Categoria: OLI 265

  • OLI 265: VERSANTE LIGURE – Destra con destrezza

    Negarlo è assurdo e insano

    (può attivarsi l’Ovra):

    in tasca a ogni italiano

    la destra, d’odio scevra,

    non ha messo la mano

    (ha messo la manovra).



  • OLI 265: IMMIGRAZIONE – I clandestini messicani e la lattuga

    Dalle indagini Demos (Repubblica del 14 giugno) si scopre che ora in Italia l’immigrato fa meno paura: soltanto il 37% degli italiani che ha problemi di lavoro, guarda con diffidenza l’immigrato e pensa che “quello” gli stia rubando il posto. L’Italia è un paese sempre più multietnico, come rileva Istat, con una crescita pari al 7% di stranieri nel 2009 rispetto all’anno precedente. In più l’emigrazione sembrerebbe non conoscere crisi, in Italia come nel mondo. Secondo le tabelle del rapporto della Word Bank Migration and Development, gli emigrati nel mondo, contro ogni previsione e nell’anno della crisi, hanno spedito nei paesi di origine 338 miliardi di dollari. (Il Sole 24 ore del 10 giugno).
    Pur avendo il ciclo negativo del mondo industrializzato causato un rallentamento di nuovi arrivi, non ha scoraggiato quelli già in loco, certi di trovare una situazione migliore comunque rispetto al loro paese e che li convince a resistere per un futuro migliore per i figli. Inoltre la più decisiva spiegazione attiene al tipo di mansioni che generalmente svolge l’immigrato: terziario, operaio, edile, agricolo o servizi alla persona, che risentono poco di fluttuazioni negative del mercato. Una situazione che li rende indispensabili e che per paradosso viene vista da molti disoccupati “locali” come una rendita di posizione.
    Vedi gli operai stranieri nel ricco nordest italiano, pure in crisi.
    Tutto il mondo è paese però. L’Arizona che si lamentava dei clandestini messicani, deve adesso fare i conti con la lattuga.
    La durissima legge contro gli immigrati irregolari, varata il 23 aprile dal governatore repubblicano signora Jan Brewer, rischia infatti di trasformarsi in un micidiale boomerang per la più fiorente e ricca produzione agricola dello stato. In queste terre si coltiva, impacchetta e commercializza, in tandem con la California, il 95% di tutta la lattuga americana. Un primato mondiale di 50mila tonnellate, secondo solo a quello della Cina, che per le tasche dei farmer dell’Arizona vale 1 miliardo di dollari l’anno con manodopera poco costosa e assolutamente insostituibile, i braceros messicani senza documenti.
    Un vero e proprio esercito, stimato dal Department of Labour in 2,5 milioni, fatto di pendolari che attraversano ogni giorno il confine in mezz’ora di bus. Ma, soprattutto, da uno sterminato stuolo di stagionali che da ottobre a marzo, i mesi d’oro della prelibatissima lattuga iceberg, vivono a Yuma e dintorni accampati nelle roulotte appositamente predisposte dai proprietari agricoli. Molti dei quali hanno cominciato la scorsa settimana a protestare contro il provvedimento a loro parere rischioso. Un malcontento raccolto dalla potentissima Western Growers Association, il sindacato del 90% dei produttori agricoli di California e Arizona, secondo cui la messa in fuga della manodopera illegale rischia di mettere in pericolo gran parte della produzione.
    Il lavoro straniero illegale dà una risposta, distorta ma reale, a una domanda del mercato. Settori come l’agricoltura, l’edilizia e, soprattutto, i servizi hanno necessità di personale introvabile sul territorio e che le politiche d’immigrazione anziché agevolare fanno di tutto per ostacolare. In quel caso l’immigrazione clandestina non solo consente enormi guadagni agli imprenditori ma offre ciò che non offre quella legale. Una forma di risposta deviata e alterata just in time alle necessità dell’economia. Che se ne infischia dei rifugiati, dei diritti di quella merce umana, e pronta a non volere la manodopera immigrata quando non serve più: Rosarno, Italia, insegna. Pronta a protestare quando gliela si sottrae.
  • OLI 265: SOCIETA’ – La fotografia in movimento del femminismo islamico


    Le donne col velo pongono un interrogativo continuo con la loro appartenenza religiosa permanentemente dichiarata in pubblico. Un’intera condizione culturale, esistenziale e sociale che rimbalza addosso alle “altre”. Così nelle nostre strade, espresso attraverso i vestiti, si svolge tra donne un confronto muto, monco, ambiguo.

