Categoria: OLI 277
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OLI 277: VERSANTE LIGURE – FARE LA CORTE
Di un triste e plumbeo Ierisi addensano le nubi:diritti? No, favori!Persone? Solo plebi!Scintillano i valori -
OLI 277: POLITICA – Giovinezza, giovinezza…
S’è già detto e scritto abbastanza sull’infelicissima idea di proporre insieme, nella prossima edizione del Festival di Sanremo, il canto partigiano Bella ciao e l’inno fascista Giovinezza, avanzata dal direttore artistico Gianmarco Mazzi insieme al conduttore Gianni Morandi per la serata dedicata al 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, suscitando perplessità a destra e soprattutto ferma indignazione a sinistra, per questo ennesimo tentativo di equiparare Fascismo e Resistenza mescolandoli in un calderone buonista in cui tutto si confonde, si banalizza e perde quel senso che è bene rimanga vivo e presente.Il Consiglio d’amministrazione della Rai, a fronte della polemica, ha tagliato la testa al toro stigmatizzando tale scelta e revocandola (peraltro in modo assai pilatesco, senza distinguo tra i due brani).Se non si avrà modo di ascoltare Giovinezza a Sanremo – e non se ne sentirà certo la mancanza – val comunque la pena di dedicare un po’ di tempo a questa composizione nata come canto goliardico nel 1909, poi fatta propria dagli Alpini e quindi dagli Arditi nella Grande Guerra, per approdare infine al Ventennio di cui divenne il tema più popolare e rappresentativo, approvato ufficialmente come “Inno Trionfale del Partito Nazionale Fascista”.Per limitarsi a quanto offre la rete, una voce di Wikipedia ne traccia la storia, seguendone le vicende e i progressivi adattamenti del testo, in cui si rispecchia l’evoluzione sociale che condusse al regime fascista.Spostandosi su Youtube, è inquietante scoprire quanti siano i video confezionati per supportarne diverse esecuzioni, con montaggi di immagini fisse, filmati e anche varie versioni col solo testo, per impararne le parole grondanti retorica e poterle cantare tutti insieme in un bel karaoke del littorio.Particolarmente agghiacciante è una sequenza di spezzoni di cinegiornali Luce in cui le esercitazioni e le parate di balilla e avanguardisti, di piccole e giovani italiane hanno Giovinezza come colonna sonora, in una ben ordinata e fiera Italia inconsapevolmente proiettata verso la catastrofe. Ancor più raccapriccianti sono qua e là i commenti di coloro che rimpiangono quell’Italia e la vorrebbero ancora.
Se Arturo Toscanini si rifiutava di dirigerla, sostenendo che le sue orchestre non si abbassavano a suonare il vaudeville e ricevendo per questo gli schiaffi delle camicie nere (Teatro Comunale di Bologna, 14 maggio 1931), fino a dover lasciare l’Italia per l’America, un’altra gloria nazionale non si faceva invece scrupoli a cantarla: Beniamino Gigli la interpretò con enfasi, accompagnato da orchestra e coro.Tra gli elaborati che lo utilizzano, è sconcertante l’instant-video appena ideato il 4 novembre scorso da tale Carlo, per celebrare “uno degli inni del periodo fascista, censurato dalla Rai”. Vi si susseguono immagini d’ogni tipo, evidentemente per esemplificare e magnificare la giovinezza, la primavera di bellezza, il popolo d’eroi e la patria immortale, mescolando foto d’epoca e d’attualità, comprese procaci fanciulle semisvestite oltre i limiti della pornografia (del resto, non è forse “meglio essere appassionati delle belle ragazze che gay”?), in un grottesco guazzabuglio di cui si fatica a seguire il senso ma in cui è chiarissima la cultura che ne è alla base.Sarà anche una canzone che ha 100 anni, ma non ha certo perso la sua carica e il suo appeal in una buona fetta di italiani. Sarà opportuno che tutti gli altri continuino (o riprendano) a non abbassare la guardia.
(Ferdinando Bonora) -
OLI 277: AMBIENTE – L’Arpal e il carbone alla rinfusa

2003 – Terminal rinfuse – Foto Ivo Ruello Festival della scienza. Alle 20.30 di sera l’ultimo gruppetto di una ventina di persone aspetta il suo turno per la visita della centrale Enel. Prima un video storico, poi con in testa il simbolico elmetto si va in giro per gli immensi spazi della centrale con la gentile guida dei tecnici.
