Categoria: Comune

  • OLI 429: COMUNE – Il “Fortino Tursi” si protegge con gli offendicula

    OLI 429: COMUNE – Il “Fortino Tursi” si protegge con gli offendicula

    Da diversi anni si riscontra un crescente malcontento dei cittadini verso la politica che dovrebbe governarli, al punto che la presenza di manifestazioni in via Garibaldi di fronte a Palazzo Tursi si sono fatte via via più frequenti e numerose. Nelle ultime, insieme alla coscienza dello scemare dell’ascolto da parte delle Istituzioni di fronte all’ingigantirsi dei problemi, si è aggiunta per conseguenza anche una maggiore determinazione dei manifestanti, al punto che spesso viene sbarratol’ingresso al “palazzo” chiudendo il portone della sede del Comune. Che diventa il “Fortino Tursi”.
    Il portone di Tursi risale al secolo scorso, forse qualche anno prima del 1900, e fu costruito secondo i metodi in uso nel tempo di costruzione del palazzo, richiamando l’idea del distacco tra signorotti e cittadini, considerati “al di fuori”, “estranei”, mentre i giochi della politica venivano svolti all’interno delle grandi corporazioni d’interesse e della nobiltà. Questo distacco trova la sua rappresentazione pratica nell’esistenza degli offendicula, ossia dei sistemi di offesa presenti sulle recinzioni (punte metalliche, cocci di vetro) e nei portoni (punte a cono orizzontali), a difesa della proprietà privata. Non fa eccezione il nostro caro portone a Tursi.
    La giurisprudenza moderna ha normato con precisione gli offendicula, consentendone il posizionamento solo in posizioni difficilmente raggiungibili e con opportune segnalazioni, e la giurisprudenza è ormai unanime nel considerarli illegittimi nei casi nei quali il danno cagionabile non sia proporzionale alla necessità di difendere una proprietà, che tra l’altro nel caso di Tursi è pubblica. Anche l’esplicita volontà personale di superare una delimitazione fa parte del processo valutativo sulla loro tollerabilità.
    Applicando questo concetto di proporzionalità e di volontà a Palazzo Tursi, appare evidente che l’esistenza di un portone senza punte sporgenti sarebbe già ampiamente sufficiente a difenderne l’inaccessibilità, per cui l’atteggiamento dell’amministrazione che richiede la chiusura del portone nonostante la presenza degli offendicula citati potrebbe costituire uno di quei casi di sproporzionalità tra offesa e difesa.
    Aggiungiamo a questo altri due ragionamenti: il primo riguarda gli agenti di polizia municipale, che appaiono sprovvisti di protezioni individuali specifiche nel momento nel quale stazionando di fronte al portone si espongono alla possibilità di essere spinti con la schiena contro le punte, fatto tra l’altro già avvenuto ripetutamente, motivo per il quale il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza del Comune ha messo in mora l’amministrazione su tale rischio, dichiarando tra l’altro, si legge nella nota inviata, “… che un eventuale ulteriore infortunio non potrà essere ritenuto accidentale in quanto tale rischio è, da questo momento, messo a conoscenza del Datore di Lavoro”. La presenza delle punte complica anche il lavoro degli agenti, che oltre a contenere i manifestanti devono, nello stesso momento, fare attenzione a non ferirsi.
    Il secondo riguarda invece i manifestanti, per i quali la presenza delle punte sporgenti sul portone rappresenta un evidente pericolo di ferimento sproporzionato rispetto alla necessità di contenere la protesta al di fuori del palazzo, anche perché l’azione di avvicinamento al portone potrebbe essere determinata da cause diverse dalla volontà personale, potendo una persona essere anche spintonata da dietro, per cui la presenza degli offendicula in questi casi risulta essere visibilmente contraria al codice.
    Pare che l’unica soluzione per il Sindaco sia quella di organizzare in modo differente la difesa del fortino, lasciando aperto il portone e utilizzando le transenne, oppure di dotare il portone di un vetro temperato che protegga dalle punte, ammodernando quindi la funzione di un palazzo amministrativo moderno, il che parrebbe sicuramente incomprensibile per un signorotto medioevale certamente pronto a gettare anche olio bollente sui manifestanti affamati, ma è perfettamente in linea non solo con il codice moderno ma anche con la logica ed il rispetto della incolumità pubblica.
    Una cosa è certa: chi avesse la responsabilità del prossimo contuso, non potrà difendersi affermando di non conoscere il problema. (Stefano De Pietro)
  • OLI 427: COMUNE – Un bilancio partecipato?

