Dalla settimana scorsa la riforma del lavoro è diventata legge dello Stato. E’ una legge certamente migliorabile: occorre lavorare ancora per un contrasto più efficace alla precarietà del lavoro, per un regime universale di ammortizzatori sociali e per la certezza della tutela contro i licenziamenti illegittimi, ma la sua approvazione rappresenta una grande conquista per i cittadini immigrati: non perderanno più il permesso di soggiorno sei mesi dopo aver perso il lavoro. A causa di una norma irrazionale e dannosa che condizionava il rinnovo del documento di soggiorno al possesso di un contratto di lavoro, accadeva che, annualmente, centinaia di migliaia di immigrati regolarmente soggiornanti (anche da vent’anni) non riuscissero a rinnovare i loro permessi di soggiorno. Venivano cacciati nella clandestinità, costretti a lavorare in nero con gravi danni all’economia del Paese già a corto di risorse e già fortemente colpito dall’evasione fiscale e venivano vanificati, con molta superficialità, percorsi di integrazione faticosamente intrapresi. Ora, questa norma non esiste più, è stata modificata dalla riforma Fornero, e il disoccupato immigrato avrà diritto alle stesse prestazioni di sostegno al reddito cui ha diritto il disoccupato italiano; nel frattempo la regolarità del suo soggiorno è garantita, comunque per un periodo non inferiore a dodici mesi. Inoltre, al termine di tale periodo, è prevista la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno anche in assenza di contratto di lavoro, a condizione che il cittadino immigrato dimostri la disponibilità di un reddito sufficiente proveniente da fonte lecita. Il grave danno all’integrazione ed all’economia del paese era noto, da quindici anni, ai vari governi politici di centro destra e centro sinistra ma essi non sono stati capaci di rimuoverlo. Al governo tecnico sono bastati sette mesi. Per sfortuna prima o poi torneranno a governare i politici.
(Saleh Zaghloul – disegno di Guido Rosato)
Categoria: Permessi di soggiorno
-
OLI 350: LAVORO – La riforma Fornero è legge, migliorano le regole per i migranti
-
OLI 340: IMMIGRAZIONE – Permesso di soggiorno e riforma del lavoro
Con il disegno di legge della riforma del mercato del lavoro, il governo interviene ancora positivamente sull’immigrazione. Dopo aver trasformato, con il decreto Salva – Italia, in provvedimento legislativo la buona prassi amministrativa sulla validità della ricevuta della richiesta di rinnovo o rilascio del permesso di soggiorno (ad esempio per poter avere un regolare contratto di lavoro), ora il governo interviene per rafforzare la regolarità del permesso di soggiorno con l’obbiettivo di contrastare il lavoro nero. L’art. 58 del Disegno di legge di riforma del mercato del lavoro raddoppia la durata minima del periodo di disoccupazione che garantisce la regolarità del permesso di soggiorno riportandola da sei mesi ad un anno. E nel caso che il lavoratore straniero percepisca una prestazione di sostegno al reddito (indennità di disoccupazione, ecc.), tale periodo si estende per tutta la durata della prestazione. Inoltre è prevista la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno anche in assenza di contratto di lavoro, a condizione che lo straniero dimostri la disponibilità di un reddito sufficiente proveniente da fonte lecita. Ciò è quanto movimenti, sindacati, associazioni andavano proponendo da tempo per un efficace contrasto alla clandestinità e al lavoro nero.
Si tratta di provvedimenti positivi, razionali e di buon governo dopo molti anni di irrazionalità, demagogia e malgoverno. La norma di legge che viene ora emendata dall’art. 58 ha prodotto nel solo 2010 684.413 permessi di soggiorno non rinnovati (Dossier Caritas 2011). Ogni anno centinaia di migliaia di persone regolari vengono costrette alla clandestinità ed al lavoro nero dopo sei mesi di disoccupazione in un paese a corto di risorse e già fortemente colpito dall’evasione fiscale e contributiva. Ci sarebbero molti altri provvedimenti di consolidamento della regolarità del soggiorno e di ampliamento dei diritti di cittadinanza, che avrebbero un effetto moltiplicatore sulla possibilità dei migranti di contribuire alla crescita del Paese: occorre ad esempio modificare la norma del Testo Unico sull’immigrazione che lega la durata del permesso di soggiorno alla durata del contratto di lavoro. Non è infatti razionale né rispettoso delle persone immigrate costringerle alle lunghe e costose pratiche burocratiche di rinnovo del permesso di soggiorno ad ogni scadenza del contratto di lavoro che può avvenire ogni tre mesi.
