Categoria: OLI 274

  • OLI 274: VERSANTE LIGURE – COSA HO IN SERBO

    Da ultrà, la faccio enorme
    sguainando il medio dito
    mi atteggio in modo abnorme
    insulto a menadito
    l’etnia sventolo in forme
    fra il folle e l’inaudito:
    ministro alle Riforme
    io son (ma che hai capito?).
    Versi di ENZO COSTA
  • OLI 274: CULTURA – Grazie, Tiziano

    Se n’è uscito di scena all’improvviso, Tiziano Mannoni.
    C’eravamo incontrati qualche giorno fa, alla presentazione del programma di Genova Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, nell’affollato salone del Maggior Consiglio. Seduti vicini, mi mostrava fotocopie degli antichi statuti di Pontremoli sui quali stava lavorando per una sua ennesima pubblicazione. Per guadagnar tempo, scorreva i fogli e intanto seguiva i relatori sul palco, con  l’intelligente, vivace e poliedrica curiosità di sempre. Ci conoscevamo da quasi quarant’anni, da quando, liceale non ancora diciottenne, avevo cominciato a frequentare nel 1971 gli incontri teorico-pratici di archeologia che egli, allora quarantatreenne, teneva presso la sezione genovese dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri per un gruppo di appassionati, d’intesa con la Soprintendenza (detta allora “alle Antichità”, oggi “per i Beni Archeologici”).

    Ogni venerdì sera ci si ritrovava in sede, a Palazzo Reale nel vecchio atrio dov’è ora la caffetteria del museo, a seguire le sue lezioni di tecnica di scavo e storia della ceramica. Il sabato e la domenica si saliva a scavare sulla Collina di Castello tra le macerie di San Silvestro, in una Genova ancora martoriata dalla guerra, inimmaginabile per chi vi vede adesso quella Facoltà di Architettura dove molti anni dopo lo stesso Mannoni sarebbe stato uno dei docenti più apprezzati e carismatici, a distribuire ai suoi studenti il proprio sapere con l’umiltà, la semplicità e la chiarezza che contraddistinguono chi è veramente grande. 

    San Silvestro negli anni Ottanta (foto F. Bonora)

    Le rovine del convento domenicano racchiudevano mura del precedente castello vescovile medievale, a sua volta eretto sulle vestigia dell’oppidum preromano, la cittadella fortificata ligure-etrusca da cui si sarebbe sviluppata l’intera città. Sotto la sua guida si praticavano scavi rigorosamente stratigrafici, andando a ritroso nel tempo dai giorni nostri fino al quinto/sesto secolo avanti Cristo, sviluppando le innovative metodiche d’indagine messe a punto da Nino Lamboglia, il direttore dell’Istituto di Studi Liguri tragicamente scomparso in porto nel 1977, che di tanto in tanto effettuava sopralluoghi e forniva consigli.
    Mannoni e il suo gruppo hanno condotto significative ricerche anche in numerosi altri siti, sia a Genova sia nel resto della Liguria e pure fuori regione. In particolare nella Lunigiana, da dove proveniva e dove ha disposto che tornino i suoi resti.
    La sua formazione al di fuori dei consueti binari (non aveva alle spalle studi classici, ma proveniva dall’ambito delle scienze, che da pioniere aveva cominciato ad applicare ai vari aspetti dei beni culturali) lo faceva guardare con sospetto e sufficienza da un certo mondo accademico legato a un’idea di archeologia come storia dell’arte antica e dei fatti eccezionali, che mal sopportava un nuovo approccio attento invece alla globalità dei fenomeni, in un’archeologia intesa come disciplina storica che indaga tutti gli aspetti del passato basandosi soprattutto sulle tracce materiali stratificatesi nel tempo in un dato territorio; non solo nel sottosuolo ma anche al disopra di esso, negli edifici, nelle infrastrutture e nelle forme del paesaggio tuttora in uso.
    Dal vecchio Gruppo Ricerche nacque l’Iscum, Istituto per la Storia della Cultura Materiale oggi ospitato presso il Museo di Sant’Agostino, con archivi e biblioteca specializzata.
    La chiesa gremitissima al funerale e i numerosi commenti “linkati” qui sotto dicono quanto fosse stimato non solo per i suoi meriti scientifici in Italia e all’estero, ma anche per l’umanità con cui sapeva rapportarsi agli altri.
    Siamo in tanti a dovergli tanto: grazie, Tiziano, per tutto quello che ci hai lasciato.