    Sarà che probabilmente nelle linee programmatiche della giunta Doria non si trova nulla di specifico nella parte relativa alle finanze, ma le promesse della campagna del 2012 di aprire il comune alla partecipazione oggi si risolve, addirittura, in una specie di marcia forzata di soli 15 giorni per la votazione del bilancio 2015. E il percorso non riguarda solamente i documenti programmatici di bilancio, ma anche una serie di regolamenti e di delibere che interessano il Piano triennale dei lavori pubblici (224 milioni di euro in tre anni), il regolamento e i coefficienti IMU e TASI, il piano finanziario di Amiu e relativo regolamento e tariffe TARI (226 milioni di euro per il 2014),
    Tutto questo ha girato per pochi giorni anche nei Municipi, che si sono lamentati del poco tempo a disposizione per lo studio e la votazione del parere (comunque favorevole di tutti).
    Anche il percorso istituzionale in Comune ha segnalato dei cambiamenti che ripercorrono le fiducie proposte da Renzi in Parlamento: quest’anno nessuna commissione con le associazioni e i comitati cittadini per i lavori pubblici, una commissione “farsa” di poche ore per ascoltare tutti quelli che hanno risposto alla chiamata di lunedi mattina (Ascom e qualche altra associazione) su IMU, TASI, TARI, seduta tra l’altro sollecitata battendo i pugni dalla opposizione. Così come un’ultima commissione sul bilancio vero e proprio è stata nuovamente richiesta dall’opposizione un torrido giovedi pomeriggio, prima della chiamata in aula della delibera.
    Con questo nuovo metodo, inaugurato dopo la delibera della Gronda (con la quale Doria ha di fatto consegnato l’inutile opera autostradale alla conferenza dei servizi, ossia all’organo che ne delibererà la costruzione) e proseguito con la recente delibera sul trasferimento del personale tra partecipate (che ha richiesto ben tre consigli per essere votata per mancanza del numero legale), Doria ha consegnato la sua amministrazione in mano ai poteri forti della regione e ha escluso qualsiasi forma di partecipazione ed opposizione dalla sua amministrazione.
    Mentre a Parma il Consiglio dei 500 messo sù da Pizzarotti si prepara al percorso partecipativo che si pronuncerà sull’ingrandimento dell’inceneritore richiesto da Iren per bruciare, tra l’altro, i rifiuti liguri provenienti anche da quella Genova che per anni si è addormentata sulla propria discarica, subendone adesso le temibili conseguenze economiche e soprattutto ambientali.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 417: COMUNE – Somme urgenze

    Le “somme urgenze” sono un pezzo del codice degli appalti che i governi che si susseguono tentano di tenere a freno con ogni mezzo, rappresentando un terreno fertile per assegnazioni dirette di lavori di valore anche notevole. Durante l’ultima alluvione il Comune di Genova ha aperto 49 somme urgenze, per un totale di circa 24 milioni di euro, che sono destinate ad aumentare man mano che si rilevano nuove situazioni di pericolo per l’incolumità pubblica e per i beni di interesse culturale.
    All’attivazione della somma urgenza da parte di un funzionario del Comune, la giunta prepara una delibera di variazione di bilancio che prima del governo Monti era di competenza della Giunta stessa. Monti introdusse un passaggio in Consiglio comunale, spalmando la responsabilità anche al Consiglio, per cercare di rimuovere fenomeni di eccesso nell’apertura di questo tipo di attività. Tentativo andato a buon fine per quello che riguarda la procedura ma non il risultato: le somme urgenze sono rimaste sempre le stesse, forse perché lo stato del territorio è quello che è, e una soluzione “da bancario” non ha certo permesso di evitare il crollo di muri e le alluvioni.
    Solitamente le somme urgenze sono poche unità all’anno, per cui la Giunta propone delibere al Consiglio relative ad ogni singola pratica. Nel caso dell’alluvione , la delibera proposta comprendeva ben 49 attività. Questo, se da una parte può essere considerato logico da chi ritenga il voto “evidente” (la maggioranza, che sempre supporta la sua giunta), risulta fastidioso per la minoranza, che vorrebbe invece poterle votare separatamente, avendo più interesse ad un controllo puntuale su ogni lavoro. Agire con emendamenti in un caso come questo può risultare complesso.
    Così, la richiesta di presentare tante delibere, una per ogni somma urgenza, fa quasi sorridere l’assessore, che scherza sul fatto che sarebbero necessarie 49 commissioni (le delibere passano prima in commissione e poi in consiglio), mentre gli si fa notare che quello che fa meno ridere è la commissione di una singola ora che è stata concessa per l’esame di questa pratica da 23 milioni di euro, e che la battuta delle 49 commissioni è solo tale, in quanto possono essere benissimo discusse in una singola commissione più pratiche.
    Insomma, il cammino per la trasparenza continua. Al momento, comunque, la Giunta è stata impegnata dal Consiglio, mesi fa, a fornire i dati delle somme urgenze, tra cui i computi metrici, fotografie e dettagli ulteriori, che i citttadini, visto il proficuo effetto domino della pubblicazione dei documenti del Consiglio nel sito web del Comune, possono trovare.
    Quindi, cittadini: avanti, leggete!

