Categoria: OLI 295

  • OLI 295: VERSANTE LIGURE – RAÌSSILVIO

    È muto, sofferente
    e consolarlo è vano
    or livido or piangente,
    in pieno dramma umano:
    non ci può fare niente
    rimpiange un dì lontano:
    “In mezzo a tanta gente
    io l‘afferrai, ma piano:
    fu un tenero, struggente
    intenso baciamano!”.

    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA
  • OLI 295: CITTA’ – Cornigliano, la stazione e il suo degrado, in dieci foto

    Figura 1 Copertina della Domenica del Corriere 24 gennaio 1926

    Visita guidata a Cornigliano. La meta, per esattezza, è la stazione. Ci arriviamo non per il grande rettifilo principale, via Cornigliano, ma scivolando attraverso le stradine laterali a valle di questa, che un tempo spiovevano come rivi verso le spiagge della famosa località balneare. Nel 1926 per la stazione (che all’epoca era in posizione più centrale rispetto al quartiere) passò il convoglio che trasportava la salma di Margherita di Savoia: in una tavola illustrata della Domenica del Corriere si vede, sullo sfondo, la grande spiaggia di Castello Raggio (Figura 1). Di questo passato idilliaco rimane traccia soltanto nella toponomastica: una stradina che ora conduce ad un’inferriata, fiancheggiando l’enorme parcheggio dell’ex Italsider, si fregia del nome Vico alla Spiaggia (Figura 2). Mi ricorda un’anziana signora, carica di una incalcolabile quantità d’anni e di rughe, che sfoggiava con leggiadria il nome Afrodite. Continuando per via Bertolotti, che costeggia a valle la strada principale, entriamo nello spirito giusto per visitare la stazione di Cornigliano con un lento procedere attraverso le macerie degli impianti ex Italsider (figura 3 e 4). Se le rovine non fossero sufficienti a prepararsi al degrado, vi consiglio di riportare alla mente lo spezzone di un film che molto si addice: un episodio di Allegro ma non troppo in cui i disegni di Bozzetto accompagnano il Valzer triste di Sibelius.

    Figure 2, 3 e 4 – Foto Eleana Marullo

    Eccoci quasi arrivati: appare la facciata della stazione, il cui restauro è terminato nel 2009 (figura 5). Gli esterni sono ancora dignitosi ma appena si entra lo spettacolo cambia, bruscamente. Non esistono biglietterie, neppure automatiche. La sala d’attesa è chiusa da una rete metallica, che non impedisce al popolo notturno delle stazioni di entrarvi e lasciare segno. Nel paradosso, le tracce del passaggio umano si riducono all’essenziale: qualche buccia di banana ed un tappeto di gratta&vinci, che non hanno salvato nessuno dalle miserie dell’esistenza e giacciono al suolo come foglie secche (figura 6).

    Figure 5, 6 e 7 – Foto Eleana Marullo

    Il sottopassaggio che conduce al secondo binario si fa latore dei messaggi d’amore e di disperazione dei graffitari locali (figura 7). I liquami sul pavimento ci avvertono che qualcuno è stato qui, di recente. Arrivati sul secondo binario lo sguardo vaga sul piazzale vuoto: delle macerie metalliche che fino a qualche mese erano accatastate al suolo non rimane che qualche pozzanghera rossa e ferrosa (figura 8). Girandosi a monte, altri cumuli di macerie (calcinacci, oggetti dimenticati, ferraglia) si accalcano alla vista (figura 9 e 10).