    http://www.viveregenova.comune.genova.it/content/addio-tiziano-mannoni-archeologo-dellarchitettura
    http://generazionediarcheologi.myblog.it/archive/2010/10/17/addio-tiziano-mannoni-l-archeologia-italiana-piange-un-pioni.html
    http://www.ilsecoloxix.it/p/cultura/2010/10/18/AMSqeu9D-addio_delle_creuze.shtml

    (Ferdinando Bonora)

  • OLI 274: ILVA – Perché quegli sguardi avviliti?

    Mercoledì 13 ottobre. Fabbrica di Cornigliano, 8.30 del mattino.
    Le macchine scivolano alla spicciolata nel grande parcheggio davanti alla portineria.
    Si sono lasciate alle spalle un lungo percorso costeggiato da container colorati.
    No. Non ci sono giornalisti della stampa locale a raccontare il fatto. Anche se la prima tranche di rientri in fabbrica – 55 dipendenti – dopo cinque anni di cassa integrazione, è di certo un evento cittadino. Occasione unica per chi vorrebbe occuparsi di cronaca del lavoro.

    Le facce, soprattutto donne, sorridono beffarde all’ineluttabile. Impiegate over quaranta che si salutano e si abbracciano per poi cercare nella borsa il badge, scovato nei cassetti e dimenticato per un lustro, puntualmente scambiato con l’addetto della proprietà con un pass più nuovo e meno ingiallito. Ma con la stessa foto vecchia di anni.
    La fabbrica alla loro destra sembra inerte, come chiusa dentro il suo imballo azzurrino. Alla loro sinistra il cantiere è in movimento. Un pullman – sedili imbottiti e impolverati – le accompagnerà insieme ai colleghi alla scuola siderurgica per il loro primo giorno di lavoro. Che è poi formazione.
    Nella catena di montaggio che li ha visti oggetto dell’accordo di programma donne e uomini si sono sentiti spostati come merce da una fase all’altra di un ciclo che li ha visti in azienda, poi in Comune e Provincia, ed oggi ancora in azienda. E il 13 ottobre non esitano a dichiararsi “merce di scambio”.
    Dopo di loro, a scaglioni, entreranno gli operai. Per tutti è prevista una settimana in fabbrica e tre a casa. Con salario tutelato.
    Con una proposta così di che si lamentano?
    E perché quegli sguardi avviliti?
    Gli hanno spiegato che lavoreranno meno che negli enti pubblici. Li hanno esortati a comprendere che questa è la madre di tutti gli accordi che verranno dopo. Hanno detto loro che l’offerta è talmente innovativa da essere stata d’ispirazione per il teatro dell’opera cittadino. E loro stessi hanno detto sì al contratto di solidarietà consapevoli che in cambio ci sarebbe stato il vuoto.
    Capire perché sentano di non avere in mano nulla, e perché avvertano l’assenza totale di un progetto occupazionale serio è compito di sindacato e politica. Nessuno dei due ha affrontato la questione con serietà. Nessuno dei due ha registrato i picchi di un malessere molto diffuso che insieme al salario chiedeva l’impegno su un’occupazione vera.

    In immagine, la lettera che l’assessore Margini ha inviato in questi giorni ai cassintegrati ILVA rientrati in stabilimento in ottobre.