    (Stefano De Pietro)

  • OLI 415: ALLUVIONE – Facite ammùnia

    Il Colonnello Bernacca, durante una delle sue famose previsioni in Tv.
    (foto da internet)

    L’alluvione del 2014 sarà ricordata come quella della perfetta organizzazione dell’assenza. Si comincia in giornata con la completa assenza di allerta, nemmeno un livello 1. La protezione civile ligure si difende dietro ai modelli, che non avrebbero fornito alcuna indicazione in merito, fatto indiscutibile quanto indicativo di un concetto di sicurezza cattedratico, affidato non più ai sensi o ai saperi locali, ma ad una formula matematica che pretende di averli intrappolati in un sistema di calcolo automatico. Come non ricordare l’effetto butterfly, il Caos tanto studiato negli anni 60 e 70, il battito di ali in Cina che cambia il tempo in America, ma ancora di più il buon Colonnello Bernacca, che ci insegnava ad aprire la finestra di mattina per capire se pioverà. Certo, la situazione meteorologica attuale è più di tipo tropicale, più difficilmente prevedibile in termini di quantità di precipitazione, che diventa anche concentrata. In questo la disposizione a valli del territorio genovese non aiuta, anzi, peggiora la situazione, concentrando l’acqua in molti rii che poi convergono, alla fine, in pochi torrenti impetuosi.
    La successiva assenza è quella della protezione civile del Comune, organizzata per muoversi a seguito di uno stato di allerta che appunto è mancato. Poco conta che la redazione di Primocanale fosse al suo posto in studio ed in giro per la città, avendo fiutato l’evento. Poco importa che piovesse da ore. Poco importa se Francesca Baraghini con la sua troupe si fosse presentata poco prima di mezzanotte al Matitone per avere almeno qualche notizia dalla Giunta e l’avessero fermata ai cancelli, in mancanza “di un appuntamento”, da un custode che la stessa Baraghini afferma non sapere nulla dell’alluvione in corso, mentre ai piani alti si riuniva il Centro operativo comunale per iniziare a parlare di emergenze.
    Un’altra assenza, quella del coordinamento nelle operazioni di ripristino delle zone alluvionate e tra le parti in causa. Alcuni semplicissimi esempi: in piazzale Kennedy la Polizia municipale lunedi pomeriggio ancora non disponeva di un computer per velocizzare le operazioni di registrazione delle auto alluvionate portate lì, costringendoli ad un doppio lavoro; in sede, non si riusciva a parlare con chi avrebbe potuto forse mandarne uno, magari uno dei palmari recentemente comprati e che pare non siano poi così utili all’uso quotidiano.
    Ancora, le aree blu, dichiarate gratuite nel piano di emergenza dal venerdi successivo, sono segnalate come tali solo il sabato in un corposo comunicato stampa insieme a mille altre notizie, e poi di nuovo il lunedi mattina con un comunicato ad hoc, non avendo avuto efficacia il precedente nemmeno nei cartelli luminosi del Comune stesso, lasciando quindi i parchimetri funzionanti e nessun avviso su di essi da parte di Genova parcheggi, che dichiara di non essere in grado di disattivarli in poche ore. Con il risultato che molti genovesi hanno pagato il posteggio. Sono particolari in sequenza, che però dipingono la realtà di un piano di emergenza costruito solo sulla carta, mai provato, che perde di vista gli obiettivi e quindi non ne sa verificare il raggiungimento. Ma pagato a colpi di premi ai dirigenti.
    E questa, per concludere, è l’ultima assenza, la maggiore, quella maiuscola: l’assenza di serietà. D’altronde è una caratteristica del nostro paese ben conosciuta all’estero, da noi la situazione può diventare grave, gravissima, ma mai seria, l’importante è far vedere che si è fatto qualcosa. Facite ammùnia!,
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 400: COMUNE – Un 54 che da i numeri!

    Il cartello delle “Profonde sintonie” tra Pd e Pdl distribuito
    dal M5S in Consiglio comunale a Genova.

