Categoria: OLI 268

  • OLI 268: VERSANTE LIGURE – Rime spuntate

    Io dico apertamente
    (un eufemismo è meglio)
    e aggiungo assai pungente
    (tacendo qui non sbaglio)
    poi attacco intransigente
    (mi freno, mi sorveglio):
    poesia che è aderente
    alla legge-bavaglio.
    Versi di ENZO COSTA

    Vignetta di AGLAJA
  • Oli 268: MIGRANTI – Un appello disperato dalle carceri libiche

    29 giugno: la rivolta di un gruppo di eritrei rinchiusi nel carcere di Misratah, in Libia, viene sedata con la carica della polizia.

    Come conseguenza, duecentocinquanta persone, migranti in cerca di asilo politico, sono deportate nel carcere di Brak, nel deserto libico, attraverso gli ormai noti carri-container. I profughi eritrei sono sottoposti a trattamenti degradanti e rischiano di essere rimpatriati nel paese d’origine, dove rischiano la vita, oppure di essere dispersi nel deserto (pratica tutt’altro che inusuale per la polizia libica).

    I prigionieri sono riusciti a far conoscere la loro situazione tramite un sms, ripreso poi da L’Unità (2 luglio) “Signore, signori, questo messaggio di disperazione proviene da 200 eritrei che stanno morendo nel deserto del Sahara, in Libia. Siamo colpiti da malattie contagiose, la tortura è una pratica comune e, quel che è peggio, siamo rinchiusi in celle sotterranee dove la temperatura supera i 40°. Stiamo soffrendo e morendo. Questi profughi innocenti stanno perdendo la speranza e rischiano la morte. Perché dovremmo morire nel deserto dopo essere fuggiti dal nostro Paese dove venivamo torturati e uccisi? Vi preghiamo di far sapere al mondo che non vogliamo morire qui e che siamo allo stremo. Vogliamo un luogo di accoglienza più sicuro. Vi preghiamo di inoltrare questo messaggio alle organizzazioni umanitarie interessate” .
    Alcune delle persone rinchiuse a Brak sono tra i richiedenti asilo ricacciati verso le coste libiche durante i respingimenti collettivi, approvati dal parlamento nel 2009.
    Al momento i media continuano ad ignorare la situazione, tranne alcune eccezioni (L’Unità, GR3, RaiNews24 e un trafiletto su Repubblica del 6 luglio). Ma da più parti prendono vita iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica e richiedere l’intervento del governo: la lettera agli italiani di Dagmawi Yimer (tra gli autori di “Come un uomo sulla terra”), l’appello de L’Unità, e quello degli scrittori Lucarelli e De Cataldo, che si conclude così: “Chiediamo, come dicono gli avvocati, «in estremo subordine», di non lasciarli morire”.
    E’ previsto un sit-in giovedì 8 luglio alle 17, davanti a Palazzo Chigi.


    http://www.terrelibere.org/terrediconfine/4025-la-sala-di-tortura-di-brak-l-altro-volto-degli-accordi-italia-libia

    http://www.rainews24.rai.it/it/canale-tv.php?id=19803


    (Eleana Marullo)

