Categoria: OLI 285

  • OLI 285: TUNISIA – La rabbia ha radici lontane

    Foto di Monica Profumo

    La crisi tunisina non ha catalizzato l’attenzione mediatica, se non come un fatto di politica estera in un paese lontano. In realtà la Tunisia è a 20 minuti di volo dalla Sicilia ed i rapporti economici con l’Italia sono fitti. Un riepilogo dei fatti: la rivolta si è propagata attraverso i social network e con il tam tam dei cellulari, la rabbia del popolo tunisino è scoppiata dopo la morte di Mohamed Buaziz, il giovane laureato che vendeva la frutta e si è dato fuoco dopo che la polizia gli aveva sequestrato la merce e lo aveva umiliato schiaffeggiandolo. Gli scontri più sanguinosi sono scoppiati intorno alla zona di Kasserine; gli incidenti sono segnalati e localizzati direttamente dai cittadini tunisini a questo indirizzo http://tunisie.crowdmap.com/.
    Il giovane Buaziz è la prima vittima della crisi; alla fine, il bilancio ammonta a 78 morti e 94 feriti. Il presidente Ben Ali sopraffatto dagli eventi infine è fuggito in Arabia Saudita ed il governo è passato, provvisoriamente, al premier Ghannouchi.
    La situazione in Tunisia è critica ormai da qualche anno. Un quadro dei problemi che hanno attanagliato recentemente il paese viene offerto da Gabriele del Grande ne Il mare di mezzo al tempo dei respingimenti (Infinito Edizioni, 2009), che racconta la grave situazione di uno stato sottoposto all’arbitrio del regime ed agli abusi della polizia

    Foto di Monica Profumo

    Nel 2008 la regione di Gafsa, quasi al confine con l’Algeria, fu scossa da una violenta insurrezione, che ebbe scarsa rilevanza nella stampa internazionale. A Gafsa si trova uno dei più grandi giacimenti di fosfati al mondo, scoperto durante l’occupazione coloniale francese. L’economia della regione fu stravolta dall’apertura delle miniere: arrivò manodopera da tutto il Grande Maghreb e perfino dall’Italia. La concentrazione di lavoratori diede origine alla nascita del sindacato tunisino.
    Le miniere, nazionalizzate dopo il 1957, andavano a gonfie vele al tempo dell’insurrezione del 2008 e la Tunisia era il quinto paese produttore al mondo. Ma, racconta Del Grande, le cose non andavano altrettanto bene per i lavoratori: il giacimento era in preda ad una crisi ventennale, la modernizzazione aveva aumentato la produzione dimezzando il personale, il tasso di disoccupazione cresceva senza sosta, mentre qualunque altra riconversione dell’area era ormai impossibile: l’inquinamento aveva avvelenato le falde acquifere e reso impraticabile agricoltura ed allevamento.
    Anche la rivolta del 2008, come quella attuale, scoppiò tra i giovani del paese ed ebbe come scintilla l’accesso al lavoro: la Compagnia dei Fosfati (Cpg) indisse un concorso pubblico per l’assegnazione di 80 posti. Quando vennero resi pubblici i risultati, fu chiaro che il concorso era truccato e che erano stati selezionati soltanto parenti e raccomandati. I giovani disoccupati occuparono tutta la città di Redeyef, raccogliendo la solidarietà della popolazione. Le autorità locali diedero inizio ad un negoziato che, dopo un esordio promettente, si interruppe, mentre i disoccupati furono sgomberati. A Tunisi nacque il Comitato nazionale di solidarietà al popolo delle miniere. Il fermento e la partecipazione intorno alla rivolta allarmarono il regime e furono quindi sedati dall’intervento della polizia (7 aprile 2008). Ne seguì l’arresto di una trentina di uomini che erano coinvolti nel movimento. Agli arresti scoppiò uno sciopero generale, alla fine, grazie alla protesta popolare, i sindacalisti arrestati furono rilasciati.
    Il ricordo delle sommosse del 2008 deve aver giocato un ruolo importante nell’accelerare i tempi e amplificare la violenza della reazione di governo durante la crisi attuale. (Segue)