    Figure 8,9 e 10 – Foto Eleana Marullo

    Il 28 luglio 2010 il Corriere Mercantile riportava un servizio sulle stazioni del ponente genovese. Incuria, degrado, atti vandalici ed un pervasivo senso di abbandono: “Brutte, sporche, inospitali: ecco le stazioni Rfi. Cornigliano è la peggiore”. A distanza di qualche mese la situazione non è di certo cambiata. Ed al degrado che accompagna, endemicamente, le stazioni del ponente (fuori da forti circuiti economici, fuori da interessi turistici o balneari), si aggiungono le cicatrici pesanti del passato ed i segni di uno “stress postraumatico” di quartiere. (Eleana Marullo)

  • OLI 295: CITTA’ – Mazurka Clandestina


    E’ stata la prima volta per Genova. Sabato 26 marzo, sera piovigginosa e scoraggiante, alle dieci e mezzo di sera trecento persone si sono incontrate nel grande spazio, fino ad un istante prima assolutamente deserto, della Galleria Darsena, dietro al Museo Galata. Un piccolo impianto di amplificazione portatile, giacconi, cappotti, borse abbandonati per terra, e inizio delle danze. Il repertorio è quello popolare francese: balli in cerchio e balli di coppia, valzer e mazurke, appunto. Età dalle giovanissime alle mature. Dopo un’oretta iniziano ad aprirsi le custodie e appaiono fisarmoniche, chitarre, violini, flauti.
    Dalle borse escono panini e bottiglie, ma il bar nei pressi deve aver comunque festeggiato incredulo l’evento totalmente inatteso. A notte inoltrata una torta con candeline accende un punto di luce: si festeggia un compleanno.
    Il fenomeno è quello della “Clandestina”: una rete di relazioni nate nel mondo della danza popolare lancia un appuntamento informale in un luogo di una città. La comunicazione passa solo attraverso mail, Facebook, sms: nessun altro preavviso. Le esigenze tecniche sono minimali: CD, un piccolo amplificatore, e poi non mancano mai i suonatori.
    Non è molto che sono nate le Clandestine, l’inizio è il 2009. Se ne svolgono a Torino, Milano, Napoli, Roma … ma anche in Francia, in Spagna, a Praga, a Londra.
    Irene Gonzales di Napoli (*) li descrive come “Eventi totalmente gratuiti, non patrocinati da nessuno, che non mettono in gioco nessun tipo di organizzazione o associazione” e che “si svolgono in luoghi poco usuali della città, poco popolati alla sera, in cui portiamo la nostra bellezza”.
    Marco Gheri, uno degli organizzatori di quella genovese, mi parla dello spirito che le anima, e che è lo spirito della “festa”, rito sociale scomparso dalle città, vivo ormai solo in ambiti territoriali molto specifici, ma che covando sotto la cenere nel cuore dell’uomo, ha trovato nuovamente il modo di esprimersi: stante le condizioni al contorno.
    Come definire una festa? E’ una comunità che si incontra e che in quel tempo e in quel luogo vuole esprimere e condividere la gioia, attraverso la musica, la danza, il cibo, il vino, le chiacchiere. C’è chi balla bene, chi balla male, chi non balla affatto: non ha nessuna importanza. Un tempo era la comunità del territorio, del paese, del quartiere, che si incontrava. La comunità delle clandestine si muove su spazi più articolati. C’è una rete che si incontra da una città all’altra, relazioni che corrono attraverso l’Italia e l’Europa, scambi di ospitalità, amicizie, partecipazioni ai festival europei di musica popolare, e questo è il nucleo che anima e suggerisce gli eventi; poi c’è l’incontro, quel giorno, con le persone del posto, molte fanno parte di gruppi di danza popolare, ma c’è anche il passante, quello a cui è giunta la voce, e che magari, prima o poi, entrerà nel cerchio.
    (*)INTERVISTA A IRENE GONZALEZ.pdf

    (Paola Pierantoni)

