Categoria: Genova

  • OLI 429: SCIENZA: Marc di primavera e GizMark

    OLI 429: SCIENZA: Marc di primavera e GizMark

    Il Marc di primavera di quest’anno è stato, non solo la grande fiera dell’elettronica che segna uno degli appuntamenti della nostra città, ma anche GizMark.

     Al centro della fiera vi era un luogo per coloro che si occupano di tecnologia a Genova, un luogo di divulgazione e di scambio dove si sono susseguiti molti interventi di buon livello.

    Intervento fuori programma del ricercatore-ingegnere Fabrizio Barberis, con un excursus sulla tecnologia additiva nel campo biomedico, l’evoluzione delle nuove protesi stampate in tecnologia additiva e gli ultimi esperimenti sui tessuti, sottolnieando come il tema della bioetica stia diventando sempre più impellente.

    Il ricercatore del CNR e ISMAR Marco Faimali ha parlato dei ricercatori nell’Antartide,della loro preparazione e dei rischi ai quali vanno incontro e del perché queste missioni siano così importanti:
     – Gli alieni ci sono venuti a cercare, ma non ci hanno trovato perché cercavano un pianeta chiamato Terra e invece trovavano solo un pianeta blu che si dovrebbe chiamare Mare-, ha concluso scherzando.

    Accanto al palco c’erano due stand di divulgazione tecnologica differenti. I ragazzi di OPEN LAB, (openlab.dibris.unige.it,),  libera associazione di studenti accomunati dalla passione per l’informatica e con la voglia di condividere il sapere con la comunità, presentavano il progetto LEGO Mindstorm, ovvero la programmazione e dimostrazione del funzionamento di robottini Lego con delle funzioni automatiche, che permettono di compiere alcune azioni, come lo stare in equilibrio, muoversi nello spazio e giocare a calcio! Anche più robottini inseme in veri e propri mach.Il professor Tacchella dell’università di Ingegneria informatica.è intervenuto sulle macchine a guida automatica:
    Era divertente vedere dei ragazzini e a volte dei bambini che si avvicinavano incuriositi ad ascoltare le spiegazioni sulla teoria del pendolo inverso, spesso presto distratti da qualche drone volante.

    La società di progettazione per la stampa 3D, Astrati, insieme a Technimold (rivenditore Stratasys) e Selletek (rivenditore 3D System), hanno portato una vetrina degna di molte fiere internazionali di tecnologia additiva. Avevano esposte ben 8 tecnologie differenti più un esempio di scansione per il reverse-engineering. Per i non addetti ai lavori Stratasys e 3D System sono i leader mondiali della stampa 3D. Nello stand era presente, inoltre, uno schermo sul quale si mostrava l’utilizzo del software, Fusion 360 e Inventor, di Autodesk, per la progettazione additiva. Astrati ha presentato due interventi sul palco incentrati, il primo, sul mostrare le diverse tecnologie e come queste non si soppiantino a vicenda ma invece si moltiplicano, trovando nuovi campi di applicazione; il secondo sui vantaggi di una progettazione appositamente pensata per la stampa attraverso l’ottimizzazione topologica.

    Come è stato accolta la tecnologia additiva al Marc? I più erano curiosi, interessati e strabiliati nel vedere la precisione e la varietà data dalle diverse tecnologie. Nessuno aveva mai visto i metalli. I più acculturati sulla stampa 3D erano i più meravigliati: gente che aveva una stampante consumer o in ufficio o a casa che per la prima volta capiva perché non riusciva ad ottenere quello che desiderava. Spesso solamente perché provavano ad ottenere con una FDM ciò che si può ottenere solo con una SLA o una polyjet. Un signore invece, invitato a vedere le diverse tecnologie, ha risposto: – No, io vado solo ai FAB LAB. – Come se ci fosse un conflitto tra i FAB LAB e il resto del mondo, per i non addetti i FabLab sono luoghi dove la tecnologia viene messa a disposizione in libero scambio, a Genova ve ne è uno al Buridda.
    Un ragazzino di tredici anni si è avvicinato allo schermo dove si mostravano i modelli costruiti in Fusion. – Io uso Skech up, ma non vengono bene. Questo cosa è?- Enrico di Astrati gli spiega, lui ringrazia, dopo un’oretta torna con un amico a fargli vedere.

