida” dove abitano cinquemila persone sia musulmane che cristiane sfollate dai propri villaggi, e dove sabato sono avvenuti degli scontri tra i militari israeliani e i ragazzi profughi; c’è la colonia di Gilo costruita sulla terra espropriata illegalmente ai palestinesi, c’è il check point 300 dove la mattina alle 4 si trova una fila di palestinesi che si recano a Gerusalemme per lavoro: solo chi ha il permesso di lavoro, che viene rinnovato ogni 3 mesi, può oltrepassare il muro di divisione dopo ore di controlli.
    I palestinesi di Betlemme non possono recarsi al di là del muro senza permessi.
    Sono molti i palestinesi che non hanno mai visto Gerusalemme che dista a soli 7 km da Betlemme.
    Caro pellegrino cristiano e credente che ti stai recando a Betlemme, ricorda che se Gesù nascesse oggi in Palestina sarebbe un profugo o un perseguitato solo perché nato nei territori occupati, e quindi considerato altamente pericoloso dal governo israeliano.
    Per il messaggio di giustizia e amore che ha dato durante la sua vita sarebbe dalla parte degli oppressi.
    (Maria Di Pietro –  Foto dell’autrice)

  • OLI 361: PRIMARIE – Ah les femmes di Capodanno!

    “Vorrei fare la madre nobile”, dichiara a Il Secolo XIX ( (16/12)  Marta Vincenzi, in risposta alle voci che la danno in corsa alle Primarie Pd dei candidati parlamentari, che si svolgeranno il 29 e 30 dicembre. 

    Una dichiarazione puntuale per smentire indiscrezioni di parte e non della stessa parte, come quelle di Italia Oggi del 15 dicembre, testata nazionale  non di sinistra e magari velenosa, che già ipotizzava la stessa guerra fratricida dell’elezione a sindaco di Genova: tanto che per non fare incontrare Marta e Roberta una la si vorrebbe destinata per un seggio al Senato, l’altra alla Camera.
    Ecco tornare l’antico rito, parafrasando l’adagio “un posto per uno non fa male a nessuno”, un rito che fa male agli elettori però. Chi ha detto che i cittadini  liguri del centrosinistra vogliano di nuovo essere rappresentati dai carini che circolano ora?
    Ci piacerebbe tanto si facesse una verifica di quanto fatto per la nostra Liguria in Parlamento dagli onorevoli che oggi vi siedono: strusci di salotti tv, qualche interrogazione sulla vendita di Ansaldo adesso, mai lamentati prima ai tempi di Belsito e ancor prima quando nel cda ha troneggiato per anni  il compagno Margini. Per Fincantieri fraterne partecipazioni a cortei quando ormai i cantieri si sono smobilitati, non quando già languivano ai tempi del governo Prodi. Così per l’Ilva: ma dov’erano i nostri parlamentari “tutto lavoro-operai” mentre gli operai inferociti presidiavano giorni fa la questura e il sindaco Doria finiva sui giornali di tutta Italia per aver mediato da solo presso i lavoratori? Sono arrivati alla chetichella, quando tutto si era ormai risolto, il vicepresidente della Regione Scialfa e il deputato Mario Tullo, considerati zero dalla folla.
    “Ma che vuoi, dice una vecchia iscritta, in fondo Tullo ha fatto solo una legislatura e ha lasciato la segreteria…” Forse intendeva dire che perdiamo chissà quali preziose esperienze e competenze acquisite by Roma capitale. Di tornare alla vita di prima neppure si parla, al lavoro di prima se mai c’è stato: in fondo fare carriera nel partito è diventata professione ambita e dunque da qualche parte devono pur essere ricollocati per una regola non scritta e ormai insopportabile.
    Vedi Giovanna Melandri, eletta in Liguria, rioccupata al museo Maxxi di Roma, dopo due elezioni da paracadutata qui. Vedi Saretta Armella, che, da presidente rampante di Fiera in crisi, si dice sia in partenza per Roma, moglie del segretario provinciale di Genova, il savonese Lunardon, che rinuncia al seggio, tanto rimane in famiglia.
    Così in nome delle “dannate” quote rosa pare si presentino anche la moglie di Walter Ferrando, consigliere regionale e poi la figlia di Paolo Emilio Taviani, mentre rinuncia invece la dignitosa figlia di Guido Rossa, Sabina. Indovina un po’ chi sarebbe in tandem con Tullo? La moglie del responsabile dell’apparato elettorale del partito Bartolozzi.
    Decisamente un rinnovamento, come chiedeva l’elettorato, tanto fanno i conti con il 70 per cento del secondo turno di Bersani, dimenticandosi delle contemporanee primarie del partito di Nichi Vendola, detentore del 15 per cento di quel 70 per cento uscito il 2 dicembre. 
    Per fortuna pare ci sia tra le papabili la sindacalista Anna Giacobbe, insieme all’altra novità, se varranno le preferenze doppie, il ticket Lorenzo Basso con la new entry renziana Sara Di Paolo, un volto nuovo e speriamo di qualità.
    (Bianca Vergati)
  • OLI 361: INFORMAZIONE – Ma è stampa questa?