Infine si sale in alto, sul terrazzo in cima al palazzo, da cui si domina tutta l’area intorno, dalla lanterna al terminal rinfuse.
Il tecnico indica i vari elementi del paesaggio circostante, spiega il processo produttivo, gli impianti. Arrivano, naturalmente, le domande sul rischio di inquinamento: in città le discussioni e le polemiche sui danni alla salute e all’ambiente procurati dalla centrale (stoccaggio all’aperto e dalla combustione del carbone) ci accompagnano da molti anni. Il tecnico dà le sue spiegazioni: il carbone utilizzato viene dalla Thailandia e contiene bassissime percentuali di zolfo, per cui non è necessaria la de-solforazione. Spiega i sistemi abbattimento dei fumi e degli altri inquinanti.
Tranquillizza infine sul rischio di inquinamento che può derivare, specie nelle giornate di vento, dalla polvere del carbone stoccato all’aperto: indica, dall’alto, l’area Enel riservata a contenere le scorte. Spiega che il livello del carbone viene tenuto molto basso, ben al di sotto del muro di contenimento, e che il materiale viene bagnato tre volte al giorno con un sistema automatico di irroratori.Sulla faccenda dei residui di zolfo e di azoto nel processo di combustione gli ospiti possono solo fidarsi (o diffidare), ma per quanto riguarda le scorte di materiale possono constatare che quello che ha detto il tecnico è vero: sotto alla torre c’è un’area dove il carbone ha un’altezza uniforme, inferiore a quella del muro, su cui si distinguono gli irroratori. E tutti, arrivando, avevano dovuto prestare grande attenzione per non slittare sul terreno bagnato.
Però dietro alla piatta ed umida distesa del carbone destinato alla centrale svettano, nere contro il nero della notte, delle verie e proprie colline. Sarebbe bello fotografarle, ma è davvero troppo buio.
2003 -Terminal rinfuse – Foto Ivo Ruello “E quelle?” La domanda sale da diverse voci.
“E’ sempre carbone”
“E di chi è?”
“Del Terminal Rinfuse (*)”
“Ma sono delle montagne!”
“Eh si … “
“Ma le bagnano?”
“Dicono di sì, ma così in alto gli irrogatori non ci possono arrivare. E comunque servirebbe a poco”
“E nessuno dice niente?”
“La competenza è dell’Arpal … Lo sanno benissimo“
Anni fa, nel febbraio del 2003, giorno di vento, mi era capitato di fare un giro al terminal rinfuse. Il paesaggio era – diciamo così – suggestivo, quasi come un viaggio in Islanda. C’erano anche degli interessanti fenomeni di auto-combustione, altro che carbone bagnato.
Da allora nulla, a quanto pare, è cambiato. Domanda: ma perché l’Arpal non interviene?
(*) http://www.porto.genova.it/porto/terminal/terminal_rinfuse_ge.asp
(Paola Pierantoni) -
OLI 277: DIRITTI UMANI – Ricordi Ken Saro-Wiwa?
La giornata e’ limpida, il cortile di una delle sedi dell’Universita’ di Roma Tre tranquillo sotto l’effetto del post pausa pranzo. L’attenzione e’ volta a captare tutti gli stimoli attorno, primo fra tutti le iniziative promosse sulle locandine. Sperando che almeno queste voci ciclostilate non vengano ammutolite dal sistematico sgretolamento della formazione e della ricerca italiana. Lo sguardo corre sui manifesti, come un retaggio dei trascorsi universitari, e si ferma sul volto sorridente di un uomo di colore. Il primo pensiero e’ ad un concerto ska-reggae. In realtà si tratta di una serata dedicata a Ken Saro-Wiwa, poeta, scrittore, attivista nigeriano giustiziato nel 1995, per aver avuto il coraggio di denunciare gli oltraggi delle multinazionali petrolifere sul delta del Niger e di sostenere i diritti delle popolazioni locali progressivamente depauperate delle loro ricchezze naturali. Molte associazioni si riuniranno il 10 novembre a partire dalle 20 al Brancaleone di Roma per ricordarlo a 15 anni dalla morte.
