Categoria: Bianca Vergati

  • OLI 429: BOCCADASSE – Una rotonda sul mare

    OLI 429: BOCCADASSE – Una rotonda sul mare

    Boccadasse com’era

     Prima è comparsa la recinzione, poi i buchi,  tanti, lungo tutta la facciata di Vittorio al Mare a Boccadasse e i boccadassini seduti imperturbabili accanto all’allaggio, a chiacchierare, come tutti i giorni di bel tempo. Pare che nessun residente si sia fatto sentire ai piani alti, al Settore Edilizia Privata dicono così e soltanto una foto ha fatto scattare i controlli.
    Ma come, hanno iniziato i lavori, si era lì lì per rilasciare i permessi, birbantelli. Anche il vicesindaco è intervenuto sui media per confermare la sanzione, uno stop di quarantacinque giorni.
    Il progetto prevedeva più di trenta metri di balconata, facciata e scogliera, quasi cinquanta metri cubi di nuove volumetrie, un’inezia d’intervento in un’area tutelata, si badi bene, non vincolata, dove, secondo il nuovo Piano Urbanistico comunale appena adottato, non si contempla alcun vincolo, ma come “ antico borgo marinaro” nelle Norme di Conformità. si sancisce un “ divieto di installazione di qualsiasi struttura tipo dehor o veranda…le scogliere e gli approdi mantenuti nella loro attuale conformazione..”
    Ma una balconata cos’è? E di quelle dimensioni poi, pure a picco sugli scogli.

    Eppure per costruire quegli oltre trenta metri di balconata Vittorio al Mare aveva compilato una semplice DIA, una denuncia di inizio attività, un po’ di euro in bolli, senza nemmeno un onere in denaro o in opere di pubblica utilità: migliorie accettasi, riqualificazioni pure perché scogliera e dintorni in quell’angolo di Boccadasse sono un pianto.

    Il progetto saltato

    Invece per un progetto così impattante, che ha dovuto fare il giro di Enti vari per essere autorizzato, non si prevede che una specie di autodenuncia.
    I committenti lamentano la troppa burocrazia, Regione e Soprintendenza però avevano dato il via da due anni, su media e social si definiscono danneggiati, loro che vorrebbero fare una cosa bella,loro che da anni hanno muri scoloriti, veranda fatiscente e in bella vista orribili condizionatori, li puoi vedere appena scendi la scalinata sotto la chiesa di Boccadasse. Un eccesso di burocrazia per un edificio di proprietà demaniale, cioè pubblica, su area del demanio marittimo, cioè pubblica e protetta, per un edificio a suo tempo contestato e davvero brutto.
    C’è l’Autorizzazione della Regione Liguria già dal 2014, sostengono gli Uffici del Comune ed è vero. Peccato che il via della Regione sia stato dato prima dell’adozione del Piano Urbanistico Comunale di Genova adottato nel 2015. La Regione lo ha precisato a suo tempo. “Resta fermo l’obbligo del rispetto ….di strumenti urbanistici.. “Cioè ad oggi il Puc vigente, che contiene prescrizioni precise restrittive, mentre la richiesta di inizio i lavori è di pochi mesi fa.
    A ferragosto 2014 la Soprintendenza scriveva di aver espresso “ parere di competenza favorevole” visto “il parere favorevole” della Regione. A sua volta la Regione esprimeva approvazione con Decreto a settembre 2014, “ preso atto del parere favorevole competente della Soprintendenza”, atto quest’ultimo non allegato presso il Comune. Chiaro?

    Il progetto in itinere

     Il cantiere adesso è lì, nessuno sgombero, hanno rifatto dei buchi e scaricato sul piazzale le” strutture leggere”, impalcature in inox, per il nuovo look in legno da barca, stile marinaro, adatto al contesto, si precisa nella relazione tecnica, accompagnate da pannelli di lamiera a onda..
     Pare che gli Uffici abbiano concesso la sanatoria per i lavori iniziati senza permesso. Pare abbiano ridotto le misure: soltanto una terrazza sospesa, profonda due metri e lunga un po’ meno di trenta metri, senza il pezzo sulla scogliera. Un interventino insomma, che però riqualificherà l’edificio, bontà loro: nessuna contropartita per migliorare il contesto d’intorno, che ne avrebbe bisogno e su cui le risorse pubbliche sono sempre meno, un’opera edilizia a gratis in un posto unico in città.
    Al caso sembra si sia interessato pure il governatore della Liguria, il buon Toti, anche se l’autorizzazione non era ancora di sua gestione.
     Tutto a posto ora: niente più terrazza sulla  scogliera, che avrebbe previsto ben altro iter perchè quell’angolo di Boccadasse non lo si considera parte del “nucleo storico” e nemmeno facente parte, secondo il Comune, di tutela del Paesaggio costiero. Dalla Soprintendenza tutto tace ad oggi.
    Le barche si faranno un po’ più in là, i ragazzi non s’incontreranno più a chiacchierare, a bere una birra sul muretto, niente amoreggiare sugli scogli.
     Da sottolineare che il Comune di recente ha vinto presso il Tar il ricorso di un residente, che voleva costruire un balcone nel Borgo e per cui l’Ufficio Paesaggio comunale aveva espresso diniego. Così la balconata di Vittorio al Mare potrà divenire magari un precedente comodo comodo per alcuni, un po’meno per la dignità delle Istituzioni e per chi vorrebbe preservare, al meglio s’intende, l’antico borgo marinaro caro a tutta Genova e a Montalbano.