    L’articolo 54 del regolamento del Consiglio comunale di Genova determina le modalità con le quali possono essere presentate interrogazioni a risposta immediata alla Giunta, con passaggio nella prima ora che precede la seduta del Consiglio, ogni martedi pomeriggio.
    Si tratta di un momento importante per molti gruppi, soprattutto per quelli che cercano la visibilità sui giornali, in quanto di solito le domande riguardano il territorio, dove i politici si coltivano la base di consenso per essere eventualmente rieletti la volta successiva. Qualche consigliere ne fa un uso fin troppo copioso, presentandone anche più di cento per ogni seduta. Dei quali forse ne sarà scelto uno, dal Presidente, che in questo contesto fa un po’ da “chef aprés dieu”, avendo il diritto di estrazione a propria indiscussa preferenza. Cercando, si dice, di mediare in modo che ogni gruppo possa trovare il suo momento di gloria in Consiglio; si dice, “più o meno suppergiù” (cit. Vasco Rossi).
    Durante il lungo percorso di revisione del regolamento, durato un anno e mezzo, il “54” ha trovato un humus di discussione molto fecondo, e ne sono stati proposti diversi anche molto differenti. Alla fine si era optato, a maggioranza, per un sistema che levasse al Presidente la scelta, creando una lista di arrivo che avrebbe dato la sequenza di presentazione in Consiglio. In pratica, ci si sarebbe auto limitati ad un solo 54 per consigliere per settimana, e l’ordine di arrivo avrebbe determinato l’ordine di discussione di tutti quelli presentati, con eventuale rimando alla volta successiva nel caso l’ora prima del Consiglio non fosse stata sufficiente ad esaurirli.
    Sulla proposta scelta in commissione, in Consiglio, il terzo di fila sul regolamento, cade però la scure del Pd, nella persona del capogruppo Farello, in un qualche modo d’accordo con il Pdl, quasi a suggello delle profonde sintonie romane. Farello in verità in un anno e mezzo si era fatto vedere poco in commissione, anche se ovviamente dal punto di vista regolamentare nulla si può obiettare sulla scelta di rimettere tutto in gioco. Questo scatena anche un po’ di proteste della minoranza, Pdl escluso come detto.
    Così in Consiglio comunale arrivano altre proposte, come quella di far di nuovo scegliere tutto al Presidente, limitando prima ad una sola presentazione di 54 per consigliere, poi cambiando per metterlo a un numero per consigliere che corrisponde al numero dei consiglieri in aula (40) ma con una scelta di massimo 40 domande, poi cambiando ancora ripescando un’idea cinquestelle di un 54 anche a risposta scritta. Insomma, un pastrocchio ridicolo che blocca per la terza volta il Consiglio comunale, al punto che alcuni consiglieri cominciano ad innervosirsi per lo spettacolo indecoroso che viene mostrato ai cittadini. Settanta mila euro di commissioni in un anno e mezzo di lavoro per arrivare ad una cosa condivisa che in consiglio viene smontata dal Pd e dal Pdl.
    Alla fine, per terminarla lì, si decide in conferenza capigruppo che si faranno degli incontri tra i gruppi prima del prossimo consiglio in modo da arrivare con una soluzione nuovamente condivisa, terminare le votazioni e cominciare a litigare sulle cose più urgenti: ad esempio il nuovo Puc.
    (Stefano De Pietro)