    Sia quindi benedetta Gabriella Caramore che a “Uomini e profeti” (Radio3, sabato 12 giugno) cita il libro “Femminismo islamico. Corano, diritti e riforme” di Renata Pepicelli (Ed. Carocci – 12,5 €).
    Consiglio appassionatamente di leggerlo a chiunque voglia andare oltre la superficie delle differenze visibili, per scoprire quelle invisibili.
    Il libro parla delle trasformazioni del movimento femminista di area culturale islamica negli ultimi vent’anni. Infatti mentre fino agli anni ’80 “le battaglie delle donne si iscrivevano nel solco di un deciso e diffuso laicismo e all’interno di un più ampio progetto di realizzazione, nella regione araba, delle ideologie marxiste e socialiste”, successivamente “molte donne passano dalla critica all’Islam a discorsi di genere basati sulla re-interpetazione del messaggio religioso”.
    Una delle ragioni di questo cambiamento è il riaffermarsi della religione nella sfera pubblica e privata, e la conseguente “islamizzazione” del discorso politico. Per dare una risposta appropriata a questa trasformazione le donne iniziano a rivendicare il diritto di reinterpetare i testi sacri per decostruire le basi della misoginia nell’islam, si incontrano per studiare le sacre scritture senza l’intermediazione maschile, e generano una significativa produzione esegetica dei testi sacri da una prospettiva femminile. L’obiettivo è rompere col monopolio delle interpretazioni maschili, contestualizzare il Corano rispetto al periodo storico in cui è nato, e stabilire la differenza tra ciò che realmente prescrive l’islam da ciò che è invece frutto della tradizione.
    Le donne mettono a fuoco il grande attivismo femminile che caratterizza il primo periodo islamico (‘700), e il netto miglioramento nelle condizioni di vita rispetto all’età preislamica: proibizione di allontanare le donne mestruate dalle loro case, diritto alla eredità sia per le donne che per i bambini, divieto dei matrimoni forzati, condanna dell’infanticidio femminile, imposizione che la dote sia di esclusiva proprietà della donna e non del padre o del fratello, limitazione a quattro del numero delle mogli e introduzione del principio di equità ed eguaglianza nel loro trattamento, in un contesto storico in cui sposare più donne era finalizzato a prendersi cura delle vedove, degli orfani e dei loro beni.
    Il movimento delle femministe islamiche non si sostituisce all’attivismo di genere delle donne che agiscono al di fuori dei rifermenti religiosi, ma si affianca a questo contribuendo a diversificare il panorama delle lotte di genere all’interno del mondo islamico. Dice l’autrice: “Se si volesse provare a fare una fotografia del movimento delle femministe verrebbe fuori una immagine mossa, con persone che stanno per entrare nella inquadratura ed altre che stanno per uscirne. Soggetti nitidi, ed altri no; gruppi di persone e individui isolati. Se già un anno dopo si provasse a fare la stessa fotografia, essa risulterebbe diversa”.
    Fatima Mernissi (www.mernissi.net) osserva che “l’Occidente non è capace di cogliere la complessità del mondo arabo musulmano che è sì attraversato da ondate di maschilismo, ma anche da importanti trasformazioni che stanno riformulando il rapporto tra i generi”.
    Il libro di Renata Pepicelli è prezioso per avvicinarsi a questa complessità. 
  • OLI 265: ECUADOR – Come venire a capo del debito pubblico

    Quando un giorno nei libri di storia sarà necessario spiegare cosa sia successo nel XXI secolo riguardo l’economia e la politica, sicuramente l’Ecuador avrà un capitolo a sé, ricco di trovate intelligenti e di grande effetto positivo per i suoi cittadini. Partiamo dalla modifica alla Costituzione per regolarizzare i rifugiati della guerra colombiana, proseguendo per la nazionalizzazione della produzione delle medicine, per finire oggi con la cancellazione di un terzo del debito estero. Almeno, questo è quello che viene dichiarato in questo video pubblicato su Youtube,

    dove viene proposta l’udienza parlamentare sul debito, con un commento di Alejandro Olmos Gaona, autore del libro “La deuda odiosa” (il debito odioso). Resta solo da vedere il filmato per cominiciare a capire il sistema del debito pubblico, non solo ecuadoriano, e la soluzione proposta d al governo di quel paese.
  • OLI 265: CITTA’ – Le sfortune di Via Puggia