    (Eleana Marullo)

  • OLI 285: VERSANTE LIGURE – IL SOL DEL REGREDIRE

    Marchionne è esternatore
    tutt’altro che leggiadro?
    Borghezio, con furore,
    il Sud tratta da ladro?
    Deprimersi è un errore
    non così buio è il quadro:
    c’è il Sol (24 Ore)
    e in più quello di Adro.
    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA
  • OLI 285: BANCHE -A lezione di real politik

    Villa Cattaneo, un gioiello di residenza extraurbana genovese in una delle aree più commercializzate e industrializzate della città, zona Ikea e Ansaldo per intendersi. Qui ha sede Fondazione Ansaldo, che sabato 15 gennaio ha ospitato il banchiere Alessandro Profumo a conclusione del master “Progetto Mediterraneo: gli allievi intervistano A. P. su imprenditorialità e internazionalizzazione”. Le domande dei ragazzi sono precise, tecniche, si parla di venture capitale, imprese, globalizzazione e le risposte, spesso in inglese, altrettanto puntuali.
    Il banchiere non lascia spazio a illusioni: le banche non finanziano futuro incerto e ai giovani che vogliono fare impresa in realtà non rispondono. Aprire un’azienda, in Italia o all’estero, chiedere finanziamenti non sono compiti di una banca che, sottolinea il manager, “deve occuparsi del capitale di credito e non di rischio. Le banche fanno un mestiere noioso, prestare soldi e chiederli indietro”. Con la certezza del ritorno, sembra sottintendere, ma non lo dice, lo si mormora in platea. Così la ricerca deve essere finanziata dalle imprese; al più qualche spin off delle Università, una scelta che a suo tempo Profumo fece personalmente con riserva anche per Centri di ricerca “puri”.
    Aleggia la questione Fiat, su cui i tanti giornalisti cercano di condurlo, ma Profumo preferisce glissare con una battuta: “Il primo dovere delle imprese è stare in piedi e – continua, bistrattando la giornalista del Corriere della Sera che gli aveva posto la domanda – non si parli di responsabilità sociale, d’impegno a restare nel proprio Paese o verso i dipendenti, soltanto di sostenibilità che è poi fare bene il proprio mestiere”.
    Per i giovani studenti del Maghreb, che anelano magari ad avere un’opinione su quanto sta succedendo nei loro Paesi, un laconico giudizio: si tratta di una richiesta di maggior democrazia e libertà di parola.
    Realpolitik degli imbecilli” titolava Liberation sabato 15 gennaio, riferendosi ai precedenti pubblici apprezzamenti di Sarkozy nei confronti di Ben Alì, senza dare mai sostegno agli oppositori del regime del generale, aiutato a salire al potere anche dagli Italiani. Con un occhio agli affari, come tutta l’Europa, che da anni ha accolto migliaia di lavoratori magrebini per rispedirli poi nei loro Paesi, investendo troppo poco nei Paesi del Sud del Mediterraneo, senza accrescere la collaborazione e lo sviluppo per migliorare l’economia dell’intera area.
    Anche là però le nuove generazioni hanno studiato, navigano su Internet e guardano le televisioni straniere: non è soltanto una rivolta del carovita ma una rivolta generazionale, che ha visto da subito in prima linea tra i dimostranti studenti e insieme professori, i primi uccisi dalle forze dell’ordine. Anzi, il primo giovane morto è stato un ragazzo laureato e disoccupato, cui la polizia aveva sgombrato il banco di frutta, il suo lavoro per sopravvivere. Poi è tutto degenerato.
    Così Ali, Amina, Eba e tutti gli studenti arrivati da Egitto, Marocco, Tunisia e sbarcati ad Arpe, scuola per giovani capitani d’impresa, guidata dall’ex manager dell’Iri Giovanni Gambardella, possono mettersi il cuore in pace, poiché il grande banchiere sostiene che nella vita si deve fare ciò che piace, conta la passione: se si è coinvolti emozionalmente si farà meglio e si avrà il massimo. Belle parole. Ma c’è fame di pane, di lavoro e di libertà.
    Ai giovani però, dall’Europa all’Africa, l’unico ambito sembra essere rimasta la piazza. Certo esistono le piazze virtuali, i canali di espressione del Web 2.0, il pulsare dei social network ma è un discorso interno, non basta ad urlare il disagio. Il fatto è che si è creduto di poter prolungare ad libitum le classi dirigenti, siano esse state elette democraticamente o no.
    In piazze diverse vanno “gli ultimi”, i giovani, coloro che potrebbero rinnovare dall’interno i loro Paesi e ne sono invece estromessi. Da Atene a Tunisi i giovani disperatamente rabbiosi sanno che si gioca il proprio destino e quello dei loro Paesi di fronte al lento spegnimento di una classe di autocrati o tiranni, mummificati in quei Palazzi sempre più depredati e devastati dall’immobilità. Ma quando va bene ricevono soltanto belle parole, altrimenti botte e pallottole.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 285: CITTA’ – Aster, colloquio con Antonio Gambale

