Categoria: lavoro nero; Saleh Zaghloul

  • OLI 328: IMMIGRAZIONE – Regolarizzazione semplificata e di lunga durata

    La settimana scorsa ACLI e CGIL hanno chiesto al governo la regolarizzazione degli immigrati irregolari. Il segretario della CGIL, Susanna Camusso, ha detto a la Stampa, che “la regolarizzazione porterebbe nelle casse dello Stato 5 miliardi di euro, risorse che potrebbero essere utilizzate per gli ammortizzatori sociali e per rilanciare l’occupazione”. Richiesta, dunque giusta ed opportuna, ma come fare la regolarizzazione?
    Le regolarizzazioni/sanatorie che si sono fatte dal 1987 ad oggi, una ogni circa cinque anni, hanno avuto uno svolgimento burocratico terribile. Sono state fatte concentrando la presentazione di centinaia di migliaia di domande in due o tre mesi. Ingolfando gli uffici stranieri delle questure, delle prefetture, delle poste, del sindacato e delle associazioni di volontariato e facendo “impazzire” i lavoratori di questi uffici. E’ come permettere agli automobilisti di fornirsi di carburante soltanto al lunedì di ogni settimana dalle 8.00 alle 14.00. Si scatena tra gli irregolari una disumana corsa contro il tempo, si usano tutti i mezzi per poter presentare domanda, si accetta ogni ricatto, si compra e si vende di tutto dal contratto di lavoro falso al proprio corpo. Si rivitalizzano le associazioni a delinquere di venditori e falsificatori di contratti di lavoro e se ne formano delle nuove. Il primo contatto degli immigrati con le istituzioni del nostro paese avviene aggirando regole e legalità. Centinaia di migliaia di domande vengono rifiutate e altre rimangono sospese per anni (ancora oggi vengono riesaminate le domande presentate durante l’ultima regolarizzazione del 2009 (colf e badanti). E’ inoltre assurdo che un paese civile e democratico riconosca così esplicitamente che prima di permettere la regolarizzazione di centinaia di migliaia di immigrati essi devono lavorare in nero per cinque anni con annessa evasione fiscale e contributiva e violazione dei diritti che in certi casi arriva allo sfruttamento ed alla schiavitù.
    Un’operazione necessaria quale è la regolarizzazione degli immigrati irregolari è stata applicata in maniera assurda, complicata e dannosa per il paese, per chi cerca di regolarizzarsi e per chi si ne occupa. Quando, invece, per l’emersione dal lavoro nero degli immigrati irregolari si possono utilizzare gli stessi strumenti che si usano per i lavoratori italiani e dove è possibile presentare domanda tutti i giorni del mese, tutti i mesi dell’anno, per anni. Così è stata, ad esempio, l’emersione prevista dalla legge 383/2001 (Tremonti bis). Un altro strumento è quello dei piani d’emersione territoriali e nazionali che oggi il sindacato sta proponendo al governo Monti. Questi strumenti (previsti per i lavoratori italiani ed immigrati regolari) vanno adeguati in maniera da prevedere l’emersione anche del lavoratore immigrato irregolare e il rilascio in questo caso del permesso di soggiorno. Nel caso di rifiuto del datore di lavoro di presentare la domanda d’emersione va prevista l’emersione in base a richiesta e vertenza del lavoratore stesso e il rilascio del permesso di soggiorno (previa verifica) anche in questo caso. Inoltre, il dispositivo legislativo della regolarizzazione deve contenere la revoca d’ufficio delle precedente espulsioni amministrative per chi emerge dal sommerso e dalla “clandestinità”.
    (Saleh Zaghloul, immagine di Guido Rosato)

