Categoria: Eleana Marullo

  • OLI 429 – MIGRANTI: Il walzer spietato da Ventimiglia al sud, a tempo di Migration compact

    OLI 429 – MIGRANTI: Il walzer spietato da Ventimiglia al sud, a tempo di Migration compact

    Cosa hanno in comune l’inizio dellla stagione balneare nell’estremo ponente ligure, l’insolita quantità di forze dell’ordine alla stazione Principe e la presentazione del Migration compact a Strasburgo? Se si avesse la pazienza di tessere insieme la topografia definita da questi luoghi, salterebbe agli occhi una linea che parte dalla stazione di Genova, arriva al confine di Ventimiglia per poi ripartire, alla volta dell’aeroporto Colombo di Genova, ed arrivare nel sud dell’italia.
    Ma partiamo dal principio, o da uno dei principi. La situazione dei migranti accalcati a Ventimiglia sta diventando sempre più conflittuale. La Lampedusa del nord, il luogo in cui si accalcano i migranti che hanno come meta altri paesi d’Europa e non vogliono quindi essere costretti a rimanere in Italia, cerca soluzioni per dare una sistemazione ai migranti, che al momento hanno trovato rifugio sulla spiaggia alla foce del Roja e nella chiesa di Sant’Antonio ma che presto saranno trasferiti al centro sportivo PalaRoja, convertito in un centro di accoglienza provvisoria.
    Ma la stagione balneare si avvicina e si cerca una soluzione per effettuare una operazione di “whitewashing” in vista dell’arrivo dei turisti.
    Quindi, ormai da poco più di una settimana, sono iniziati dei veri e propri rastrellamenti a Ventimiglia che si concludono con la raccolta di un numero di migranti pari a quelli che possono essere accompagnati su un pullman, ciascuno accompagnato da un poliziotto.
    I rastrellamenti non avvengono soltanto a Ventimiglia, ma anche alla stazione di partenza: la stazione di Genova Principe in questi giorni presenta un affollamento inconsueto di forze dell’ordine, che effettuano controlli mirati (e selettivi) sulle persone per rastrellare i migranti in partenza per Ventimiglia. Controlli a tappeto anche sui treni. diretti verso la frontiera.
    Torniamo a Ventimiglia: una volta riempiti, i pullman partono alla volta dell’aeroporto di Genova. Ai migranti vengono sequestrati i cellulari, affinché non possano informare sulla destinazione. A Genova i pullman arrivano dall’autostrada direttamente sulla pista, le operazioni sono fatte in sordina, lontano dai passeggeri comuni in arrivo o in attesa di imbarcarsi.
    Quindi i migranti vengono trasbordati sul bus interno dell’aeroporto dove vengono perquisiti e poi caricati sull’aereo. I vettori sono charter della Bulgarian Air o di Mistral Air/Poste Italiane, la destinazione il sud Italia. Arrivati qui, ritornano al punto di partenza, cioè negli hot spot dove erano in alcuni casi pochi giorni prima, e cercano nuovamente di raggiungere Ventimiglia, in un disperato movimento perpetuo.
    A chi giova trattenere in questo grottesco balletto persone che vorrebbero soltanto essere libere di lasciare l’Italia?
     I costi di queste operazione, tra mobilitazione delle forze dell’ordine, i trasferimenti e la gestione dei centri di identificazione, sono altissimi per l’Italia. I costi umani per persone, già sradicate dalla propria vita e spesso in fuga da pericoli che ne minacciano la sopravvivenza, sballottate come pacchi e private della libertà personale, sono inimmaginabili.
    Forse queste operazioni vanno lette alla luce della recente presentazione del Migration Compact, il piano UE per l’immigrazione, che prevede la stipula di accordi con i paesi di provenienza, in particolare con Etiopia, Eritrea, Niger, Nigeria, Mali, Libano e Giordania.
    Gli accordi, formulati sul modello di quelli già stipulati con la Turchia e con la Libia prevedono il ritorno dei migranti nei paesi d’origine. Spesso però i paesi da cui i migranti scappano sono retti da regimi dittatoriali e repressivi, finanziati dai soldi europei purché si riprendano le persone fuggite. Che il walzer Ventimiglia – Genova – Sud Italia sia il preludio dell’”Aiutiamoli (a morire) a casa loro”?