  • OLI 428: REFERENDUM – Trivelle sì, trivelle no

    OLI 428: REFERENDUM – Trivelle sì, trivelle no

    Trivelle sì, trivelle no… a ciascuno la sua margherita.
    Incontro la giornalaia dell’edicola sotto casa, che ha voglia di chiacchierare, parla del tempo, delle aiuole e poi mi fa:
     “Ma lei che ne sa, cosa vota sulle trivelle?”
    Resto interdetta e penso “ma guarda, va a votare”.
    Se non ci fosse stato il tamtam della ministra e l’amico del petrolio il referendum sulle trivelle finiva tra quelli “tutti al mare”, invece se ne parla eccome, difficilmente il quorum sarà raggiunto, ma un sussulto di partecipazione è sicuro, soprattutto gli anta, ai giovani poco importa, hanno altri problemi. “Rischiamo di perdere una generazione”, dice Draghi, anche di cittadini.
    Gli sfidanti portano ciascuno le proprie motivazioni, un pot-pourri di equivoci e mistificazioni sottotraccia. L’accusa più dolorosa e vile appare quella che votando per il sì si faranno perdere posti di lavoro: intanto la maggior parte delle concessioni ha durata almeno trentennale, pur se alcune degli anni ‘70, più dieci anni e ancora dieci e noi abbiamo sottoscritto il protocollo Cop21 a Parigi sulle emissioni e sulla dismissione di energie fossili. Perciò la nostra ricerca, le nostre risorse devono puntare su energie alternative e le rinnovabili in questi anni hanno creato e creeranno nuovo posti di lavoro.
    Illusorio però, come sostengono gli ambientalisti, che per il nostro piano energetico nel prossimo futuro si possa contare soltanto su fonti pulite. Tutta l’Europa, compresa la verde Norvegia ha un piano energetico “misto”, estrae petrolio dal mare di Bering, così la Germania, che molto investe su energie rinnovabili, utilizza la lignite, assai più inquinante del carbone.
    Per l’Italia stiamo parlando di una dorsale di petrolio e metano che va da Novara lungo l’Appennino fino alla Sicilia, i numeri, dal National Geographic a stampa varia sono un po’ discordanti, 64-66 concessioni per un totale di 130-135 piattaforme, ma Legambiente precisa, e molti concordano, che entro le 12 miglia sono coinvolte 35 concessioni, di cui 26 produttive, con 79 piattaforme e 463 pozzi, cioè 1% di consumo nazionale di petrolio e il 3% di gas, che sembra comunque non essere inquinante, se si dovessero verificare incidenti. Un potenziale pericolo per l’ambiente, anche se danni non ce ne sono stati per ora ed effetti sul turismo neppure, lo dimostra l’Emilia Romagna, dove si trovano più piattaforme, mentre altri timori suscitano le navi che arrivano da tutto il mondo, solcano i nostri mar , portandoci gas e petrolio, spesso natanti senza verifiche e prive di seri controlli come quelle dei nostri cari armatori greci e italiani.
    D’altra parte il Mediterraneo è un mare chiuso, le coste della terraferma sono lontane a volte poche miglia, non è un oceano e di fronte nei Balcani si trivella… Del petrolio ne sappiamo qualcosa noi liguri: i resti delle perdite della petroliera Haven, al largo di Arenzano a 25 anni dall’incidente sono ancora lì, vi nuotano pesci e sub imprudenti tra i fondali suggellati per sempre dal materiale della fuoriuscita del greggio.
    La legge di Stabilità prevede che non vi siano nuove concessioni, ma che quelle già rilasciate entro le 12 miglia, limite acque territoriali, proseguano a tempo indeterminato, ad esaurimento, così come i permessi di attività di ricerca, una decina sparsi nel mar Adriatico e in Sicilia con rinnovi da sei più sei. Il tutto a prescindere, con proroghe che non rispettano la legalità, come la Normativa europea prevede, la trasparenza sull’affidamento di beni pubblici. E noi abbiamo moli, spiagge assegnate non in chiaro: votando No si continua a perpetuare privilegi, cui purtroppo abbiamo fatto l’abitudine, ma nulla vieta che i titoli possano essere riassegnati con nuova gara o si debba smantellare. Sotto sotto le società petrolifere estraggono anche secondo l’andamento dei prezzi, con calma, se non c’è scadenza, tanto hanno già ammortizzato.
    La partita appare in realtà tutta politica, con una comunanza trasversale di oppositori a Renzi e alle sue riforme costituzionali, un fronte compatto da Fratelli d’Italia a Sinistra Italiana e Movimento 5 Stelle, ma anche uno scontro non meno importante tra Enti locali e potere centrale: una calamità, la modifica al titolo V ha dato alle regioni competenze che non hanno saputo gestire, dai rifiuti, al trasporto pubblico, alla sanità e chi teme una longa manus delle regioni sul Piano Energetico Nazionale ha buone ragioni .Per una volta tanto pare che gli enti locali si preoccupino della loro terra, del loro ambiente… o no? Intanto l’amore per bellezza del nostro paesaggio muoverà a torto o a ragione più di un cuore.
    (Bianca Vergati – immagine di Paolo Gasaldo)

