Categoria: Oli 289
-
OLI 289: VERSANTE LIGURE – SE NON ORA, QUANDO?
Vieppiù si vilipendecon virulenza rarala dignità sua offendenell’autoflop fa gara:da sé chi lo difende?Noi, in piazza, per Ferrara!Versi di ENZO COSTAVignetta di AGLAJA -
OLI 289: DAL MONDO – Le ragioni della rabbia di Manama
Foto di Eleana Marullo Manama, la capitale del piccolo regno del Bahrain, il giorno prima della rabbia è tranquilla e luminosa, il clima è mite e solo il vento, come è naturale per un’isola, interrompe l’uniformità del paesaggio animando le palme, lungo i viali, e le eliche del grande grattacielo Moda Mall.
Le strade a decine di corsie si snodano, con il loro carico di suv mastodontici in coda; non un pedone né un attraversamento in vista – ad andare a piedi, soltanto i turisti europei e le manovalanze straniere. D’altronde, lo spazio piano rende facile la circolazione, il prezzo della benzina è irrisorio e camminare a piedi nei mesi caldi è una tortura insopportabile.
Foto di Eleana Marullo In mezzo ai cantieri stradali, a metà delle enormi carreggiate, operai lavorano sotto il sole (che a febbraio è mite ma da maggio in poi arroventa l’aria e l’asfalto); a proteggerli dal calore e dal vento, solo il ghutra – copricapo tradizionale dei paesi del Golfo – avvolto intorno al collo e alla bocca, anche per proteggersi da polvere e sabbia. La maggior parte di loro proviene dal subcontinente indiano: nessun locale svolge lavori di fatica. Le condizioni di sicurezza non esistono: le auto sfrecciano vicinissime, accanto ad esigui paletti, e le cronache dei giornali riportano quotidianamente notizie di investimenti.
In un altro mondo, che non si intreccia per nulla con l’universo invisibile e sfruttato della manovalanza straniera, vive la popolazione bahreinita, quella che ha dato vita alle proteste contro la monarchia che il 14 febbraio hanno infiammato la capitale ed i villaggi, causando due vittime. Se la condizione economica dei locali non è drammatica come nel Maghreb, i motivi dello scontento sono altri: la famiglia reale, sunnita, governa un paese a maggioranza sciita che lamenta, da lungo tempo, di essere vittima di discriminazioni. Inoltre, se il parlamento è eletto, l’esecutivo del governo è nominato dalla famiglia reale: il primo ministro è in carica da una trentina d’anni ed è il bersaglio privilegiato del malcontento popolare.
Il governo pochi giorni prima dell’annunciata manifestazione aveva promesso un’elargizione di mille BD (circa duemila euro) per ogni famiglia bahrainita, cercando di conquistare consenso e di porre un argine alle proteste. Evidentemente la mossa non è stata sufficiente e gli scontri che – al momento in cui si scrive – sono ancora in atto, stanno innervosendo la vicina Arabia Saudita, principale esportatore di petrolio nel mondo. Il paese è unito al Bahrain da un ponte di una ventina di chilometri, il King Fahd Causeway, tanto che parecchi lavoratori (tra cui una cospicua comunità di italiani) fanno i pendolari attraversando il confine. Per questa vicinanza l’Arabia Saudita teme ed ha deciso l’invio di truppe militari nel paese vicino. La calma apparente dei floridi paesi del Golfo Persico è forse più fragile di quanto previsto.
(Eleana Marullo) -
OLI 289: DAL MONDO – I flussi migratori ai tempi della caduta dei tiranni
“Lampedusa al collasso”, “Sbarchi, scontro Ue-Italia. Maroni: arriveranno in 80 mila” sono i titoli di prima pagina de La Stampa e Repubblica di oggi. Gli sbarchi di oggi sono chiaramente legati alla caduta del regime di Ben Ali ed alla nuova situazione in Tunisia. Ma provando a ragionare con uno sguardo al domani posso dire con certezza che la caduta dei regimi dittatoriali in Tunisia ed in Egitto porterà presto a diminuire i flussi migratori verso l’Italia e l’Europa dei cittadini di questi due paesi.
