Categoria: OLI 346

  • OLI 346: COMUNE – Doria, Repetti, giunta: una telefonata cambia la vita

    Qualcuno osserva: “Ma perché non l’ha chiamato? Insomma vede il suo nome sui giornali per un mese e non gli dà un colpo di telefono? Ma non ha senso! Bastava che lo chiamasse!”
    Però, no. Dalla lettura di giornali pare non funzioni così la politica locale. Sembra invece caratterizzata da molti sussurri. Così è successo quando Burlando non parlava con Vincenzi e quando Vincenzi non veniva invitata a cena da Bersani e per quella passata alla storia come la cena dei bolliti, in cui si era parlato molto di sanità in assenza dell’assessore competente, Claudio Montaldo.
    Una politica in cui gli interessati anche se diretti, non si parlano direttamente e si affidano a “amici” comuni o personalità della vita pubblica per comunicare. La stampa asseconda questo sistema, agendo da portavoce, mescolando tempi istituzionali e gossip politico. Così da parer fuori dal mondo anche a me, lettrice, che il direttore del Teatro Stabile Carlo Repetti potesse chiamare Doria.
    Certo di cariche da vicesindaco non si può parlare al telefono, ma forse ha ragione chi suggerisce che un incontro vis a vis potevano concederselo.
    Il piatto più amaro è riservato ai lettori di Repubblica, edizione genovese, il 2 e 3 giugno con l’intervista a Carlo Repetti e la relativa risposta di Marco Doria .
    Il primo che – pur ammettendo di non aver “mai parlato” con il nuovo sindaco – dichiara che forse la sua presenza come vicesindaco era “troppo ingombrante” per Doria, “per età, esperienza amministrativa” e schiettezza. E aggiunge che il suo nome “è stato usato come coperchio di una pentola a pressione, il tam tam sulla giunta”, chiedendosi perché Doria non abbia avuto la cortesia di chiamarlo per avvisarlo che non se ne faceva nulla.
    Doria che risponde all’intervista riconoscendo che il nome di Repetti gli era stato fatto dal Pd, che “trova irriguardoso” che venga ipotizzato che franchezza ed autonomia siano ragioni che possano indurlo a “non avvalersi della collaborazione di persone valide e competenti”, che non ha bisogno di yes men o yes women e che a fronte di “un compito impegnativo” – quello di formare una giunta – ha compiuto autonomamente scelte in maniera meditata, senza chiamare tutti quelli che la stampa citava come possibili assessori.

    Che il nuovo sindaco abbia agito in totale autonomia non ci sono dubbi. Giunta più nuova non ci poteva essere. Peccato che in squadra ci sia anche chi, “disgustato dall’attuale sistema politico”, non ha nemmeno votato ma esita a lasciare la propria occupazione per calarsi nel ruolo politico di assessore perché non può “stare fuori dal mercato per cinque anni”.
    Peccato che Marco non abbia chiamato Carlo, e che Carlo non abbia chiamato Marco e che tutti i nomi che apparivano sui giornali non abbiano chiamato Marco perché, fedeli ai tempi istituzionali, aspettavano di essere chiamati.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice e di Ivo Ruello)

  • OLI 346: COMUNE – Assessori: il curriculum non basta

    Sono a una riunione con altre amiche, e il Secolo XIX del 4 giugno passa di mano in mano lasciandosi dietro una scia di cattivo umore. Il titolo dell’articolo sotto esame è: “Lanzone: Io part time? Potrei lasciare la giunta”, e dà conto di una intervista fortemente “rivendicativa” della nuova assessora, che suona come una sorta di contrattazione pubblica della sua collocazione politico – professionale. Magari è anche vero che l’attività che Lanzone prefigura “nelle retrovie della Asl3” possa essere compatibile col suo ruolo di assessore, anche se l’attività di amministratore mi pare così impegnativa e assorbente, talmente di elevata responsabilità, che fatico a pensarla se non svolta a tempo pieno, ma la definizione di questa evetuale compatibilità non dovrebbe avvenire sulle pagine della stampa.
    L’intervista pone una questione di rilievo. Lanzone dice di aver inviato il suo curriculum a Doria, che poi “Mi ha telefonato domenica, chiedendomi se volevo fare parte della sua squadra. Ammetto che, all’inizio, sono rimasta un po’ spiazzata. Ma poi alla fine ho accettato”. Ora per le “assunzioni” i curriculum sono importanti, ma servono almeno altrettanto i colloqui faccia a faccia, in cui fare le domande che servono, guardarsi negli occhi, mettere in chiaro i punti spinosi, farsi – dall’una e dall’altra parte – un’idea ben chiara dello scambio che sta per compiersi, ed essere ben certi della condivisione del progetto politico. La sensazione è che nel caso di Lanzone, ed anche in quello di Oddone, per cui sono state necessarie forti pressioni pubbliche perché lasciasse Datasiel, qualche passaggio sia stato saltato.
    (Paola Pierantoni – Foto di Giovanna Profumo)