Mi accorgo di non conoscere la sua storia, sebbene così importante ed attuale anche per noi italiani. Non solo la Shell, imputata nel processo per la morte di Ken Saro-Wiwa, ma anche l’Eni opera nella stessa zona con alta intensità drenante e vistosi versamenti di petrolio dai suoi stabilimenti nel delta del Niger.
Mi stupisco a pensare come 30-20 anni fa la sensibilità fosse più acuta, Stephen Biko, la mobilitazione per Nelson Mandela e l’emozione per la sua scarcerazione e i suoi primi passi da uomo libero, il premio ad un film doloroso come “Un mondo a parte”. Possiamo forse giungere ad un ricordo netto ancora del conflitto in Rwanda, ma poi… Tutto si spegne sotto le luci della ribalta, l’informazione ci rimbalza da un episodio all’altro senza consentire di soffermarsi sui dettagli, i pochi che rimangono impressi sono spesso legati a volti famosi che si prestano ad iniziative benefiche. Benvengano comunque, anche se l’attenzione al problema è offuscata dalla patina della celebrità messa a disposizione.
Una sottile dittatura mediatica, silenziosa ma pervasiva, cancella e sostituisce i ricordi con immagini d’effetto.La vera prigione
Non è il tetto che perde
Non sono nemmeno le zanzare che ronzano
Nella umida, misera cella.
Non è il rumore metallico della chiave
Mentre il secondino ti chiude dentro.
Non sono le meschine razioni
Insufficienti per uomo o bestia
Neanche il nulla del giorno
Che sprofonda nel vuoto della notte
Non è
Non è
Non è.
Sono le bugie che ti hanno martellato
Le orecchie per un’intera generazione
E’ il poliziotto che corre all’impazzata in un raptus omicida.
Mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari
In cambio di un misero pasto al giorno.
Il magistrato che scrive sul suo libro
La punizione, lei lo sa, è ingiusta
La decrepitezza morale
L’inettitudine mentale
Che concede alla dittatura una falsa legittimazione
La vigliaccheria travestita da obbedienza
In agguato nelle nostre anime denigrate
È la paura di calzoni inumiditi
Non osiamo eliminare la nostra urina
E’ questo
E’ questo
E’ questo
Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero
In una cupa prigione.
Ken Saro Wiwahttp://it.wikipedia.org/wiki/Ken_Saro-Wiwa
http://www.youtube.com/watch?v=IZSLAmygCWU
http://www.youtube.com/watch?v=i0Z1DuDqrOU(Maria Alisia Poggio)
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OLI 277: SOCIETA’ – Torte e cardinali, aids e omosessuali
Come in una comica d’altri tempi, monsignor André-Joseph Léonard (qui a sinistra), arcivescovo di Malines-Bruxelles, primate del Belgio e molto probabilmente futuro cardinale (dovrebbe ricevere la porpora da Benedetto XVI nell’imminente concistoro), mentre a Bruxelles stava presiedendo una funzione religiosa il primo novembre per la festa d’Ognissanti, s’è beccato una torta in faccia.
Un video amatoriale su YouTube – cliccatissimo in Belgio e non solo, riproposto anche da molti siti on line di quotidiani e altre newsletter – mostra le sequenza: il canto di un inno sacro con l’alto prelato in piedi sullo sfondo che, mentre attende di riprender la parola, si prende la torta da una persona (non è ben chiaro se si tratti di un ragazzo o una ragazza) che rapidamente si dilegua; zoomata quindi sul colpito che si lecca le dita e si ripulisce, aiutato da suore e fedeli costernate.
Dopo Stanlio & Ollio, Pippo Baudo, Maurizio Costanzo e Bill Gates, ora tocca a un (quasi) Principe della Chiesa subire il dolce sfottò.
Monsignor Léonard ha fatto buon viso a cattivo gioco, dichiarando con magnanimità che non avrebbe sporto denuncia e dicendo spiritosamente che era la miglior torta che avesse mai assaggiato.
Assai meno scherzose sono le sue posizioni pastorali, da un lato concilianti verso i preti pedofili, specie se anziani, dall’altro inflessibili in materia di omosessualità, di aids e più in generale di morale sessuale e temi eticamente sensibili, in linea col suo essere il leader dell’ala conservatrice della Chiesa belga, nominato dal pontefice al posto del progressista Danneels.