  • OLI 396: SANITA’ – Brignole, la morte di un gigante

    Un buco di bilancio che sfiora i 40 milioni di euro, al 2013. Una favola che poteva avere un lieto fine si chiude come quella della Piccola Fiammiferaia. Questo grazie ad un mix di responsabilità micidiale, perché la politica ha male agito e purtroppo anche il sindacato non è stato all’altezza della situazione, ha spiegato Antonello Sotgiu, ex dirigente della Cgil. Al suo fianco Michela Costa, Direttore Generale al Brignole dal 2003 al 2008 e Mario Calbi, che la favola dell’assistenza agli anziani a Genova la conosce sin dal 1970.
    Allo Zenzero il 14 gennaio, si è cercato di raccontare la storia dell’Albergo dei Poveri partendo proprio dagli anni Settanta quando nel territorio non c’era assistenza domiciliare e solo il ricovero era la soluzione. Grandi “universi concentrazionari” ha spiegato Calbi, parafrasando Foucault, laddove la famiglia, intesa come nucleo protettivo di cura e assistenza, stava evaporando. Il sogno politico di quegli anni era de-istitutizzare, togliere per creare servizi servizi territoriali, ambulatoriali integrati, piccoli istituti di quartiere, con commissioni di controllo costituite da parenti, ospiti e lavoratori. Un sogno che si stava realizzando con un drastico calo dei ricoveri a favore dell’assistenza domiciliare, quando è cambiata la visione politica. E, ha spigato Sotgiu, si è agito con la logica delle clientele, sia per quanto riguardava i servizi che per la parte relativa all’utilizzo del patrimonio disponibile. Anche i cittadini, invitati a vigilare hanno preferito tacere, per l’ansia di vedere il parente rispedito a casa. Mentre la politica nominava presidenti senza competenze manageriali.
    Un gigante, così viene definito il Brignole da Michela Costa, per patrimonio immobiliare, autonomia gestione e quattrocento anni di storia. Un gigante stremato dal disordine amministrativo e dai debiti, in grado però, nel 2003 di ripartire grazie al capitale umano professionale di cui disponeva, se questo cammino fosse stato appoggiato dalle istituzioni.
    Un gigante che poteva far confluire su di sé, con un’operazione di unificazione, l’istituto Doria e che avrebbe potuto ripartire dando una risposta agli anziani e ai loro bisogni con un’unica azienda pubblica, a sua volta integrata dai servizi del privato-sociale grazie ad un patto che impegnava Regione, Provincia, Comune, e Asl 3. Un patto che è saltato nello spazio di pochi giorni perché qualcuno ha ritenuto che era assolutamente impossibile, impensabile poter mettere un milione e mezzo di Euro su questa partita. Le stesse dirigenze, gli stessi politici che per errori poi banali hanno pagato botte di quattro milioni e mezzo con qualche conto ancora aperto ha detto Sotgiu.
    Però il risparmio del 36% in meno c’era, insieme ad un livello di produttività molto alto e posti letto coperti del 95%. Ci doveva essere un provvedimento che non facesse morire asfissiata l’azienda. Nel 2007 il Brignole poteva offrire servizi pubblici e sopperire a funzioni varie per 150 Euro al giorno a posto letto di riabilitazione. Tutto questo nel pubblico. Non c’è stato verso di trovare questo denaro. Nessuno ha mai risposto. Così l’ipotesi è stata cedere il personale in altri enti pubblici, perdendo know how per assumere nuovo personale con altri contratti. Così Michela Costa ha restituito le chiavi. Ed ha chiarito ai presenti in sala: Quest’azienda non è morta da sola perché si volevano fare i servizi domiciliari, ma si voleva che tutti i servizi pubblici venissero convenzionati a qualcun altro. Ed è esattamente quanto si è conseguito perché oggi questa città che, dal punto di vista demografico, sappiamo come è, non ha più servizi pubblici residenziali per gli anziani.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • LE CARTOLINE DI OLI: Marinella di Nervi, concessione per pochi intimi?

    Fulmini e acquazzoni parevano essersi portati via l’estate, spiagge quasi deserte, tutti rientrati in città, soltanto gli Uffici del Demanio del Comune di Genova quasi non hanno fatto ferie, anzi sono stati e sono tuttora a disposizione per accogliere le “manifestazioni di interesse” circa la Marinella, ristorante-bar-minihotel sulla passeggiata di Nervi. L’invito è comparso sul sito il 9 agosto 2013 con scadenza a trenta giorni ed è per concorrere all’acquisizione della concessione demaniale dello storico locale, che il vecchio gestore ha perduto per non aver pagato i canoni, ritenuti troppo onerosi. Dopo annose cause ed l’inevitabile fallimento, il Comune si è ripreso la concessione, Sorpresa però: pare che il curatore fallimentare dell’azienda abbia già fatto più o meno una “garetta” e sia ad un passo dal cedere intanto la licenza commerciale. Dunque il Comune mette in palio una concessione demaniale su una struttura per ristorazione e simili, la cui licenza commerciale potrebbe essere già in mano ad un terzo, che magari concorrerà ad ottenere quella demaniale, ma non è detto. Potrebbe verificarsi che chi compra la licenza non ottenga la concessione, ma si dubita, o viceversa, aprendo così a trattative parallele di licenze e concessioni, da cui soprattutto il privato e non  l’amministrazione trarrebbe vantaggio.