    Eppure ci sono i gruppi di lavoro serali e notturni, sull’energia, sul lavoro, sulle partecipate, sui rifiuti, che tritano argomenti e sfornano, almeno ci provano, soluzioni. Ci sono le riunioni plenarie con cento persone ogni volta, stabili, in crescita, con le relazioni di tecnici che spiegano oggi il bilancio, domani la raccolta differenziata. C’è la webtv che sta partendo e che già ha dimostato le sue potenzialità. Ci sono i voli pindarici verso una società dove i cittadini aiutano 40 lavoratori della centrale del latte a continuare a vendere il latte, sputando in faccia a chi chiude la centrale. Ci sono gli articoli sul sito web che descrivono i piccoli e grandi successi dei cinque consiglieri comunali del cinquestelle, che fanno anche errori, che non sempre sono preparati sugli argomenti delle commissioni e dei consigli, divisi tra l’impegno istituzionale e i propri impieghi. Ci sono i comunicati stampa, e tutto l’impegno di pubblicare in anteprima i documenti in discussione in consiglio e nelle commissioni, chi mai lo aveva fatto prima di loro? Li consultano anche i consiglieri di altri gruppi, che si stupiscono loro stessi della loro trasparenza. C’è l’impegno a voler cambiare il regolamento del consiglio comunale, con l’opposizione schierata di molti, per dare a Genova la possibilità di vedere verbali, di sentire gli audio, di consultare documenti direttamente sul sito del proprio comune.

    C’è la vittoria dei libri mastri, che impegna un assessore sordo a portare in commissione tutti i dati della contabilità di particolare delle partecipate del comune, e la battaglia affinché tale decisione del consiglio sia attuata, con interpellanze, mozioni, denunce alla stampa, naturalmente senza risultato. E la vittoria della differenziata porta a porta, una mozione tutta a cinque stelle. Ci sono le manifestazioni, i video girati a dar voce a chi non desta abbastanza interesse ai giornali. Di tutto questo, sulla stampa genovese, non si legge nulla. Ma è stampa questa?
    Quando leggerete domani sul giornale, di Grillo, Favia, dell’attivista ignoto col passamontagna, delle parlamentarie bucate, pensate anche a quante cose utili a tutti devono essere fatte come muovendosi tra le canne in una palude con gli alligatori che ti chiedono un’intervista per sapere se hai altri parenti nel movimento.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 361: POLITICA – Roberto Benigni visto da uno “straniero”

    E’ stato molto bravo, anzi, splendido, Roberto Benigni ieri a spiegare i primi 11 articoli della Costituzione Italiana. Io seguivo con molta attenzione e ammirazione, mia figlia si chiedeva “Ma perché non si candida, meglio il comico Benigni che il comico Grillo, almeno è un uomo di cultura!”.
    Ogni tanto, guardo bene il marchio della TV, ma è proprio vero, siamo su Rai Uno!
    Saranno anni che non seguo quasi nulla su quel canale (ad eccezione delle partite di calcio della nazionale italiana).
    Finita la performance meravigliosa di Benigni, ho subito messo “mi piace”, su facebook, sul post che gli diceva semplicemente “Grazie”.