    Il bello del Marc è che è un grande ritrovo di “smanettoni” di tutte le età e gradi, dai radioamatori agli appassionati di fotografia, giradischi o computer: riuscire a convogliare questo interesse e questa voglia di conoscenza è una grande sfida.
    Paolo Carpi di Studiofulcro vuole andare avanti ed espandere la parte dello GizMark per l’edizione di Dicembre creando una sinergia tra le università, che erano presenti e propositive, con i licei e gli istituti superiori, oltre che con le aziende e il tessuto produttivo della nostra città.

    Perché la tecnologia è una parte importante della cultura della nostra città.

    Arianna Musso

  • OLI 423: CITTA’ – In Via Romana più cemento, più macchine, più frane

    Sono cinque mesi che la furia dell’acqua ha devastato il nostro territorio, portandosi via tutto quello che incontrava.
    Cinque mesi e tante cose sono cambiate, altre sono rimaste invariate, come cristallizzate sulla madre terra. Cinque mesi e la frana di Via Romana della Castagna a Quarto è sempre lì dove si è formata e ancora divide l’antica Aurelia in due parti, rendendo inaccessibile il passaggio.
    Cinque mesi. Sembra di essere ritornati dietro nel tempo, in quell’antico percorso, priva di rumori, solo il suono del rio sottostante , forse gli abitanti del sito ora respirano in quel magico silenzio privo di mezzi e motori, ci si sta rassegando quasi increduli della risorsa inaspettata, ma cosa fare?
    Si chiede quando si riaprirà quella strada, ma si potrà anche proporre di renderla oltre che sicura per i pedoni viandanti, magari accessibile solo dai residenti o comunque limitarne l’uso. Sebbene presto e come sempre sorgeranno nuove residenze per un cambio di destinazione d’uso che il Comune ha approvato proprio a pochi metri da quel rio dove è avvenuta la frana. Più case, più macchine più cemento più frane. Intanto l’antica Aurelia dopo quattro mesi resta divisa in due da macerie scivolate dal fu muretto a secco, memoria storica della nostra cultura.
    Anche la frana di Via dell’Ulivo a Quinto, a due passi del cantiere di via Majorana è sempre lì, implacabile a sbarrare il passo.
    (Ester Quadri – Foto di Ferdinando Bonora)

  • OLI 423: CULTURA – Massimo Chiesa, se la politica rottama il teatro

    Sulla scrivania di legno si sovrappongono copioni, libri, buste, fogli sparsi. Il computer portatile è acceso, accanto, un pacchetto di sigarette semiaperto. Massimo Chiesa lo afferra e inizia a fumare, gambe accavallate e camicia di jeans. Aria un po’ tormentata.

    Nell’ultimo periodo si è sentito molto parlare del mancato riconoscimento del Teatro Stabile di Genova come Teatro Nazionale, esattamente che cosa si intende per Teatro Nazionale? In che cosa consiste effettivamente la differenza tra un Teatro Nazionale e un teatro che non lo è?

    “Dal decreto legge questo non si riesce a capire bene, viene evidenziata la distinzione tra un “Teatro Nazionale” e un “TRIC” (teatri di rilevante interesse culturale). Il Teatro della Tosse e l’Archivolto hanno fatto domanda per essere TRIC. Nel decreto legge la differenza tra un teatro Nazionale e un TRIC è sostanzialmente di numeri, ad esempio: a un Teatro Nazionale sono richieste 15.000 giornate lavorative, mentre a un TRIC 6.000. Un Teatro Nazionale è vincolato alla produzione annuale di almeno due spettacoli di autori viventi (di cui uno di nazionalità italiana), mentre per un TRIC la richiesta è di uno spettacolo di un autore vivente. In sostanza le differenze principalmente sono date dalla “quantità” e non dalla qualità e dalle scelte artistiche”.

    – Quindi nella realtà dei fatti non c’è nessuna differenza tra l’essere un Teatro Nazionale e l’essere un TRIC?