I giovani che si sono ribellati e hanno fatto cadere Mubarak e Ben Ali parlano di una situazione di brutale repressione, annullamento della libertà e forte umiliazione della dignità delle persone. Parlano di un sistema economico dove è dilagante la corruzione e dove le risorse del paese sono rubate dalle famiglie dei dittatori e dagli esponenti dei due regimi. Un sistema che rendeva sempre più povera la grande maggioranza dei cittadini. Due fattori che spingevano fortemente i giovani tunisini ed egiziani ad emigrare e fuggire dalla repressione e dalla povertà. D’altra parte, dopo la caduta di Mubarak, ho seguito su Al Jazeera i festeggiamenti che le comunità egiziane immigrate hanno svolto in tutto il mondo ed ho sentito molte persone piene di speranza che pensano ed invitano al ritorno nel loro paese d’origine ora che c’è la libertà e la necessità di ricostruire il paese.
Per una politica seria dei flussi migratori è meglio, per l’Italia e l’Europa, appoggiare i processi di cambiamento in questi paesi aiutando l’instaurazione della democrazia e la diffusione delle libertà, condizioni necessarie per lo sviluppo economico. Appoggiare le dittature, oltre ad essere eticamente inaccettabile per chi si proclama paese democratico e civile, porta ad aumentare i flussi migratori verso l’Europa.
I democratici negli Stati Uniti ed il loro presidente Obama hanno cambiato radicalmente la politica del loro paese: contro la guerra (di Bush in Iraq), un nuovo atteggiamento rispettoso dell’Islam e dei musulmani e la fine dell’appoggio ai dittatori. Questa nuova politica è stata fortemente confermata dalle posizioni dell’amministrazione Usa durante le crisi tunisina ed egiziana e dal grande discorso di Obama, dopo la caduta di Mubarak, nel quale ha elogiato la grande rivoluzione non violenta degli egiziani da lui indicata come esempio per i popoli che lottano per la libertà e la democrazia. L’Europa, da sempre molto sensibile a quanto proviene dagli Stati Uniti, purtroppo questa volta sembra recepire molto lentamente le novità democratiche e pacifiche di Obama. L’Italia, costretta ad occuparsi sempre più delle cose che riguardano una sola persona, fatica a capire quanto succede a Lampedusa e litiga con il nuovo governo tunisino e persino con l’Unione Europea, figuriamoci che fatica a capire quanto sta accadendo nel mondo.
(Saleh Zaghloul) -
OLI 289 – STEFANO CUCCHI – Se la destinazione fosse stata Bollate

Foto di Alisia Poggio Se nel 2009 Stefano Cucchi fosse stato arrestato a Milano e la sua destinazione fosse stata Bollate, chissà, magari le porte del carcere non si sarebbero mai aperte per lui. Oppure, anche se per errore ciò fosse avvenuto, un pigiama pulito l’avrebbe subito raggiunto a placare l’apprensione della famiglia, rassicurata che fosse vivo e protetto dalle istituzioni da una possibile ricaduta nella tossicodipendenza e a ribadirgli che non era solo. Dopo poco sarebbe uscito nuovamente alla luce del sole, non l’avrebbe vista flebilmente filtrare da un lenzuolo, come i bambini quando si nascondono sotto coperta trattenendo il respiro, e affievolirsi pian piano sotto il peso del suo corpo martoriato.
Non sussistevano motivazioni per trattenerlo a Regina Coeli, non era senza fissa dimora, peraltro debole motivazione, la sua casa era stata perquisita poco prima dell’arresto, i genitori e la sorella erano comunque altri punti di riferimento disponibili, ma non interpellati. Non era albanese, come era stato registrato all’arresto. E anche se lo fosse stato? Altra debole motivazione. Anche se in carcere ormai si è ospitati perché senza casa, immigrati senza documenti, tossicodipendenti e così via, con scarsità di rappresentanti legali.