  • OLI 427: REGIONE – Oooh lovely, Lo-Ve-Li

    Il Palazzo della Regione Liguria, in piazza De Ferrari a Genova,
    quando era sede della compagnia Navigazione Generale Italiana,
    circa 1930, in pieno Ventennio.

    Se non altro la Liguria, dopo il botto elettorale, è sempre sui media per il nuovo governatore fintamente ipercinetico Giovanni Toti.
    Il pupone infatti scorrazza con Maroni e Zaia, fa proclami, si mostra sibillino e rigoroso sul suo parlamentino, minaccia di annullare le ferie, raduna gli eletti in convento, si è finalmente insediato. Con i 5stelle che scrivono a lui “personalmente in persona” come dice l’aiutante di Montalbano e i giornali che scrivono sul nulla. Tutto un agitarsi per non fare. In realtà i numeri della maggioranza lo spaventano da matti, non tanto e non solo per la difficoltà a governare, quanto perché gli toccherà sempre essere presente: un incubo!
    E come farà con Arcore, la vita mondana milanese, romana, marinara? Lui che pensava di aver appeso il cappello divenendo il portavoce di Silvione, dopo aver sudato sette camicie a fare quel capolavoro di Tg4. Da un talk all’altro con quella sua voce da Bubu, spargeva in giro il Verbo del padrone e mai e poi mai pensava di essere eletto presidente in Liguria, “Una regione”, come si è trovato a dire più volte, “che vale forse quanto Brescia”.
    Così adesso “la Liguria lavorerà con il Nord-Ovest e con un occhio ad est”, ovvero Veneto e Lombardia: auguri, speriamo, visto che la Liguria, quando va bene, è stata considerata il sud del mitico Nord.
    Persino il quotidiano La Stampa ci ha abbassato il target. Su Genova per tanto tempo si comprava La Stampa con il Corriere Mercantile, poi l’acquisto del Secolo XIX e la decisione di puntare per il capoluogo proprio su quest’ultimo: un flop per la Stampa, che senza il Corriere Mercantile ha visto paurosamente diminuire le sue copie, tranne per il Ponente, meta affezionata di tanti piemontesi, amanti della Riviera dei Fiori e per la quale produce un buon inserto.
    Nemmeno in occasione delle elezioni regionali La Stampa ha considerato un granché la Liguria, tanto che il 2 giugno è uscita con articoli uguali-uguali sui due giornali: “Renzi mette la mimetica” pag.3 La Stampa, pag 13 Il Secolo XIX; “Pastorino traditore”, rispettivamente a pag 3 e a pag. 4; “L’effetto Pastorino non è stato decisivo”, pag. 9 e pag. 12; “ Stop ai migranti, zero burocrazia”, pag.5 e pag. 3. Il tutto è parso un copia-incolla avvilente da parte di un quotidiano che pareva essere affezionato alla nostra Regione. Per fortuna ora c’è Toti: un titolo al giorno farà sparire i problemi di torno.
    (Bianca Vergati – foto Archivio fotografico del Comune di Genova)