    Progetto sfortunato quello di via Puggia: sfortunato per i residenti s’intende. La delibera è stata licenziata un mese prima della Variante di salvaguardia, che ne avrebbe bloccato il via. Unico aspetto positivo, come oneri di urbanizzazione, la riqualificazione di villa Gambaro. Ora il Tar ha trasmesso alla Procura della Repubblica il provvedimento poichè a suo avviso è stato utilizzato illecitamente il famigerato “trasferimento dei volumi”, troppo favorevole ai privati. Si è demolito a Bolzaneto e dato il permesso di edificare su ex serre in Albaro: si pensi solo alla differenza di valore del terreno.

    Il progetto ridimensionato avrebbe almeno un pregio, rimettere a posto una delle più belle ville della città, molto degradata, creando un accesso per un altro quartiere, S. Martino, che poco verde ha.
    Erano iniziati i lavori, che la sentenza non ha sospeso, ma il Comune sì perchè la Procura sta indagando. Nel frattempo gli attenti abitanti sostengono che il cantiere si sia “un po’ allargato” in villa, circa una decina di metri per quaranta e lo evidenziano con una foto, in cui si vede una grossa radura già decimata di alberi.
    Peccato che la delibera recitasse che il progetto dà l’opportunità di realizzare un percorso – il più diretto possibile… mediante un nuovo viale alberato rettilineo. 
  • OLI 265: CITTA’ – Giugno, dei mesi il più poetico

    Genova, Palazzo Ducale 13 giugno – Festival della Poesia “Il congedo cerimonioso – vita di Giorgio Caproni” foto di Ivo Ruello.

    Un grande fermento poetico pervade Genova e la provincia in queste settimane.
    E’ in corso dal 10 giugno e terminerà il 21 il sedicesimo Festival Internazionale della poesia, con la presenza di “parole spalancate” e sottili da tutto il mondo.
    Da venerdì 11 si sono accese le “voci del Suq” all’interno del dodicesimo Festival delle culture con la loro promessa poetica che attraversa il ribollire di iniziative di teatro, danza, musica, incontri, mercato, cucina. Spanderanno la loro luce fino al 24 giugno e si spegneranno, mostrando la loro natura abbagliante ma provvisoria, perché a Genova il Suq c’è, disseminato e visibile a chi lo vuol vedere, ogni giorno, già da tempo.
    Contemporaneamente l’assessorato alla cultura della Provincia di Genova ha proposto per il mese di giugno la terza edizione a Palazzo Doria Spinola di “Musica e poesie”, che già nel titolo, Sei corde sotto le stelle, posto a guida dei quattro concerti prestigiosi e di alto livello, presenta una carica poetica veramente attraente e invitante.
    Non c’è che dire: un grande fermento, una grande animazione. Per le strade del centro nobile di Genova, per i grandi palazzi dell’anima storica e commerciale della città, per i celebrati Rolli aperti al pubblico anche di notte, per il Ducale che ogni sera intreccia le ombre dei suoi muri e dei suoi colonnati con i poeti del mondo e per il ritrovato Porto Antico, impreziosito dal genio di Renzo Piano che ogni giorno affida al mare e ai suoi venti l’incontrastabile bisogno di incontro fra i popoli.
    E la sera dell’11 giugno, notte della poesia, con il formicolare per il centro storico e nobile della città di poeti, giovani, famiglie, artisti di ogni genere è stato un bell’esempio di circolazione di cultura, di voglia di stare insieme, di buona organizzazione, di atmosfera gioiosa. Senza la buia opacità della notte metropolitana, la paura attanagliante, la sottile angoscia che l’incontro con l’altro potesse in ogni istante attentare alle tue fragilità, nascoste o manifeste.
    Potenza della poesia, della parola libera e giusta, del confronto con le emozioni più autentiche e con la visionarietà umana del passato e del presente.
    E nel frattempo ad Arenzano, in provincia, giunge al traguardo, il 19 giugno all’arrivo della notte, il premio nazionale intitolato a Lucia Morpurgo Rodocanache. Due giorni prima del solstizio d’estate, un’anticipazione della massima estensione della luce, di cui la poesia è sorella e materia.
    Un premio di poesia in cerca di lettori. Questa la formula che si è voluto dare, perché poco si legge la poesia e poco ci si nutre di essa. Il premio di Arenzano giunge a conclusione dopo un anno di lavoro creativo e gratuito.
    Dopo aver colloquiato con Giorgio Caproni che ad Arenzano ha insegnato ed Alda Merini che ad Arenzano ha soggiornato, il momento di maggior significato poetico è stato il lavoro con i ragazzi delle scuole primarie. In undici classi delle scuole elementari e in cinque delle scuole medie sono stati fatti, per alcuni mesi dell’anno, laboratori di scrittura e di avvicinamento alla poesia. Duecentosettantaquattro poesie sono state prodotte e quindici premiate con il contributo attivo dell’Unicef. Tra i premiati un vincitore ucraino e uno ecuadoriano.
    Come si vede un mese di giugno di energia creativa. Una grande semina. Servirà per creare comunità e perché la poesia sia fermento di essa, o per continuare a coltivare orticelli “conclusi” e fine a se stessi? 
    (Angelo Guarnieri)