Invece venerdì 4 febbraio 2011 a Genova, abbiamo assistito ad ad un’altra storia, ciò che avvenne, dalle parole della sorella Ilaria Cucchi, testimone infinita, quanto il dolore che prova nel non aver compreso i richiami d’aiuto del fratello, nel sentire, non veritiero, di averlo abbandonato al suo destino.
Foto di Alisia Poggio In realtà la scelta di celare ciò che stava accadendo dietro una tenda di omertà era stata presa da altri, gratuitamente. Le orecchie tappate alla voce sempre più debole per rispondere ad un interrogatorio, lo sguardo voltato perché nulla stava accadendo, se non una scarica di violenza ingiustificata, l’assistenza medica negata perché non ce n’era motivo essendo lievi le lesioni per cui Stefano Cucchi giunse all’Ospedale Pertini, la testimonianza tardiva di un volontario, involontariamente sbalordito testimone che non riesce a comunicare l’accaduto prontamente. Tutto questo perché non basta a fermare Ilaria, che chiede qualcosa di più profondo del “che giustizia sia fatta”, ma il riconoscimento della verità, il recupero di una dignità sottratta, perché lei e la sua famiglia credono ancora nelle possibilità delle istituzioni di rappresentare e difendere. Prova ne sono i mille foglietti colorati con i quali Sandra Bettio, della Conferenza Regionale Volontariato e Giustizia, ha costellato la sua copia del libro di Ilaria dove veniva ribadita la fiducia nelle istituzioni. La famiglia Cucchi, come Heidi Giuliani, lì presente in sala, come la madre di Federico Aldovrandi vogliono essere attivi nella possibilità di avere istituzioni diverse che tutelino i cittadini e togliere il velo dagli occhi di chi ancora crede che la giustizia faccia il suo corso. Sarebbe meglio dire decorso, pensando ai quotidiani suicidi nelle carceri italiane, ormai un contatore senza nomi.
(Maria Alisia Poggio)
-
OLI 289: ARTE – Disegnare l’acqua per i bambini
Hai visto? Ha disegnato sull’acqua!
E’ la voce di una bambina – quattro anni – che condensa lo spettacolo di Gek Tessaro a Palazzo Ducale sabato 5 febbraio.
No, non è certo una folla oceanica quella che assiste alla magia. Ma un pubblico sofisticato di adulti e bambini – il piccolo accanto a me ha appena 6 mesi – che in silenzio si fanno portare in un mondo incantato.
Lui di certo è uno che la magia la pratica, e gli basta poco: un telo bianco, l’acqua, i colori, un proiettore e il buio, nel quale tuffarsi insieme ai suoi spettatori.E tutto parte dalla storia che Tessaro racconta accompagnato dal gruppo musicale Extrapola che ritma con suoni africani gli istanti della narrazione. Gek mescola i colori, li stende nell’acqua e dà loro forma. E uccelli e alberi si trasformano in villaggi, cacciatori in nuvole e vento che scivolano sotto lo sguardo e mutano intensità e sfumature. E’ un mondo di grazia, suono, e colori mostrati sul grande telo.
Gek Tessaro proietta le sue immagini mentre le dipinge e le racconta, come un cartone animato fatto all’istante, ma senza tv o case di produzione. Quindi la maga cattiva della sua storia “L’albero della strega” prende corpo in un istante sotto il pennello, gli occhi spietati, per poi sparire rabbiosa soffocata dalla pennellata successiva che la riduce in nuvola e pioggia.
In una vaschetta d’acqua galleggiano e mutano colori e cose. E lo stupore dei bambini seduti in terra è identico a quello degli adulti.
Peccato per chi non c’era.