    Grazie perché ha ridato dignità alle persone che fanno politica e che, nonostante la desolante realtà dei politici e dei partiti italiani, non hanno mai smesso di fare politica intesa come contributo per il bene della collettività.
    Grazie perché mi sono reso conto di essere una “piccola costituzione” italiana fatta persona che cammina per le strade. Non c’è uno solo dei principi costituzionali negli undici articoli spiegati che non faccia parte delle fondamenta della mia cultura e della mia persona, e che non cerchi, faticosamente, in ogni momento, di mettere in pratica. Ieri sera, mi sono sentito più italiano io (che non ho la cittadinanza italiana), di moltissimi italiani. Non che non lo sentissi già prima: è fin troppo facile a confronto di un certo presidente del consiglio italiano, di tutti quelli come lui e di un intero partito italiano razzista e secessionista.
    Ma il legame emerso ieri, grazie a Benigni, tra italianità e Costituzione, mi ha dato una grande conferma, ed ho aggiunto alla lista persino certe istituzioni italiane, con il consenso di mia moglie e mia figlia (italiane).
    Faccio una proposta al governo italiano: la smetta di vessare i cittadini stranieri che fanno domanda di permesso di soggiorno, della carta di soggiorno o della cittadinanza italiana, con richieste xenofobe come il versamento di somme esagerate di denaro, oppure esami di lingua, di cultura o contratti di integrazione (soggiorno a punti). Basterebbe che i nuovi cittadini assistessero almeno una volta in pubblico ed in silenzio alla presentazione di Benigni degli undici articoli principali della Costituzione Italiana.
    Il grandissimo Benigni ha sbagliato su due cose: parlando dell’Unione Europea come se fosse l’intero contenente europeo, ha dimenticato una bruttissima e recente guerra nel cuore dell’Europa, a pochi chilometri di distanza dal nostro Paese, come se i Balcani e i paesi dell’ex Yugoslavia non facessero parte dell’Europa e come se il bombardamento di Belgrado non fosse una guerra. Se ne è dimenticato perché era una guerra condotta tra gli altri da Bill Clinton e Massimo D’Alema, persone forse simpatiche a Benigni?
    Il secondo sbaglio è che non ha citato, tra gli altri, il nome di un grande sindacalista e padre costituente, l’allora segretario della CGIL, Giuseppe Di Vittorio, il contributo del quale è stato fondamentale in particolare nella stesura del primo articolo della costituzione che definisce l’Italia “una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
    (Saleh Zaghloul – Immagini da internet)

  • OLI 361: LETTERE – Mio padre all’ILVA di Taranto

    Mentre passavo da piazza Corvetto osservando la disperazione e la rabbia degli operai dell’ILVA, ho pensato a quando, nel 1967 a Taranto, mio padre mi disse che costruire in quel modo lo stabilimento siderurgico preludeva a disastri ambientali e sociali. E che la colpa era della politica, dell’avidità, dell’ignoranza e dell’infernale combinazione di questi tre elementi. Oggi avrebbe usato il termine collusione. L’Italsider aveva trasferito Giovanni Sissa a Taranto nel 1966. Dottore in Chimica, siderurgista, aveva lavorato prima alla SIAC (Società Italiana Acciaierie Cornigliano) e poi all’Italsider. Era un quadro (anche se allora l’espressione non usava), ma soprattutto era un tecnico. Bravo. Conosceva i processi industriali e chimici, ma anche la realtà del lavoro in officina, che aveva seguito come responsabile a Campi, prima e dopo la Guerra. La fabbrica aveva contribuito a salvarla da partigiano durante la resistenza in città. E poi, dopo la fine della Guerra, in fabbrica ci stava e tanto, con gli operai nei reparti della lavorazione a caldo.