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  • OLI 265: CULTURA – Pahor, un paradiso di amicizia

    Mercoledì 9 giugno, Palazzo Ducale, sala del Minor Consiglio, Boris Pahor è acquattato muto tra i due presentatori. A lungo annuisce senza intervenire. C’è una pazienza atavica nel suo ascoltare ed anche lui sembra sapere, insieme ai lettori in sala, che questo è il dazio che paga ad esser presentato. Dazio di gratitudine, perché contestualizzazione storica, sintesi della vita dell’autore, desiderio di tenere insieme bilinguismo, persecuzione della minoranza slovena e guerra richiedono passione, tempo e ascolto.

    Quando prende la parola si scopre che Boris Pahor, prima che scrittore, è sloveno. Un bambino sloveno nella Trieste del 1920. La sua minoranza è costretta al silenzio. Non può parlare nella propria lingua. Cancellata l’identità, italianizzati i nomi, costretti i ragazzi in classi esclusivamente italiane. Il razzismo fascista, dice l’autore, si esprime per bocca del fratello di Mussolini: “non c’hanno né lingua, né nazionalità sono come le cimici”. Seicentomila persone, incluisi sloveni e croati dell’Istria devono sparire. Non come gli ebrei, spiega Pahor, ma diventando italiani.
    “Nelle nuove classi ti ridono e ti deridono”. E’ la storia di una schiavitù linguistica e intellettuale. “Non ero solo Boris Pahor, ma la mia generazione. Come farò a diventare italiano per forza? Mi chiedevo. Vengo mandato in seminario. Non sapevo cosa fare di me stesso.”
    In seminario Pahor scopre la volontà di essere fedele alla propria lingua, rimanendo “italiano nella parte esterna”. Poi la guerra. Il diploma classico preso da soldato a Bengasi. Il ritorno in patria e l’8 settembre, il rifiuto di presentarsi e la denuncia. Poi il campo di concentramento Natzweiler-Struthof tra i monti Vosgi, di cui scrive in Necropoli.
    “Sono tornato al campo per il bisogno di poter condividere quello che noi si sperava. Che il mondo, dopo, sarebbe stato un paradiso di amicizia. Ma poi abbiamo avuto le bombe atomiche, il Vitenam, Pol Pot, Sarajevo. Questo campo per me era una cosa terribile. Ero lì per la libertà e la democrazia”.
    A sentirlo parlare si tocca con mano la determinazione a testimoniare e un’energia, a volte ironica, insieme allo stupore che le cose nel mondo non siano andate esattamente come loro speravano. Storia passata ed eventi recenti si intrecciano. A Pahor non scappa nulla. Foibe, comunismo, Tito, Israele, sono osservati da una distanza, novantasette anni, che permette uno sguardo lungo. Anche spietato.
    Per i tedeschi, spiega Pahor, quello che hanno fatto è entrato nella loro coscienza nazionale. In Italia no. Per questo in Germania Necropoli è stato premiato, “lo è stato perché non ha maledetto i tedeschi, ma ha condannato quella parte disgraziata che è stata con Hitler”. Anche la scuola ha le sue colpe: “E’ sempre l’istruzione primaria quella che crea l’uomo, o lo distrugge. O lo crea per il bene. O lo crea per il male”.
    “Presto o tardi” scrive in Necropoli, “lo dovremo trovare un nuovo Collodi che racconti ai bambini la storia del nostro passato. Ma chi sarà in grado di avvicinarsi al cuore infantile senza ferirlo con lo spettacolo del male, e mettendolo al tempo stesso al riparo dai pericoli e dalle tentazioni del futuro?” 

