Categoria: ETICA

  • Oli 355: ETICA – Dalle mine antiuomo al Latte Oro

    Negli anni ’70, ricordo, si ragionava sull’efferatezza degli imprenditori della Val Trompia che producevano mine antiuomo, commissionate da regimi forse totalitari, dittatori, che le spargevano laddove inermi famigliole, bambini che giocavano sui prati, donne che lavavano i panni in riva a torrenti ne erano poi vittime. E quindi gambe maciullate, braccia mozze, lunghe fila di croci o di qualsiasi indicatore di cadaveri seppelliti. Danni collaterali o forse no. Ci dissero le parti, tutte le parti, che in giro, da qualche parte del mondo le mine le avrebbero comunque costruite, che ci saremmo trovati in una strana posizione, che con la nostra posizione esclusivamente etica avremmo portato alla crisi lavoratori di un settore in difficoltà, così come quei loro colleghi che producevano pistole per le forze armate americane: guai a fermarli. O i produttori di fucili che grazie alla notevole dimensione di un hobby nazionale, per altro fortemente incentivato a tutti i livelli dalle lobby di riferimento, produceva un benessere trasversale, oggetto di evidente voto di scambio di diverso colore.

    A certi livelli però una scelta era possibile. Ricordo infatti che qualche campionato mondiale di calcio fa, si diffuse una parola d’ordine in tutto il mondo civilmente etico: non si sarebbero dovuti comperare od utilizzare i palloni da calcio rappresentativi della manifestazione, in quanto cuciti, firmati e prodotti da lavoratori bambini del Bangladesh. Il movimento di opinione che ne adottò lo slogan, senza incertezze attraversò in un lampo il mondo: nessuno avrebbe mai comperato palloni eticamente così mal prodotti. Accidenti, saremmo scesi in piazza per garantire a quegli sconosciuti bambini del delta del Gange, oltretutto probabili futuri oggetti sessuali di pallidi e pingui pedofili europei, che non avremmo comperato i loro palloni, strumento di sfruttamento e di prevaricazione. Un bambino a quella età non deve che vivere felice, giocare con i suoi consimili, restare la sera in famiglia, andare a scuola, vedere BarbaPapà la sera alla televisione e, dopo Carosello, andare a nanna.
    Ma l’etica è un pasticcio soggettivo, con principi che di volta in volta sono frutto di mediazione fra le parti: dipendono da rapporti di forza, da potere contrattuale esercitato od impedito.
    Oggi un vescovo della chiesa americana non potrebbe più battezzare in modo beneaugurale le bombe piene di Agent Orange da scaricare in Vietnam, ed oltretutto come diossina noi siamo già a posto con quanto diffuso generosamente dalla industria italiana, il caso Taranto insegna. Certo, è difficile applicare principi di etica commerciale al prodotto acciaio: come esercitare la scelta di non comperare un prodotto costruito con acciaio non eticamente prodotto? La filiera di riferimento è certamente inquinata dai prodotti extranazionali, extraeuropei.
    Certo forse è più eticamente problematico prendere posizione su eventi internazionali che ci vedono coinvolti come Stato: i due militari che sparano ed uccidono pescatori nell’Oceano Indiano, credendoli pirati, avevano licenza di uccidere o meno? Ricordo empo addietro Messina Jr. che in un convegno rivendicava, per conto di Confitarma, il diritto ad essere protetto, durante il percorso più economico possibile delle merci da lui trasportate; anzi lui parlava di militarizzare i suoi equipaggi, dotandoli, forse, in qualche misura, di armi e sistemi di deterrenza. E giù quasi tutti ad applaudire, meno solo noi di Cgil, forse profeti di sventura, persi ad immaginare il bambino pakistano o il pescatore indiano travolti come danni collaterali, scenari improbabili ma possibili, tragicamente manifestatisi.