    (Eleana Marullo)

  • OLI 429: (BUONA?) SCUOLA – La triste parabola dei docenti potenziati, da risorse a tappabuchi

    OLI 429: (BUONA?) SCUOLA – La triste parabola dei docenti potenziati, da risorse a tappabuchi

    Lo scorso autunno quarantottomila precari sono entrati in ruolo a ricoprire, per la prima volta, il ruolo di “organico di potenziamento”.
    Cosa significasse, nel momento in cui hanno preso servizio, non lo aveva ben chiaro nessuno. Non lo sapevano loro, che arrivavano ad anno iniziato spesso da migliaia di chilometri di distanza, così come non lo sapevano i dirigenti, che si sono trovati nuovo personale da gestire quasi piovuto dal cielo, a volte non corrispondente alle classi di insegnamento di cui avevano fatto richiesta. Neppure il Contratto Nazionale di categoria prevede ancora la figura dell’organico di potenziamento, quindi non ne definisce espressamente compiti o mansioni
    L’anno scolastico è quasi finito, ormai: i giorni sono trascorsi eppure il mistero è rimasto nella maggior parte dei casi irrisolto: di cosa dovrebbero occuparsi i docenti di potenziamento? Come mai stazionano in sala professori, o vorticano tra una classe e l’altra?
    Nell’idea della legge, gli obiettivi didattici dei docenti di potenziamento sono nobili e a largo spettro di interventi. La legge li elenca puntualmente: la valorizzazione e il potenziamento delle competenze linguistiche, dell’italiano, inglese e delle altre lingue dell’Unione europea, il potenziamento delle competenze matematico-logiche e scientifiche, della pratica e della cultura musicale, dell’arte e della storia dell’arte, del cinema e dei media di produzione o diffusione delle immagini e dei suoni. Nella legge 107/15 ( ecco il riferimento al testo della Buona Scuola riportato sulla Gazzetta ufficiale: http://goo.gl/20xLCs ): si auspica il coinvolgimento di musei ed altri istituti pubblici, lo sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva e democratica, il rispetto della legalità e della sostenibilità ambientale, la prevenzione della dispersione scolastica e del bullismo, l’alfabetizzazione all’arte, l’incremento dei progetti di alternanza scuola-lavoro, l’apertura pomeridiana delle scuole, l’alfabetizzazione dell’italiano come lingua seconda, lo sviluppo di uno stile di vita sano.
    Le intenzioni dunque sono encomiabili e permetterebbero molteplici interventi.
    In realtà, le scuole, nel momento in cui si sono trovate a ricevere i docenti di potenziamento, non erano pronte, non c’erano progetti  mentre le linee guida della legge 107/15, che permettono di utilizzare i docenti in “autonomia” per le supplenze brevi, hanno avviato la pratica di usare l’organico di potenziamento quasi esclusivamente come tappabuchi, girovago di classe in classe, per coprire le assenze dell’ultim’ora ad opera dei colleghi.
    Quindi, in sostanza, in grande percentuale, l’organico di potenziamento è rimasto a bivaccare per i corridoi o nelle sale professori, mortificato nell’attesa di “poter tornare utile” e percependo, comunque, lo stipendio seppure costretto nella frustrante sensazione di far nulla. Talvolta la partecipazione a progetti è stata anche limitata dal desiderio, da parte della dirigenza, di avere a disposizione persone sempre libere, che potessero far risparmiare le supplenze dell’ultima ora ai colleghi di ruolo.
    Anche il Ministero ha recepito il malcontento e la cattiva gestione dell’organico potenziato ( Orizzonte scuola: http://goo.gl/TsSENl ), che ha portato frustrazione tra i neoassunti e massiccio, inutile spreco di soldi pubblici, impiegati nello stipendiare persone che poi, per incapacità, volontà o forza maggiore, sono state lasciate per lo più inattive (Orizzonte scuola: http://goo.gl/ZSm9Dn ).