Contrario all’uso del profilattico anche nei casi in cui c’è rischio per la vita, ribadisce omofobicamente che gli omosessuali sono”anormali” e sostiene che l’aids è “una sorta di giustizia immanente”, una punizione divina per chi pratica l’omosessualità.
In questo, Léonard non fa che riprendere pari pari quanto già espresso nel 1987 dal compianto cardinale Giuseppe Siri (1906-1989, arcivescovo di Genova dal 1946 al 1987, qui a destra), il quale in un’intervista a Il Sabato, settimanale vicino a Comunione e Liberazione e finanziato anche da Silvio Berlusconi, aveva affermato testualmente: “[L’Aids] è un castigo di Dio, evidentemente, perché prima non c’era. […] È una malattia terribile che colpisce il peccato direttamente. Purtroppo la malattia si espande da costoro agli altri, innocenti, e così li hanno sulla coscienza. […] Il mondo ha progredito soprattutto nei sette peccati capitali. Dio per risposta ci ha mandato l’Aids”.
Non stupisce che il persistere di una tale visione del mondo – con tutto quel che ne consegue – tra i gerarchi di un’istituzione che, presumendo di essere depositaria dell’unica “Verità” rivelata, si ritiene in diritto e in dovere di pretendere di imporne il dettato all’intera società civile, indipendentemente dal credo e dagli orientamenti ideologici di ciascuno, possa condurre anche a intemperanze come quella patita dal presule belga, magari non giustificabili, ma più che comprensibili.Blog cattolico tradizionalista, che riporta la lettera dell’episcopato italiano (presidente Giuseppe Siri) al clero sul laicismo, datata 25 marzo 1960, rimarcandone l’attualità e validità:
http://unafides33.blogspot.com/2010_03_28_archive.html
Sito dedicato al cardinal Siri, con biografia e rassegna di quanto scritto da lui e su di lui:
http://www.cardinalsiri.it/
(Ferdinando Bonora) -
OLI 277: AMBIENTE – Gli occhi della compassione
Ero uscito per la solita passeggiata sulla costa di Arenzano. Il tramonto era passato da circa mezz’ora. L’aria era tiepida e molto gradevole. Non ti sbatteva in faccia i tuoi pensieri, li rimandava con benevolenza.
Mi trovavo nella parte del golfo di Arenzano che guarda a ponente, dove la celebrata passeggiata a mare si incunea nel porticciolo, sotto il promontorio della straziata pineta, all’altezza di un moletto – messo in mezzo al mare per trattenere la sabbia – che divide lo sbocco di un torrente dalle onde del mare e dalla spiaggia che le accoglie.
Sul lato della strada resiste un’antica baracchetta, luogo di ristoro per avventori occasionali e per un gruppo di amici serali, fra i quali diversi noti cacciatori.
Come al solito, mentre la mente vagava ai quatto angoli del mondo, un essere animato, sulla spiaggia accanto al moletto, catturò la mia attenzione.
Avvicinandomi e mettendo meglio a fuoco i miei occhi fragili, vidi che era un uccello dalle piume color malva, imponente, grosso quanto un grasso gabbiano, dal portamento elegante, con un collarino nero, la testa più rosata e due occhietti molto vispi che esploravano terra ed aria in ogni direzione. Accanto stazionavano pigri gabbiani, mentre non c’era l’amico airone cinerino che in coppia con un altro spesso occupa la punta del moletto e che puntuale quando cala la sera va a dormire nel parco.Non avevo mai visto un simile uccello! Ero meravigliato dalla sua bellezza. Una vampata di curiosità si accese in me. Chiesi ad un amico se confermava quello che io vedevo e se ne sapeva qualcosa. Condivise subito la mia emozione ma non ne sapeva nulla. Chiedemmo al gestore della baracchetta che invece sapeva tutto: si trattava di un oca migratrice, dal nome irricordabile, arrivata con un compagno nei giorni di tempesta e probabilmente dispersa.
Il compagno era stato ucciso da un cacciatore qualche sera prima sulle allegre colline di Arenzano.
Si era vista ogni sera e anche durante il giorno ogni tanto arrivava.