    A questo punto ci potremmo chiedere perché dovremmo continuare a comperare eticamente un pack di Latte Oro; ci hanno preso in giro, noi consumatori e certamente i lavoratori, Anzi, ex-lavoratori. Dopo la grande truffa ci hanno convinti a progettare percorsi di sviluppo, ad immaginare crescita od almeno mantenimento di occupazione, quando l’obiettivo era semplicemente di chiudere per meglio creare mercato. Ma perbacco, avevano promesso mercato, marchio, mantenimento e supporto della filiera e dell’occupazione, ed invece tutto si è risolto nella chiusura dell’azienda, con l’impedimento ad essere sostituiti da concorrenti, e con l’unico certo risultato di una drastica, immediata e fisica estrusione dal posto di lavoro.
    Anzi la campagna promozionale del marchio, da quel momento è rappresentata da un brutto slogan, su grandi manifesti in giro per Genova sui quali si legge che “Oggi il Latte Oro costa meno.”
    Ecco, a differenza delle mine antiuomo, posso non comperare il Latte Oro, posso esercitare una scelta etica. Quell’azienda, nata sulle ceneri di una grandissima truffa di stato, non merita il mio euro o poco più, perché non ha rispettato le promesse, ha garantito un processo con una serie di esche truffaldine, non dissimili da un verme finto che metti sull’amo, preda di un pesce affamato e necessariamente portato a credere a quanto spera di vedere. Ma noi abbiamo ancora, nonostante questi momenti bui quasi eticamente medioevali, leggi, norme, alcune belle e moderne. Pensiamo alla Legge 300 del 1970, quella che molti chiamano “Statuto dei Lavoratori”. Quello è stato ed è un grande e bilanciato accordo fra le parti, “l’accordo sull’organizzazione del lavoro, la condivisione dei ruoli e delle parti”, da cui tutto nasce e viene rivendicato. Da cui si sviluppano le leggi moderne, i Contratti nazionali, le contrattazioni locali. E’ grazie allo sviluppo di questa pletora di articoli e commi che localmente si garantisce il fluidificare di accordi locali, di categoria, di azienda. A fronte di profitto e, spesso, di sudore e sangue. Non è una drammatizzazione, mille morti più o meno ogni anno, cosi come avviene, dati alla mano, nella sommatoria del farsi male nelle aziende italiane, naturalmente oltre gli ammalati, gli intossicati, i cancerosi, i morti in nero, quelli sconosciuti ai più ed alle statistiche ufficiali e politicamente corrette. Bene, una grande azienda italiana che produce auto, non splendide auto ma questa è altra storia, che non rispetta gli accordi fra le parti, che vanifica la Legge 300, che disconosce le organizzazioni sindacali a lei non suddite, è diversa da quella che fa costruire palloni da calcio in Bangladesh dai bambini? Perché, crisi permettendo, devo comperare una auto con quel marchio? In qual misura posso rivendicare il mio diritto al manifestare il mio, soggettivo ed unico, punto di vista etico e smettere di comperare il latte da chi mi ha preso in giro? Eticamente il “diritto” ha un valore alfanumerico? Posso determinare quale livello di prevaricazione sono in grado di accettare come consumatore prima di interrompere una sequenza di azioni, una scelta di acquisto indirizzata verso un marchio invece che un altro? Non compero mine antiuomo, palloni prodotti da bambini, non cambio auto perché spero che la mia vada avanti ancora trent’anni, ma almeno il latte, dai, lo compero da qualche altro, meglio filiera corta, ma certamente non quello di una azienda che mi ha preso in giro, raccontandomi tante balle ed ottenendo finanziamenti pubblici, sconti di pena, concordati fiscali alla faccia mia, su questo tema sono finalmente in grado quindi di manifestare appieno il vero valore del mio concetto di etica, perché ormai i lavoratori sono stati licenziati, nessuno ci perde niente, meglio o peggio di così?  
    (Aris Capra – immagini da internet)