  • OLI 427: GRECIA – Chi il conto non paga mai

    Qualunque sarà il risultato del referendum, segnerà l’Europa per sempre. Tra chi invoca i compiti a casa, e chi maledice questa Europa matrigna, a soffrire è intanto il popolo greco, ma c’è qualcuno che di certo non pagherà il conto: gli armatori greci. A febbraio Tsipras ventilò l’ipotesi che per rimettere in sesto i conti di Atene si sarebbe dovuto tassare i ricchissimi tycoon, 60 famiglie che detengono il 16% del mercato globale e generano il 7% del Pil ellenico, con la prima flotta al mondo per tonnellaggio, un primato riconquistato nel 2013 dopo averlo ceduto al Giappone al tempo della crisi e primo paese per ordini di navi da consegnare nei prossimi anni.
    Le fortune e le risorse accumulate nei decenni hanno fatto sì che gli armatori potessero aumentare sempre di più le proprie attività e i propri interessi fuori dal paese, centoquaranta miliardi di utili negli ultimi dieci anni, ma anche mantenere una salda presenza in patria. Quasi cinquemila navi dal valore complessivo di cento miliardi permettono di avere il sedici per cento del mercato e di dare lavoro a duecentocinquantamila persone, perciò gli oligarchi hanno risposto con calma olimpica: “Leviamo l’ancora e prendiamo residenza fiscale altrove. C’è solo l’imbarazzo della scelta: Monaco, Dubai, Singapore, oppure in Germania, dove ci sono agevolazioni fiscali fortissime …” hanno minacciato. Con più di nove miliardi di euro di investimenti lo scorso anno, gli armatori greci hanno poi dato un segnale inequivocabile a chi riteneva che la crisi storica che sta attraversando la Grecia li avrebbe affondati, ormai dominano la scena mondiale da più di cento anni. Perché?
    Perché dietro al loro successo vi è un regime fiscale eccezionalmente a loro favore, addirittura in Costituzione: infatti, in base all’articolo 107, gli armatori greci sono esentati dal dover pagare tasse sui profitti che provengono dalle proprie attività all’estero. Oltre ad essere essere armatori, sono petrolieri, editori, titolari di lavori pubblici nel Paese senza gare di appalto, possiedono squadre di calcio. Godono di Iva agevolata, ma soprattutto dell’esenzione fiscale sui profitti generati all’estero garantiti per la legge costituzionale del 1967.

    Mettere in discussione l’impossibile per Tsipras, applicare ciò che con la morbida legge sul blind trust del 2009 non è riuscito ai conservatori, mentre tutte le inchieste giudiziarie passate sul contrabbando di petrolio non hanno prodotto condannati: una“patrimoniale” di due miliardi e mezzo sui supermiliardari e altri due miliardi e mezzo dal recupero di tasse arretrate. Un provvedimento cucito su misura per i potentissimi armatori. “I nostri cittadini hanno pagato un prezzo carissimo alla crisi – aveva detto il premier mesi fa in Parlamento –  ora il conto lo devono saldare quelli che non hanno mai messo mano al portafoglio”. Già nel 2012, con la Grecia sull’orlo del default, l’ex premier Samaras chiese ai super-ricchi una “tassa temporanea di emergenza”, 500 milioni ad oggi. Perché Tsipras non è andato avanti?
    Nella disputa Grecia – Ue si parla soprattutto di pensionati, che sicuramente non hanno una quotidianità facile, ma della metà dei giovani senza lavoro non si parla. Del loro futuro, nemmeno.
    (Bianca Vergati – foto di Giovanna Profumo e Ferdinando Bonora)

  • OLI 426: ELEZIONI REGIONALI 2015 – Chi si ricorda il Modello Sicilia?

    La regione dei centomila pensionati che si vedranno restituire cinquecento euro, pare divenuta a livello nazionale il caso più emblematico di queste prossime elezioni, tanto che programmi tv, dal Biscione a Sky si sono trasformati in palcoscenici impensabili fino a poco tempo fa per la giovane candidata dei 5 Stelle. Lei, l’Alice dallo sguardo diretto e impavido non appare proprio quella delle meraviglie. Nei dibattiti dal vivo si alza pure per spiegare meglio, spiazzando i candidati uomini, perché la Lella, l’altra donna candidata, pare evitarla accuratamente. Del resto nemmeno veniva nominata la Liguria fra le regioni al voto, poi qualche “mina vagante” come Sergio Cofferati e il suo ” non gioco più”, il “rompiamo le righe” della sinistra-sinistra, il Pd locale che mai ha scordato d’essere Ds e mai ha digerito lo sgambetto dell’autocandidatura della delfina spezzina, hanno fatto di questa regione del Sud del Nordovest il sedicente laboratorio della “nuova gauche”.
    Più che contro Paita, è contro l’esagerato centrista ex sindaco di Firenze che si è candidato un altro sindaco, quello di Bogliasco, civatiano, incredibilmente dimessosi dal Pd, seguito a ruota dal suo mentore Pippo. Ora il Pippo vagheggia un Podemos all’italiana con la imminente formazione “Possibile”, auspicando la vittoria di Luca Pastorino, per riscattare “valori e ideali, che con Renzi paiono scomparsi”, dichiara.
    Uno psicodramma in Liguria, di cui l’astuto Silvione ha fiutato il tesoro nascosto. Pure Matteo Salvini non aveva recepito l’occasione e pronto aveva disarcionato il suo candidato Rixi, sicuro fosse terra di nessuno: invece in Liguria la destra è riuscita a raccattare mare e monti, fra macerie scaiolane, ex Alleanza Nazionale, liste fumose, con un candidato paracadutato, fuori dalle beghe locali, che ha messo d’accordo tutti: un colpo di genio il valletto Toti (OLI 421).
     Magari salverà la Paita il buon Enrico Musso, l’ex candidato sindaco, l’unico a restare fuori dall’ammucchiata “volemmose bene per la Liguria”.
    Anche per il Movimento 5 Stelle ligure si era provato a far finta di niente, ma, ora che i sondaggi danno un testa a testa fra il portavoce di Berlusconi e la spezzina Paita senza che nessuno arrivi alla fatidica soglia di maggioranza governabile, si è diffuso pure in tv il panico di toppare continuando ad ignorarli e così la bella Alice sta avendo un boom di ascolti e di pubblicità gratis.
    Che succederà? Alleanze da pazzi. Ci sarà una grande koalition, una media koalition, lavoreranno insieme