Provai grande dolore e grande rabbia. Mi sembrò che con quel roteare di capo e di occhi continuasse a cercare il suo compagno. Mi venne in mente un racconto di Maupassant, letto tempo fa e mai più dimenticato, in cui un colombo, che vola felice nel cielo, impazzisce di dolore perché gli viene ucciso il compagno con cui divideva la felicità e con il movimento delle ali ci racconta tutta la sua disperazione.
Pensai alla perdita di compassione che sta uccidendo il mondo e alla amputazione della pietas che sta desertificando il nostro convivere, prosciugando le sorgenti della nostra democrazia.
Ammenocché!
Gli uccelli, tutti, riuniti in consiglio non decidano di vendicarsi e ci diano una dura lezione.
(Angelo Guarnieri) -
OLI 277: FESTIVAL DELLA SCIENZA – I piccoli futuri italiani che amano la Torre di Pisa
Festival della Scienza. Un laboratorio prevede che i partecipanti, bambini e ragazzi delle medie, disegnino una carta geografica secondo le loro conoscenze. Gli animatori stimolano i giovani partecipanti “Che luogo conoscete, che città avete visto, che cosa immaginate?”. Animali, monumenti, bandiere, mostri, paure e la lavagna si popola.
I bambini di una tra le prime classi si siedono rumorosi sul tappeto, e sulla carta piazzano innanzitutto i continenti. Molto piccoli, di prima elementare, hanno una geografia un po’ confusa ma colorata e piena di spunti per capire il loro mondo. “Cosa ci mettiamo sulla nostra mappa, bambini?”. Uno gnomo dalla felpa grigia si alza e dice “Mettiamo la Francia” “E dove” incalza l’animatore “In Europa”.”Altri posti?” “La Spagna!-in Europa” “La Germania – in Europa”.
Una maestra interrompe il gioco e si rivolge ad un altro scricciolo dal nome e dall’aspetto esotico e gli propone “Mettiamo sulla carta il luogo da cui provengono i tuoi genitori, Mukesh?“ e lui risponde “Ah si, l’India” e con il pennarello disegna una bella India tra la Francia e l’Italia, nel bel mezzo d’Europa…
Nella stessa giornata, un altro bambino patito di geografia e proveniente dal Sudamerica, sui nove anni, scalpita. “Cosa vuoi disegnare, Juan? Un monumento del tuo Paese?”. “Si, risponde il bimbo, con un sorriso “la Torre di Pisa!”.
Qualche turno dopo un altro bambino, sempre di sei, sette anni, decide di disegnare qualcosa sul continente da cui è arrivato, l’Asia: è un posto in cui è stato da poco ed ha visto degli enormi ottovolanti: si chiama Gardaland…”.
Caso complicato, con una ragazzina cinese un po’ più grande: qualche difficoltà di lingua, tanta timidezza, ai suoi compagni che le chiedono di disegnare il suo paese o qualcos’altro, risponde che lei non sa niente, non conosce nulla, non sa disegnare e non le piace nulla. Verso la fine del laboratorio però si alza e disegna un po’ imbarazzata la cosa che le è venuta in mente: la Torre di Pisa.
Sembra proprio che queste terze generazioni, questi giovani studenti abbiano ben chiaro qual è il loro Paese e si riconoscano in esso, nella sua lingua, nei suoi luoghi e monumenti. Peccato che non si possa affermare il contrario, visto che il Paese – con le sue leggi miopi – non li riconosce come propri cittadini.
(Eleana Marullo)
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OLI 277: CULTURA – I Beni pubblici e i cittadini
“Il crollo di Pompei è una vergogna per l’Italia”, così il Presidente della Repubblica . Un dispiacere immenso per coloro che ancora credono nel valore dell’arte, della cultura, del patrimonio del nostro Paese e che stiamo dissipando inesorabilmente.
Quanti turisti hanno calpestato quei ciottoli, quelle stradine, immergendosi nella Storia, arrivando da ogni parte per vedere quei resti che parlano non soltanto di noi e di quello che siamo stati, ma che parlano al cuore di tutti gli uomini e del loro cammino.