(Saleh Zaghloul) -
OLI 333: IMMIGRAZIONE – La promessa di Monti
Disegno di Guido Rosato Insieme alla questione della tassa sui permessi di soggiorno pare che il governo intenda intervenire anche sulla loro durata, per tentare di rendere più efficiente una politica fino ad ora irrazionale e contraddittoria su rilascio e rinnovo, e dunque sulla regolarità della presenza degli immigrati.
Da una parte circa ogni cinque anni dal 1987, si faceva una regolarizzazione degli immigrati rilasciando ogni volta centinaia di migliaia di permessi a chi era presente irregolarmente, dall’altra parte al primo rinnovo si adottavano interpretazioni talmente restrittive da rendere molto difficile il loro rinnovo.
Quando avveniva, moltissimi non rientravano nei paesi d’origine e finivano per rientrare in clandestinità, rimanendo a lavorare in nero aspettando la successiva sanatoria.
Con l’approvazione della legge Bossi-Fini (L.189/2002) il numero dei permessi di soggiorno non rinnovati è aumentato da decine di migliaia a centinaia di migliaia: secondo il Dossier Caritas 2011, nel solo 2010 i permessi di soggiorno non rinnovati sono stati 684.413.
La Bossi-Fini ha condizionato il rinnovo del permesso di soggiorno al possesso di un contratto di lavoro quando, precedentemente, con la legge Martelli (39/90) e la legge Turco Napolitano (40/98), era possibile rinnovare il permesso anche attraverso la dimostrazione di un reddito sufficiente, e coloro che non riuscivano a dimostrare il reddito e non avevano un contratto potevano comunque iscriversi al collocamento per un periodo non inferiore a 12 mesi.
Inoltre la Bossi-Fini ha ridotto sensibilmente la durata dei permessi, moltiplicando le fasi di rinnovo e di conseguenza le occasioni di perdita del titolo di soggiorno.
La legge Martelli e la legge Turco-Napolitano prevedevano per il primo rilascio una durata biennale dei permessi per lavoro e famiglia, ed al rinnovo una durata non inferiore al doppio della precedente (4 anni).
La Bossi-Fini ha invece legato la durata del permesso alla durata del contratto di lavoro, limitandone la durata massima ad un anno quando il contratto è a tempo determinato e a due anni quando è a tempo indeterminato. Oltre a ciò è stato eliminata la previsione del raddoppio della durata al momento del rinnovo, per cui il nuovo permesso non può avere una durata superiore alla precedente.
L’anno seguente è entrata in vigore la legge 30/2003 sul mercato del lavoro, con contratti di lavoro delle durate più brevi possibili: i precari e le altre categorie più deboli sono divenuti i più esposti a perdere il permesso di soggiorno, essendo soggetti a rinnovi con tempi ravvicinati (ricordiamo che tra l’altro ogni rinnovo costa circa settantatre euro).
E’ quindi necessario ed opportuno ritornare, almeno, alle norme della legge Turco-Napolitano.
(Saleh Zaghloul) -
OLI 330: IMMIGRAZIONE – Venerdì in piazza contro una tassa ingiusta
La Camera del Lavoro di Genova ed altre associazioni genovesi organizzano venerdì 10 febbraio 2012 ore 16.30 una manifestazione davanti alla Prefettura di Genova contro la tassa sul rilascio dei permessi di soggiorno. Una tassa che varia da 80 a 200 euro decisa con un decreto degli ex ministri Maroni e Tremonti entrato in vigore il 30 gennaio scorso, che si aggiunge ai circa 73 euro che ogni immigrato paga già per il rilascio ed il rinnovo dei documenti di soggiorno, costo esagerato che già nel 2007 l’ex ministro dell’Interno Giuliano Amato aveva definito “una vera rapina”, promettendo di ridurlo. Ma non ha fatto in tempo. Poco prima della caduta del governo Berlusconi i leghisti hanno invece fatto in tempo ad imporre quest’ulteriore tassa. Così, il rilascio di un documento di soggiorno può costare fino a 273 euro a persona. E’ un vero scandalo: è una tassa xenofoba che colpisce duramente le tasche dei migranti e il nostro paese fa una figura da paese incivile e xenofobo quando invece è un paese solidale dove i razzisti e gli incivili sono una minoranza. Il nuovo governo (i ministri Cancellieri e Riccardi) aveva promesso di modificare il decreto Maroni – Tremonti, ma non sono riusciti a farlo entro il 30 gennaio.
La CGIL chiede al governo di “cancellare questa odiosa tassa” e di iniziare un confronto serio con il sindacato sull’immigrazione. Occorre intervenire urgentemente per affrontare la questione alla radice: non basta cancellare l’ultima tassa, ma riportare l’onere per il rilascio ed il rinnovo dei documenti di soggiorno degli immigrati nei limiti in corso negli altri paesi civili dell’Unione Europea.
(Saleh Zaghloul – Illustrazione di Aglaja)