L’invito a chi ha figli, alunni, nipoti o solo fantasia è di tener d’occhio questo artista.
http://www.gektessaro.it/
(Giovanna Profumo) -
OLI 289: POLITICA – Schopenhauer, Gelmini e le radical chic
Il prestigioso premio Arthur Schopenhauer, per chi esemplifica con
maggiore efficacia l’idea di un mondo edificabile a propria
“volontà e rappresentazione”
è stato assegnato al ministro On. Mariastella Gelmini per la definizione di
“solo poche radical chic”
con cui ha piegato alla propria visione della realtà i 230 cortei organizzati
dalle donne italiane nel giorno del 13 febbraio u.s.(Luigi Lunari – Movimento per la Rivoluzione nell’Ambito del Potere Vigente)
Radical chic genovesi che si nascondono astutamente sotto gli ombrelli – Foto di Vinicio Vassallo -
OLI 289: CITTA’ – Bucato story
Il pezzo “La rivoluzione del bucato” di Monica Profumo, pubblicato lo scorso 8 febbraio su Oli, ha ricevuto il seguente commento: “Magari se avesse almeno tentato di chiamarmi la signora Monica Profumo avrebbe scoperto che questa notizia è una gran bufala ma già… basta scrivere… Francesco Scidone”.
Lo stile del messaggio ci fa dubitare della autenticità della firma.
Autentico o apocrifo che sia il commento merita comunque l’osservazione che nemmeno la stampa cittadina – da cui anche noi prendiamo le notizie – aveva evidentemente scoperto che si trattava di una “gran bufala”. Ripercorriamo le notizie:
“Il comune, come il cavaliere, vieta i panni stesi … In tutta la città sarà vietato stendere la biancheria da finestre e balconi … Prima, esisteva un lungo elenco di vicoli dove stendere è lecito. Nel nuovo regolamento, stendere la biancheria è (in via generale) vietato ovunque se i panni sono visibili” (Il Secolo XIX, 3 febbraio)
“Delirante, dovrà cambiare. Così Marcello Danovaro, capogruppo del Pd, interviene sulla norma del regolamento dei vigili che vieta di stendere i panni” (Il Secolo XIX, 4 febbraio)
“Danovaro (Pd): vietare di stendere i panni all’aperto? Idea fuori dal mondo. … Pensare di recuperare il decoro urbano con un provvedimento come questo significa avere una idea davvero distorta di cosa è il decoro”; “Considerando che Danovaro è il capogruppo del partito più grosso della maggioranza di Palazzo Tursi è prevedibile che il regolamento che sarà approvato dal consiglio comunale sarà alla fine molto diverso da quello approvato dalla giunta” (Il Corriere Mercantile, 4 febbraio)
“Nel nuovo regolamento, come raccontato nei giorni scorsi dal Secolo XIX, figura anche la norma in base alla quale sarà vietato stendere la biancheria o panni di ogni genere fuori dalle finestre se gli oggetti saranno visibili dal suolo pubblico, fatta eccezione per le località elencate. Ma quella norma, annuncia Scidone, sarà quasi certamente rovesciata: Il nuovo regolamento permetterà di stendere ovunque la biancheria … fatta eccezione per un elelnco di vie del centro, le piazze principali, le strade con chiese o palazzi di prestigio”. (Il Secolo XIX , 11 febbraio)
Dunque, le notizie di stampa raccontano la seguente storia: la giunta vara un testo del regolamento di pulizia urbana che contiene una estensiva probizione di stendere i panni; a seguito di ciò vengono sollevate obiezioni, tra cui quella rilevante del capogruppo del Pd in Comune; qui si inserisce l’articolo di Oli 288; alcuni giorni dopo l’assessore Scidone dichiara alla stampa che questa norma sarà “rovesciata”.
(Paola Pierantoni) -
OLI 289: PAROLE DEGLI OCCHI – Genova faziosa e radical chic
GBa GBa GBe “Una mobilitazione faziosa, una vergogna!”
L’ira di Berlusconi per la manifestazione delle donne (e uomini) di domenica 13 febbraio si aggiunge al grottesco commento di Mariastella Gelmini che ha farneticato di “solo poche radical chic che manifestano per fini politici e per strumentalizzare le donne”.
Per controbattere, stavolta bastano davvero soltanto le parole degli occhi: non occorre aggiungere altro alla potenza di immagini che parlano da sole.