    la sinistra-sinistra e i pentastellati? A cuccia nel cassetto dei ricordi il modello Crocetta-Grillini in Sicilia, dove si era avviata in assoluto la prima collaborazione politica dei 5 Stelle, naufragata in pochi mesi; l’uomo di cultura Crocetta, quello che da sinistra credeva nella rinascita della sua incantevole terra, è rotolato negli scandali; fresco fresco di questi giorni il voto di scambio alle Regionali e che proprio non ne sapesse nulla…
    I 5 Stelle siciliani ora stanno alla finestra, non li si sente fiatare sull’ambiente, la cultura, il turismo sostenibile, l’arte, i temi condivisi con l’uomo di cultura Crocetta, mentre la rinascita della Sicilia non si vede, citiamo l’esempio della gestione turistica delle isole Egadi, considerata forse periferia del regno. Spiagge incantate, in cui nessuno raccoglie la spazzatura, meravigliosi sentieri a picco sul mare travolti dalle frane, percorsi comunque da alcuni audaci stranieri appassionati di trekking, siti di grande pregio, le cui visite sono al buon cuore di giovani esperti volontari che non beccheranno un euro perché l’incarico pare sarà affidato dal primo giugno: in compenso se vai all’ufficio del turismo ti rispondono che cartine, piantine, informazioni le puoi trovare nei depliant che sono in ristampa. Più di cento persone erano in attesa a Favignana per visitare una delle più belle tonnare del mondo, lo stabilimento Florio, acquisita dai Beni Culturali, restaurata cinque anni fa, dove puoi vedere anche reperti della famosa battaglia delle Egadi fra Romani e Cartaginesi: un tempo dava lavoro a tutte le isole, che furono possedimenti dei genovesi Pallavicini, poi dei Florio e ancora del genovese Parodi, oggi ci si può accedere quando è disponibile qualche volontario il sabato o la domenica. Riusciranno i 5 Stelle ad essere costruttivi in Liguria?
    (Bianca Vergati – immagini dell’autrice)

  • OLI 425: SISTEMA ELETTORALE – Elezioni in GB e la Formula Perfetta

    Nella placida campagna inglese a Sud di Londra le elezioni parevano lontane, pochi i manifesti, ogni tanto un cartello con una sigla ai bordi della strada o in mezzo a un prato, che strabuzzi a guardare per capire se sia un’indicazione stradale o un’insegna di ristoro; nell’abitato rari cartelloni, al più occhieggiano dalle vetrine i volti dei candidati. Nient’altro. E’ nella cassetta della posta che arrivano i volantini, tanti, un porta a porta che raggiunge anche le case più isolate. Secondo i sondaggi tutto sembrava spaiato e il testa a testa dei due partiti che tradizionalmente si alternano a guidare il Paese parevano la spia che il bipolarismo avesse fatto il suo tempo: Conservatori e Laburisti con temi comuni, promettevano lavoro, sanità più pubblica, asilo gratuito, Università meno costosa “quasi” per tutti.



    La crisi economica pareva avesse creato incertezza negli elettori, un peso enorme sul modello di Governo in una democrazia, se pure la ripresa inglese è la migliore in Europa. Dopo essersi tenuti il gallone, la pinta, le miglia, l’inossidabile sterlina sgomitando in Europa, con il mito british, la Regina e connessi, tutti a testa bassa, in modo più o meno soft a soffiare “contro” l’Europa; il più accanito l’UKIP di Farage, quello con cui Grillo aveva tentato un’alleanza per fare gruppo a Bruxelles. Un patto non riuscito, mentre imperversa il cavallo di battaglia dell’UKIP: giunta l’ora di riportare indietro i trenta milioni di sterline che ogni giorno si danno alla UE, invocando “il controllo dei confini”, proponendo il sistema-Australia, dove si decide chi arriva e chi si deve sistemare. Una sorta di Lega Italiana. Ma in che modo avrebbe fatto l’intrepido Paese di Albione senza lo straniero e i possedimenti stranieri?