    Potrebbe anche succedere come lo scorso anno quando, sempre a Ferragosto, si sono aperte le iscrizioni alle manifestazioni d’interesse per i bagni Maria nei pressi del Gaslini: il concessionario ne aveva restituito la concessione perché voleva garanzie di durata del contratto per investire, richiesta legittima peraltro. Di fatto, a fronte di neppure una decina di concorrenti, inaspettati oltretutto, visti i tempi ristretti e il periodo, la concessione è comunque ritornata al vecchio proprietario, che ha vinto la gara ed ottenuto i tempi di durata che voleva, almeno ventennali e rinnovabili.
    Ma non era tutto fermo per la Bolkestein? Tutto legittimo, secondo la legge.
    Nei criteri per partecipare non risulta traccia di incentivazione ad “imprese giovanili” , le norme comunitarie prevedono garanzia di accesso per tutti e il Comune è tenuto giustamente a fare gli interessi dello Stato, così da incamerare sontuosi canoni, due euro al metro quadrato di spiaggia. Mentre i giovani, per riuscire ad entrare nel circuito delle imprese balneari devono adattarsi alla “sub-concessione”, a subentrare nella gestione dell’azienda che il titolare può tranquillamente cedere, secondo il Codice della Navigazione, un insieme di disposizioni a dir poco feudali, che prevedono pure l’ereditarietà della concessione di un bene demaniale, un bene di tutti i cittadini.
    E per acquisire si devono scucire fior di quattrini.
    Ad esempio,  in Corso Italia uno stabilimento balneare, che circa un mese fa ha perso al primo grado di giudizio il ricorso contro i canoni e non ne sta pagando “l’aggiornamento”, pare abbia trattative in corso per cedere la gestione ad alcuni ragazzi per centinaia di migliaia di euro. Così a Cala dei Montani, a Quinto, dove altri giovani hanno rilevato la gestione di un chiosco-bar per migliaia di euro all’anno e per il quale anni fa , tramite l’Ufficio per l’impiego, che aveva procurato l’abboccamento, due ragazzi si erano sentiti chiedere trecentomila euro, mentre il canone demaniale previsto per il chiosco non raggiungeva i mille euro.
    Quando si porrà fine al mercato milionario dell’appropriazione permanente di un bene pubblico come mare e spiagge e per di più con profitti per pochi?
    (Bianca Vergati – immagine di Guido Rosato – foto da internet)

  • LE CARTOLINE DI OLI: Partecipate – assemblea contro le privatizzazioni

    PRIVATIZZAZIONE DEI BENI COMUNI

    In attesa della discussione in Consiglio Comunale  del 10 settembre 2013
    ……..
    Comitato genovese acqua bene comune, Comitato genovese gestione corretta rifiuti,  Comitato genovese No debito, Attac Genova, Comitato genovese per una nuova finanza pubblica e sociale, Movimento No Tav Terzo Valico Valpolcevera e Valverde, Amici del Parco di Villa Rosazza,  Medici per l’Ambiente, Voce di S. Teodoro, Coordinamento Comitati no gronda,  Confederazione Unitaria di Base, Confederazione Cobas, Medicina Democratica…

    INVITANO 

    CITTADINI, COMITATI, ASSOCIAZIONI, SINDACATI, 
    LAVORATORI DI AMIU, AMT, ASTER, FARMACIE COMUNALI, BAGNI 
    E I GRUPPI CONSILIARI DEL COMUNE DI GENOVA

    all’ASSEMBLEA Pubblica 
    di
    MARTEDI’ 3 SETTEMBRE, H. 17.30 
     presso CIRCOLO CAP,  via ALBERTAZZI 9r (davanti caserma VV.FF.) 
  • OLI 381: COMUNE – Marco Doria tra Costa Flavio e una sinistra sbiadita

    Io mi chiamo Costa Flavio… e vorrei fare una semplice domanda al signor Doria: io è tre anni e mezzo, da quando è nata la bambina, che ho fatto domanda alle case popolari: prima ero senza reddito, mi è stato detto di dimostrare che io avevo un reddito, ho dimostrato che avevo un reddito, sono andato al Matitone e le signore del Matitone mi hanno detto: “Ma cosa mi porta a fare questa documentazione, tanto non serve a niente!” Poi sono andato a chiedere aiuto alle assistenti sociali al Matitone e mi sono sentito gridare in faccia di non stare a minacciare perché c’è gente che è peggio di me… Io vorrei sapere: chi è peggio di me? perché io per il Comune di Genova risulto senza fissa dimora e senza tetto e a carico ho una figlia di quattro anni che vogliono mettere in casa famiglia: ora lei mi guardi, guardi la bambina e guardi se è una bambina da mettere in casa famiglia e mi dia una risposta!
    L’unica cosa che le posso dire è che noi non siamo i suoi avversari! – ha risposto Silvio Ferrari