    (Giovanna Profumo)

  • OLI 274: SOCIETA’ – Comunicazione umana ad alta densità

    Interessanti, gli autobus.
    A volte la densità raggiunge il massimo possibile in termini fisici. A quanto si può arrivare? A molto. Autobus numero 18, ore 11, direzione levante: le persone (contate) compresse nello spazio compreso tra le porte di uscita e la parete opposta sono sedici, per una superficie di poco più di 2 metri quadri. Calcolando una media di sessanta Kg. a persona, si arriva ad una densità di 426 Kg. di carne per metro quadro, dodici volte più di quella di un allevamento intensivio di polli broiler. Per gli umani questo è possibile perché si sviluppano più verticalmente dei polli. Pensate che affari si potrebbero fare …
    Bene, in queste condizioni si genera una situazione di immobilizzo anche emotivo, non c’è nemmeno la possibilità di litigare con i compagni di viaggio, e ognuno adotta la propria personale pratica zen.
    Ma quando la densità, pur restando elevatissima, consente potenzialmente qualche movimento, ecco che si innesca la conflittualità: nessuno perdona al prossimo di non utilizzare i suoi reali o supposti spazi di libertà. Di nuovo sul 18, ore 12, questa volta direzione ponente. Sull’autobus già molto pieno sale un gruppo di sei / sette ragazzi sui quindici anni, e porta la densità al livello critico. In più i ragazzi sono ragazzi, molto più interessati a stare vicini tra di loro per scherzare, che a procedere razionalmente verso le uscite, per non creare un blocco umano al centro dell’autobus.
    Inziano gli scambi. Una anziana signora invoca:
    “Su ragazzi muovetevi … “
    Nulla succede, e poco dopo:
    “Devo passare, andate avanti, muovetevi!”
    “Ma non rompere …”
    “Ma dove le impari queste cose?”
    “A casa e a scuola”
    “Bella casa e scuola che hai … mi spavento per il mio futuro”
    “Il tuo futuro? Quale futuro?”,
    “Il mio futuro: io sono vecchia, e siete voi il mio futuro. E allora dico: guarda che bel futuro che mi aspetta”
    “E io dico: guarda che bel presente che abbiamo”.
    Si crea nell’autobus un momento di sospensione. L’aggressività svapora. Qualcuno commenta “Beh, accidenti, ha ragione …”
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 274: ALIMENTAZIONE – La forza dei paradossi

    Un capitolo di “Se niente importa”, il libro di Safran Foer sugli allevamenti intensivi, si intitola: “In difesa della cinofagia”. L’autore osserva che negli Stati Uniti “mangiare il migliore amico dell’uomo è un tabù come lo è mangiare il proprio migliore amico umano”. Però aggiunge che “i maiali sono altrettanto intelligenti e sensibili in tutto e per tutto, secondo ogni ragionevole definizione dei termini. Non possono saltare nel bagagliaio della Volvo, ma sono capaci di riportare oggetti, correre e giocare, fare i dispetti e ricambiare affetto”.
    Foer si dedica a smontare le razionalizzazioni che supportano il nostro tabù del mangiare cani o gatti.
    Se si vuole porre lo sbarramento sul non mangiare gli animali da compagnia, la controdeduzione è che, laddove vengono mangiati, i cani non sono animali da compagnia. Se lo si vuole porre sul non mangiare animali con capacità mentali ragguardevoli , Foer controbatte che molti altri animali lo sono: il già citato maiale, ma anche le mucche, gli asini o i polli (conoscerli intimamente per convincersi: da ragazzina mi avevano regalato una bianca gallina livornese che mi correva incontro e mi saltava sulle spalle quando tornavo da scuola), nonché diversi animali marini (molti pescatori subacquei vi diranno della loro particolare difficoltà ad uccidere un polpo).
    Del resto, sottolinea malignamente Foer, ce li mangiamo già, i cani e i gatti perché diventano “cibo per il nostro cibo”: un processo industriale chiamato rendering permette di riciclare le proteine animali inadatte alla alimentazione umana facendone mangimi per il bestiame, e così finiscono cani e gatti soppressi nei centri di ricerca.
    L’impegno di Foer a sbarrarci tutte le possibili le vie di uscita ha lo scopo di condurci alla osservazione conclusiva del capitolo: “Se hai difficoltà a vedere qualcosa, discosta un po’ lo sguardo … Mangiare gli animali ha un che di invisibile. Pensare ai cani, rispetto agli animali che mangiamo, è un modo per guardare di sbieco e rendere visibile l’invisibile”
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 274: IMMIGRAZIONE – Decreto flussi: meglio che niente?