  • OLI 265: LETTERE – Una lenta passeggiata in Via Borzoli

    L’8 giugno di prima mattina un centinaio di persone hanno manifestato con una “lenta passeggiata” sulle striscie pedonali fra Via Borzoli e Via Chiaravagna a Sestri Ponente per protestare contro l’onda massiccia di traffico pesante che assale la sicurezza ambientale delle loro giornate e la salute dei loro polmoni.

    Purtroppo in questo ultimo anno la situazione è peggiorata e chi si trova a subire questi disagi vede con scetticismo alcune iniziative che si sviluppano in città.
    Ci riferiamo per esempio alle Iniziative di Genova per la “Giornata Mondiale per l’ambiente” del 3-5 giugno, iniziativa di per sè lodevolissima ma il dubbio e che l’Amministrazione non veda la città nel suo insieme ma come un tappeto sotto i cui angoli poter nascondere la polvere o qualcosa di più consistente e sgradevole.
    L’angolo in questo caso è il Ponente che si trova a soffrire per le servitù della città.
    Genova è una città che cambia, e come fanno notare alcuni manifesti appesi nelle sue strade, “è proiettata nel futuro” ma questo non è convincente per chi ogni giorno vede peggiorare la vivibilità del quartiere.
    Una città che cambia e guarda avanti deve dare ai cittadini la sensazione che si sta meglio o almeno la sensazione che ci si sta avviando su questa strada.
    Un’altra impressione sgradevole è che le proposte e la protesta che abbiamo messo in atto non trovano ascolto e risposte da parte dell’Amministrazione. 
    (Luisa Campagna – Comitato Lenzuola Bianche)


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  • OLI 265: LETTERE – Prove tecniche di “legge bavaglio”

    “Oggi il Presidente del Consiglio ha intrattenuto i suoi ospiti su una novità del mercato alimentare italiano: dopo un’intera estate di assenza dai banchi dei supermercati come negli espositori dei bar, finalmente oggi la Ramero ha rimesso in circolazione i tanto conosciuti cioccolatini con la ciliegia e l’immancabile liquore, che fanno tremare le diete delle signorine e allungare il dito indice dei bambini quando lo chiedono alla mamma. Le confezioni, rivela una fonte sicura di Palazzo Chigi, sono le stesse dell’anno scorso. I famosi cioccolatini erano stati ritirati nel periodo estivo in quanto destinati ad un mercato più freddo, sostituiti da nuovi prodotti più facilmente vendibili con il caldo e desiderosi di ‘farsi spazio’ nelle preferenze degli italiani. L’opposizione si è subito scaldata asserendo come ‘non sia vero che le confezioni siano le stesse dell’anno scorso e anche il peso sembra essere diminuito di qualche decimo di grammo’, il che co rrisponde a realtà ma solo ‘in conseguenza di un minore apporto alcoolico concordato con il Ministero della Salute’, asserisce la casa produttrice: è stato fatto per chi si mette alla guida.

    “Emergenza afa: in Parlamento si cambiano i condizionatori, i vecchietti vanno al supermercato.”
    “Indagine di Report: ma quanto son tettòne le tèttoni?”
    Lo so che può sembrare un pò pazzo inviare una lettera come questa a OLI, però sarà meglio che ci abituiamo a questo tenore di notizie perché con la nuova normativa sull’editoria questo è quello ci aspetta, più o meno. Il buon Pasquale Cafiero che trovava “20 notizie 21 ingiustizie” nella celebre canzone di De André, può finalmente smettere di fare il caffè a don Raffaè, le notizie non ci saranno più. 
    (Stefano De Pietro)


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