    8 giugno 2013 Teatro della Tosse: clima teso, palco occupato. Alle spalle di Ferrari e Calbi un gruppo di ragazzi ha steso uno striscione con la scritta: fermare gli sfratti, resistere agli sgomberi, casa per tutti subito.
    Prima di Costa Flavio, Marco Doria ascolta altre voci: quella di Annalisa Marinelli, di Quinto Marini del comitato contro il parcheggio al Bosco Pelato, e di Gigliola Barbieri, Gruppo donne di San Bernardo. Poi la voce di Domenico Chionetti – San Benedetto – con il dramma di 85.000 famiglie che in Italia hanno perso alloggio e proprietà, e mutui insoluti, pignoramenti, sfratti con una lista d’attesa di Arte che si assesta a 4.000 unità e l’urgenza di spostare finanziamenti da opere inutili – come la TAV o la Gronda – a grandi opere virtuose di risanamento patrimoniale e edilizia residenziale pubblica e sociale.
    Prima di Costa e della sua famiglia c’è chi dice a Doria che il compito di un’amministrazione è guardare lontano, che non si può fermare tutto all’emergenza. E c’è anche Caminito, Fiom, che chiede al sindaco di aprire un tavolo per provare a tutelare il lavoro e che non è vero che il lavoro si trova solo se si buttano tonnellate di cemento! Non è vero! Sono palle! Grosse come case!. La comunità europea ha stanziato 11 miliardi di Euro per le città Smart e 6 miliardi sull’agenda digitale. I soldi ci sono, i programmi ci sono, però c’è bisogno di una cultura differente, dice il sindacalista.
    Di Marco, del Laboratorio Sociale Occupato Autogestito Buridda, legge a Doria un volantino: quando cominciamo a fare le cose giuste?, invece che sgombrare case per destinarle ad alberghi di lusso con denunce a chi occupa? Il Buridda pretende l’interruzione degli espropri per il cantiere del Terzo Valico, spazi alternativi al mercato del pesce per il centro sociale, assunzione dei lavoratori di Amiu Bonifiche, stop ai tagli per i servizi sociali, moratoria per gli sfratti a data da destinarsi.
    Marco Doria rimane seduto accanto a Pippo Civati mentre sul palco occupato e in platea si alternano grida diverse: chi vuole risposte immediate, chi vuole la parola subito e chi segue il programma dell’incontro: Io penso che voi abbiate tutti dei problemi reali e ci stiate proponendo delle cose reali: c’è una sola cosa che non accetto: cambiare metodo. Se vuole venire qui a dire il suo cognome…, Silvio Ferrari risponde granitico, segna i nomi e da solo gestisce un’assemblea, a tratti, alla deriva.
    Prima di Costa Flavio si è parlato di Piano Regolatore Portuale e della necessità di trovare una sede condivisa per gestirlo, di Centro Storico, movida, spaccio e spiagge libere.
    E se il Buridda ha decisamente prevaricato ed in cinquanta hanno strattonato la kermesse, probabilmente è perché alla Tosse si raccolgono i frutti di una sinistra un po’ sbiadita, come fa notare Civati che richiama i sindaci delle grandi città a dare tutti insieme un segnale forte al governo. Io, ovviamente, venendo qui non sapevo che avrei trovato un clima così positivo nei tuoi confronti… sorride al Sindaco. Ma non pare solo una battuta.
    Marco Doria, a un anno dall’elezione, espone una realtà spietata: le risorse, spiacente, sono destinate all’emergenze ed elenca i rivoli sui quali investirle per arginare future alluvioni. Sogni elettorali sbiaditi, come la sinistra di governo, sbattono contro tagli, norme, graduatorie che vanno rispettate. Doria propone alla platea una riflessione basata sui numeri: i suoi elettori alle primarie erano 12.000, 128.000 quelli di coalizione: persone con posizioni diverse anche sul Terzo Valico. E racconta dei centocinquanta che hanno invaso il Comune per chiedere di procedere con Terzo Valico e la gronda, centocinquanta lavoratori edili, padri di famiglia che perdono il lavoro, fossero stati qua, li avrebbero presi a calci nel culo questi ragazzi… esclama Doria riferendosi all’occupazione promossa dai centri sociali. Dice che vuole partire da un progetto elettorale che sia largamente condiviso con la speranza di un quadro politico nazionale un po’ più favorevole al dialogo. Ma c’è anche la sensazione che il primo cittadino non possa fare tesoro sul serio di tutte le risorse intellettuali che al Teatro della Tosse si sono rivolte a lui.
    Ognuno torna a casa con un parere diverso sull’incontro: chi dice che il Sindaco è solo – nemmeno un assessore al suo fianco sul palco – chi gli riconosce onestà e rigore, chi lo apprezza comunque, chi pronostica una fine prossima della giunta, promossa dal Pd.
    Qualcuno suggerisce: ma se i centocinquanta edili venissero dirottati su un progetto di risanamento di edilizia sociale?
    I soldi non ci sono. Ci sono. Basta trovarli. No basta saperli richiedere.
    E c’è chi si domanda cosa ne sarà di Costa Flavio, della sua compagna e di sua figlia.
    (Giovanna Profumo – immagini dell’autrice)

  • OLI 381: COMUNE – Amt, una delibera a puntate (secondo tempo)