  • Oli 268: LAVORO – In attesa di una ondata improvvisa

    Il 2 luglio, durante il corteo per lo sciopero della Cgil, il fenomeno si ripete.
    Ogni volta che incontro persone con cui ho lavorato o che ho semplicemente conosciuto in tanti anni di sindacato, chiedo: “Beh, come va da quelle parti? Raccontami un po’, ormai sono un po’ fuori, questa volta non ho nemmeno partecipato al Congresso …”. In risposta, senza eccezione alcuna, arrivano espressioni di desolazione, stanchezza, disperazione equamente distribuite tra uomini, donne, ruoli più o meno di rilievo (dall’apparato tecnico alle segreterie), settore di attività e adesione all’uno o all’altro dei due documenti congressuali  “globalmente alternativi” su cui si è consumato il congresso della Cgil:  “Non me ne parlare! … beata te che ormai sei libera cittadina … il congresso peggiore che ci sia mai stato … meno male che è finito, più di sei mesi di patimento passati a farci la guerra tra di noi … si è ridotto tutto ad uno scontro di potere, ad una assegnazione di posti … Il clima dei rapporti qui a Genova è un disastro, ma anche altrove non è allegra … A leggere i testi delle due mozioni era dura scegliere tra l’una e l’altra, la questione in gioco era un’altra … cosa ci potevano capire  sui luoghi di lavoro?”.
    Per l’appunto, un giovane amico – delegato sindacale da poco – mi racconta la sua frustrazione e il suo sconcerto: si era messo di impegno a leggersi  per filo e per segno i due documenti (pochissimi, mi dicono, l’hanno fatto),  ed era andato a parlare con sostenitori dell’una e dell’altra parte in competizione,  per decidere a ragion veduta.  Ma appena ha reso esplicita la sua scelta ha visto i compagni dell’”altra” parte  passare istantaneamente dall’affetto seduttivo ad una gelida ostilità.
    Mentre cammino sotto il caldo estivo questi discorsi si intrecciano alle emozioni, ai colori, ai suoni di una manifestazione sindacale folta e partecipata, si scontrano con la speranza che portano in piazza le facce giovani e sconosciute di chi “è arrivato dopo”,  e incrinano la consolazione  di sapere che in questo paese allo sbando una grande organizzazione collettiva di lavoratori ancora c’è, resiste, pensa.
    C’è l’entusiasmo di sapere che tra poco, a dirigere la Cgil nazionale, ci sarà per la prima volta una donna, una che porta nella sua storia l’esperienza femminista del “Coordinamento Donne FLM”,  che nel 2001 ha dato vita al movimento “Usciamo dal silenzio”, che il 24 giugno, a Bologna, nel suo discorso per lo sciopero generale, ha saputo mettere in fila tutte le cose necessarie, e che è anche sufficientemente maschile da aver diretto per anni la Cgil Lombardia.
    Ma Susanna Camusso, anche se non tradisse nessuna delle aspettative che esistono su di lei, non basta per aver ragione del tarlo pericoloso che rode all’interno anche la Cgil, il tarlo che inchioda per mesi questa organizzazione a discutere di questioni invisibili e incomprensibili a chi sta fuori, e che le fa decidere i gruppi dirigenti sulla base di criteri in cui hanno troppo peso alleanze ed ubbidienze.   
    Ci vuole un’ onda giovane, mista tra sessi, nazionalità, età, e tipo di lavoro che arrivi senza preavviso, come quando sei sulla spiaggia con le spalle imprudentemente rivolte al mare, e ti ritrovi di punto in bianco bagnata e gelata dalla testa ai piedi.  
    (Paola Pierantoni)

  • Oli 268: CITTA’ – Ilva: dopo cinque anni tutto da rifare

    4 luglio su Repubblica – edizione Genova, con il titolo “L’accordo di programma va riscritto”, Claudio Burlando dichiara: “L’Ilva ha usato la cassa integrazione fissata dall’accordo di programma anche per estenderlo ad alcuni comparti che con l’accordo non avevano nulla a che fare e questo ha riguardato in particolare l’occupazione femminile e l’ufficio acquisti, che si è scelto di concentrare a Milano. L’Ilva ha fatto questo restando nei limiti dell’accordo, quindi legittimamente, ma bisogna capire i numeri reali degli occupati di Cornigliano”.

    Monitorare i numeri reali di Cornigliano è il nodo che tutti i soggetti coinvolti hanno avuto come obbiettivo per cinque anni.

    Scopo dell’accordo di programma, produrre industria pulita, salvaguardando i posti di lavoro.

    Visto oggi, l’accordo di Cornigliano rimandava all’art. 41 della Costituzione: libertà dell’iniziativa economica privata, utilità sociale, sicurezza, dignità umana, coordinamento dell’attività a fini sociali.
    Nel 2005, ma anche in precedenza, nessuno, oltre Riva, ha presentato un progetto che contenesse tutti gli elementi che l’art. 41 menziona.
    A nessuno interessavano quelle aree perché nessuno si poteva gravare dei 2700 dipendenti che l’Ilva contava allora.
    Le aree, affidate ad altri, potevano generare profitto, ma non posti di lavoro.
    La “vision” dell’accordo è stata quella di contenere insieme impresa e occupazione. In un paese dove l’impresa, se può, produce con livelli occupazionali e tutele ridotte al minimo.
    La politica genovese ha scommesso, ma non ha voluto vedere che chi fa impresa ha come scopo produrre utili. In una condizione di crisi industriale e in assenza di utili chi fa impresa ricorre ad ammortizzatori sociali e riduzione di personale.
    Alcuni aspetti della vicenda, presi per tempo, avrebbero potuto modificare il quadro con il quale le istituzioni hanno a che fare oggi. Uno fra tutti, la crisi che ha dato segnali che andavano oltre il numero di cassintegrati inseriti nell’accordo, inducendo Riva, già due anni fa, a ricorre alla cassa integrazione ordinaria per il personale ancora in forza. Inoltre questioni delicate come la centrale termica, la capacità occupazionale di impianti e uffici non sono state mai visualizzate con la chiarezza necessaria.
    Oggi i possibili rientri in azienda sono accompagnati dalla motivata preoccupazione che siano rientri temporanei. Dopo cinque anni in Comune e Provincia i lavoratori legati all’accordo di programma temono di tornare in una società i cui livelli produttivi non permettono di assorbirli, e vivono il rientro con la paura di essere rimessi in cassa ordinaria.
    In questo caso, assai probabile, cosa propone il presidente della regione Liguria?
    E come si tutelano tutti i dipendenti delle acciaierie?
    Sempre su Repubblica, il presidente della Regione dichiara che ci sono aziende fortemente interessate alle aree come Ansaldo Energia e Asg di Malacalza: ma la parola “aree” non è sinonimo di nuovi occupati.
    Poi invita tutti i soggetti coinvolti a mettersi “attorno a un tavolo” e chiede “al governo di ragionare, partendo proprio dall’accordo di programma”.
    “Lavoriamoci fino a settembre e vediamo se a ottobre, a cinque anni esatti dal vecchio accordo, arriviamo a consolidare una nuova intesa”.
    (Giovanna Profumo)