  • OLI 428: (BUONA?) SCUOLA – Countdown per il concorso che non vuole nessuno

    OLI 428: (BUONA?) SCUOLA – Countdown per il concorso che non vuole nessuno

    Perché i meccanismi di assunzione dovrebbero interessare tutti, e non solo la scuola? I dipendenti della scuola sono tanti: il numero preciso è difficile da reperire. Una rilevazione del 2012 ne conta un milione 43mila, una del 2013 963mila: le stime oscillano ma approssimando si può affermare siano circa un milione di persone.
    La scuola è un argomento che tocca trasversalmente tutta la popolazione, che ci è passata in età di formazione e che ci si rapporta quotidianamente seguendo i propri figli: per questo motivo il reclutamento degli insegnanti non dovrebbe rimanere soltanto un argomento per specialisti del settore.
    Eppure la riforma ed il dibattito intorno alla legge 107/2015, meglio nota come “La buona scuola” passa poco sui mezzi di informazione. Al contrario, sui blog del settore il confronto è acceso e specialistico, poco digeribile per chi non è pratico della materia.
    In poche parole: la notizia recente è che sono uscite le date del concorso per l’immissione in ruolo dei docenti: tra il 28 aprile e il 31 maggio le prove scritte impegneranno circa 200mila partecipanti (per un totale di 63mila posti).
    Ma il concorso, in realtà, non lo vuol quasi nessuno: non lo vogliono i docenti abilitati che lavorano da anni e che hanno pagato caramente, in termini economici e di impegno, la propria abilitazione. Non lo vogliono i non abilitati, esclusi dalla possibilità di parteciparvi. Non lo vogliono, pare, neppure i docenti chiamati a lavorare nelle commissioni d’esame con compensi risibili.
    Vediamo le ragioni nel dettaglio:
    A questo concorso potranno partecipare soltanto coloro che sono stati abilitati. Questo può essere avvenuto tramite diversi canali: la frequentazione di una scuola di specializzazione per l’insegnamento superiore, che è stata attiva tra il 1999 ed il 2009, il percorso del “Tirocinio Formativo Attivo”, noto anche con l’acronimo TFA, che ha sostituito la scuola di specializzazione, oppure il conseguimento di una laurea abilitante in scienze della formazione primaria.
    Quindi il concorso è stato indetto per valutare docenti che hanno superato un concorso per accedere all’abilitazione, sono stati formati dallo Stato in ambiti identitici ed hanno sostenuto un esame di abilitazione sulle stesse materie del prossimo concorso.
    Inoltre, ai docenti abilitati che hanno più di 36 mesi di lavoro alle spalle e che non dovessero passare il concorso non potranno più essere proposti contratti a termine: quindi sarà impossibile farli lavorare ancora nelle file del precariato scolastico, mettendo in atto una sorta di licenziamento di massa.
    I supplenti della cosiddetta “III fascia”, precari tra i precari, che non sono ancora abilitati, non potranno accedere al concorso e non hanno ancora notizia certa se saranno attivati a breve percorsi abilitanti per la propria materia di insegnamento.
    I docenti, che hanno creato un movimento contro il concorso,  hanno poi chiesto la solidarietà dei colleghi chiamati per la loro valutazione, denunciando il compenso irrisorio stabilito (circa 250 euro in totale, quindi circa 50 centesimi/ora) ed invitandoli a ritirare la propria candidatura.
    Quindi, a ormai poche settimane dall’inizio del concorso, la situazione è ancora burrascosa, come d’altronde si prevede che sarà l’inizio del prossimo anno scolastico.

    È stata lanciata una petizione ondine contro il “Concorso truffa” (reperibile qui https://www.change.org/p/stop-al-concorso-truffa-gli-italiani-devono-sapere-matteorenzi-stegiannini). Inoltre dal 7 aprile è in corso la raccolta firme per il referendum abrogativo de “La buona scuola”, che si prolungherà fino al 7 luglio.
    (Eleana Marullo)

  • OLI 412: CULTURA – Perché Tripadvisor boccia il Museo Lombroso?