    Il nuovo biglietto solo bus valido dal 10 giugno 2013

    Così, dopo circa un mese dalla prima delibera, che  con un emendamento del M5S ha istituito il biglietto “solo bus” al costo di 1,50 euro, la giunta produce una proposta di delibera, telegrafica, che vorrebbe cancellare il nuovo biglietto non integrato appena istituito. Due le motivazioni: il nuovo biglietto produrrebbe una perdita di circa 750mila euro per Amt e la presenza di un carnet di biglietto integrato da 15 euro vanificherebbe lo scopo del biglietto singolo non integrato di poter contare quante persone usano il treno e quante solo il bus. Infatti con il nuovo piano tariffario, 10 biglietti singoli solo bus costerebbero quanto un carnet di integrati, quindi sarebbe scontato che chi viaggia molto sul bus preferirebbe il carnet integrato per la maggior possibilità di usare anche saltuariamente il treno.
    Ma perché occorre contare i passeggeri? Il problema base di Amt risiede nel contratto di servizio stipulato con Trenitalia, che vale 8,5 milioni di euro all’anno (dei quali uno lo mette la Regione). Amt contesta oggi la somma, ritenuta eccessiva rispetto ai passeggeri che prenderebbero il treno. Trenitalia non ci sta, asserendo che i passeggeri in comune sono molti di più e che comunque poco importa visto che il costo è per un servizio che non c’entra con il numero di persone ma con quello dei treni. Per questa ragione il M5S ha proposto un biglietto solo bus: per poter avere dei dati certi e dare uno stop a questa diatriba senza fine.
    Il primo punto dell’attacco dell’opposizione a questa seconda delibera si basa proprio sul fatto che l’assessore dichiara una perdita prevista con il biglietto solo bus che viene calcolata sulla base di dati incerti, addirittura contestati da Trenitalia.
    Analizzando meglio la tabella allegata alla delibera proposta al consiglio, si calcola che Amt ritiene che circa 1,4 milioni di genovesi prendano il treno ogni anno, e da questo si trarrebbero due conclusioni: considerato che il costo massimo di un biglietto chilometrico venduto in stazione da Trenitalia nel tratto genovese può essere di 2,4 euro, il valore massimo di questa massa di gente si aggirerebbe su meno di 4 milioni di euro, contro i 7 e più pagati da anni da Amt. I casi sono due: o Trenitalia sbaglia, ma occorre dimostrarlo, oppure noi genovesi stiamo pagando, da molti anni, il doppio di quanto realmente vale il business integrato, e per un servizio scadente e in picchiata per quanto riguarda frequenze e puntualità, due fattori indispensabili per chi usa il treno per lavoro, come pendolare.
    Sulla nuova delibera la rivolta in consiglio comunale è tangibile, sono pronti centinaia di emendamenti in risposta a quello che viene considerato una specie di golpe della giunta. L’assessore ritira poi la proposta di delibera durante la seduta del consiglio che avrebbe dovuto discuterla, una caporetto che lascia molte perplessità sul modo di operare della squadra di Doria.
    Alla fine ci si chiede solo una cosa: ma se il problema era la mancanza di un carnet da 10 biglietti solo bus per risolvere il problema del conteggio dei passeggeri, perché eliminare il biglietto singolo solo bus invece che creare un carnet di biglietti solo bus da 10 pezzi a 14 euro e proporre al consiglio la correzione? E’ parsa la reazione di una giunta stizzita dal fatto che la sua stessa maggioranza non è conforme agli indirizzi proposti. Tra l’altro, nel piano industriale proposto per Amt c’è l’adozione di un sistema di conteggio dei passeggeri, leggi biglietto elettronico, bella idea in tempi di vacche grasse ma fuori di ogni logica in questo momento di sofferenza economica: sarebbe bastato recuperare i soldi destinati a questo progetto per sanare (più volte) la perdita di 750mila euro prevista.
    Pensare invece che ad Aubagne in Francia, invece che litigare sui costi, il trasporto pubblico è delegato dal Comune ad un’azienda privata, che carica gratuitamente i passeggeri e li scorrazza, felici e conquistati, in giro per il comune: pagano le aziende con una tassa proporzionale al numero di dipendenti. Il sistema viene spiegato in una conferenza organizzata da Controcorrente dove Barbara La Barbera, consigliera comunale di Aubagne, interviene spiegando il miracolo francese, che si sta rapidamente allargando ai comuni confinanti. Certo, pensare questo sistema a Genova è pura fantascienza: occorrerebbe prima rifondare Amt da zero ed eliminare tutte le cause che l’hanno portata nella situazione di morte apparente nella quale si trova oggi: direzione, lavoratori, cittadini e sindacati, tutti assieme.
    (Stefano De Pietro)