  • Oli 268: INFORMAZIONE – Partire dalla Cina per raccontare Pomigliano

    Shangai, tanti ombrellini colorati aperti, non per la pioggia ma per il sole, come da consuetudine cinese, sono in attesa all’Expò del padiglione made in Italy magari per assaggiare le lasagne a 14 euro. Intanto a migliaia di chilometri di distanza  si consuma l’ennesimo sciopero dell’Asia operaia, questa volta è il comparto tessile: la produttività  secondo l’Oil (Organizzazione internazionale lavoro, Sole 24 ore del 25 giugno) è cresciuta dell’ 8,7% nonostante la crisi e Pechino impone agli investitori stranieri aumenti dei salari fino al 30% per favorire consumi interni e sicurezza sociale.
    Ne dà notizia giovedi 1 luglio il Tg2 delle 20.30. Non accenna però alla protesta dei lavoratori in Cambogia, Malaysia, Indonesia, Vietnam, Pakistan e India. Le rivendicazioni cinesi stanno sconvolgendo l’altra parte del mondo e i governi asiatici ne sono preoccupati perché non riescono a reggere la  competitività cinese, la più alta in assoluto.
    Nessun cenno della Rai ai suicidi che da mesi avvengono nel megastabilimento di Foxconn, primo focolaio della protesta, dal quale escono i componenti elettronici utilizzati da Sony, Samsung, Nokia o Apple. Monaci buddisti, psicologi, spazi di ricreazione e un milione e mezzo di metri quadrati di reti protettive per impedire ai dipendenti di gettarsi da tetti e finestre (Sole 24 ore, 28 maggio): 420 mila operai, che al 90% hanno meno di 25 anni e che passano dalla catena di montaggio, con turni e controlli estenuanti, ai dormitori, vivendo all’interno di un perimetro di 12 chilometri. Il salario di base è di 900 yuan, circa 110 euro e può raddoppiare con gli straordinari; i lavoratori sono giovani emigrati dalle province più interne del Paese: Foxconn resta per le agenzie di rating “fornitore di alta qualità”, così si pensa a stabilimenti vicino alle terre d’origine per evitare “l’alienazione” di cui, secondo i dirigenti, soffrono i ragazzi-operai. Mentre coetanei più ricchi frequentano corsi di perfezionamento per adeguarsi al futuro mondo dorato che li aspetta.
    Volkswagen ha annunciato investimenti senza precedenti in Cina per un valore globale di sei miliardi di euro, con tre milioni di autoveicoli entro il 2014. Honda, pur di continuare a produrre, ha concesso un aumento salariale del 24%. Così Pepsi e le principali aziende di elettronica. Poco prima di questo servizio, al Tg2, il no di Maurizio Landini, leader della Fiom, all’accordo di Pomigliano, con la richiesta alla Fiat di riaprire le trattative.
    Su Affari e Finanza de La Repubblica del 28 giugno si sottolinea che non è più  solo export, ora si cresce anche grazie al made by italians, ovvero con gli investimenti italiani all’estero, che sono di 32 miliardi, contro nove miliardi di dieci anni fa: delocalizzazioni da Stati Uniti a Romania e Paesi dell’Est, ma anche in Cina con quasi 800 imprese e 85 mila addetti. Fiat dice che i sindacati americani hanno capito.
    Forse a Pomigliano bisognava davvero votare tutti sì al referendum: non solo pensando alla sopravvivenza dei 5mila operai, ai 10mila dell’indotto e ad un territorio degradato. Ma soprattutto per vincolare Fiat ad un impegno vero, senza più le vacche grasse degli aiuti di stato che in questi decenni hanno permesso all’azienda torinese di mettere operai in cassa integrazione e distribuire dividendi. Se n’è fatto una questione di principi, sacrosanti. E dato alibi a Fiat e governo: come passeranno l’estate Vincenzo, Giuseppe e le loro famiglie?
    (Bianca Vergati)