  • OLI 355: DON FARINELLA – I quaranta anni di un ottimo parroco

    Giovedì 1 novembre alla Chiesa di San Torpete è in programma un concerto della “Accademia dei virtuosi”, ensemble della Scuola Musicale Giuseppe Conte e della Cappella Musicale della Chiesa di San Torpete, direttore Luca Franco Ferrari. Musiche di Josquin Des Prez. Ci vado, è la prima volta che entro in questa chiesa, e scopro che non si svolgerà un concerto in senso proprio: le musiche sono previste ad accompagnamento della liturgia. Ma la vera scoperta è che non si tratta di un giorno qualsiasi, perché si festeggiano i quaranta anni di sacerdozio di Don Farinella, famoso prete ‘diavolo’ per una parte della gerarchia ecclesiastica e della politica genovese.
    Anche a chi come me non era mai andato in questo luogo salta agli occhi che quella lì riunita è una comunità molto coesa. Sembra che tutti si conoscano tra loro, e si dividano i compiti necessari. Dopo un numero indeterminato di anni mi trovo ad ascoltare una messa senza esserci portata da un matrimonio o da un funerale.

    La musica è bella, e l’insieme musicale di ottimo livello, ma diversamente dalle aspettative con cui sono venuta quello che mi prende di più sono le parole, quelle promunciate e quelle scritte. Ognuno riceve infatti un plico di 12 pagine, con note sulla musica che verrà eseguita, parole e letture della liturgia, ‘spunti di omelia’, suggerimenti per la riflessione personale, esegesi dei testi, avvisi, programmi e appuntamenti futuri, religiosi, musicali, culturali. Dietro ogni incontro in questa chiesa c’è davvero un gran lavoro. Nella sua introduzione all’evento Don Farinella dice “Ringrazio Dio di avermi chiamato ad essere prete con un cuore laico”. Ringrazio anche io, laica e non credente, perché ho potuto ascoltare e leggere parole che mi sono vicine, che posso condividere. Ad esempio la chiara coscienza della parzialità e del limite di qualunque espressione umana, inclusa l’appartenenza ad una determinata religione.
    Don Farinella ricorda quanti di più siano e siano state le persone che non hanno alcun legame con la religione cattolica, ma in questa presa d’atto non c’è l’ansia di “farli propri”, ma il riconoscimento della loro appartenenza comunque alla divinità e santità. Nel discorso di Farinella i santi e le sante diventano così persone quotidiane e sconosciute. Dice che bisognerebbe superare il monopolio della promozione a santità esercitato dalla Chiesa secondo un dubbio modello ispirato alla mortificazione e alla sofferenza come condizione essenziale della vita. La cosa più giusta, dice Farinella, sarebbe proprio eliminare dal calendario i nomi di questa piccola manciata di santi e sante, perché il mondo ne è invece pieno, ed “essere santi significa in primo luogo essere se stessi, esserlo sempre, esserlo senza paura … se nel lavoro, nelle scelte di vita, nella vita di famiglia, con gli amici, in viaggio, ovunque, diamo un senso a tutto quello che operiamo e che facciamo, noi estendiamo la santità di Dio attraverso la normalità e la ordinarietà della nostra vita vissuta come un pellegrinaggio verso la tappa conclusiva che è l’inizio di un’era nuova: il Regno escatologico di Dio”.
    Da laica non credente non posso che fermarmi alla ‘tappa conclusiva’, ma fino a lì la compagnia di persone come questo ‘ottimo parroco’ mi pare preziosa.
    (Paola Pierantoni – foto dell’autrice)

  • OLI 283: LETTERE – Opposizione laica alla giornata degli “Stati vegetativi”

    Nella deriva integralista che ci avvolge, ci toccherà tra poco (9 febbraio 2011) anche la “Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi” istituita lo scorso anno dal Governo per marcare, con una decisione macabra, strumentale, priva di rispetto, l’anniversario della morte di Eluana Englaro.
    Ma una opposizione sta nascendo, e la guida la Consulta torinese per la laicità delle Istituzioni (http://www.torinolaica.it/ ).