    Il Museo di antropologia criminale Cesare Lombroso, a Torino, racconta la storia delle teorie dello scienziato che studiò genio, follia e delinquenza con la convinzione di poter riconoscere i tipi umani attraverso il metodo sperimentale, con misurazioni e rilevazioni morfologiche del corpo.
    Le teorie, superate, dello studioso, sono affrontate criticamente nel percorso museale: si  evidenziano sia i caratteri del metodo lombrosiano che gli errori che commise, mettendo in luce le conseguenze che ne derivarono.
    Nella sala principale campeggia lo scheletro di Lombroso stesso, che, a dimostrazione dell’immensa fiducia che aveva nella scienza e nel suo metodo, lasciò come ultima disposizione testamentaria quella di essere esposto al pubblico, insieme alla serie di reperti raccolti nel corso della sua ricerca.
    Alla fine dell’esposizione alcuni pannelli aiutano il visitatore a contestualizzare storicamente ciò che ha visto e a riportarlo al presente, illustrando le evoluzioni legislative e gli avanzamenti metodologici della criminologia.
    L’esposizione può non essere adatta ad ogni pubblico ed ad ogni età, per via della materia trattata e dell’impatto visivo che crani, calchi e maschere di cera dei condannati, insieme ad armi e corpi del reato possono generare.
    Eppure la pioggia di commenti negativi che il museo ha ricevuto su Tripadvisor ha ben altra origine: la maggior parte delle critiche accusa il museo di razzismo nei confronti dei caratteri fisiognomici del Meridione e ne reclama la chiusura immediata.
    Quel che appare chiaro è che, nei visitatori che si sono espressi in questo modo, non esiste la percezione della distanza storica che separa l’osservatore dall’oggetto rappresentato.
    La coordinata temporale viene completamente ignorata e non compare alcuna consapevolezza del fatto che sia trascorso più di un secolo e mezzo di scoperte e innovazioni scientifiche dalla formulazione delle teorie lombrosiane.
    L’osservatore partecipa dell’oggetto osservato e qualsiasi tentativo di comprensione (questo dovrebbe essere lo scopo di un museo) muore sul nascere, alla mercé di pulsioni emotive e giudizi di pancia. Manca quella che potrebbe essere definita “la prospettiva etica”: in antropologia il termine “emic” si riferisce al punto di vista degli attori sociali, alle loro credenze e ai loro valori, “etic” al contrario attività riferimento alla rappresentazione dei medesimi fenomeni ad opera del ricercatore o osservatore esterno.
    Per visitare un museo è necessario uscire dalla “prospettiva emica” e riconoscere la distanza storica che separa dall’idea rappresentata, con un’operazione concettuale che, rendendoci estranei ad essa, ci permette di comprenderla appieno.
    Qual è il rischio di approcciarsi alla storia senza avere l’idea della distanza e privi di una “prospettiva etica”, da osservatore esterno? Si finisce, in questo caso, a prendere di mira un museo che assolve degnamente al compito di offrire una testimonianza storica.
    Ma si rischia anche, in altri contesti, di divenire manipolabili alle strumentalizzazioni storiche che quotidianamente ci vengono propinate.
    Possiamo chiedere la chiusura di tutti i luoghi che ricordano lati oscuri della storia dell’umanità, da Buchenwald ai musei della “stregoneria”, oppure possiamo comprendere, capire, apprendere: bisogna scegliere se affidarci agli umori di pancia oppure al senso critico.
    (Eleana Marullo – foto dell’autrice)

  • OLI 389: CITTA’ – Dieci anni dalla morte di Albert Kolgjegja

    L’8 novembre cade il decennale della morte di Albert Kolgjegja. Una targa all’interno del Galata – Museo del mare, ricorda l’operaio albanese che perse la vita nel crollo delle solette di cemento dell’edificio, nel cantiere che lavorava per concludere i lavori per l’inizio del 2004, e per Genova capitale europea della cultura.

    Albert aveva trent’anni ed era figlio del medico di Lura, ma aveva deciso di non seguire la strada del padre per non gravare sulla famiglia durante gli studi. Aveva passato la frontiera attraverso la Grecia ed era arrivato in Italia da Corfù, dopo aver pagato tre milioni di lire agli scafisti.
    Dal 2000 aveva deciso di vivere a Genova, dapprima lavorando nei cantieri stradali (di notte, però: essendo clandestino, la ditta che lo aveva assunto pensava fosse più prudente), poi – una volta ottenuto il permesso di soggiorno – come muratore nei cantieri edili.

    Albert aveva iniziato a lavorare al Galata, attraverso la Impreval, ditta bergamasca che aveva in subappalto cantieri della Carena e della Cemedile. La Impreval, grossa azienda con cinquemila dipendenti, aveva molta fretta di finire. Per trovare operai e terminare il lavoro, raccontò uno dei colleghi di Albert, non andava per il sottile: “Lavoravamo senza sicurezza e in nero, a sei euro l’ora, ci chiedevano solo la fotocopia del permesso di soggiorno. Se ce l’avevi, potevi lavorare, non ti chiedevano altro”. “Volevano accorciare il tempi, abbiamo disarmato la soletta troppo presto, il cemento era ancora fresco”.

