Giuseppe Filetto l’immagine simbolo di quei giorni di luglio non l’ha più voluta guardare. Ha cercato di non soffermarcisi, passando oltre. E’ la fotografia di Carlo Giuliani ammazzato, la scena che si è ritrovato davanti lui, quando, con due medici, è arrivato in piazza Alimonda . Filetto per fare il suo mestiere di giornalista si era travestito da infermiere della croce rossa ed aveva girato su un’auto medica per tutto il giorno.
Quella, ha spiegato, è la foto “della cronaca di una morte annunciata, iniziata la mattina del 20, alle undici circa. Eravamo in Piazza Paolo da Novi e abbiamo visto che una ventina, una trentina di giovani avevano iniziato smontare le impalcature di un cantiere edile, a smontare le inferriate di un’aiuola, a riempire gli zaini di pietre, e dall’altra parte della piazza c’erano un centinaio, forse più, di carabinieri, polizia che guardavano e non intervenivano e ci chiedevamo per quale motivo stesse succedendo questo. Poi lo abbiamo capito al pomeriggio, dopo le 17.25, perché stava succedendo questo. L’abbiamo capito quando poi il corteo dei Cobas è stato invece caricato, mentre venti giovani che smontano le impalcature non vengono minimamente disturbati, poi un corteo dei Cobas viene caricato un’ora dopo”.
Inquadrature, testimonianze, filmati, atti, vengono rievocati per ricostruire la trama della tragedia che ha segnato l’apice dell’assedio di Genova sotto il G8. E sono raccontati ai genovesi che il 3 ottobre, al Centro documentazione Carlo Giuliani, sono venuti per la presentazione del libro “Non si archivia un omicidio”, scritto da Giuliano, padre del ragazzo. Scritto perché la foto della cronaca non si può archiviare e per restituire al figlio “attraverso tutta la documentazione, la verità”.
Un libro per denunciare “le singole persone” e la logica che non ha voluto celebrare il processo, una logica determinata “dal voler togliere da mezzo la cosa più grave accaduta in quei giorni e cioè l’uccisione di un ragazzo”.
Giuliani descrive un clima, individua le responsabilità di chi era in piazza Alimonda racconta di pubblici ministeri che non hanno fatto il loro dovere, chiedendo l’archiviazione sulla base di una consulenza che sosteneva “l’invenzione” dello “sparo per aria” “che ha incrementato il giudizio di legittima difesa”. Ma ci si chiede anche perché Placanica, già stordito dai lacrimogeni viene fatto salire sulla camionetta e portato in giro per Genova armato.
Parallele a piazza Alimonda e alla morte di Carlo corrono altre vicende giudiziarie del G8 come la Diaz – per la quale ci sono voluti otto anni prima che Michelangelo Fournier dichiarasse che si era trattato di “macelleria messicana” – ma che è arrivata a sentenza, grazie a pubblici ministeri adeguati e alla prova regina, “un filmatino di quindici secondi che mostra” i rappresentanti delle forze dell’ordine con le molotov, il falso in atto, moltov per le quali le vittime della Diaz si sarebbero prese “oltre alle botte” anche quattordici anni di carcere, per terrorismo.
“Non si archivia un omicidio” dice il padre di Carlo è un libro che “può servire ai pigri” che allora si sono fermati a quanto raccontato in televisione e che oggi vogliono andare oltre. Ma è anche un libro che si rivolge a chi, in questa Italia tragica e desolante, vuole fare della legge la propria professione.
(Giovanna Profumo – immagine da internet)
Categoria: Giustizia
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OLI 386 – G8 DI GENOVA: Per non archiviare Carlo
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OLI 363: ILVA – Il linguaggio della procura e quello della busta paga
Patrizia Todisco è tutta in una notizia Ansa del 30 gennaio 2013 ore 13.40
TARANTO – Il gip del Tribunale di Taranto Patrizia Todisco ha rigettato la richiesta dell’Ilva di revocare il sequestro preventivo dei prodotti finiti e semilavorati giacenti sulle banchine del porto, finalizzando il ricavato della vendita al pagamento degli stipendi e alle opere di ambientalizzazione previste da L’Aia. Il Gip ha precisato “Nessuna norma dell’ordinamento giuridico contempla la possibilità di una restituzione di beni sottoposti a sequestro preventivo, per giunta in favore di soggetti indagati proprio per i reati di cui i beni sottoposti a vincolo costituiscano prodotto, sulla base di esigenze particolari o dichiarazioni di intenti circa la destinazione delle somme ricavabili dalla vendita dei beni, che vengano ad essere dedotte dall’interessato”.