Foto di Giorgio Badi (GBa) e Giorgio Bergami (GBe) -
OLI 289: LETTERE – Donne in piazza
13 febbraio, Piazza De Ferrari, Genova, un boato accoglie la dichiarazione dal palco – Siamo in trentamila – Allegria ed entusiasmo elettrizzanti pervadono la folla di donne, neanche tante le giovani, qualche ragazzo e alcuni capelli grigi, ma pure mamme con carrozzine, striscioni e foglietti sventolanti una D: Dimissioni o Donna? Interpretazione a scelta.
A condurre la kermesse è l’animatrice del suq, che si esibisce in pezzi letterari e invita a parlare persone “non note”, precisando che si deve dare spazio a chi normalmente non l’ha.
Nel “recinto” accanto al palco intanto arrivano assessori, deputati… Personaggi pubblici insomma, soltanto tre donne con incarichi politici fermamente ne restano fuori.
Si recita l’elenco delle donne per cui “se non ora quando”, da Rita Levi di Montalcini, a Sibilla Aleramo, Grazia Deledda, Nilde Iotti, Eleonora Duse, Serena Dandini… Sguardi un po’ interdetti. Serena Dandini? E le ricercatrici della Sapienza sul tetto, le operaie della Omsa, le badanti clandestine, le laureate medico che fanno le segretarie dal notaio e le donne, cui lo Stato ha delegato il welfare familiare, le lavoratrici tutte e le ragazze che non trovano lavoro?
Sale sul palco, dopo aver scalpitato nel recinto, l’ideatrice ( insieme ad un uomo) di una manifestazione che si svolge tutti gli anni con grande successo. Donna in gamba, di solida carriera, da segretaria personale a direttrice di eventi, che arringa la folla con parole “di pancia”, chiedendo all’Innominato di dimettersi, che non si possono trattate così le donne, che lei non va più all’estero perchè si vergogna. Una che prima di approcciarsi al microfono sibilava di essere incavolata, di non poter tollerare che facciano strada giovani bellone senza cervello. Dubbio: per cosa era indiavolata, per B, per le giovani o le bellone che passano avanti?
Si sa le elezioni in città sono vicine e il Sindaco è donna, fuori dal coro per di più e si susseguono interventi sinceri, ma anche tanti discorsi politici di sponda.
Il pensiero corre ad altre piazze bipartisan, pure se la politica doveva rimanere ai margini.
Su questo palco la questione femminile sembra interpretata con una tensione di risulta e non di scatto in avanti, una guerra di trincea, come se il tema riguardasse una parte di donne e non tutte, soprattutto il futuro delle nuove generazioni. Quelle che oggi e domani soffriranno per gli stereotipi vigenti, in un Paese diviso tra ipocrisia di un certo pseudo cattolicesimo ed etica comune a tutti i cittadini: una mercificazione dei corpi sì, ma pure deficit e sfruttamento del lavoro femminile senza servizi sociali di supporto, una delle principali cause per cui società e Paese restano al palo.
Approda anche l’ex sindaco ed ex sindacalista, il mancato segretario di partito, candidatosi alle Europee al posto della governatrice del Piemonte, la quale a sua volta si è riproposta alle Regionali. Perciò il sindaco di Torino non si è presentato e il Piemonte è svaporato alla Lega, colpa di donna cocciuta (e non sostenuta, oltre ai voti grillini). E la filastrocca continua, chapeau, l’uomo è di un certo valore, migliore di tanti. Ma non aveva abbandonato tutto per fare il papà?
Non soltanto la pioggia comincia a dare fastidio e la gente si affolla al bus.