    Stando al Sole 24Ore dell’11 ottobre, il decreto che istituisce le quote di ingresso dei lavoratori immigrati potrebbe essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale a Novembre. L’ultimo decreto risale al 2007 e riguardava gli ingressi del 2008.
    Il decreto flussi si è dimostrato uno strumento insufficiente per rendere possibili gli ingressi regolari di lavoratori immigrati necessari per l’economia e per il sistema del welfare italiano: occorrono altri strumenti come lo sponsor, il visto ed il permesso di soggiorno per ricerca lavoro e la regolarizzazione permanente, senza dover uscire e rientrare in Italia, di chi già presente e lavora in nero in quanto senza permesso di soggiorno. Il decreto flussi, inoltre, è stato usato male stabilendo quote d’ingresso molto basse non corrispondenti al vero fabbisogno del paese o addirittura bloccandole del tutto come ad esempio per il 2009 ed il 2010.
    I pochissimi ingressi regolari hanno incentivato gli ingressi clandestini ed i trafficanti, e le norme rigide ed autolesioniste sul rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno (il legame tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno ovvero il contratto di soggiorno), hanno finito per ricacciare nella clandestinità persone che avevano faticosamente ottenuto il permesso di soggiorno. Perciò il decreto flussi è stato utilizzato dai datori di lavoro per regolarizzare i loro lavoratori impiegati in nero. Tutti sanno dell’assurdo viaggio di andata (nel paese d’origine) e ritorno (in Italia) al quale è costretta la maggiore parte dei lavoratori, anche i pochi fortunati le cui pratiche sono andate a buon fine. L’assurdo è che il legislatore lo sa benissimo, e che, sapendolo, invece di sistemare il tutto in Italia risparmiando ai lavoratori ed ai loro datori di lavoro il costo di un inutile viaggio, impone la più rigida delle interpretazioni della legge, che ammette alla regolarizzazione solo lavoratori non presenti in Italia, costringendo i lavoratori ad uscire clandestinamente dal Paese.
    L’esigenza di serietà e razionalità di governo che la crisi ormai richiede fortemente porterà prima o poi ad una revisione della legge sull’immigrazione in senso più favorevole agli interessi generali del paese. Non è possibile, ad esempio, realizzare una seria lotta all’evasione fiscale e contributiva continuando a dire “no” ai datori di lavoro onesti che chiedono che venga rilasciato il permesso di soggiorno ai loro lavoratori irregolari oggi costretti a lavorare in nero, e di poter dunque versare nelle casse dello Stato i contributi previdenziali (ed indirettamente le tasse e le imposte) per loro.
    Fino a quando ciò non avverrà è impossibile concordare con chi – come il governatore del Veneto Luca Zaia – propone di limitare le quote del decreto flussi, perché l’unica conseguenza sarebbe impedire a molti immigrati che già lavorano in quella regione, di regolarizzarsi, costringendoli a continuare a lavorare in nero.
    Provoca quindi un certo sconcerto vedere che ad essere d’accordo con Zaia ci sia Paolino Barbiero, segretario provinciale della Cgil trevigiana: un dirigente sindacale, un rappresentante dei lavoratori. 
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 274: COSTITUZIONE ITALIANA – Raimondo Ricci e il compito della testimonianza

    Nell’ambito delle celebrazioni per il sessantesimo anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione italiana, il 17 gennaio 2008 l’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea aveva organizzato una tavola rotonda dal titolo “La Costituzione, stella polare della democrazia”.
    Di seguito riportiamo alcuni passi dell’intervento di Raimondo Ricci.