Traduzione: non avevate la facoltà di produrre, lo avete fatto ugualmente, i vostri coils sono corpo di reato, non si possono restituire tanto più a “soggetti indagati” come il Presidente Bruno Ferrante.
Si attende il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legge 231 che, in assenza di un piano B, è ad oggi l’unica garanzia in mano ai dipendenti del gruppo per contare sul salario futuro, sempre che la conferma del sequestro dei rotoli (valore commerciale un miliardo di Euro) non spinga l’azienda ad esacerbare lo scontro minacciando nuovamente la sospensione del pagamento degli stipendi del mese di Gennaio, alimentando manifestazioni nelle piazze tarantine e genovesi.
In questo scenario, il linguaggio della Procura diventa incomprensibile per chi può parlare solo quello della busta paga che è affitto, mutuo, cibo, bollette e spesso figli a casa che studiano o sono disoccupati. In questi termini non c’è spazio per la comprensione delle faccende giudiziarie. La famiglia agli arresti è vittima, agli occhi di molti, di una magistratura ostinata, intenta a voler spezzare le gambe alla proprietà e ad annientare la filiera siderurgica italiana. Le trasmissioni televisive diventano di parte, i dati epidemiologici sono taroccati, la giustizia italiana ingiusta, incapace di comprendere che la legge 231 non è ad aziendam ma tutela i ventimila e oltre posti di lavoro. Questo – in estrema, edulcorata sintesi – il pensiero dominante dei ventimila che dal siderurgico e dalla proprietà dipendono. Nessuno di loro ha tempo per immaginare scenari diversi, per cogliere i limiti di una legge che politica, governo, sindacati, dichiarano essere la migliore delle leggi possibili. E nemmeno di giudicare articoli di stampa nei quali è scritto che “gran parte del tesoro dei Riva è all’estero” e “che la cassaforte del gruppo è in Lusserburgo dove esiste una fitta rete di società controllate”.
Nonostante il contesto, anche quest’anno Guido Rossa è stato giustamente ricordato all’Ilva di Genova. L’anniversario del suo assassinio scandisce il tempo che passa sullo stabilimento e su tutto il Gruppo Ilva, e su quanto si doveva e poteva fare e non si è fatto, principalmente per indolenza. Da trentaquattro anni.
(Giovanna Profumo – foto dell’autrice) -
OLI 333: GIUSTIZIA – Una buona notizia da Madrid
Ieri pomeriggio intorno alle 18, l’Ansa ha battuto la notizia che il Tribunale Supremo di Madrid ha assolto l’ex giudice Baltazar Garzon. Era stato accusato di aver violato la legge del 1978 che aveva concesso l’amnistia e l’impunità a tutti i franchisti che dopo la vittoria del caudillo si erano macchiati dei crimini più orrendi. Centomila si valutano le persone scomparse per azioni violente di vendetta, di rancore, di sopraffazione e di pulizia etnico-politica. I partiti politici che presero in mano la transizione postfranchista, il socialista e il democristiano, preferirono garantire una transizione acquiescente e in qualche caso omertosa – la storia giudicherà se per calcolo o per necessità.
Il giudice Garzon non è stato a questo gioco e ha voluto riaprire la pagina della giustizia nella ricerca di quello che andava condannato perché fosse monito a che non si ripetesse. Nel 2009 aveva avviato un’inchiesta sulla scomparsa degli antifascisti e dei democratici e questa era stata considerata una violazione della legge dell’amnistia dagli ambienti postfranchisti e dai poteri consolidati. Ora è stato assolto dal Tribunale Supremo di Madrid, con voto di sei giudici contro uno, perché le sue decisioni sono state considerate legittime.
Ricordiamo che, nel solco della sua rara etica della giustizia e della politica, il giudice Garzon ha osato incrimirare il criminale Pinochet e i criminali generali argentini della dittatura, riaprendo le tragiche vicende del colpo di stato cileno e dei “desaparecidos”. L’assoluzione è senz’altro una buona notizia, un buon esempio di giustizia giusta, un incoraggiamento alle persone di buona volontà a proseguire nella strada della memoria e della verità.
Molti intellettuali si erano mobilitati in Spagna perché il giudice Garzon non venisse condannato e perché il suo onore di giudice venisse restaurato per intero.