(Bianca Vergati) -
OLI 289: LETTERE – L’operazione Ist vista dall’interno
Sono una ricercatrice, e delegata aziendale Cgil, dell’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro di Genova. Insieme ai lavoratori dell’IST sto portando avanti una battaglia contro l’accorpamento con l’Azienda Ospedaliera San Martino. L’IST è un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) oncologico in cui lavorano 650 dipendenti in ruolo, di cui 107 impegnati al 100% in ricerca, e 150 precari a vario titolo (circa 70 sono ricercatori precari). Gli IRCCS sono centri di eccellenza il cui compito è quello di coniugare assistenza e ricerca per portare innovazione al Sistema Sanitario. Fondamentale, è la loro indipendenza ed autonomia. Dal 4 agosto (giorno della delibera del Consiglio regionale n. 19 sul riordino della rete ospedaliera) ad oggi (a pochi giorni dal voto in Consiglio sul ddl n. 75 che applica la delibera nella parte che riguarda l’IST) i lavoratori dell’IST hanno più volte espresso la loro contrarietà al provvedimento e chiesto confronti con l’Assessore. L’hanno fatto, sempre motivando le loro critiche e facendo proposte alternative, attraverso comunicati, articoli di giornale ed interviste, perché mai l’Assessorato o la presidenza della Regione hanno aperto al dialogo. La domanda, più volte espressa e sempre rimasta senza risposta è: dov’è il piano di fattibilità economico/finanziario e organizzativo? La stessa domanda l’hanno posta i lavoratori dell’Ospedale di Santa Corona e di Villa Scassi, e la stanno ponendo ora i lavoratori dell’Ospedale di Voltri e quelli di Recco.
Il fatto è che sull’IST è stata presa un decisione in maniera assolutamente pregiudiziale e su questa decisione l’Assessore è andato avanti come un treno senza ascoltare chi ci lavora e conosce bene l’Istituto. Stiamo parlando di una realtà, piccola, che aveva iniziato un percorso di ripresa, almeno nella sua componente assistenziale, dopo 10 anni di commissariamento che l’avevano portata vicino alla chiusura, al primo posto tra le strutture sanitarie liguri per appropriatezza delle prestazioni sanitarie (dati della Agenzia Regionale Sanitaria, ARS), nel 2008 al 14esimo posto per produttività scientifica tra i 42 IRCCS italiani, 25 dei quali privati. Ora, la fusione con un’Azienda Ospedaliera che ha, necessariamente, poca vocazione per la ricerca, rischia di dissolvere questa realtà nelle mille difficoltà di una riorganizzazione non pianificata, che sarà gestita dall’ARS insieme al Rettore dell’Università di Genova. Tutto questo non è giustificato in termini economici, dal momento che in delibera si parla di un risparmio in tre anni di 1.230.000 € ma poi si decide di chiudere l’high care appena quattro anni dopo l’inaugurazione. E nemmeno in termini di razionalizzazione perché l’IST poteva essere potenziato, come hanno fatto Regioni più accorte della nostra, aggregandovi le strutture oncologiche del San Martino e ponendolo al centro della rete oncologica ligure come proposto diversi anni fa.
Come ricercatrice mi chiedo che fine farà la mia attività, già resa difficile da un governo che non investe in ricerca, all’interno di un Ospedale grande, con una struttura vecchia che ha già i suoi problemi organizzativi come si percepisce da vari episodi comparsi sui giornali. Probabilmente la ricerca sarà messa in un angolo, dove si trova ormai da almeno 10 anni, dimenticata in attesa di risolvere i mille problemi di un’assistenza che dovrà fare i conti con tagli di finanziamenti, mancanza di personale e gestione dei dipartimenti di emergenza. Gli IRCCS dovevano essere punti di eccellenza che producevano innovazione da trasferire al sistema sanitario, ma che innovazione si potrà fare se, come dichiarato dall’Assessore Montaldo, il personale dell’IST servirà a coprire le carenze di personale del San Martino?
Come ultima riflessione rilevo che questo ddl passerà, seppure con qualche critica da parte di alcuni esponenti della maggioranza, grazie ad un accordo della nostra giunta di centro-sinistra con un governo di centro-destra che ha ampiamente dimostrato in questi anni propensione verso le privatizzazioni, scarso interesse per la ricerca pubblica e disinteresse verso i servizi ai cittadini. Del resto il Ministro Fazio ha mostrato chiaramente da che parte sta il suo interesse: nelle tre visite fatte a Genova in questi ultimi mesi mai una volta è venuto all’IST, è sempre e solo andato all’Ospedale Galliera.
(Simonetta Astigiano)