    La chiara ed esplicita difesa della libertà di seguire un’etica che non coincida con quella delle gerarchie cattoliche è, una volta di più, assunta da gruppi, associazioni, movimenti non partitici a cui pare ormai delegato il ruolo di assumere posizioni politiche sulla base di un pensiero, di una opzione etica, di un progetto culturale e sociale, e non di calcoli prevalentemente attenti alle possibili alleanze, o ai presunti futuribili consensi elettorali.
    La crescente separazione di questi due piani dell’agire politico sta sempre più indebolendo il ruolo e le prospettive della opposizione parlamentare, e in particolare quelli del P.D.
    Nel frattempo le persone inventano nuove modalità e spazi per fare informazione, cultura e politica. Può essere che la divaricazione di questa forbice diventi finalmente insostenibile, e inneschi un cambiamento profondo che riapra i giochi.
    Tra questi soggetti di politica diffusa c’è la Consulta torinese per la laicità delle Istituzioni (http://www.torinolaica.it/ ) che sta guidando l’opposizione alla giornata degli stati vegetativi, e ha lanciato il seguente appello:

    No alla tortura di stato.
    Proclamiamo il 9 febbraio “Giornata della libertà di scelta sulla propria vita”

    Per il prossimo 9 febbraio il Governo, su proposta della sottosegretaria Roccella, ha istituito la Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi. Decisione moralmente mostruosa, poiché offende la memoria di Eluana Englaro, che in quel giorno finalmente, dopo quindici anni di non vita, vedeva un anno fa rispettata la sua volontà sul proprio corpo, portata avanti con coraggio, determinazione e amore paterno da Beppino Englaro. Decisione istituzionalmente irricevibile, poiché ufficializza come “delitto” una sacrosanta sentenza della magistratura. Decisione che infanga la Costituzione, poiché con essa il governo intende addirittura solennizzare la pretesa che la vita di ogni cittadino, anziché appartenere a chi la vive, sia alla mercé di una maggioranza parlamentare.
    Di fronte a tutto ciò, diventa doveroso che tutta l’Italia democratica e laica proclami il 9 febbraio Giornata nazionale della libera scelta sulla propria vita, onorando così la memoria di Eluana Englaro, di Piergiorgio Welby, di Luca Coscioni, e dei tanti altri che oltre alla tragedia della condanna a morte per malattia hanno dovuto affrontare anche la violenza di coloro che vogliono costringere i malati alla tortura delle sofferenze terminali, quando essi non lo ritengono accettabile e dignitoso per se stessi.
    La Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni, in collaborazione con la rivista MicroMega, chiede a tutte le associazioni laiche, a tutte le testate giornalistiche e i siti web, a tutti i cittadini che si riconoscono nei valori della Costituzione, a tutte le personalità del mondo della cultura e dello spettacolo che sentono il dovere elementare di rispettare e far rispettare la decisione di ciascuno sul proprio fine-vita, di mettersi immediatamente in contatto per organizzare insieme, a Torino, la giornata del 9 febbraio come giornata di libertà , di dignità e di autodeterminazione per tutte e per tutti.
    A tale appello, che ha come primi firmatari Tullio Monti, Coordinatore della Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni e Carlo Augusto Viano, Presidente del Centro studi Piero Calamandrei, hanno già aderito il Comitato 19 giugno, il Coordinamento Torino Pride LGBT e Donne di Torino per l’autodeterminazione.
    Per sottoscrivere l’appello invia una mail a info@torinolaica.it
    (A cura di Paola Pierantoni)

  • OLI 282: PAROLE DEGLI OCCHI – Clonazioni, da Dolly a Berlusconi

    Foto di Giorgio Bergami ©

    All’incirca da un quindicennio, da Pecora Dolly a Berlusconi Silvio, la clonazione sta procedendo tra fallimenti, successi e casi al limite dell’incredibile.
    Giorni fa, l’8 dicembre, su Rai3 Fuori Tg ha trattato l’argomento, con servizi e qualificati ospiti in studio che hanno ragionato circa l’affidabilità e bontà delle carni clonate.
    Perplessità continuano a serpeggiare, per una pratica che va comunque contro la natura delle cose.
    Anche l’ultima clonazione del governo Berlusconi, che è riuscito a riprodurre se stesso mediante spericolate alchimie parlamentari, lascia gran parte degli italiani (e anche di molti stranieri) nello sconcerto e ancor più nel disgusto.