  • OLI 295: UNIVERSITA’ – Auguri Mohamed

    In controtendenza con il resto d’Italia l’Università di Genova aumenta gli iscritti del 5% ma la Facoltà di Ingegneria dimagrisce per effetto della riforma Gelmini, pur aumentando del 10% le matricole.
    Diminuiscono non gli alunni ma i professori, ne mancano oltre sessanta fra pensionati non più sostituiti e mancate assunzioni: chissà se la sentenza del tribunale di Genova farà testo ora che il Ministero della P.I. è stato condannato a risarcire i precari poiché di fatto “Sussiste un fabbisogno certo e non episodico della prestazione”, visto che i docenti anno dopo anno vengono riconfermati nell’incarico (Il Sole 24 Ore, 26 marzo).
    Anche i corsi si riducono, alcuni rischiavano di sparire, non raggiungendo il quorum dei cento iscritti, come elettronica ad esempio, e così sono stati accorpati. Si darà maggior spazio alla tecnologia dell’informazione insieme all’elettronica: forse non sarà studiato il caso Mediaset con meno spettatori e sempre più pubblicità. Si istituisce una laurea in yacht design a La Spezia, di cui ne esiste soltanto un altro esempio a Southampton, forse perché sono aumentati i ricchi vogliosi di mega-imbarcazioni, pur essendo in crisi il mondo, cantieri compresi.
    Già funzionano corsi in inglese a Savona per l’energia, e a Genova per la robotica.
    Insomma una proposta culturale nuova per internazionalizzare l’offerta e attrarre studenti dall’estero perché è proprio all’estero che i nostri laureati piacciono e anche le nostre lauree.
    Auguri ragazzi, intanto facciamo il tifo per Mohamed Z., cittadino marocchino, che si laureava in questi giorni nella triennale di Ingegneria Meccanica. Non era partito bene cinque anni fa e al primo corso aveva copiato un compito di disegno, mettendo nei guai un altro studente: compagni e professore però avevano capito e lui, che masticava un franco-italiano stentato, è arrivato al traguardo. Chissà se continuerà gli studi, se rimarrà in Italia, magari tornerà al suo paese e cercherà di essere parte attiva di quel mondo, che ha tanto bisogno di tutto. Ma c’è un futuro là per chi ha fatto tanti sacrifici per studiare?
    Ci consolerebbe sapere che dall’Occidente potessero arrivare nel Nord Africa in tumulto, giovani preparati per aiutare il proprio paese, nuovi cittadini che sappiano far progredire queste giovani società.
    La colpa più grande dell’Europa è quella di non aver aiutato le sue ex colonie a formare nuove classi dirigenti, a rafforzare il tessuto sociale, la cultura del diritto e delle tecnologie: comodo il rais di turno.
    Faticosamente istruzione e cultura si sono fatti strada e con la Rete si è fatta la rivoluzione.
    Troppe le diseguaglianze, la povertà e l’anelito di democrazia.
    Certo viene alla mente il ricordo di un altro Mohamed, disoccupato, ambulante occasionale per sopravvivere, datosi fuoco in Algeria perché la polizia aveva distrutto il suo carretto di merci. Mohamed Bouaziz era laureato in economia.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 295: PAROLE DEGLI OCCHI – H2O

    Foto: Paola Pierantoni

    22 marzo, giornata mondiale dell’acqua: i sostenitori del referendum contro la privatizzazione dell’acqua disegnano nella città un lungo acquedotto di palloncini azzurri per ricordare a tutti che gli interessi in gioco sono enormi, e che il 12 giugno bisogna assolutamente raggiungere il quorum.
  • OLI 295: LETTERE: Sì al “no” (ma se olofrastico)

    Sperando di contribuire al miglioramento della qualità di “Oli” segnalo che, nel bell’articolo della prof. Marta Sereni,
    a un certo punto si legge «Cattolici e non:…» Bene, l’italiano è errato. In italiano corretto si dice «Cattolici e no». Per saperne di più si veda qui
    Ho ritenuto di segnalare la cosa che riguarda una delle mie due battaglie (già perse, purtroppo) sul mantenimento del “no olofrastico” e sull’intransitività del verbo “inerire” (si dice “inerente a” e non “inerente il”).
    Cordialmente,
    Franco Bampi