    (…) La mia età molto avanzata mi consente di parlare della Costituzione con un senso di commozione e nello stesso tempo di riflessione, poiché essa ha rappresentato, di quel periodo drammatico e straordinario attraverso il quale l’Italia è riuscita a cambiare la propria identità, il lascito più importante. È chiaro come mi riferisca al periodo della lotta antifascista e della Resistenza, a quel periodo cioè nel quale la parte migliore del nostro popolo è riuscita a dare il segno della propria volontà di rompere con un regime totalitario e di fondare una realtà democratica. Fondare, giacché non si può parlare di rifondazione, essendo stata la democrazia antecedente all’entrata in vigore della nostra Costituzione parziale e zoppa. Basti pensare come allora non fosse previsto il voto alle donne e al peso della casa reale. Ebbene, io credo che questo epocale cambiamento della realtà italiana e della sua identità, attuatosi grazie alla lotta resistenziale culminata nel 25 aprile 1945, sia stato non solo il frutto della vittoria alleata nella seconda guerra mondiale ma anche il merito del nostro popolo, dei tanti giovani, dei militari, degli uomini e delle donne che in condizioni estremamente drammatiche hanno compiuto la giusta scelta, a prezzo di enormi sacrifici e con il sacrificio, spesso, della loro stessa vita. Ma c’è qualcosa che non è stato portato qui dagli angloamericani o dai sovietici, qualcosa che ha mutato in profondità l’identità del nostro Paese: è stato infatti l’antifascismo, movimento politico ed ideale non importato dall’estero, a guidare, in nome dei valori di libertà, democrazia, giustizia, la lotta delle forze più nobili del nostro popolo contro il regime mussoliniano. E io voglio ricordare il senso unitario dell’antifascismo, quell’incontro tra anime, culture, ideologie diverse che, lungi dal costituire un impedimento, ha favorito la nascita di una Costituzione tra le più avanzate dell’Occidente, frutto del senso di responsabilità di uomini che sapevano di dover assolvere un compito fondamentale nella storia d’Italia.

    Io credo che l’incontro fra uomini come Umberto Terracini e Alcide De Gasperi abbia consentito alla Costituzione di nascere e che, nonostante i vari compromessi raggiunti nella stesura del testo, il suo aspetto saliente debba ravvisarsi nella condivisione di alcuni valori e principi fondamentali che venivano ad opporsi in maniera radicale e antitetica alle parole d’ordine dei totalitarismi nazista e fascista. È proprio da questa tensione, da questo vissuto collettivo, da queste speranze, che è nata la Costituzione della Repubblica, che ha tradotto nei suoi articoli, soprattutto nei primi dodici, riguardanti i principi fondamentali, e negli altri concernenti i diritti e doveri dei cittadini, l’essenza di un rinnovamento e di una prospettiva per il futuro.

    Vorrei, a questo proposito, ricordare l’articolo 3, che parla dell’eguaglianza come meta da raggiungere attraverso l’intervento pubblico, l’articolo 11, sul ripudio della guerra come strumento per la risoluzione dei contrasti internazionali, l’articolo 36, sulla dignità del lavoro. Io credo di non dovere aggiungere altro, ma questo legame fra lotta del popolo italiano e Costituzione della Repubblica doveva essere particolarmente sottolineato da chi, come me, ha vissuto personalmente questa esperienza prima come militare, poi come resistente e infine come deportato in un campo di concentramento nazista e continua a viverla adempiendo il compito, per il poco tempo che gli resterà ancora da vivere, della testimonianza soprattutto nei confronti dei giovani, nella speranza che sappiano far tesoro della nostra storia e difendere i valori della Costituzione repubblicana a sessant’anni dalla sua entrata in vigore (…).
    Raimondo Ricci
    Pubblicato in “Storia e memoria”, 2008- Vol.17 – Fasc.1 – pp. 21 – 37