In Oli 331 avevamo già parlato della giustizia e del giudice Garzon. La stessa notizia non trova spazio rilevante nel sistema mediatico, televisivo e giornalistico probabilmente a causa della sua complessità e della sua scarsa appetibilità trombonistica.
Alleghiamo un video, messo in rete la settimana scorsa, in cui il regista Almodovar parla della vicenda.
(Angelo Guarnieri) -
OLI 331: GIUSTIZIA – Il giudice Garzon e i crimini contro l’umanità
Giovedì 10 febbraio il giudice Baltasar Garzon è stato condannato dal Tribunale supremo spagnolo a 11 anni di interdizione dalla Magistratura, per abuso d’ufficio, per aver fatto intercettare illegalmente nel ”caso Gurtel” tre imputati, ledendone i diritti alla difesa. La denuncia era stata presentata da un gruppo neofascista e post-franchista. Altri due processi pendono sul magistrato: per aver violato la legge di amnistia del 1978 sugli uomini di Franco, e l’altro per corruzione, per aver accettato il bonus per un ciclo di conferenze negli U.S.A. dal Banco di Santander, di cui in un processo successivo aveva assolto il presidente.
Il giudice Garzon è uno dei giudici più famosi del mondo: ha osato disseppellire i crimini del franchismo, incriminare per corruzione potenti socialisti e democristiani, Berlusconi per Telecinco e fondi neri, ha fatto incarcerare, unico al mondo, Pinochet, ha indagato con successo sulla tragedia Argentina, ha messo sotto accusa Bin Laden per la strage della stazione di Atocha, perseguito i fiancheggiatori del terrorismo dell’ETA, e i metodi illegali e terroristi con i quali alcuni avevano pensato di sconfiggerla. Ha osato molto, e dato molto fastidio al sistema politico, alla magistratura, alle colpevoli acquiescenze della storia. Il giorno dell’annuncio alla radio della condanna, un giornalista di El Pais intervistato ha affermato senza mezzi termini che quello era un giorno triste per la giustizia spagnola e che, subito dopo l’era Zapatero, il potere rin-Francato si era liberato di una persona molto scomoda.
La condanna del giudice Garzon credo debba indignare i democratici autentici del mondo.
Il giudice Garzon, sicuramente alla luce di una burocrazia, essenza delle istanze mortifere del XX secolo, e di una legittimità che non sempre si identifica con il giusto, è stato inabilitato, reso inoffensivo, perché ha osato mettere in scacco i potenti, perché non è stato al suo posto all’interno delle coordinate del potere post-franchista, democristiane e socialiste. E ora è il momento buono per fargliela pagare, per metterlo a posto, per renderlo inoffensivo. Mani pulite, do you remember, in questi giorni di ricorrenze e ripresentazioni? Ma il giudice Garzon è andato oltre: voleva processare i crimini del franchismo, la tragedia del Cile, Pinochet, l’orrore della dittatura Argentina. E’ stato imprudente, forse ha commesso abusi, certo pagherà. Non nell’onore, nell’etica , nella giustizia che solo la storia potrà giudicare.
E’ stato imprudente, radicalmente imprudente, perché si è messo contro i potenti, perché ha scelto di essere “uomo in rivolta”. Sto leggendo “Prima della Fine” di Ernesto Sabato, che consiglierei anche ai gufi con gli occhiali di leggere; in esso si racconta della tragedia più profonda del novecento: la perdita dell’umanità dell’uomo, sopraffatto dalla tecnologia, dal denaro, dalla violenza, dalla perdita di compassione. Ebbene in un passo del libro scritto nel 1998, Sabato, che aveva 90 anni (è morto a 100 anni nel 2011) e aveva presieduto la Commissione contro i crimini della dittatura Argentina, afferma che Garzon è uno degli uomini del nostro tempo che con il suo senso di giustizia può contribuire a restaurare l’onore del mondo. Facciamo parlare lui: “ …come dimostrano le indagini condotte in altri paesi da persone come il giudice Garzon… Il sangue, l’orrore, la violenza interpellano l’umanità intera, e attestano che non possiamo ignorare la sofferenza di nessun essere umano.”