  • OLI 346: CITTA’ – Gli illuminati costruttori genovesi

    Quando si dice:” Averne di questi imprenditori!”. Infatti a sentire la proposta del presidente di Assedil non si può che dargli ragione: “Le grandi opere sono lontane e invece bisognerebbe dedicarsi a tanti piccoli interventi nell’edilizia, a cominciare dalla ristrutturazione degli edifici scolastici così malandati”. Il costruttore pensa a salvare l’edilizia, parlando alla Festa del Muratore, invoca investimenti di relativa entità per non perdere posti di lavoro e dice la verità sulle nostre scuole, spesso in luoghi ed edifici inadeguati.
    Vedi l’ex Nautico di piazza Palermo, chiuso da anni e patrimonio comunale, di cui si era previsto persino di farne un autopark e che potrebbe, se ristrutturato, divenire Polo scolastico della Foce, mentre la scuola media Doria del quartiere sta pagando l’affitto.
    Dove trovare i soldi però? I Comuni sono in crisi di liquidità, è vero, ma si potrebbero ogni tanto utilizzare gli oneri di urbanizzazione, cioè quanto viene versato al Comune dal costruttore per edificare, per mettere a posto le scuole, invece di finire nella spesa corrente della gestione della macchina amministrativa. Come ad esempio i circa trecentomila euro di oneri per Villa Raggio, da pagare al Comune dilazionati in più anni, mentre gli appartamenti da duecento metri quadri ad ottomila euro al mq “in grezzo” sono già stati venduti e l’impresa in parte incassa prima.
    Alla fin fine, come nel caso della media Doria, si risparmierebbero pure i soldi dell’affitto.
    E di casi così ce ne sono sul territorio comunale.
    I ragionamenti degli edili si fanno però più interessanti e interessati in occasione del convegno dell’Associazione culturale La Maona quando, prendendo spunto dai decreti Monti per rilanciare l’Italia, si discute di grandi opere. Così a partire dai Comuni, a seguire i porti, l’idea è che sia l’impresa a presentare il progetto (e fin qui nessuna novità) al Comune che, se lo valuterà positivamente, lo metterà in gara, ed è qui la novità: all’imprenditore proponente resterà il diritto di prelazione, mentre il progetto verrà inserito automaticamente nelle opere pubbliche.
    Da sottolineare che l’inconsueto iter sarebbe al di fuori di normative nazionali ed europee.
    Quali le opere pubbliche individuate dall’associazione costruttori?
    Innanzi tutto lo scolmatore, opera da 400 milioni di euro in su, da farsi con “projet bond”, ovvero il Comune individua edifici di pari valore nel suo patrimonio immobiliare e propone di sottoscrivere dei bond che abbiano come garanzia quegli immobili: reggeranno le casse comunali?
    E poi, udite, udite, ben altre cinque importanti opere pubbliche.
    Ovvero, cinque megaparcheggi in centro città!
    Parcheggi possibili, già individuati dalle precedenti Amministrazioni. Ancora? Sempre meno abitanti e più vecchi, tutti nonni sprint e pluriautomuniti.
    Gli ineludibili park potrebbero essere sotto le stazioni Principe e Brignole: ma qui non c’è stata l’alluvione? Un altro potrebbe essere in piazza Santa Maria dei Servi, alla Foce, dove la biblioteca della Chiesa omonima posta nelle cantine, ha rischiato di finire sott’acqua. Si smantellerebbero poi i giardini delle Caravelle per far posto alle auto della polizia invece di fare una convenzione per le volanti con il park sotterraneo di piazza della Vittoria spesso vuoto, come quello di piazza Dante, dove anche qui si propone di farne un altro nuovo.
    Così mentre si auspica un maggior uso dei mezzi pubblici, si propongono altri parcheggi in città, accentratori di traffico secondo i più aggiornati studi sulla viabilità, e non si fanno i park d’interscambio.
    Illuminati i nostri costruttori genovesi, gran belle opere pubbliche.
    (Bianca Vergati – disegno di Guido Rosato)