  • Oli 268: SOCIETA’ – La miseria umana che deruba i morti

    Foto: Alisia Poggio

    Pochi giorni fa al cimitero di Staglieno ho visto una donna. Era al campo sedici. Quello dei bambini. Avvolgeva con un grande fiocco di raso rosa la lapide di una bambina. Il gesto era un abbraccio. Come una consuetudine. Era così singolare e improvvisa quella ventata d’amore per il mondo dei vivi che per un po’ non ho saputo esattamente dove collocarla. Continuando nella mia visita la voce di un’altra donna – tono schietto e affabile – mi ha attirata. Ho pensato che parlasse con un funzionario o un addetto del cimitero. Discorreva di cose sue – affatto personali – con una lapide. Congedatasi dal defunto, sulla strada per tornare alle cose della vita, mi ha guardata e, dopo un attimo di esitazione, mi ha detto con un largo, affrettato sorriso: “Devo tornare indietro per fargli ancora una saluto!”. Ha accarezzato a lungo la piccola lapide, mandandole baci, e più serena è andata via.

    Risulta, da recenti articoli di stampa locale e nazionale, che alcuni dipendenti del civico cimitero di Staglieno facessero mercimonio di quel che restava di corpi esumati, spolpandoli di quanto poteva ancora generare reddito: denti d’oro, protesi, anche monili lasciati dalle famiglie ad accompagnare il caro. Altri pare si facessero pagare per accelerare le pratiche di sepoltura. L’inchiesta è in corso.
    Le dichiarazioni dei politici assicurano che si tratta “di casi isolati”. Ma segue a ruota quella riguardante le mense – le mense delle scuole genovesi stanno facendo storia in procura – nelle quali sono sotto inchiesta persone che sottraevano vivande.
    Si tratti di cibo o di defunti, visti da un certa distanza, gli autori di questi gesti segnalano una miseria umana prima che concreta, rispetto alla quale oggi è assolutamente necessario porsi domande.
    Si tratta davvero di casi isolati? E’ la prima domanda che chi ha incarichi in un’amministrazione dovrebbe porsi, alla quale non si deve dare una risposta affrettata
    Cosa sta accadendo in questa città? E’ la seconda.
    Posso porvi rimedio? E’ la terza.
    Staglieno e quanto è accaduto cosa segnala? Si vuole o non si vuole considerare quello che avvenuto come un confine oltre il quale non ci si può permettere di andare? Se viene a mancare il rispetto per quelle due donne e per tutti coloro che nel culto dei morti ancora vivono poca o tanta parte della propria esistenza, cosa ne è del mandato con il quale il cittadino elegge il proprio rappresentante? Fino a che punto – parafrasando Moretti e il suo Caimano – dovremo raschiare il barile?
    (Giovanna Profumo)