    In voga il voto utile, ovvero “vota libdem”, solo così potrai sconfiggere i conservatori perché di certo i libdem
    appoggeranno i laburisti, oppure un voto utile dato ai principali partiti e non ai partitini come i verdi. Un’alchimia di variabili che il sistema a collegio uninominale prevedeva un UKIP fino al 14 per cento, sia pure con pochissimi parlamentari. L’ago della bilancia pareva essere il partito indipendentista scozzese, poiché per il sistema elettorale di sicuro raccoglierà un sacco di voti nei collegi di Scozia e porterà a casa decine e decine di parlamentari.

    Tutto sbagliato: la consultazione in realtà ha riconfermato Cameron a pieni voti, spazzato via i liberaldemocratici, gli antieuro di Farage e premiato soltanto gli scozzesi, di cui i Conservatori dovranno tenere conto, pur avendoli osteggiati.
    Sotto l’incubo di “coalition of chaos” gli inglesi hanno preferito i conservatori e il loro programma di Austerity, che sta facendo recuperare la crisi,  sconvolgendo ogni previsione, apprezzando comunque la proposta di referendum per uscire dalla UE, ma emarginando gli estremismi.
     Imprevedibili e furbi questi inglesi, che da sempre hanno l’occhio lungo, il loro mondo è fatto tanto dalla City e sanno bene di essere una sorta di paradiso fiscale nel cuore dell’Europa, si terranno brontolando ancora i vantaggi negoziati a suo tempo dalla Tacher, come il comodo libero mercato, eppure fanno vincere un partito che la critica. Il referendum finalmente chiarirà. Una vittoria per il sistema del bipolarismo, in bilico alla vigilia per il temuto pareggio: e da noi con  l’Italicum come sarebbe andata? Di sicuro in GB non ci sono i nominati.
    (Bianca Vergati – Foto dell’autrice)

  • OLI 425: BENI COMUNI – Stonehenge, tutto il mondo è paese

    Stonehenge è il sito di resti megalitici più noto di tutto il mondo, recentemente recuperato con un grandioso progetto che colloca la collina delle Pietre lontano da qualunque edificio, una volta gli ingressi erano ad un tiro di schioppo e i visitatori vi passeggiavano arrivando a toccarle. Un po’ come per le Piramidi di Giza a Il Cairo, che t’immagini sperdute nel deserto ed invece hanno l’edificato urbano a un soffio, cosicchè la grandiosità del monumento è sopraffatta da cammelli, chioschi e case fatiscenti. Ai megaliti di Stonehenge arrivi con pulmini che ti accompagnano sino ad un percorso pedonale, che ti tiene ben lontano, salvaguarda il sito e ti appare in lontananza in una visione ancora più suggestiva. Non è così per un sito a pochi chilometri da

    Stonehenge, che non è noto e non rientra nel circuito turistico mondiale. La località si chiama Avebury, vi si accede da un cancelletto aperto al pubblico, senza sicurezza, anche qui in un paesaggio da sogno, la verde campagna inglese con distese di prati gialli, i campi di colza, che in questa stagione pare d’essere in Provenza, una collina, un fossato intorno e un cerchio di pietre. Vicino ci sono però un paio di case, un pub è a pochi metri dal monumento e placida, incredibile, si srotola una strada. Sì, proprio una strada bella asfaltata, su cui passa indisturbato il traffico e che interrompe il magico cerchio. Povera Avebury, a quanto pare, non è Patrimonio dell’Unesco, anche se essere tutelati non vuol dire niente, vedi Pompei dove domenica scorsa, come prima domenica del mese ad ingresso gratuito, sono state fatte entrare trentatremila persone, al collasso la sorveglianza e lo stato della meravigliosa Pompei.
    (Bianca Vergati – foto dell’autrice)