    Lunedì 17 gennaio, uffici Aster, civico 15 di Via XX Settembre, poco dopo la chiesa della Consolazione, quella di Santa Rita, la santa dei casi impossibili.
    Antonio Gambale, presidente e amministratore delegato di Aster da otto mesi, sfoglia un raccoglitore di articoli della stampa locale, mostra le foto e accenna alle inquadrature.
    In molti lo avevano avvisato. Anche dissuaso ad imbarcarsi in un impresa che lui, oggi, non vuole abbandonare “prima di aver fatto tutto quello che è utile alla buona manutenzione della nostra città”.
    Ci crede. E appare totalmente lontano dalle dinamiche che hanno abitato Aster negli anni passati. Lontano al punto di non pronunciarsi sul passato e di stare con la barra fissa al presente. L’oggi gli mostra un conto amarissimo del quale lui è tenuto a rispondere. Ha detto a coloro che lavorano con lui di aver fiducia in se stessi, perché in gioco c’è l’identità delle persone. Certo è che l’inchiesta del Secolo XIX racconta ai propri lettori di un’azienda assai mal gestita i cui risultati sono a dir poco modesti. Gambale, inizialmente l’aveva accolta come uno strumento prezioso, da stimolo per obbiettivi da raggiungere. Oggi, pacatamente si chiede le ragioni di una virulenza che reputa eccessiva.
    Di cosa stiamo parlando?
    “Le nostre tariffe – dichiara – sono quelle ufficiali della Camera di Commercio e al Comune vengono scontate del 15%, la produzione è stata raddoppiata, ci occupiamo di manutenzione stradale, manutenzione del verde, manutenzione impianti elettrici e permessi… E’ evidente che se ci fossero più risorse si potrebbe fare di più. I lavoratori che hanno accettato di stare in Aster hanno accolto una sfida, ci hanno creduto.” E lui li difende. In azienda ci sono competenze preziose, c’è una memoria storica e tecnica, ma è un’azienda con due cervelli doverosamente in ascolto di aree, direzioni, assessorati, municipi ai quali si aggiungono gruppi locali e ambientali.
    Gambale mostra le inquadrature di alcuni scatti pubblicati sul Secolo XIX, tutte fotografie con l’inquadratura dal basso verso l’alto, così da ingigantire dettagli minimali. E mostra le sue di fotografie con i lavori svolti da Aster ai quali si aggiungono quelli dei grandi utenti che intervengono su asfaltature nuove di zecca lasciando tapulli. Su alcune aree prima del ripristino finale bisogna attendere che il terreno si assesti, che non siano necessari ulteriori interventi. Si tratta di tempi tecnici. Lo sguardo va ad altre realtà, aziende finite. E ancora alle risorse che i comuni non hanno.
    Insiste sul lavoro, globalmente parlando, perché spiega Gambale “siamo sull’orlo del baratro”. E suggerisce un titolo La fine del lavoro di Jeremy Rifkin, ma quella è un’altra storia. Troppo sofisticata per rispondere ai buchi dell’asfalto.
    Otto mesi di nuova direzione di una realtà così complicata sono sufficienti per produrre un bilancio?
    Santa Rita è al civico accanto.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 285: IMMIGRAZIONE – Non si tratta di nuovi ingressi