  • Oli 268: POLITICA – Gli arabi scoprono una Turchia amica

    Solo dopo l’intensissimo contatto della Turchia con la questione principale dei cittadini arabi, la Palestina, questi ultimi si sono accorti dei cambiamenti che, da almeno quindici anni, coinvolgono la realtà turca. Gli arabi da sempre hanno “un’antipatia” per la Turchia, a causa dei 500 anni di dominio ottomano del loro territorio e per la continua “occupazione” della regione di Iskenderun. Gli islamici arabi, che continuavano a difendere il califfato islamico ottomano, cambiano atteggiamento quando Kamal Ataturk realizza la trasformazione laica della Turchia. All’antipatia di nazionalisti ed islamici si aggiunge quella della sinistra e dei progressisti arabi perché la Turchia fa parte della Nato, perché la sua alleanza con Israele è da sempre strategica e militare e perché ha sempre negato il diritto all’autodeterminazione dei Curdi.    
    Le cose iniziano a cambiare dopo la ferma solidarietà della Turchia ai palestinesi di Gaza durante la feroce aggressione israeliana del gennaio 2009, operazione “Piombo fuso”, dove, secondo l’ONU ed il rapporto Goldstone, sono stati commessi crimini di guerra. Il cambiamento vero e proprio è di questi giorni dopo la solidarietà turca con i pacifisti aggrediti (nove persone uccise) dalla marina israeliana in acque internazionali durante il loro tentativo di rompere l’assedio imposto dagli israeliani alla popolazione palestinese di Gaza (assedio considerato recentemente insostenibile dallo stesso presidente americano Barak Obama). Le foto del premier turco Erdogan sono apparse nelle ultime manifestazioni popolari accanto a quelle dei leader arabi più amati come Nasser ed Arafat, e in certi paesi arabi stanno sostituendo le foto di Khomeini e di Ahmadinejad.        
    La Turchia, paese europeo che fa parte della Nato, governata da un partito di ispirazione islamica che assomiglia a quel che era la Democrazia Cristiana italiana, può mediare tra “occidente” e aspirazioni del suo ambiente mediorientale (al quale sembra rafforzare la propria appartenenza) per una pace duratura nella regione e nel mondo. Occorre però non cadere nella solita trappola dei guerrafondai che hanno già iniziato a diffondere il vecchio disco di una Turchia antisemita, amica degli integralisti e dei terroristi. La trasformazione della Turchia in un altro Iran servirebbe solo a destabilizzare la regione e renderebbe ancora più esplosiva la situazione. Occorre invece che la Turchia faccia al più presto parte dell’Unione Europea.
    (Saleh Zaghloul)

  • Oli 268: PUBBLICITA’ – Un altro punto di vista

    Partendo e arrivando nelle stazioni ferroviarie d’Italia da circa un mese ci si sente inspiegabilmente osservati. Sono esseri viventi, in gruppo o da soli, che ci guardano da cartelloni pubblicitari dallo sfondo cupo, senza ammiccare. Uomini e donne, nudi, o forse cani e gatti per via della maschera che indossano? Nessun golden retriever che ispira tenerezza o mellifluo gatto che annusa un patè raffinato, nessun bikini o jeans attillato in zona pubica, ad ostentare i gioielli di famiglia. Semplicemente, naturalmente nudi. Al punto che ci si sorprende a domandarsi chi guardi chi, animale-uomo, uomo-animale. Un ambiguità che nulla ha a che vedere con i baci saffici di alcune patinate pubblicità, che corre invece sul sottile confine tra uomo ed animale. 

    Si tratta di una campagna pubblicitaria di alimenti per animali firmata da Oliviero Toscani. Forse basta quest’ultimo particolare a dar adito a polemiche, insieme alla nudità dei soggetti fotografati. Il Secolo XIX ha recentemente pubblicato una lettera di un gruppo di studentesse e professoresse dell’Istituto Duchessa di Galliera di Genova, infastidite dall’esibizione strumentale del nudo femminile. Su facebook è apparso qualche sparuto gruppo che si oppone all’oscenità della campagna, il dibattito è poi attivissimo sulla pagina facebook della stessa azienda che l’ha commissionata. 
    Proviamo però a guardare la questione da un altro punto di vista, parafrasando lo slogan di questa pubblicità. Senza chiederci quale messaggio Toscani voglia trasmetterci, se le sue immagini ci piacciano o meno, se siano in linea con il prodotto o ci sia invece una relazione strumental-provocatoria. Domandiamoci la ragione profonda del fastidio che evocano. Difficilmente si potrà ravvisare nell’ostentazione di un corpo nudo, quando ormai curve ed avvenenza, nel bene e nel male, sembrano diventate essenziali elementi del successo in ogni campo. Il turbamento nasce laddove scorgiamo in quei corpi con i volti coperti una naturale ferinità che ci appartiene, ma che rifuggiamo. Perfettamente complementare alla pratica quotidiana dell’umanizzazione degli animali domestici, la ferinità, nella sua accezione positiva, non feroce, è un punto di incontro tra noi e loro, una comunanza sulla quale fondare il rispetto della natura e degli esseri che reciprocamente la abitano. 
    La maturità, non solo sessuale, par essere inversamente proporzionale alla sua esibizione…
    (Maria Alisia Poggio)
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  • Oli 268: PAROLE DEGLI OCCHI – Teste imbavagliate

    Foto e testo: Giorgio Bergami
    E’ il cervello che scatta la fotografia.
    La macchina è il mezzo per vedere meglio, è lo strumento.
    Il bavaglio che vogliono mettere è sui nostri cervelli.