  • OLI 327: IMMIGRAZIONE – Paradosso di una norma

    Il ministro dell’Integrazione Andrea Riccardi, in audizione alla commissione Affari Costituzionali, ha proposto di allungare da sei mesi ad un anno il tempo per poter cercare un nuovo lavoro per gli immigrati disoccupati. E’ certamente un passo avanti ma non basta: moltissimi continueranno a perdere il permesso di soggiorno a causa della perdita del lavoro e soprattutto continuerà ad accadere che tra questi ci siano persone che hanno vissuto nel nostro paese regolarmente anche per 20 anni. La norma che il ministro propone di modificare produce più clandestini di quanto producono gli ingressi clandestini, gli sbarchi della morte ed i trafficanti criminali di mano d’opera clandestina. Si pensi che nel solo 2010 i permessi di soggiorno non rinnovati sono stati 684.413 (Dossier Caritas 2011).
    Paradossalmente tale norma è stata concepita, come evidenzia tutta la sua traiettoria legislativa (fino alla Bossi – Fini), per tutelare la regolarità del soggiorno delle persone che fanno il primo ingresso in Italia e che perdono il lavoro. Era, infatti, inclusa nella prima legge italiana sull’immigrazione (L. 943/86), per adempiere alle disposizioni della Convenzione 143/75 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ratificata dal nostro paese nel 1981: “il lavoratore migrante non potrà essere considerato in posizione illegale o comunque irregolare a seguito della perdita del lavoro, perdita che non deve, di per sé, causare il ritiro del permesso di soggiorno”.
    Soltanto un’interpretazione restrittiva ed infondata ha permesso che tale norma (evidentemente concepita a tutela della regolarità degli immigrati entrati in Italia per via dei decereti flussi, al primo rinnovo del titolo di soggiorno) sia stata usata finora, e possa ancora esserlo, per danneggiare i regolarmente soggiornanti anche da 20 anni, con conseguenze tragiche, ricacciando nella clandestinità chi si era faticosamente regolarizzato, inserito, formato ed integrato nel nostro paese. Inoltre, questa norma lancia un messaggio eticamente e culturalmente molto negativo: quello di non riconoscere i migranti come donne e uomini, cittadine e cittadini, ma soltanto come braccia e mano d’opera che possono rimanere nel paese solo se servono.
    Un governo di tecnici competenti (non di “acerbi tecnici”, come si è autodefinito il ministro Riccardi dinanzi alla commissione), ripristinerebbe le funzionalità originarie di questa norma limitandone l’applicazione ai casi del primo rinnovo del permesso.
    Infatti, per il secondo rinnovo il legislatore non prevede, come unica condizione, l’essere titolari di un contratto di lavoro; in mancanza basta dimostrare “la disponibilità di un reddito sufficiente da lavoro o da altra fonte lecita”. E per chi soggiorna regolarmente da più di 5 e 10 anni le intenzioni del legislatore sono quelle del rilascio della carta di soggiorno con validità a tempo indeterminato e della concessione della cittadinanza italiana.
    Un governo di tecnici competenti farebbe un provvedimento straordinario per restituire il permesso di soggiorno alle centinaia di migliaia di persone che l’hanno perso negli ultimi tre anni di crisi per motivi diversi da quelli di pericolosità sociale o di ordine pubblico. Inoltre regolarizzerebbe tutti coloro che dimostrano di avere un rapporto di lavoro anche se non hanno mai avuto un permesso di soggiorno attraverso piani permanenti di emersione dal lavoro nero che prevedano il rilascio del permesso di soggiorno al lavoratore immigrato irregolare, anche nel caso di opposizione del datore di lavoro. Governare l’immigrazione nel nostro paese dopo il disastro degli ultimi vent’anni, richiede, esattamente come per l’economia, una grande competenza, serietà, ricerca, innovazione. Ci vuole una grande intelligenza del sapere e della conoscenza delle leggi e delle circolari al servizio della grande sensibilità, dell’attenzione e dei buoni sentimenti di cui è portatore il ministro Riccardi. Caro ministro si faccia aiutare da tecnici antirazzisti esperti in materia.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 318: IMMIGRAZIONE – Caritas, 684.413 immigrati spediti nella clandestinità nel 2010

    Secondo i dati del Dossier statistico immigrazione 2011 curato dalla Caritas, sono 684.413 i permessi di soggiorno che non sono stati rinnovati nel corso del 2010. Sono persone che si erano faticosamente regolarizzate, ora trasformate in irregolari, visto che quando perdono il permesso di soggiorno non ritornano nei loro paesi d’origine ma restano qui in clandestinità a lavorare in nero. In un solo anno è stato cancellato il risultato di tre provvedimenti di regolarizzazione (o sanatorie) che hanno richiesto almeno dieci anni di tempo: c’è stata una regolarizzazione circa ogni cinque anni e l’ultima (quella di colf e badanti) ha sanato la posizione di circa 200 mila persone. In un solo anno è stato polverizzato il lavoro faticoso e molto costoso degli Uffici Immigrazione di Prefetture e Questure, dei Patronati, delle Poste e delle ambasciate.
    La crisi potrebbe aver contribuito in questo gravissimo fatto ma la maggiore responsabilità è da attribuirsi alle norme sul rinnovo del permesso di soggiorno e l’interpretazione restrittiva con la quale vengono applicate: perdere il contratto di lavoro equivale a perdere il permesso di soggiorno. La convenzione OIL n. 143/75, ratificata dall’Italia, tuttavia, dispone il contrario: “il lavoratore migrante non potrà essere considerato in posizione illegale o comunque irregolare a seguito della perdita del lavoro, perdita che non deve, di per sé, causare il ritiro del permesso di soggiorno”.
    I più colpiti sono i lavoratori dipendenti poiché le norme sul rinnovo sono più rigide. Colpite anche le famiglie, poiché il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di famiglia dipende dalla situazione del lavoratore stesso. Infatti in se il lavoratore perde il permesso di soggiorno, lo perdono i suoi familiari. Intere famiglie sono spedite nella clandestinità. Ecco i dati del Dossier Caritas in dettaglio: sono 398.136 i permessi di soggiorno non rinnovati che erano stati rilasciati per lavoro subordinato, 49.633 per lavoro autonomo, 220.622 per motivi di famiglia e 160.220 per attesa occupazione.
    Preso atto che nulla è cambiato nelle leggi e nella loro applicazione, possiamo facilmente dedurre che anche quest’anno altrettante persone sono/saranno trasformate in “clandestini”. Malgrado la crisi, alcuni settori come, ad esempio, l’edilizia, l’agricoltura e servizi hanno bisogno vitale di mano d’opera immigrata. Perché privare l’economia italiana, che ha bisogno di crescere, dalla possibilità di impiegare legalmente lavoratori che conoscono la lingua italiana e che sono già formati? A chi giova condannare oltre un milione di persone alla clandestinità e al lavoro nero? Per quale ragione viene favorita l’evasione fiscale e la concorrenza sleale a sfavore dei datori di lavoro rispettosi della legalità? A chi giova togliere ad un numero enorme di persone la possibilità di avere alcun rapporto con le istituzioni e con le forze dell’ordine in particolare, da cui sono costretti a nascondersi per non essere espulsi? A chi giova esporli a rapporti con tutti gli altri soggetti criminali che si nascondono dalle istituzioni? Tutto questo è certamente un grave danno al paese, è ingiustificabile ed irresponsabile.
    (Saleh Zaghloul)