    Alcune posizioni contrarie al decreto flussi espresse da parte di persone e associazioni amiche degli immigrati hanno suscitato perplessità. Nasconoci auguriamo dall’equivoco che si tratti di nuovi ingressi di lavoratori immigrati. In una crisi senza precedenti e in presenza di molti lavoratori italiani e immigrati disoccupati sembra illogico farne entrare altri.
    In verità non sono nuovi ingressi ma persone che sono già in Italia, costrette a lavorare in nero in quanto prive di permesso di soggiorno, per le quali il decreto flussi rappresenta praticamente l’unica speranza per uscire dalla “clandestinità”. Tutti sanno dell’assurda procedura secondo la quale i pochi fortunati che riusciranno ad ottenere il nulla osta faranno finta di non essere in Italia ma torneranno nei loro paesi d’origine, si presenteranno alle ambasciate italiane per chiedere i visti d’ingresso e rientreranno di nuovo in Italia per ottenere il permesso di soggiorno. Molti giornalisti ormai lo scrivono, ma sembra siano pochi quelli che leggono. Chi è d’accordo con i leghisti che non vogliono i decreti flussi è contrario alla regolarizzazione degli immigrati e li costringe a continuare a vivere nella clandestinità e a lavorare in nero.
    Le associazioni di volontariato, i sindacati, i democratici (persone e partiti) dovrebbero denunciare fortemente questa assurda procedura e chiedere al governo di rilasciare il permesso di soggiorno a coloro che ottengono il nulla osta e che sono già presenti in Italia, senza l’obbligo di un inutile e costoso viaggio di andata (al paese d’origine) e ritorno (in Italia). Un viaggio drammaticamente avventuroso perché alla frontiera esiste il rischio di essere espulsi proprio nel momento in cui si abbandona il territorio italiano, dopo anni di vita in “clandestinità”, di sacrifici, di speranza e di attesa dell’occasione di regolarizzarsi.
    Un altro ostacolo da superare è quello delle ambasciate: i lavoratori sperano che non siano informate della loro presenza in Italia durante il periodo di presentazione delle domande. Oltre al costo del viaggio c’è anche quello di un nuovo passaporto pulito da timbri di ingresso in Italia o nell’Europa di Schengen.
    Al limite si può sperare che succeda come dieci anni fa, quando Cgil Cisl Uil avevano chiesto ed ottenuto una circolare del ministero delle esteri (telegramma n. 4771 del 9 marzo 2000) nella quale si affermava quanto segue: “Pertanto, fin da ora, la presenza dello straniero sul territorio italiano – e più in generale sul territorio Schengen – durante l’iter autorizzativo, non costituirà più elemento ostativo al rilascio delle autorizzazioni o nulla osta previsti per il lavoro subordinato, né al rilascio dei relativi visti d’ingresso”.
    Era possibile, legale e di buon senso dieci anni fa. Oggi, con l’entrata in vigore della direttiva europea sui rimpatri che favorisce il rimpatrio volontario, lo sarebbe ancora di più. Così che il viaggio, comunque costoso e inutile, sia almeno sicuro e tranquillo. Certo che sarebbe più intelligente eliminare del tutto questo viaggio ipocrita ed ingiusto.
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 285: TRASPORTI – Aereoporto di Genova: la ciliegina e la torta