    Albert quindi da Lura in Albania finì a lavorare a 6 euro l’ora in nero al Galata, fino a che una mattina (era un sabato) un ammasso di cemento e macerie lo seppellì. Il suo regolare contratto di lavoro gli fu spedito il 10 novembre 2003, due giorni dopo la sua morte.
    Tanti altri operai rimasero feriti, ma fuggirono dopo l’incidente e si fecero medicare in incognito negli ospedali genovesi.
    Ci furono numerosi indagati, fu nominata una commissione d’inchiesta e designato un commissario straordinario per la lotta al lavoro sommerso.

    Il Galata fu inaugurato a fine luglio 2004: oggi ospita anche il Mem, museo delle migrazioni.
    Una cerimonia al MuMa ricorderà il decennale, l’8 novembre alle 18, alla presenza del console onorario d’Albania.

    (Eleana Marullo)
  • OLI 387: CITTA’ – Ripensare via Cornigliano, tra boulevard e fruttivendoli

    Il 18 febbraio al Centro civico di Cornigliano cittadinanza e istituzioni si sono riunite in assemblea pubblica, per  l’incontro “Cornigliano cambia faccia”, sul concorso di idee per il rinnovamento di via Cornigliano. Al tavolo il Comune, il Municipio, Società per Cornigliano, in platea un pubblico vociante e numeroso.
    Il direttore di Società per Cornigliano Da Molo ha illustrato il concorso dal punto di vista dell’ente finanziatore. Compresa nell’ambito degli interventi previsti dall’Accordo di Programma, la riqualificazione passerebbe attraverso la trasformazione della via da arteria di attraversamento della città (il 96 percento del traffico attuale è di transito), a strada cittadina, in cui la gente ami fermarsi, passeggiare e fare acquisti. I criteri adottati dalla commissione per la scelta del progetto vincente saranno esplicitati nel Documento preliminare alla progettazione, che dovrebbe guidare il lavoro dei candidati.
    Il progetto dovrebbe – idealmente – perseguire la creazione di un’identità per la via. D’altra parte, le istanze raccolte dal municipio e recepite nel definire i criteri di valutazione sono molto pratiche: riduzione a due corsie nel tratto centrale della via (da via D’Acri a via Dufour), ampliamento dei marciapiedi per rendere più agevole il transito pedonale, eliminazione totale dei sottopassaggi, un numero limitato di parcheggi lungo la via per incentivare le attività commerciali, e la creazione di una pista ciclabile. Le opzioni possibili  per l’allargamento dei marciapiedi, saranno – continua ad illustrare Da Molo – una soluzione “a boulevard”, come Parigi, con corsie a centro strada e marciapiedi larghi ai lati, oppure una soluzione a “rambla” come Barcellona, con corsie laterali ed isola pedonale al centro. Il dato sulla consistenza finanziaria del progetto viene scomposto in una sorta di espressione matematica: 800 metri, di lunghezza del tratto di strada interessato per 20 di larghezza, per una superficie di 16mila metri quadrati; ogni metro quadrato ha un costo parametrico di 280 euro.
    Facendo due calcoli, si arriva quasi a cinque milioni di euro.
    Chiuso l’intervento del direttore di Società per Cornigliano, si alzano dal pubblico le prime voci. Prima qualche perplessità sull’avanzamento dei progetti in corso “Ma la strada di scorrimento a mare è ferma? Abbiamo sentito che ha avuto qualche problema a raccordarsi col ponte…”, poi in molti si soffermano sul tessuto commerciale di Cornigliano, impoverito e decaduto: soltanto negozi di frutta e verdura. “Ma avete contato quanti sono, dall’inizio alla fine della strada? Più di quindici, senza contare le traverse…”, con le cassette che, centimetro a centimetro, invadono il marciapiede, si allargano dalla superficie concessa e contendono lo spazio risicato ai pedoni, mentre i vigili fanno quotidianamente il giro e verificano di quanto zucchine e peperoni abbiano sforato dallo spazio concesso. Voci di disparità geografiche che diventano disparità sociali “Nella parte bassa l’Amiu non passa abbastanza. Noi che viviamo nella Cornigliano bassa vogliamo vivere dignitosamente come gli altri”. C’è il consigliere municipale che fa presente alle autorità che non serve una strada in mezzo al deserto, se a Cornigliano ci sono ancora i fangodotti ed il depuratore continua ad appestare l’aria. E quando Bernini afferma che la procedura di spostamento del depuratore è in atto, si leva un coro unanime “Sono dieci anni che lo dicono!”.
    Qualcuno chiede i tempi: si parla del 2015, sia per i tempi necessari al concorso, sia perché prima deve essere conclusa tutta la viabilità a mare, per poter lavorare senza soffocare il traffico della città. C’è chi conclude “Ci hanno sempre tolto…abbiamo avuto un passato, abbiamo un presente…”, il futuro rimane ancora difficile da immaginare.
    (Eleana Marullo – foto dell’autrice)