    (a cura di Aglaja)

  • OLI 274: LETTERE – Riaprire la partita

    Si respirava entusiasmo e una viva voglia di mettersi (o rimettersi) in gioco, sabato scorso 16 Ottobre, al primo Congresso provinciale di Sel, Sinistra Ecologia Libertà, il movimento che fa capo a Nichi Vendola e nel quale si riconoscono i tanti già in Rifondazione Comunista che nel VII Congresso del 2008 non aderirono alla mozione vincente (per poco: 142 sì e 134 no) dell’attuale segretario Ferrero, più molte altre persone della sinistra attualmente extraparlamentare, numerosi provenienti dal variegato arcipelago ambientalista e coloro che non hanno mai creduto (o non credono più) nel Partito Democratico e nella sua politica.
    C’era aria di novità, tra i cento e più partecipanti – iscritti o simpatizzanti – che nel corso della giornata hanno affollato la bella sala messa a disposizione (gratis) dal Circolo ricreativo dell’Autorità portuale a San Benigno.
    Peccato che la stampa abbia dato poco o nessun risalto all’evento: salvo errore, solo un paio di trafiletti sul Secolo XIX e un articolo sul Mercantile.
    Mentre a Roma si svolgeva la manifestazione Fiom Cgil, chi era rimasto a Genova si riuniva in commissioni a preparare documenti e votazioni, o seguiva le decine di interventi che si sono succeduti nell’arco di alcune ore.
    Vecchi compagni e neofiti, sindacalisti, rappresentanti di associazioni, partiti e movimenti contigui hanno esposto le proprie storie, desideri e punti di vista, ragionando sui tanti temi che andranno approfonditi nel prossimo futuro, nella pratica e nella iniziativa politica.
    Il tutto in vista dell’imminente primo Congresso nazionale, in programma a Firenze dal 22 al 24 Ottobre, nel corso del quale l’attuale movimento si prefigge di fondare non un ennesimo nuovo partito, ma a un partito nuovo che sappia proporsi come forza di governo, non arroccato nel proprio settarismo ma disposto anche a confrontarsi e a lavorare insieme col PD e altre realtà, per riguadagnare il consenso della maggior parte degli italiani non rincorrendo la destra sui suoi temi, ma perseguendo modelli alternativi di esistenza e di società, che privilegino l’uomo e l’ambiente rispetto all’economia e alla finanza, in una ritrovata moralità.
    Una delle parole più ricorrenti era “solidarietà”, non vuota espressione retorica ma sincera manifestazione di un bisogno vitale e dell’intenzione di soddisfarlo. La sua etimologia deriva dal latino “solidus”: intero, compatto, consistente. Un legame che unisce, che vincola in solido, in un compatto e massiccio corpo intero fatto di mutui scambi e sostegni, teso a una meta condivisa.
    “Solidale” per assonanza (basta togliere una sillaba) richiama “sodale”, ovvero compagno. E sentirsi ed essere davvero compagni, non solo di nome – come talvolta certe stantie liturgie della sinistra ripropongono stancamente – ma soprattutto di fatto – compagni di vita e di percorso – è alla base di quel rinnovato modello di vita obiettivo di Sinistra Ecologia Libertà, dove continuare a chiamarsi compagni non è per nulla sconveniente – come accade altrove – ma è anzi segno di orgogliosa appartenenza a un comune progetto per il futuro.

    http://www.sinistraeliberta.eu/

    (Ferdinando Bonora)