Da anni si lamenta la fragilità delle nostre vestigia. Per colmo si è in talune circostanze pensato che il territorio che aveva la fortuna di esserne il sito potesse custodirli meglio: ecco nato l’Ente dell’autonomia di Napoli e Pompei ed ecco i risultati. Ora si parla di mancanza di risorse, pure il Ministro pigola di zero fondi per la cultura, benchè si fosse provveduto ad ingaggiare addirittura un grande manager per riorganizzare i Beni culturali. E se il giovane sindaco che ribadiva tempo fa “gli Uffizi sono in primo luogo di Firenze” poteva avere le sue ragioni, visto che il ministero ne rivendicava la gestione, non si può negare una questione fondamentale: gli Uffizi, come Pompei sono un bene di tutti. Quindi tutela e controlli ad oltranza e non solo di competenza locale.
La Commissione Rodotà provò fra il 2007 e il 2008 a mettere ordine sulla legislazione dei beni pubblici, dispersa in mille rivoli di leggi, leggine e classificazioni formalistiche. Come? Usando la Costituzione, “Poiché il regime giuridico dei beni pubblici costituisce il fondamento economico e culturale più importante per la realizzazione del disegno di società contenuto nella Costituzione stessa” (dal saggio“ Beni pubblici : dal governo democratico dell’economia alla riforma del Codice Civile”a cura di Ugo Mattei, Edoardo Reviglio, Stefano Rodotà). Vi sono perciò “beni comuni” che si sottraggono alla logica proprietaria tanto pubblica quanto privata per metterne al centro la fruizione collettiva. Beni ad appartenenza pubblica necessaria, che appartengono alla stessa essenza di uno Stato Sovrano: tutti fanno sempre parte del patrimonio per così dire “liquido” di tutti noi. Tutti i cittadini italiani sono titolari di beni pubblici, quasi un portafoglio collettivo di proprietà lo si potrebbe definire.
In luogo di questa concezione, che rispetta Costituzione e interessi collettivi, si è intanto varato iI federalismo demaniale, cioè lo Stato cede agli Enti locali quasi ventimila unità del proprio demanio per un valore “nominale” di tre miliardi di euro: forti, caserme, isole e catene montuose come le Dolomiti, patrimonio Unesco.
Il trasferimento comporta che una parte di questi beni diventerà immediatamente vendibile. Un’altra porzione resterà al Demanio locale, inalienabile soltanto sulla carta, ma la legge ne prevede comunque una forma strisciante di privatizzazione.
E già ne abbiamo un classico esempio con la gestione delle spiagge.
“Alienarli per produrre ricchezza a beneficio della collettività territoriale”, cita la legge, cioè non di tutti gli italiani, nel cui portafoglio collettivo i beni erano prima della legge Calderoli. All’interesse collettivo si è opposto un progetto, che borseggia il portafoglio della cittadinanza tutta e lo ridistribuisce ai governi locali come un salvadanaio di terracotta da fare a pezzi.
E visto lo stato disastroso delle finanze locali ciò significherà svendere: meglio che lasciarli andare in malora si dirà. Ma se la gestione autonoma significa lo scempio della Valle dei Templi o Pompei auguriamoci che non si proponga un federalismo dei beni culturali.
(Bianca Vergati) -
OLI 277: IMMIGRATI – Meno male che ci sono Costituzione ed Unione Europea
Nello scorso settembre sono state emesse tre sentenze di vari livelli di giudizio che hanno tutelato i cittadini immigrati dalla discriminazione di una pubblica amministrazione inefficiente e “poco amica” degli immigrati:
1) Il Consiglio di Stato, con sentenza del 29 settembre 2010, ha dato ragione ad un cittadino straniero al quale la questura di Bologna aveva rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno solo perché il suo reddito non era sufficiente. Per il Consiglio di Stato, invece, occorre che in sede di revoca o rifiuto del permesso di soggiorno sia rispettata la Convenzione europea dei diritti del uomo (del 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 848) e si tenga conto della situazione familiare dello straniero. Lo straniero in questione è “coniugato in Italia e con figli minori – uno dei quali nato in Italia – frequenta le scuole italiane”.
2) Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, con sentenza del 21 settembre 2010, ha dato ragione ad una cittadina dello Sri Lanka alla quale il Comune di Milano aveva revocato il sussidio integrativo al minimo vitale in quanto non titolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno), ma in possesso del solo permesso di soggiorno con validità biennale. Il TAR della Lombardia invece ha fondato la sua decisione sulla sentenza 187/2010 della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la norma che esclude gli immigrati regolarmente soggiornanti privi del permesso CE dal diritto all’assegno di invalidità.