  • OLI 385: INFRASTRUTTURE – Cornigliano tra illusione e realtà

    La notizia è che l’Unione europea ha dato il benestare ad un progetto di cabinovia che colleghi la stazione ferroviaria all’aeroporto Cristoforo Colombo. A basso impatto ambientale, formata da vagoncini da 10 posti, capaci di portare 4mila persone all’ora, in un minuto e mezzo da stazione ad aeroporto, in tre minuti fino agli Erzelli. La stazione che verrà collegata non sarà quella attuale, di Cornigliano (che, secondo il progetto, verrà trasferita più a levante, nella zona di villa Bombrini), ma una nuova stazione all’altezza di via Siffredi. Il finanziamento dovrebbe ammontare intorno al milione e 100 mila euro (La Repubblica – Genova, 10/7/2013). La Società per Cornigliano (Regione 45%, Comune 22,5%, Provincia 22,5%, Ministero del Tesoro 10%), tra i proponenti, ha in progetto, come si legge sul sito, anche il collegamento dalla strada a mare (in corso di realizzazione, vedi OLI 379) allo snodo autostradale di Genova Aeroporto (costo del progetto: 22 milioni di euro, che devono essere finanziati da Società per Cornigliano, a partire dalle risorse previste dall’Accordo di programma del 2005). Questo sarebbe il cosiddetto “lotto 10”, costituito da due rampe a due corsie, che dovrebbero scavalcare la ferrovia e collegare all’aeroporto (e all’autostrada) senza interferire col traffico cittadino.
    Accanto alla Cornigliano dei desideri – in cui le cabine oscillano leggere sullo sfondo del cielo, verso l’aeroporto e oltre – ce n’è un’altra, che si presta molto meno come argomento da affrontare in vista delle prossime tornate elettorali (OLI 384).
    Se si prova a snobbare il volabus e salire all’aeroporto a piedi da via Cornigliano, le condizioni del tragitto

    sono pessime. Nel primo tratto, sulla rampa d’accesso, tra i rifiuti e le carcasse abbandonate, ci sono da qualche mese alcuni camper di nomadi, che vivono in condizioni disastrose: le vetture sono parcheggiate – in pieno sole sotto la calura estiva – da entrambi i lati della strada, e lo spazio vitale delle persone che vi abitano coincide con la carreggiata, che i veicoli attraversano a velocità sostenuta. Poco oltre, lo spazio pedonale si restringe sempre più, per arrivare a scomparire all’altezza dello Sheraton. Un’aiola, poco prima di arrivare alla rotonda di fronte all’hotel, ospita le lapidi commemorative di qualcuno che, forse, nel tentativo di arrivare lì a piedi ci ha lasciato la vita.
    Altra notizia poco preelettorale, già di qualche mese (fine febbraio 2013) ma poco battuta dai media locali, è il rinnovo fino al 2018 della concessione a Spinelli dell’area adibita al deposito dei container vuoti : 67mila metri quadrati. Con un aumento (da 3 a 4 euro per metro quadrato) e la minaccia di elevate penali in caso di ritardo, i container, che dal 2006 sono nella zona di Cornigliano, originariamente destinata a spazio per la cittadinanza, eclisseranno la vista sul mare ancora fino al 2018 (Il Corniglianese, aprile 2013).