    “No, in teoria no. In tutte le dichiarazioni che molti hanno fatto ai giornali è stato detto che non ci sarà una grande differenza nemmeno nei finanziamenti, personalmente credo che questa grande differenza invece ci sarà. Altrimenti queste distinzioni sono un po’ fine a loro stesse.”

    – Cosa pensi del decreto in sé?

    “A mio parere è pieno di errori. Per esempio, un articolo parla di “Centri di produzione teatrale” a cui però viene richiesto che le giornate recitative di programmazione vengano riservate per almeno la metà a soggetti diversi dal richiedente il contributo e questo è un controsenso in termini , perché significa che un centro di produzione deve fare almeno il 50% delle repliche di “ospitalità”. Un’altra cosa che mi viene in mente è che ai Teatri Nazionali viene richiesto di produrre o ospitare almeno due spettacoli di ricerca. Qui si apre un altro capitolo che la commissione non ha preso in considerazione: in quale città questo deve succedere? Perché, anche se è improbabile, può essere che un Teatro Nazionale sia ubicato in una città dove non ci sia nessun teatro che ospiti teatro di ricerca, ma può anche essere che sia in una città in cui il teatro di ricerca per consuetudine è ospitato in altri teatri, come qui a Genova, dove il teatro di ricerca trova casa alla Tosse, all’Akropolis o addirittura all’Archivolto. Perché se ne dovrebbe far carico il Teatro Stabile? Non ha senso, oltre a creare un danno alla Tosse, piuttosto che all’Akropolis o all’Archivolto. Ma perché poi è così vincolante ospitare o produrre spettacoli di ricerca per un Teatro Nazionale?”

    – A proposito di questo: come sappiamo il Teatro Stabile di Genova non è rientrato nella classifica dei teatri nazionali italiani, cosa pensi al riguardo?

    “E’ gravissimo. Se l’essere Teatro Nazionale è una cosa meritoria (e io credo che lo sia) è inaccettabile che lo Stabile non sia stato riconosciuto in quanto tale, tuttavia questa esclusione è imputabile sia al decreto, sia al fatto che ormai chi si occupa di teatro in Italia (tra cui anche giornalisti, critici, professori universitari e così via) possa avere una strana confusione in testa e molti non sono più in grado di distinguere i generi teatrali, cosa che invece è fondamentale: una cosa è la prosa, un’altra è la ricerca e l’innovazione, poi musical, poi l’operetta… sono tutti diversi generi di teatro. L’idea che offusca le menti di queste persone è che ci debba essere una commistione tra linguaggi e generi di teatro e non c’è nulla di più sbagliato. Il teatro ha i suoi generi. Non si può prescindere da questo. C’è una proliferazione molto alta di teatro di ricerca, ma nella realtà dei fatti la ricerca vera e propria è quasi scomparsa. Perché il grande lavoro di ricerca teatrale in Italia è avvenuto negli anni ’60 e ’70, quello che è venuto dopo è stato un po’ uno “scopiazzare” da quegli anni, un tentativo di rimodernarlo. Oggi l’85% della ricerca, mi sento di dirlo, è assolutamente improvvisata e un Teatro Nazionale non può essere obbligato a farla.”

     – Perché quindi secondo te il Teatro Stabile non è rientrato nella Classifica dei Teatri Nazionali?