  • OLI 424: SANITA’ – Teresa e la cannabis

    La sposa scende i gradoni di pietra, alle sue spalle si staglia il campanile grigio, la facciata d’ardesia a righe e Teresa, la mamma della sposa, la guarda commossa. E’ un sabato di giugno, i turisti ormai sciamano via, ancora una foto di quelle rocce a picco sul mare con la chiesina che pare fatta a carboncino, i matrimoni in quell’angolo di Liguria sono consueti, al più si spia se la bella ha gli occhi a mandorla, ché vengono fin qua per convolare a nozze.
    Le giovani invitate scendono scalze fino al vicolo, i tacchi son dolori in quella discesa ma lei no, Teresa resiste, i suoi non sono tacchi a spillo, procede spedita nel suo vestito rosso verso l’imbarcadero e la vedi ondeggiare un po’, sarà il selciato pensi. Invece no. Il suo passo pare un tantino strascicato, morbida, una bruna bellezza mediterranea, dagli occhi grandi, che ti volti a guardare.
    Sono passati pochissimi anni, ora Teresa ti guarda ancora con i suoi begli occhi scuri spalancati, vigili, ma non può parlare : una specie di parkinsonismo le sta divorando i movimenti, il respiro, la voce, a stento si muovono le labbra, forse vorrebbe sorridere.
    Suo marito ha studiato, ha letto tutto quello che poteva leggere, ha scoperto che la cannabis rilassa i muscoli, il male più grande per Teresa, le contratture le procurano dolori infiniti, le rattrappiscono le mani, le gambe. Aveva chiesto come sperimentazione domiciliare che le si prescrivesse la cannabis e dopo mesi di attesa finalmente ne era stata concessa una modesta quantità per fare decotti: pochissima dalla Asl della città di residenza, mentre quella della provincia accanto ne prescrive sei volte tanto.
    Dunque una discrezionalità che varia da ospedale a ospedale, troppa prudenza o altro che è meglio non dire, di fatto un trattamento sanitario diverso nella stessa Regione.
    Non esiste dunque un protocollo a livello nazionale o strapotere del Titolo Quinto?
    Purtroppo arriva una polmonite e il ricovero in ospedale: il coma farmacologico e la terapia di cannabis interrotta. I medici sono chiari, già l’hanno aiutata a respirare, l’hanno inserita nella terapia del dolore, morfina e stordimento, prassi consolidata, al diavolo dignità e migliore qualità di vita del malato.
    Niente cannabis per Teresa, non c’è nessun protocollo che la preveda, la si può dare soltanto ai malati di Sla e sclerosi multipla.
    Il marito di Teresa insiste, insiste almeno per alleviarle i dolori, infine il Comitato etico non si pronuncia, ma c’è un altro iter e si concede il decotto, tanto per provare e lei si sveglia dal coma, è tornata a guardarti, con quegli occhi belli che a tratti si riempiono di lacrime, vorrebbe parlare forse. Il compagno della vita ogni giorno è lì ad accarezzarle le mani, il viso, le parla, vorrebbe almeno lenirle il dolore delle contratture: con l’incoraggiamento di un dirigente illuminato i medici hanno acconsentito finalmente alla “sperimentazione ufficiosa” dopo mille giri burocratici, una dose ben più forte, con un’altra formula, ma la medicina però non è disponibile. Così è andato in Svizzera a comprare lo Sativex, con la prescrizione di un medico svizzero, uno spray a base di cannabis a dosi elevate.
    Intanto il tempo è passato e la malattia è progredita, pur se Teresa ha di nuovo iniziato lentamente a muovere le mani, ad aprire meglio la bocca, fra lo scetticismo stupefatto dei medici e dopo tanta immobilità chissà.
    Il suo amorevole compagno vorrebbe portarsi a casa Teresa, le vuole così bene, si conoscono dai banchi di scuola, spera di riuscire a farla parlare di nuovo, farla muovere, rimetterla seduta, ha buttato in fondo al cuore che cosa voleva ricordargli con le sue lacrime Teresa, che glielo aveva detto quando aveva scoperto la sua malattia senza ritorno e ancora riusciva a parlare: “Portami in Svizzera”.
    Aveva ragione il cuore?
    (Bianca Vergati – foto da internet)

  • OLI 423: REGIONE – Carbone che viene, carbone che va

    “ Ma tu con chi stai?” è il quesito principale che imperversa sui media liguri, da destra e da sinistra tutti sgomitano, ma dai politici nemmeno un pio di come sta la nostra Liguria. Pare si stia sfasciando il Salone Nautico, che non interessa soltanto Genova, eppure il capo di Fiera, Sara Armella, è occupata a fare le primarie Pd, mentre il presidente in scadenza dell’Autorità Portuale Merlo, consorte della candidata presidente regionale, presenta un Piano regolatore Portuale “da sssogno”, direbbe Crozza-Briatore: stupendo il blueprint di Renzo Piano, speriamo che lo facciamo.
    Si prevedono però due nuove dighe, gulp, quando neppure si è deciso se e quando fare la torre piloti, forse l’unica certezza è l’abbattimento dell’ex palazzo Nira, che magari basterebbe bonificare per recuperare…
    Il porto di La Spezia compra gru giganti dalla Cina, una volta le costruiva Ansaldo Industria, come se quel gioiello di golfo fosse adatto per intensificare il megatraffico container, a Imperia crisi nera, è lontano il ricordo dei mulini sbuffanti della pasta Agnesi e dei treni carichi di grano, ora ristorantini, vecchi yacht e sulle banchine rubate al mare svettano gli scheletri degli edifici del superporticciolo incompiuto.
    A Savona è stata chiusa la centrale termoelettrica di Tirreno Power, non più a norma, restano duecentomila tonnellate di carbone inutilizzate e a rischio inquinamento. Finalmente si è deciso per lo sgombero: il 15 per cento andrà alla centrale di Monfalcone. E il resto? Ci vorranno quaranta camion al giorno per completare lo smaltimento delle prime trentamila tonnellate, che viaggeranno fino al Terminal Rinfuse di Genova, essendo stato chiuso da tre mesi quello di Savona-Vado, proprio per la cessazione dell’attività della centrale. La movimentazione del carbone potrebbe avere effetti sull’ambiente, intanto è certo che dovranno essere compiuti millecinquecento viaggi per l’imbarco sino a Genova.
    Complimenti per la gestione alla Regione, al Ministero, a tutte le Autorità Portuali, che puntano i piedi per non essere accorpate, quasi ogni porto fosse una repubblica marinara e il coordinamento in questo caso è brillato: la Befana è lontana, ma molto di quel carbone dovrebbe essere scaricato a casa di tutti quei soggetti di cui sopra.
    (Bianca Vergati – immagine di Guido Rosato)