  • OLI 279: UNIVERSITA’ – La borsa e la vita

    Il bando in università è uscito a fine settembre. Scadenza metà ottobre.
    La facoltà è nel nord Italia, lontana da Genova, “ma cosa importa” pensa Ester “di questi tempi una borsa da 17.000 euro lordi annui, è grasso che cola…”
    Ester sa che questo concorso non è propriamente rivolto a lei.
    Ne viene a conoscenza perché il candidato, sul quale il bando è stato cucito come un vestito di Caraceni, gliene parla. E lo fa con naturalezza.
    In verità lui non sa se abbracciare l’occasione che gli viene offerta dall’università, quindi informa Ester, qualora lui decidesse di non presentarsi alla selezione per la borsa.
    E’ un ragazzo magnanimo e solidale.
    A complicare la vicenda si frappone la volontà di Ester di partecipare al concorso comunque.
    Quella materia è anche la sua materia, la conosce e decide di preparasi.
    Le domande per il bando diventano due, di cui una assai sgradita.
    Le pressioni si sprecano. Primo fra tutti il candidato prescelto che la chiama e le suggerisce vivamente di lasciar perdere. Pena l’esclusione certa da future eventuali collaborazioni con l’ateneo. Poi i professori che, a vario titolo, le fanno capire che non è cosa. E che quella borsa non è sua.
    Ma Ester è testarda.
    L’ultima pressione le viene rivolta di persona, il giorno del concorso, dalla ricercatrice dell’università, che le chiede in privato se poi, alla fine, ha davvero deciso di presentarsi davanti alla commissione, e si irrigidisce alla risposta.
    La commissione d’altronde dedicherà alla candidata appena quattro minuti.
    Nemmeno il tempo utilizzato da Ester per comprare il biglietto del treno che l’ha portata davanti a loro.
    Pochi giorni dopo, un avvocato suggerisce Ester di non procedere per vie legali e di non raccontare questa storia perché rischia la querela. Mentre un professore le ricorda che “così è la vita”.
    Ha confortato Ester l’uscita di una fotonotizia apparsa il 12 novembre 2010 a firma Marco Fiolini nell’inserto del venerdì di Repubblica dal titolo “Scommettiamo chi vince il concorso?” nella quale si scrive di blog che anticipano i nomi dei candidati che si aggiudicheranno i posti in università. “Le soffiate vincenti si aggirano attorno al 95%”, scrive il giornalista.
    Così è la vita. E’ ancora permesso immaginarne una diversa?
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 278: INFORMAZIONE – Il consumatore etico tra inganni, seduzioni e scommesse