    La SIAC fu assorbita dall’Italsider a metà degli anni ’60. Forse i suoi eroici trascorsi da partigiano di Giustizia e Libertà non gli giovarono in un’Italia dove solo chi era democristiano o comunista aveva dei punti di riferimento e sostegno. Essere un bravo tecnico, competente, indipendente, coraggioso e senza copertura politica non era il mix vincente. Appena entrato all’Italsider fu spedito a Taranto, quando si stava costruendo appunto lo stabilimento.
    In quanto siderurgista e innovatore, con anche una ottima conoscenza dell’inglese, spesso era stato a contatto con tecnici del settore di altri paesi, in particolare giapponesi e russi. Era stato Bruxelles presso la CECA. Conosceva i processi di produzione dell’acciaio, capiva la dinamica industriale internazionale. Insomma conosceva bene il settore ed era dotato di una buona capacità previsionale, come dimostrato in altre occasioni. Antifascista della prima ora, aveva infatti perso i diritti politici per aver detto in fabbrica nel 1939 che se l’Italia fosse entrata in Guerra l’avrebbe persa perché l’esercito non era equipaggiato (la Guerra però la fece ed in Africa, salvandosi per puro miracolo).
    Quella di Taranto fu per lui un’esperienza devastante, perché sentiva che nessuna ascoltava il suo parere ed i timori di quanti non accettavano di chiudere gli occhi. Ma i giochi erano troppo grossi per permettere ripensamenti. Sentiva che restando in servizio si sarebbe reso complice di quello che lui aveva previsto sarebbe stata una catastrofe industriale ed ecologica. Accettò dunque nel 1968 un prepensionamento forzoso, molto penalizzante.
    Trascorsi con lui a Taranto solo un breve periodo, durante le vacanze scolastiche. Era una città lontanissima da Genova nel 1967. Ricordo la meraviglia nello scoprire come fosse il mare al Sud. Nata e vissuta Genova, non avevo mai visto tanto pesce, tante conchiglie, tanti coralli, e su una spiaggia così bianca. Proprio in città. Era davvero un viaggio andare da Genova a Taranto, in auto, quando ancora l’autostrada fra Sestri Levante e La Spezia non c’era. Si iniziava con il Passo del Bracco e poi via, fino a perdersi sui monti dell’Irpinia. Si arrivava dopo decine di ore. Di aerei neanche a parlarne (forse i treni invece erano meglio di adesso).
    Era là che tutto era diverso. Era un territorio che non aveva alcuna tradizione industriale, quindi né una cultura né una coscienza collettiva pregressa. Senza esperienza di incidenti sul lavoro, di lotte per il lavoro, di sviluppo industriale e di sue contraddizioni, mancano gli anticorpi sociali sul territorio per reggere l’impatto di un’industrializzazione improvvisa di quella portata.
    Oltre all’ambiente marino, bellissimo, dove sembrava il tempo di fosse fermato, c’era intorno alla città una campagna splendida, con caratteristiche di armonia arcaica. Era inimmaginabile che le pecore delle masserie locali sarebbero state un giorno abbattute perché contaminate della diossina.
    Nonostante questa immagine “da cartolina” della Taranto di allora, era però possibile prevedere. Se era stato in grado di farlo mio padre, al punto di preferire di chiudere malamente la sua carriera piuttosto che rendersi connivente dello scempio in nuce, evidentemente era possibile.
    Mi domando oggi cosa penserebbe oggi se fosse vivo. Di almeno una sua considerazione sono certa: che per non ripetere gli errori vanno comprese le cause. Non dimenticare per non ripetere gli errori.
    Il conflitto fra potere esecutivo e potere giudiziario in atto su questa vicenda è troppo pesante perché si possa sperare che il Decreto “tutti contenti” sia davvero risolutivo. Il groviglio istituzionale è enorme, le implicazioni giudiziarie anche. Io non ho né titolo né intenzione di aggiungere altro su questo.
    Su ieri però i giudizi si devono dare. Giudizi politici. Una delle peggiori brutte abitudini della nostra vita democratica è quella, inaugurata nei primi anni ’90 e mai abbandonata, di togliere alla politica la funzione di giudicare scelte e relative conseguenze e di scaricare sulle spalle della magistratura anche oneri che non le spettano. Di affidare al potere giudiziario quanto dovrebbe invece essere invece squisitamente politico (e non penale): valutare le responsabilità. Questo è il grumo paradossale, inestricabile, perché sbagliato nei termini. Stiamo parlando di vicende iniziate mezzo secolo orsono, forse un tempo sufficiente perché almeno la Storia possa esprimersi. Genova ha avuto una parte così importante, prima durante e dopo, nelle vicende di Taranto che forse gli storici potrebbero iniziare a leggere i fatti di allora. Anche per stabilire finalmente le responsabilità, quelle storiche almeno.
    Non per allungare la lista degli indagati, ma per non ripetere gli errori. I disastri ambientali hanno origini lontane e se vogliamo capirci qualcosa dobbiamo guardare molto indietro.
    (Giovanna Sissa)