3) La Corte di Cassazione, con sentenza 19893 del 20 settembre 2010, ha dato ragione ad una cittadina ecuadoriana alla quale la Questura di Genova aveva rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno in quanto nel 2006 si era separata dal cittadino genovese con il quale si era sposata nel 1999. Per la Cassazione, invece occorreva applicare il decreto legislativo n. 30 del 2007, di attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa ai diritti dei cittadini dell’Unione Europea e dei loro familiari, in base al quale la cittadina ecuadoriana ha il diritto al rinnovo del permesso di soggiorno in quanto il suo matrimonio aveva avuto una durata superiore a tre anni.
Tre sentenze che dimostrano l’arretramento e la chiusura della politica italiana nel governo dell’immigrazione, dove, per trovare basi giuridiche positive che aiutino l’integrazione degli immigrati ed il rispetto dei loro diritti, occorre ritornare alla Carta Costituzionale del 1948 o rivolgersi all’Europa, alle sue direttive e convenzioni.
Le tre sentenze dimostrano inoltre che non c’è cosa più falsa di quella che propagandano partiti e giornali xenofobi a proposito di legalità ed immigrazione. La legalità ed il rispetto della legge è un interesse concreto degli immigrati i quali si rivolgono volentieri ai giudici che spesso ristabiliscono la legalità dando loro ragione. La verità è che Costituzione, Unione Europea, legalità, leggi, regole e giudici danno fastidio ai più forti, ai più ricchi ed ai razzisti.
(Saleh Zaghloul) -
OLI 277: COSTITUZIONE ITALIANA – La Costituzione difende la cultura
Costituzione della Repubblica Italiana, Articolo 9:
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”
5 maggio 2003. Dall’intervento del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in occasione della consegna delle medaglie d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte.
“È nel nostro patrimonio artistico, nella nostra lingua, nella capacità creativa degli italiani che risiede il cuore della nostra identità, di quella Nazione che è nata ben prima dello Stato e ne rappresenta la più alta legittimazione. L’Italia che è dentro ciascuno di noi è espressa nella cultura umanistica, dall’arte figurativa, dalla musica, dall’architettura, dalla poesia e dalla letteratura di un unico popolo. L’identità nazionale degli italiani si basa sulla consapevolezza di essere custodi di un patrimonio culturale unitario che non ha eguali nel mondo. Forse l’articolo più originale della nostra Costituzione repubblicana è proprio quell’articolo 9 che, infatti, trova poche analogie nelle costituzioni di tutto il mondo: ‘La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione’. La Costituzione ha espresso come principio giuridico quello che è scolpito nella coscienza di ogni italiano. La stessa connessione tra i due commi dell’articolo 9 è un tratto peculiare: sviluppo, ricerca, cultura, patrimonio formano un tutto inscindibile. Anche la tutela, dunque, deve essere concepita non in senso di passiva protezione, ma in senso attivo, e cioè in funzione della cultura dei cittadini, deve rendere questo patrimonio fruibile da tutti. Se ci riflettiamo più a fondo, la presenza dell’articolo 9 tra i ‘principi fondamentali’ della nostra comunità offre un’indicazione importante sulla ‘missione’ della nostra Patria, su un modo di pensare e di vivere al quale vogliamo, dobbiamo essere fedeli. La cultura e il patrimonio artistico devono essere gestiti bene perché siano effettivamente a disposizione di tutti, oggi e domani per tutte le generazioni. La doverosa economicità della gestione dei beni culturali, la sua efficienza, non sono l’obiettivo della promozione della cultura, ma un mezzo utile per la loro conservazione e diffusione. Lo ha detto chiaramente la Corte Costituzionale in una sentenza del 1986, quando ha indicato la ‘primarietà del valore estetico-culturale che non può essere subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici’ e anzi indica che la stessa economia si deve ispirare alla cultura, come sigillo della sua italianità. La promozione della sua conoscenza, la tutela del patrimonio artistico non sono dunque un’attività ‘fra altre’ per la Repubblica, ma una delle sue missioni più proprie, pubblica e inalienabile per dettato costituzionale e per volontà di una identità millenaria”.
Carlo Azeglio Ciampi(a cura di Aglaja)