  • OLI 423: AMBIENTE – L’amore alle Galàpagos e a Portofino

    Il pontile dondola languido, luci festose ne disegnano la sagoma, intorno mare nero e altri profili luccicanti, sono le imbarcazioni, poche, che sostano in baia. In lontananza spiccano luminose le piccole case del porticciolo, una fila di negozietti che vendono tartarughe in onice e pelouche, magliette con le sula, gli uccelli dalle zampe turchesi.
     I turisti sbarcati si affannano a curiosare, a rovistare nelle bancarelle, vorrebbero portarsi via tutto, quasi a fermare il tempo e i ricordi. Sono soltanto souvenir ma è nel cuore, nella memoria che vorrebbero fermare per sempre le immagini di un mondo che non vedranno uguale in altro posto, le foto potranno servire soltanto a raccontare. Mai si scorderanno di aver nuotato con le tartarugone placide, con i minuscoli pinguini così goffi a terra, cosi eleganti nell’acqua, così rapidi ad accorrere al tuffo del cormorano che si immerge nel banco di pesci, spirali argentate di pesciolini che si tengono stretti per difendersi dal predatore. Ricorderanno i colibrì librarsi sulle rocce per cogliere cibo invisibile, le iguane statuarie, come un microfilm di jurassick park e poi lo scivolare lento dei gommoni, l’avvicinarsi cauto alle isole incantate, dove pigri si crogiolano i leoni marini: scuri, quasi neri se sono bagnati, i cuccioli dal pelo dorato che si strusciano sotto il sole, al riparo dei grandi, in un silenzio che ti avvolge, interrotto soltanto da “voci” non umane.
    Si deve parlare a voce bassa per non spaventare gli animali, bisogna scrollare bene gli scarponcini prima di risalire in barca dopo un’escursione, i percorsi sono segnalati, guai ad andare oltre, anche se ti capita di assistere alla nascita difficoltosa di un piccolo leone, non puoi, non devi intervenire: pure se il piccolo sembra non riuscire a risalire dalla pozza in cui è caduto, la madre lo guarda esausta sulla riva e tu, tu non puoi aiutarlo, romperesti l’equilibrio della natura, forse quel cucciolo è destinato a morire, un altro sopravviverà.
    Ecco tutto è così, alla Galàpagos, regolato dal ritmo e dalle leggi di natura, puoi osservare da lontano, nuotare un po’ più in là, ma nulla deve essere alterato, scavalchi le carcasse e non devi raccogliere foglie, sassi, conchiglie. Sembra quasi maniacale, esagerato ma è così che da millenni qui vivono animali estinti altrove, che Darwin aveva osservato là prima di scrivere L’Origine della Specie: uua variazione di fringuelli che a seconda delle isole che abitavano, aride o lussureggianti, si erano adattati ad avere un becco più lungo, un colore più anonimo. L’Ecuador ne fa un vanto di riserva, numero chiuso per approdare, per visitare questo paradiso, una risorsa economica da preservare ad ogni costo tramite un turismo intelligente.
    Proprio come da noi con un modesto esempio: il sindaco di Portofino ha chiesto di accorciare la distanza a cui possono arrivare le navi-mostro da crociera per solcare “il santuario dei cetacei”. Così s’intende l’amore per la natura in questo nostro Paese che non sa più che cosa sia una convivenza equilibrata tra l’uomo e l’ambiente, ne ferisce la bellezza, Grande Opera sarebbe preservarla.
    E pensi con rimpianto a quel leoncino di mare sdraiato beatamente sul pontile, mentre i marinai con passo felpato cercavano di aggirarlo senz disturbarlo, per arrivare a sciogliere le cime del gommone. 

    (Bianca Vergati)