    Sui giornali genovesi del 12.1.2011 sono comparsi diversi articoli riguardanti la conferenza stampa del direttore dell’Aeroporto Cristoforo Colombo di Genova Paolo Sirigu, in cui si afferma che l’aeroporto genovese, al quinto posto in Italia per i jet privati, punta a conquistare il terzo posto entro i prossimi cinque anni: nell’occasione si sottolinea l’inizio di voli regolari degli executive jet della compagna MyJet verso destinazioni italiane ed europee (Trieste, Zurigo, Ginevra, Venezia, Marsiglia, Barcellona ed Olbia), prezzi da 850 a 1800 euro a/r.
    Si tratta di una notizia sicuramente positiva, anche in prospettiva, per l’economia ligure, l’offerta di voli rapidi, affidabili, chiaramente destinati al pubblico Vip di vario genere, verso scali difficili da raggiungere con voli di linea: l’utilizzatore abituale genovese, però, che viaggi per motivi di lavoro o di vacanza, si trova spesso obbligato a scali a Roma, in qualche hub europeo, o a pesanti trasferimenti in auto o treno verso aeroporti vicini (Milano, Pisa, Nizza) che offrono un’ampia scelta di voli low cost.
    Visto che, inoltre, utilizzare l’Aeroporto di Genova non dà propriamente la sensazione di trovarsi nell’ombelico del mondo, punge il desiderio di approfondire la questione, allargando la visuale.
    Andando a prelevare i dati di traffico aeroportuale (*) degli anni dal 2000 al 2009 compresi (il 2010 è limitato ai dati di novembre), la posizione dello scalo genovese nel settore dei jet privati è confermata.
    La situazione diventa però dolente quando si passa ai dati riguardanti il numero totale di passeggeri: l’aeroporto di Genova passa infatti dal 17° posto su 35 aeroporti nel 2000 (1.063.146 passeggeri su un totale di 92.441.619) al 21° posto su 37 nel 2009 (1.136.798 passeggeri su un totale di 130.687.350).
    Ciò significa che, mentre il traffico passeggeri in Italia aumentava del 41%, l’incremento dei passeggeri nel nostro scalo si è fermato ad un misero 7%; gli aeroporti che hanno sopravanzato Genova sono Roma Ciampino, Lamezia, Treviso ed Alghero. I dati 2010 (limitati a novembre) vedono addirittura precipitare Genova al 23° posto, superata da Brindisi e Trapani.
    I voli VIP andranno anche bene, ma la percentuale degli utilizzatori di jet privati rispetto al totale dei viaggiatori si aggira attorno allo 0,2% (2 ogni 1000), e anche solo in termini di ricadute economiche per il territorio, sembra ci si occupi della ciliegina anziché dell’intera torta.
    L’entusiasmo di Paolo Sirigu nell’illustrare il successo dei voli Vip filtra invece senza ostacoli nei titoli e nei testi degli articoli senza che ai redattori venga in mente di offrire ai lettori un quadro generale della situazione tutt’altro che brillante del nostro aereoporto, alla vigilia del delicato passaggio della vendita del 60% delle quote oggi di proprietà della Autorità portuale.
    Della torta si occupa invece Nicoletta Viziano presidente del gruppo “Giovani di Confindustria” che in una intervista (Corriere Mercantile del 18 gennaio) afferma la necessità “Di creare una rete per aumentare i collegamenti dal Cristoforo Colombo e sviluppare i traffici” e di stabilire “un tavolo” di confronto con le istituzioni, Regione in primo luogo.
    (*) La fonte di tutti i dati di traffico (numero di voli e passeggeri) è costituita dal sito di Assaeroporti, Associazione Italiana dei Gestori Aeroporti, che permette di visualizzare velocemente tutti i dati traffico negli aeroporti italiani dal 2000 fino ad oggi (http://www.assaeroporti.it/defy.asp ).
    (Ivo Ruello)

  • OLI 285: PAROLE DEGLI OCCHI – Daltonismo culturale

    A cura di Giorgio Bergami. Foto Stefano De Pietro.