    °°°
    Rispondo volentieri al professor Bampi, che, nelle sue vesti di esponente del Mil, conosco bene per essere stato spesso illuminato – direttamente o indirettamente – dai Lanternini satirici di Enzo Costa (e talora dalle mie vignette che li illustrano sul web).
    In questa occasione, tuttavia, mi schiero a spada tratta al fianco del professore impegnato nella battaglia per il mantenimento del “no” olofrastico. Non tutto è perduto, non si avvilisca! In nostro soccorso scende in campo anche un cavaliere (no, non quel Cavaliere…) della lingua italiana di tutto rispetto: Luca Serianni, che ha scritto un interessante intervento, riguardante proprio l’uso dell’avverbio olofrastico, apparso su La Crusca per Voi (n. 11 ottobre 1995), articolo che può essere ritrovato seguendo questo LINK.
    Il nostro comune impegno di difensori della lingua italiana (ma non dimentichiamo che il professor Bampi è anche uno dei massimi esperti della lingua genovese) non ci faccia però perdere di vista il contenuto – a mio avviso condivisibile – della lettera della professoressa Marta Sereni che, con l’episodio riportato, rivela ancora una volta lo stato di sofferenza dell’istruzione pubblica.
    Un saluto cordiale
    Aglaja

  • OLI 295: LETTERE – Quando il sonno della ragione genera mostri: il caso De Mattei

    Da qualche giorno circola in rete questa lettera, con relativi link di approfondimento e per l’adesione alla raccolta firme. Anche la redazione di Oli l’ha ricevuta e – condividendola in pieno – la ripropone ai lettori con l’invito a diffonderla e a sottoscrivere la petizione.
    (Ricordiamo che l’indirizzo email che sarà usato per firmare la petizione potrebbe essere usato a scopi commerciali dal sito in questione).

    DIMISSIONI DEL VICEPRESIDENTE DEL CNR ROBERTO DE MATTEI
    S’è formato in questi giorni un gruppo aderente a Cronache Laiche che ha lanciato in facebook una petizione per chiedere le dimissioni di De Mattei (vicepresidente Cnr) alla luce delle sue dichiarazioni rese a Radio Maria sul terremoto in Giappone come “segno della punizione di Dio” e purificazione delle anime.
    Leggete l’intera intervista nel sito. I cattolici considerino che mai il Papa si esprimerebbe così.
    Il Cnr è un importante istituzione scientifica italiana, non ecclesiale.
    E la pietà un tratto umano universale.
    Abbiamo in pochi giorni raggiunto circa mille firme e ora lo stiamo facendo girare fuori facebook attraverso le mail.
    Se vi convince, oltre a firmare, diffondetelo.
    (Elena Gagliasso) – Facoltà di Filosofia Università “La Sapienza” di Roma

  • OLI 295: LETTERE – Nucleare: ci ripensi

    Sono d’accordo per la pausa di riflessione, ma non su abbandonare il nucleare.
    1 – Se in Italia ci fosse un sisma come quello di Fukushima, l’Italia sarebbe distrutta “da Napoli ad Ancona” (Rai 1)
    2 – I reattori BWR sono obsoleti
    3 – Per quei reattori si doveva prevedere un modo automatico per versare acqua senza elettricità (per esempio, costruire i reattori vicino a una centrale idroelettrica, per disporre dell’acqua dell’invaso). Comunque incredibile che non fosse garantita l’energia di riserva
    4 – comunque si deve pensare NUCLEARE ANCHE e non Nucleare si – Nucleare no
    5 – intanto i francesi, che hanno energia a costo inferiore di 1/3, si stanno comprando pezzi di Italia: Parmalat, Generali, Carige, ATM, Bulgari … (dimenticavo: Galbani, Locatelli,  Cademartori, Invernizzi)
    Noi contribuenti paghiamo lo sconto sull’energia di Alcoa, per non lasciare la Sardegna
    Io gestivo 50 MW, dove crede che siano ora? in Francia! l’Azienda da 2300 dipendenti ora è a 800.
    Vive l’atome, vive la France!
    Ci pensi
    (Gian Franco Migone de Amicis)