(Angelo Guarnieri – disegno di Guido Rosato)Su questo sito si raccolgono firme a favore del giudice Garzon: -
OLI 325: IMMIGRAZIONE – Modificate la legge più censurata dalla Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 329, del 12 dicembre 2011, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge 388/2000 (legge finanziaria 2001), nella parte in cui chiede il possesso della carta di soggiorno per la concessione ai minori immigrati legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, della “indennità di frequenza” per i minori invalidi. Si tratta di una indennità concessa ai mutilati e invalidi civili minori di 18 anni “per il ricorso continuo o anche periodico a trattamenti riabilitativi o terapeutici a seguito della loro minorazione”. Tale norma, secondo la suprema Corte, priva il minore immigrato disabile, anche regolarmente soggiornante, di diritti fondamentali (all’istruzione, alla salute e al lavoro) in violazione della Costituzione italiana e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
La legge 388/2000, del centro sinistra, è a questo punto, forse, il provvedimento normativo più censurato dalla Corte Costituzionale (un altro provvedimento che compete per avere questo titolo è il pacchetto sicurezza del centro destra). Numerose sono infatti le sentenze che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale di questa legge nelle parti che richiedono il requisito della carta di soggiorno per l’accesso degli immigrati regolari alle provvidenze ed alle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale (esempio: assegno sociale, assegno di invalidità).
La Carta di soggiorno è rilasciata a chi possiede un determinato livello di reddito, e soggiorna regolarmente da almeno cinque anni. E’ stata istituita per semplificare il soggiorno di chi vive in Italia da lunghi anni e la suprema Corte ha più volte sentenziato che non deve essere usata per escludere gli immigrati dal diritto alle misure di assistenza sociale. Modificando le parti censurate della legge 388/2000 (comma 19 art.80), non solo si ristabilisce lo stato di diritto e si aiuta l’integrazione, ma si alleggeriscono i nostri tribunali, e la stessa Corte, di una grande mole di lavoro.
(Saleh Zaghloul – Disegno di Guido Rosato) -
OLI 301: GIUSTIZIA – E’ ancora notte alla Diaz.

Grande rilievo è stato dato dai media alla notizia, trascinata dai clamori del festival di Cannes, che si farà un film sui fatti della notte della Diaz, avvenuta nel corso del G8 di Genova, il 21 luglio 2001.
Quest’anno fra l’altro ricorre il decennale del G8 di Genova e sarà un’occasione preziosa per ripensare storie, fatti, tragedie, conflitti, speranze e conquiste che l’hanno segnato, lasciando un’impronta indelebile nell’anima di Genova, nei percorsi personali di decine di migliaia di giovani e meno giovani, nel costituirsi di movimenti contro le ingiustizie, per la pace, per un nuovo mondo possibile.
Un ripensamento non ripiegato su sé stesso, non nostalgicamente attaccato a certezze militanti di un passato che non c’è più, che cerca verità e giustizia, perché sono dovute a coloro che soffrirono le violenze, la repressione e le umiliazioni di un apparato istituzionale opaco, sordo e brutale nel suo non capire e nel suo non sapere agire. Un momento di riflessione collettiva e aperta che cerca nella memoria di quello che è stato, nel luglio 2001 e negli anni a seguire, le risorse e le energie per alimentare di speranze trasformative il futuro, per dare un senso forte alla parola verità, perché la giustizia sia messa al centro dell’agire comunitario e non un accessorio del potere e del potere della ricchezza. Senza giudicare: ci pensano i giudici che l’hanno fatto egregiamente in quasi tutte le sedi, resistendo alla forza dei poteri della politica senza idee e senza ideali, dando dimostrazione di cosa possa voler dire applicare la Costituzione.
“Voi G8, noi sei miliardi”, era la parola d’ordine chiara, trasparente e innocente come l’acqua di un ruscello; ad essa vennero contrapposte zone rosse, armi ed armature, marchi della prepotenza, che inevitabilmente finirono per sollecitare l’emulazione e istanze di rivalsa e di rancore.
“Voi la crisi, noi la speranza” è la parola d’ordine con la quale si vuol guidare ora il momento di riflessione collettiva e dare senso agli incontri, ai seminari, agli approfondimenti politici e culturali, ai momenti di festa, di musica, di teatro, che animeranno Genova per un mese, dalla fine di Giugno al 24 luglio, giorno dell’assemblea conclusiva. Il programma avrà i suoi momenti culminanti negli ultimo giorni, quando si coaguleranno gli incontri di più ampia e profonda incidenza e partecipazione, che si vuole locale, nazionale e internazionale.