    Annibale Carracci, La bottega del macellaio, 1583 – 1585

    Il tema del consumo di carne (bovina) si è conquistato un richiamo sulla prima pagina di Repubblica del 10 novembre. Il titolo è rassicurante: “Bistecca, la seconda vita. Chi mangia carne non rovina l’ambiente – cibo e gas serra, un ecologista smonta le accuse”. L’occasione viene dal libro Meat. A benign extravagance, il cui autore, Simon Fairlie, ridimensiona l’entità dei danni ambientali (emissioni di gas serra e deforestazione) che “grandi organizzazioni internazionali”, tra cui la FAO, imputano alla zootecnia. L’articolo è corredato da una tabella secondo cui l’Italia, per consumo di carne bovina, è ottava tra undici nazioni, e da due incisi in grassetto: “Simon Fairlie invita a prendere con cautela le tabelle fornite da enti internazionali”, e “Il bestiame contribuisce all’inquinamento nella misura del nove per cento”.
    Il tutto trasmette al lettore un messaggio di sereno via libera.
    Per trovare qualche frase che segnali l’esistenza di punti critici bisogna spulciare tutto il lungo articolo: “Due terzi di quei 600 milioni di tonnellate di cereali vengono utilizzati negli allevamenti dei paesi industrializzati, a beneficio del 20 per cento della popolazione mondiale” … “Se un colpevole c’è, non è l’allevamento in genere, ma sono i metodi industriali ed intensivi”.
    Peccato però che la tranquillizzante tabella sia costruita in modo opinabile, perché l’Italia è confrontata con nazioni scelte “ad hoc” tra le più carnivore del pianeta, e si limita al consumo di carne bovina che costituisce meno di un terzo del consumo italiano di carne pro capite, il 42,3 % del consumo è carne suina – dati Eurostat 2006 (*). Così i dati europei ci vedono sì al nono posto, ma tra 39 nazioni (**).
    Peccato anche che non si dica che l’allevamento intensivo domina quasi totalmente il mercato della carne, in primissimo luogo quella suina.
    Tra disinformazione e un mercato che ti seduce con prezzi che Safran Foer definisce “artificialmente bassi” (aggiungendo: “quello che non compare sullo scontrino lo pagheremo per anni tutti quanti”) cosa può fare il consumatore “etico” che pure non intende rinunciare a carne, uova, latte, formaggi? Quanta fatica spende per trovare quello che cerca? E poi a cosa può servire la sua piccola goccia nell’oceano degli interessi di mercato?
    Foer osserva che “la carne etica è una cambiale, non una realtà”, e che “chiunque sostenga con serietà l’opzione della carne etica dovrà mangiare parecchi piatti vegetariani”. Ma dice anche che “mangiare con una tale intenzionalità esplicita” è una forza dal potenziale enorme, e che le nostre scelte quotidiane possono “plasmare il mondo”.
    Se ci guardiamo intorno, possiamo cogliere dei segnali: mercatini agricoli in città con banchetti di uova che espongono fotografie di galline libere, e banchi di salumi istantanee di maiali che grufolano all’aperto; il macellaio abituale che va a controllare che i bovini che compra vivano effettivamente all’aperto; Luciana Littizzetto che ringrazia a nome di galline ovaiole allevate a terra; il volantino della stessa catena distributiva che sottolinea l’adozione di “un codice etico teso a garantire il benessere animale” …
    Una clientela inizia ad esistere e il mercato tenta di rispondere.
    (*) http://www.saluteanimale.novartis.it/salute-benessere/suini/consumi-procapite.shtml
    (**) http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20090806101552AA8d3wt
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 277: AMBIENTE – Gli occhi della compassione

    Ero uscito per la solita passeggiata sulla costa di Arenzano. Il tramonto era passato da circa mezz’ora. L’aria era tiepida e molto gradevole. Non ti sbatteva in faccia i tuoi pensieri, li rimandava con benevolenza.
    Mi trovavo nella parte del golfo di Arenzano che guarda a ponente, dove la celebrata passeggiata a mare si incunea nel porticciolo, sotto il promontorio della straziata pineta, all’altezza di un moletto – messo in mezzo al mare per trattenere la sabbia – che divide lo sbocco di un torrente dalle onde del mare e dalla spiaggia che le accoglie.
    Sul lato della strada resiste un’antica baracchetta, luogo di ristoro per avventori occasionali e per un gruppo di amici serali, fra i quali diversi noti cacciatori.
    Come al solito, mentre la mente vagava ai quatto angoli del mondo, un essere animato, sulla spiaggia accanto al moletto, catturò la mia attenzione.
    Avvicinandomi e mettendo meglio a fuoco i miei occhi fragili, vidi che era un uccello dalle piume color malva, imponente, grosso quanto un grasso gabbiano, dal portamento elegante, con un collarino nero, la testa più rosata e due occhietti molto vispi che esploravano terra ed aria in ogni direzione. Accanto stazionavano pigri gabbiani, mentre non c’era l’amico airone cinerino che in coppia con un altro spesso occupa la punta del moletto e che puntuale quando cala la sera va a dormire nel parco.