    (Eleana Marullo – foto da internet)
  • OLI 384: AFRICA – I governanti esiliano i giovani (ma comprano case in Europa)

    Il 1960 è l’anno di indipendenza per la maggior parte dei paesi africani, dopo molti anni di colonizzazione. Da allora, molti dei paesi africani sono rimasti com’erano prima dell’indipendenza. Eppure il continente possiede enormi ricchezze: oro, diamanti, ferro, per citarne alcune.
    Ma questo vecchio continente ha seri problemi di sviluppo.
    E’ questo che spinge i suoi giovani ad espatriare verso l’Europa e ad imbattersi in enormi problemi: alcuni prendono le canoe per raggiungere l’Europa, perdendo la vita in mare.
    Se l’Africa fosse stata ben governata, i suoi giovani non avrebbero bisogno di lasciarla ma, purtroppo, non è questo il caso. E’ l’ora che i governanti sappiano che l’Africa non appartiene a loro ma ai suoi figli. I governanti devono fare in modo che i giovani africani rimangano nei propri paesi. Per farlo, si devono utilizzare le risorse del continente per servire il paese, creando lavoro per i giovani. Ma la maggior parte dei governanti usa la ricchezza per il profitto della propria famiglia. Alcuni comprano grandi case in Europa o in Asia.
    Quando l’Africa uscirà da questa dittatura, che continua a crescere, allora i giovani sapranno che l’Africa appartiene a loro e prenderanno in mano il destino del continente. La ricchezza, l’intelligenza, la capacità e la forza intellettuale non sono utilizzate, di chi è quindi la colpa?
    (Moustapha Niang – traduzione Eleana Marullo – foto Giovanna Profumo)

  • OLI 381: INFRASTRUTTURE – Dal tunnel al nodino, San Benigno “ostaggio” della Gronda?

    San Benigno: come sarà dopo i lavori
    (da www.infrastrutture.regione.liguria.it)

    Il nodo viario di San Benigno è un punto nevralgico per la viabilità cittadina, anche per la promiscuità tra traffico urbano e merci, e fin dal 2002 in città se ne parla, si discute, si ipotizza.
    Il tunnel subportuale, progettato nel 2003 su richiesta della società Tunnel di Genova S.p.A. (formata da Comune di Genova, Autorità Portuale di Genova e Cassa e Depositi e Prestiti), prevedeva un passaggio sottomarino, che collegasse il nodo viario di San Benigno con la zona della Foce, presso Calata Gadda.
    Nel progetto originario, il tunnel doveva essere costituito da “due gallerie circolari e parallele lunghe 720 metri” fino ad una profondità di 35 metri; ogni galleria, secondo il progetto, avrebbe dovuto avere tre corsie, ciascuna larga 3,75 metri (come si legge sul portale della mobilità in Liguria).
    A dicembre 2005, dopo 31 mesi di attesa, il progetto venne approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici ma rimase fermo, in attesa dell’approvazione del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica).
    Nel 2008, dopo quasi 3 anni di attesa in cui il tunnel ormai era opera certa (nel 2006 il ministro per le Infrastrutture Di Pietro discuteva già della pianificazione e redistribuzione dei pedaggi), l’Anas divenne capofila del progetto.
    Bisogna aspettare ancora qualche anno per avere novità nell’avanzamento del progetto: dopo l’ingresso della Società autostrade (Anas), il destino del nodo di San Benigno e del tunnel sotterraneo si legano indissolubilmente a quello della Gronda.
    Nel 2010, per l’esattezza dopo la conclusione delle elezioni amministrative regionali, si viene a conoscenza che il progetto è saltato e che il nodo di San Benigno è diventato un “nodino” (http://genova.repubblica.it/cronaca/2010/04/02/news/fondi_tagliati_progetto_congelato_c_era_una_volta_il_tunnel_sotto_il_porto-3080988/), limitandosi ad una doppia rampa con due rotatorie, mentre il tunnel sotto il porto è scomparso del tutto dai progetti della Spea, Società di progettazione di Autostrade. Il risparmio sulla viabilità di San Benigno e sul tunnel sub portuale “dovrebbe”, secondo l’articolo citato, essere tenuto da parte per la Gronda. In seguito alla modifica di progetto, la Tunnel spa viene messa in liquidazione, e lo è tutt’oggi.
    Ma il tunnel sotto il porto non è destinato a sparire dalle cronache cittadine: ad ottobre 2012 il sindaco Doria e il presidente dell’Authority Merlo riprendono il progetto e si dichiarano d’accordo sulla ricerca di possibili investitori europei (http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2012/10/13/APRfOJhD-uffici_telepass_risorgere.shtml ); poco dopo, Doria si reca a Roma per discutere del tunnel subportuale presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e per discutere con l’a.d. di Autostrade per l’Italia, Castellucci, delle questioni in sospeso, tra cui il progetto Gronda (http://genova.repubblica.it/dettaglio-news/19:25/4285762).
    Nel frattempo, al tunnel ed al nodo sopravvive il “nodino” di San Benigno, il cui progetto è approvato nel luglio 2011. I lavori stentano a partire, anche perché la società Autostrade sembra temporeggiare per attendere l’esito della valutazione di impatto ambientale sulla Gronda, tanto da suscitare la risposta di Bernini, vicesindaco “Per noi il progetto nodo è fondamentale. Occorre realizzarlo subito perché è coerente al trasferimento della viabilità sulla nuova strada a mare, su Lungomare Canepa e sulla sopraelevata…Siamo stufi del gioco che sta conducendo Autostrade. Siamo di fronte ad un’evidente volontà di rallentare le cose. Non sta in piedi chiamare in causa le nuove norme previste dal Decreto Sviluppo per giustificare il ritardo nell’avvio dei lavori” (http://genova.erasuperba.it/inchieste-genova/nodo-san-benigno-ritardo-avvio-lavori-comune-genova-contro-autostrade) .
    Ma veniamo ad oggi. Di pochi giorni fa è la notizia che la realizzazione del primo lotto dei lavori a San Benigno è stata finalmente affidata a Pavimental, società controllata da Autostrade per l’Italia, e che i lavori dovrebbero partire durante l’estate (http://www.genova24.it/2013/06/nodo-san-benigno-in-estate-i-cantieri-del-primo-lotto-seconda-fase-ancora-da-approfondire-51835/ ). Il primo lotto prevede sistemi di accesso alla sopraelevata, rotatorie e rampa di accesso su via Milano: dopo più di un decennio di attesa e grandi aspettative, la città avrà finalmente il suo nod(in)o di San Benigno.
    (Eleana Marullo)