In particolare sono da tener presenti: la giornata del 19 luglio, dedicata ai migranti e al Mediterraneo; il 21 luglio con Genova e la memoria (Piazza Alimonda, Carlo Giuliani); il 23 luglio con il seminario sulla guerra nel Maghreb, il 23 luglio con la manifestazione e il concerto; il 24 luglio con l’assemblea internazionale conclusiva.
Un gruppo di persone, coraggiose e motivate da passione politica ancora non pallida, sta lavorando a questo programma; molte organizzazioni a partire dalla CGIL, dall’ARCI e dalla FIOM, sono proficuamente impegnate; le istituzioni politiche locali sembrano salutarmente intenzionate a cooperare.
Ma, dopo le scuse per la peregrinazione, torniamo al film, che avrà per titolo: Diaz – Non pulire questo sangue. Un film che ha avuto una gestazione difficile e ha suscitato molte perplessità nella decisione di farlo e di offrirlo al pubblico. Tratta di una delle pagine più buie e tragiche della democrazia italiana. La notte della “sospensione dei diritti”, come affermò Amnesty, della “macelleria cilena” come disse un funzionario di polizia presente; la notte che fece impallidire l’allora Ministro degli interni, quando seppe, come rivelato in un’intervista dalla moglie.
Ci furono, dopo furiosi e immotivati pestaggi, 93 arresti di dormienti. 25 condanne in secondo grado di giudizio sono state comminate a funzionari di polizia.
La Fandango e Domenico Procacci, che ne è il responsabile, nel produrre questo film fanno un atto di coraggio, si assumono una positiva responsabilità.
Ma allora perché consegnare prima la sceneggiatura al capo della polizia? Perché l’approvi?
E perché non prendere in considerazione le richieste di ascolto delle vittime della Diaz, come protestano gli esponenti di “ Verità e giustizia” e Heidi e Giuliano Giuliani?
Ma lo stupore e l’amarezza per questo atto è ancora più profondo, ancora più radicale.
Riguarda l’assoluta libertà dell’arte, la ripulsa di ogni censura, la bruttezza di ogni mutilazione.
Forse la notte della Diaz è ancora buia, è ancora fra noi.
(Angelo Guarnieri) -
OLI 275: SOCIETA’ – Le leggerezze di un pm
Facendo i debiti scongiuri, se qualcuno vi rubasse la chiave di casa e vi entrasse facendoci un semplice giro uscendone senza danneggiare nulla, questo sarebbe considerato una violazione di domicilio. Aggiungendo a questo la rottura di un televisore, qualsiasi sentenza comporterebbe in aggiunta un reato di danneggiamento, con relativo danno per il ripristino del bene danneggiato. Se il bene danneggiato fosse un bel “puzzle” appeso al muro, al valore del gioco dovremmo aggiungere un “costo” delle ore di impegno necessarie per montarlo, valutabili in chissà quale modo.
Quindi non si riesce a capire come mai una persona che ha subito il danneggiamento di un proprio “puzzle” personale su Facebook (la sua casa di Pet Society), costruito con centinaia di ore davanti al PC e spendendo soldi nei negozi virtuali della rete, debba subire il doppio scorno della richiesta di archiviazione da parte di un pubblico ministero. Perché è questo che sarebbe successo ad una persona di Palermo, la cui vicissitudine è stata riportata da diversi quotidiani (*).
Lascia sconcertati che un pm non sia stato in grado di riconoscere un reato così evidente, previsto in termini espliciti dalla legge, che comincia con il furto della password per finire con una casa vuota, anche se virtuale, e nemmeno di capire che, oggi, i beni possono essere anche dematerializzati, possono consistere in un archivio di musica, di film regolarmente acquistati su un supporto diverso dai classici CD. E possono consistere anche nell’idea di possedere qualcosa per la quale si è pagato denaro sonante (più o meno, vista la dematerializzazione anche di quest’ultimo): è il caso di Pet Society.
Per fortuna che il giudice per le indagini preliminari ha invece accolto l’opposizione agguerrita degli avvocati della danneggiata, disponendo l’indagine della polizia postale per individuare il colpevole. E se riusciranno a trovarlo, lo scherzo costerà caro al nostro Lupin virtuale, vista la somma di reati ascrittigli, dal furto d’identità fino al danneggiamento: tutti reati penali.