    Non avevo mai visto un simile uccello! Ero meravigliato dalla sua bellezza. Una vampata di curiosità si accese in me. Chiesi ad un amico se confermava quello che io vedevo e se ne sapeva qualcosa. Condivise subito la mia emozione ma non ne sapeva nulla. Chiedemmo al gestore della baracchetta che invece sapeva tutto: si trattava di un oca migratrice, dal nome irricordabile, arrivata con un compagno nei giorni di tempesta e probabilmente dispersa.
    Il compagno era stato ucciso da un cacciatore qualche sera prima sulle allegre colline di Arenzano.
    Si era vista ogni sera e anche durante il giorno ogni tanto arrivava.
    Provai grande dolore e grande rabbia. Mi sembrò che con quel roteare di capo e di occhi continuasse a cercare il suo compagno. Mi venne in mente un racconto di Maupassant, letto tempo fa e mai più dimenticato, in cui un colombo, che vola felice nel cielo, impazzisce di dolore perché gli viene ucciso il compagno con cui divideva la felicità e con il movimento delle ali ci racconta tutta la sua disperazione.
    Pensai alla perdita di compassione che sta uccidendo il mondo e alla amputazione della pietas che sta desertificando il nostro convivere, prosciugando le sorgenti della nostra democrazia.
    Ammenocché!
    Gli uccelli, tutti, riuniti in consiglio non decidano di vendicarsi e ci diano una dura lezione.
    (Angelo Guarnieri)

  • OLI 275: ALIMENTAZIONE – I vegetariani, gli acritici e gli onnivori selettivi

    Un’amica, a commento degli articoli finora usciti su Oli (*) a proposito del mangiar carne, degli allevamenti intensivi e del libro “Se nulla importa” di Safran Foer, mi chiede: “Bene, e ora? Che si fa?”
    La via più facile è non fare proprio niente e continuare a “mangiare come tutti gli altri”. A stare ai dati (**) parrebbe a prima vista che la direzione sia proprio questa: in USA siamo ad un consumo di 125 kg. annui di carne pro-capite, in Europa la Danimarca va anche oltre con i suoi pazzeschi 145 chili, e anche in Italia, con tutta la nostra dieta mediterranea, siamo passati dai 57 kg annui pro-capite del 1972 agli attuali 90 / 92 chili, una media di due etti e mezzo di carne tutti i santi giorni. E quasi tutta questa carne viene da allevamenti intensivi.
    Ma, dice Foer, “questa che fino a poco tempo fa, e quasi ovunque, era un’ottima idea, ora non lo è più”, perché aggiunge gocce su gocce ad un vaso prossimo a traboccare. Oltre all’aspetto etico delle condizioni di vita degli animali, l’agroindustria influenza infatti pesantemente inquinamento, salute, consumo di acqua, condizioni di lavoro, declino delle comunità rurali e povertà globale.
    Per quello che lo riguarda lo scrittore Safran Foer, dopo i tre anni passati a raccogliere informazioni per il suo libro, ha deciso che “non vuole avere niente a che fare con l’allevamento intensivo”, e che astenersi dalla carne è per lui l’unico modo realistico di farlo.
    Però le strade possibili sono più di una, e a volte si intersecano.
    Dice Foer “I rancher possono essere vegetariani, i vegani possono costruire mattatoi, e io posso essere un vegetariano che appoggia il meglio della zootecnia”.
    Così agli acritici e ai vegetariani si affiancano i carnivori moderati che, senza azzerarlo, riducono il proprio consumo di carne, e gli “onnivori selettivi” che evitano di acquistare prodotti (carne, uova, latte, formaggi) provenienti da allevamenti intensivi. Cosa che può essere parecchio complicata.
    Naturale essere assaliti dai dubbi: ma davvero scelte di questo tipo possono avere una influenza concreta sulle pratiche agricole globali? Lo scrittore americano osserva che “non possiamo evitare, nutrendoci, di irradiare un’influenza anche nostro malgrado”, e che quindi questa influenza esiste, ed è sorpendente.
    Negli USA (****) il numero di vegetariani nel 2008 era il 3,2% della popolazione, mentre un altro 10% denunciava una dieta orientata in senso vegetariano. Le previsioni sono in crescita.
    Più difficile – immagino – valutare l’entità della platea dei carnivori moderati e degli onnivori selettivi, ma di certo l’industria alimentare inizia a tenerne conto.
    Sarebbe interessante capire cosa sta avvenendo da noi: condizione degli animali negli allevamenti, impatto ecologico, conseguenze sanitarie, orientamento dei comportamenti alimentari, influenza di questi sul mercato. Chissà che qualche giornalista – prima o poi – lo faccia.
    * La forza dei paradossi http://www.olinews.info/2010/10/oli-274-alimentazione-la-forza-dei.html
    Quanta sofferenza sei disposto ad accettare? http://www.olinews.info/2010/10/oli-272-alimentazione-quanta-sofferenza.html
    OLI 271, “Se nulla importa” http://www.olinews.info/2010/09/oli-271-informazione-se-nulla-importa.html
    ** vedi il sito http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=30646 e i molti altri rintracciabili cercando su Google con parole come: consumo / carne / pro capite / dati
    *** http://trashfood.com/2009/12/carnivori-moderati.html
    **** http://www.articlealley.com/article_1351542_23.html
    Altri link:
    http://www.eat-ing.net/getpage.aspx?id=73&dx=2&m=2&pf=f&sez=carne#1
    http://www.ecowiki.it/allevamenti-sostenibili-il-parere-dei-produttori-e-la-figuraccia-di-fazio.html