  • OLI 379: CITTA’ – L’allargamento di Lungomare Canepa ha 6 mesi d’anticipo (sul ritardo)

    Figura 1 – Simulazione della strada a mare in costruzione a Cornigliano. Da www.infrastrutture.regione.liguria.it

    Le transenne e i pannelli velano di mistero lo stato di avanzamento dei lavori per la strada a mare di lungomare Canepa. Eppure i “lavori in corso” che restringono la carreggiata e fanno riversare la maggior parte del traffico su via Buranello e via Pieragostini sono sotto gli occhi di chiunque.
    La strada, una volta ultimata, avrà tre corsie per senso di marcia e collegherà lungomare Canepa con la stazione di Cornigliano ed il casello dell’aeroporto Colombo. Il finanziamento attinge in gran parte da Sviluppo Genova e – in percentuale minore- da fondi Anas, che derivano dall’Accordo di Programma (3/2008).
    A febbraio dell’anno in corso, durante un sopralluogo del presidente della Regione Burlando insieme al sindaco Marco Doria, si è fissata la data di fine dei lavori alla fine di luglio 2014 (Corriere Mercantile, 14 febbraio 2013), anticipando la fine dei lavori di sei mesi rispetto all’anno di ritardo che era stato previsto: i lavori dovevano infatti terminare alla fine di gennaio 2014. Sembra un ottimo risultato a sentirlo così, in realtà i sei mesi di ritardo avranno costi non ancora resi pubblici.

    Figura 2 – Da www.infrastrutture.regione.liguria.it

    Sul sito della Regione Liguria http://www.infrastrutture.regione.liguria.it,  lo stato di avanzamento dei lavori, o meglio, il cronoprogramma, è fermo al 7 luglio 2012, all’inizio della costruzione del ponte sul Polcevera. In quella data, evidentemente il programma ed i tempi risultavano rispettati, dal momento che la spia che informa del rispetto dei tempi risulta verde e segna “ok” (vedi figura 2).
    Ma i lavori sono in ritardo, forse anche perché, a complicare la situazione si mette il processo in corso su una “cricca di imprenditori” indagati per una presunta spartizione degli appalti in città, dalla bonifica delle aree ex Ilva all’allargamento di lungomare Canepa.(Corriere Mercantile 15 febbraio 2013).
    Meglio dare le buone notizie che le cattive, sarà la filosofia che ha tenuto la spia del sito della Regione ottimisticamente verde.
    (Eleana Marullo)