Un’osservazione più tecnica a piè d’articolo: il termine hacker usato dall’Ansa (l’agenzia stampa dalla quale la notizia deriva) è usato in questo caso in modo errato, in quanto per i pirati informatici che creano danneggiamenti è in uso un termine diverso, cracker. Hacker è colui che non abusa della propria capacità ma, anzi, spesso la mette a disposizione proprio per il miglioramento dei sistemi di difesa informatica.* http://www.ilsecoloxix.it/p/magazine/2010/10/22/AMvxIxAE-facebook_svaligiata_inchiesta.shtml
* http://www3.lastampa.it/costume/sezioni/articolo/lstp/369891/(Stefano De Pietro)
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OLI 273: GIUSTIZIA – Aldrovandi: le tremende parole della verità
E’ sabato 9 ottobre 2010 e nel blog della famiglia Aldrovandi vengono scritte parole molto tristi, non solo per il significato privato del dolore di una madre che ha perso un figlio, ma anche per la fotografia pubblica che viene fatta dello stato della giustizia in Italia, dove un omicidio viene liquidato, di fatto, senza nemmeno un giorno di carcere per nessuno. La signora Aldrovandi cerca almeno di considerare la cifra offerta dal ministero (in cambio del silenzio giudiziario) a titolo di scuse ufficiali della Polizia, in assenza di una qualsiasi azione istituzionale reale in tal senso. Come fosse un secondo funerale e con quattro poliziotti condannati per omicidio colposo ancora in servizio attivo. Il post non viene riportato sui principali media istituzionali, ma solo su blog e iniziative giornalistiche in rete: sembra doveroso citarlo integralmente.
(Dal Blog federicoaldrovandi.blog.kataweb.it/federico_aldrovandi/2010/10/09/risarcimento/)
“SABATO, 9 OTTOBRE 2010
Risarcimento
Questo è un passo importante, almeno così pensavo.
Mi sono chiesta tante volte se accettare significava vendere mio figlio.
Ma purtroppo Federico non me lo potrà restituire nessuno e io non ho nemmeno più la forza di odiare.
Mi piace pensare che questo sia un gesto riparatore dello stato e delle istituzioni nei confronti miei e della mia famiglia.
Doveroso e significativo. Così mi piace pensare, perché i poliziotti che hanno ucciso mio figlio non faranno un giorno di carcere mai, anche se proseguissimo in appello e in cassazione, perché i poliziotti che hanno ucciso mio figlio rimarranno in servizio anche se vinceremo in appello e in cassazione.
Questo non è giusto, e siccome l’odio dentro di me non deve prevalere sull’amore che ho ancora e sempre per Federico mi piace pensare che lo stato mi abbia chiesto scusa
perché altro non mi rimane. L’unica soddisfazione è quella di avere restituito la verità sulla sua morte e sulla sua memoria, ma nessuno putroppo pagherà per ciò che ci hanno fatto
perché questa è l’Italia”(Stefano De Pietro)
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Europa – In Italia la violenza è doppia
Talvolta si riesce ancora a percepire la distanza che ci distacca da una gestione europea dello Stato. In materia di diritti civili l’Italia è uno dei fanalini di coda dell’Unione, impegnata com’è negli scandali dei sederini rosa e degli appartamenti romani di ex ministri nuclearisti. Questa volta il campanello è stato suonato da una sentenza del Tribunale di Torino, grazie all’intervento in materia di risarcimento danni di uno studio ben informato in materia, Ambrosio e Commodo di Torino (1*). Nella lunga lista di interventi e pubblicazioni riscontrabili sul loro sito, risalta l’impegno profuso sul problema dei risarcimenti, visti da diversi punti di vista e in molti settori della società.
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Diritti – Non li reclama più nessuno?
“A dire il vero, li avevo ereditati… Vede, non ero ancora nata che i grandi d’Europa già ne discutevano, i diritti li ho ricevuti fatti e impacchettati, come la collana di perle della nonna, e forse li davo per scontati.”
“Cara signorina, scusi se la interrompo, doveva stare più attenta. La distrazione, sulle cose serie, proprio non la concepisco. Posso capire perdere un ombrello, un cappellino…Ma i diritti! Vabbè, lasciamo stare… Continuiamo la lista?”
“D’accordo. Ma mi tolga una curiosità: sono l’unica che s’è accorta di averli persi?”
“Credo di no, signorina, ma ultimamente i diritti non li reclama più nessuno.”
9)Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948): art. 6. Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica.
10) art. 13. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.