    (Paola Pierantoni)

     
  • OLI 275: LETTERE – Oscenità al Tg3

    Ieri 24 ottobre poco dopo le 19, mentre cucinavo, stavo ascoltando il Tg3, ed ecco che mi raggiunge la voce di questo Misseri che descrive i dettagli dell’omicidio in cui è coinvolto.
    La redazione del Tg3 aveva deciso di fare ascoltare a tutti noi la deposizione di questo disgraziato sul fatto terribile che tutti sappiamo.
    Subito dopo lo stesso Tg3 rendeva criticamente conto del “turismo dell’orrore” che si sta svolgendo dalle parti di Avetrana.
    Questa – io trovo – è una cosa oscena, che taglia alla radice il diritto di prendersela con gli altri, i Fede, e i Vespa con i loro modellini.
    Se la differenza è solo nella quantità (quegli altri ci sguazzano di più, e più a lungo), è una differenza piccola piccola. La sostanza si equivale.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 274: ALIMENTAZIONE – La forza dei paradossi

    Un capitolo di “Se niente importa”, il libro di Safran Foer sugli allevamenti intensivi, si intitola: “In difesa della cinofagia”. L’autore osserva che negli Stati Uniti “mangiare il migliore amico dell’uomo è un tabù come lo è mangiare il proprio migliore amico umano”. Però aggiunge che “i maiali sono altrettanto intelligenti e sensibili in tutto e per tutto, secondo ogni ragionevole definizione dei termini. Non possono saltare nel bagagliaio della Volvo, ma sono capaci di riportare oggetti, correre e giocare, fare i dispetti e ricambiare affetto”.
    Foer si dedica a smontare le razionalizzazioni che supportano il nostro tabù del mangiare cani o gatti.
    Se si vuole porre lo sbarramento sul non mangiare gli animali da compagnia, la controdeduzione è che, laddove vengono mangiati, i cani non sono animali da compagnia. Se lo si vuole porre sul non mangiare animali con capacità mentali ragguardevoli , Foer controbatte che molti altri animali lo sono: il già citato maiale, ma anche le mucche, gli asini o i polli (conoscerli intimamente per convincersi: da ragazzina mi avevano regalato una bianca gallina livornese che mi correva incontro e mi saltava sulle spalle quando tornavo da scuola), nonché diversi animali marini (molti pescatori subacquei vi diranno della loro particolare difficoltà ad uccidere un polpo).
    Del resto, sottolinea malignamente Foer, ce li mangiamo già, i cani e i gatti perché diventano “cibo per il nostro cibo”: un processo industriale chiamato rendering permette di riciclare le proteine animali inadatte alla alimentazione umana facendone mangimi per il bestiame, e così finiscono cani e gatti soppressi nei centri di ricerca.
    L’impegno di Foer a sbarrarci tutte le possibili le vie di uscita ha lo scopo di condurci alla osservazione conclusiva del capitolo: “Se hai difficoltà a vedere qualcosa, discosta un po’ lo sguardo … Mangiare gli animali ha un che di invisibile. Pensare ai cani, rispetto agli animali che mangiamo, è un modo per guardare di sbieco e rendere visibile l’invisibile”
    (Paola Pierantoni)