  • OLI 346: SOCIETA’ – Il mercato dei fiori

    Scopro di vivere nell’epicentro di un importante commercio: nella zona del Ghetto, tra piazza del Campo e Vico Untoria, si concentra infatti il mercato dei fiori venduti dagli ambulanti. Me lo fa scoprire il “Settimo rapporto sull’immigrazione a Genova” a cura di Maurizio Ambrosini ed Andrea Torre, Ed. Il Melangolo – 2012.
    Il libro è stato presentato a Genova lo scorso 25 maggio, ma non ne ha parlato nessuno, ad eccezione di Pro.no., agenzia di stampa della Provincia di Genova.
    Grandissima sottovalutazione dei nostri mezzi di informazione, perché il rapporto ha un taglio particolarmente interessante: l’accurata analisi statistica e quantitativa del fenomeno migratorio è infatti funzionale ad una lettura del nostro territorio e delle sue prospettive, ed è accompagnata da una ricca bibliografia, e da due rapporti di ricerca, uno dei quali, a cura di Franca Lagomarsino e Andrea Torre, riguarda i venditori di fiori ambulanti marocchini, definiti “Visibilmente invisibili” in quanto “Sono estremamente visibili, molto più di altre figure di lavoratori immigrati, ma emarginati dal nostro sguardo” in quanto “oggetto di pregiudizi negativi (gli immigrati non fanno un lavoro regolare) che creano difficoltà dei contatti e imbarazzo“. Il cliente, dice uno degli intervistati “ancora prima ti giudica come un povero, un povero totale, non solo di testa, povero di tutto. Però ce ne è tanti che hanno vissuto davvero la vita … loro ti capiscono al volo. Hanno un’altra mentalità, parlano come se parlassero a una persona normale … ne trovi il 20% che hanno vissuto la vita”.
    Il rapporto infrange molte delle ovvietà con cui guardiamo a queste figure, e segnala trasformazioni importanti.

    Una è stata il passaggio della vendita dai minori agli adulti, che si è compiuta intorno alla fine degli anni ’90, e che ha dietro di sé una storia di cui fu protagonista una rete formata da Comune, Forum Antirazzista, Direzione Scolastica Regionale, CRAS (Centro Risorse Alunni Stranieri), Tribunale dei minori, Questura.
    Un’altra è stata quella della graduale regolarizzazione della attività: il responsabile del mercato dei fiori di San Remo parla di un avvenuto “processo di specializzazione, con acquisizione di partita Iva, acquisto in regola, maggiore attenzione alla qualità del fiore e alla modalità di vendita … confezionano un ‘prodotto finito’, tolgono le spine, lo confezionano, lo vendono agli ambulanti. Poi hanno ampliato le gamme di prodotto, non più solo la rosa: indice che si rivolgono ad acquirenti che sono piccoli chioschi. Qui comprano regolarmente, con emissione di fattura e tutto”. Ci sono forme di razzismo: “Ci tocca vendere ai marocchini” ma la realtà è che “i marocchini coprono ormai una nicchia di mercato”.
    Alcuni grossisti comprano a San Remo, altri al mercato di Genova. Poi nella zona del Ghetto avviene l’acquisto del prodotto da parte degli ambulanti, anche loro ormai transitati nel territorio della regolarità e delle partite Iva: si tratta di anziani che lo fanno da tempo, o di giovani in attesa di altre occasioni. Un’attività “cuscinetto” che può rendere 70 euro nelle giornate buone, o scendere a zero in quelle cattive. Un lavoro dignitoso, che può prevedere una sua dinamica: la diversificazione del prodotto venduto e della clientela, acquisendo acquirenti fissi, piccoli chioschi, e magari il passaggio da ambulante a piccolo o medio grossista.
    Per capire questa parte della nostra città, insistono i ricercatori, occorre però “mettere in discussione l’ottica miserabilista”.
    (Paola Pierantoni –  Foto dell’autrice)

  • OLI 346: PAROLE DEGLI OCCHI – L’altro sindaco

    Foto di Maria Alisia Poggio

    Mercoledì 30 maggio all’interno di una libreria Feltrinelli a Milano, Pisapia ha tenuto un incontro con la cittadinanza ad un anno dalla sua elezione a sindaco. Disponibile con chi l’ha fermato, è poi andato via a bordo di una Punto bianca, dopo aver scambiato due parole e stretto la mano dal finestrino ad un anziano sostenitore. Un buon auspicio per il nostro nuovo sindaco.