    “Io immagino che Carlo Repetti, forte della storia del Teatro Stabile di Genova e forte di quello che lui ha fatto come direttore, abbia pensato, giustamente, che il modo in cui era stato condotto il Teatro Stabile di Genova fosse uno straordinario modo di condurre un teatro pubblico, e lo era. Non ha pensato che la commissione ministeriale richiedesse per forza delle novità. Ha mantenuto la sua caratteristica principale che è quella di un teatro di tradizione decisamente importante e a mio parere ha fatto bene perché sarebbe stato un errore snaturare la storia e il presente del Teatro Stabile di Genova. Ho letto che molti danno la colpa a Marco Sciaccaluga in quanto regista “vecchio” poiché sono più di trent’anni che lavora allo Stabile di Genova, ma secondo me quello deve essere un merito. Il fatto che un teatro pubblico mantenga un regista stabile (e poi noi sappiamo che accanto a Sciaccaluga sono passati i più grandi registi d’Europa, tra cui Benno Besson, Alfredo Arias, Luca Ronconi, Elio De Capitani, Peter Stein, Otomar Kreica, Elio Petri, Terry Hands, Egisto Marcucci, William Gaskill, Langhoff e altri con i quali Sciaccaluga ha collaborato assiduamente) per così tanto tempo non può essere un demerito. A prova di questo c’è il fatto che i grandi anni del Teatro Stabile sono stati quelli di codirezione tra Ivo Chiesa e Luigi Squarzina, periodo in cui le regie le faceva quasi tutte Squarzina e gli attori erano praticamente sempre gli stessi. Durante quel periodo quella del Teatro Stabile era probabilmente una delle tre o quattro compagnie teatrali più importanti d’Europa e la sua forza risiedeva nell’essere una compagnia unita, affiatata: agli attori bastava uno sguardo per accordarsi. Questo è uno dei motivi per cui io non condivido il pensiero di chi sostiene che il regista di un teatro pubblico debba durare in carica per massimo cinque anni e poi cedere il ruolo a qualcun altro. E’ come se ad una grande orchestra venisse richiesto di cambiare i musicisti e il direttore ogni settimana, sarebbe impossibile per loro produrre della musica apprezzabile.”

    – Credi che la politica abbia avuto un’influenza sulla mancata nomina del Teatro Stabile di Genova a Teatro Nazionale?

    “Non è stata una ragione politica o territoriale a mio parere. Lo posso escludere. Come dicevo prima, è più concreta l’idea che il pensiero del teatro oggi sia quella del “bisogna fare cose nuove”. Io credo che la mancata nomina del Teatro Stabile di Genova a Teatro Nazionale sia imputabile ad una “moda” di chi si occupa di teatro di pensare a tutti i costi che il nuovo sia meglio del vecchio. Sfortunatamente questa è una frase ricorrente anche nella politica italiana: rottamiamo tutto. Sicuramente lo Stabile di Genova non era un teatro da rottamare. Tuttavia, a livello territoriale, due anomalie ci sono: una è data dal Teatro della Pergola (a Firenze) che improvvisamente da qualche anno è diventato teatro di produzione e dove l’anno scorso hanno eletto il nuovo direttore artistico che è Gabriele Lavia (grande attore e regista) che è il tipico impresario di se stesso, privato. E’ vero che ha diretto lo Stabile di Torino e lo Stabile di Roma perché è un artista importante, ma il Teatro della Pergola non ha nessuna tradizione di produzione. La Pergola è stato accorpato con il teatro di Pontedera (teatro questo di sperimentazione e ricerca) ed è diventato Teatro Nazionale. Il che è abbastanza incredibile. L’altro caso un po’ stravagante è dato da Napoli, che ha improvvisamente aperto una scuola di recitazione (condizione essenziale per essere riconosciuto Teatro Nazionale) il cui direttore è Luca De Filippo, il quale si merita ogni possibile plauso in quanto, suppongo, dovrà rinunciare alle sue tournée per poter insegnare e tramandare la difficile arte ai giovani che si iscriveranno alla neonata Scuola Napoletana .”

    Sono passati quaranta minuti. Tre sigarette e due telefonate.
    Guardo la scrivania di legno e penso che forse la situazione della cultura in Italia è come un tavolo disordinato a cui si cerca di dare un ordine apparente. E allora si impilano libri e carte sparse, si creano nomine, si fanno concorsi e nuove classifiche. TRIC e tricks. Ma in fondo si sa che è solamente una posa. Che basta spostare un foglio e tutto sarà nuovamente disordinato.
    (Biancalice Sanna – immagine da internet)

  • OLI 422: CITTÀ – “Vola solo chi osa farlo”, da Antigone a Santa Maria in Passione

    San Silvestro e Santa Maria in Passione, marzo 2015

    Sulla vetta della Collina di Castello dove Genova nacque 2500 anni fa, accanto al complesso di San Silvestro ricostruito come sede universitaria di Architettura si estende Santa Maria in Passione, altro convento femminile dalla storia millenaria anch’esso devastato dalla seconda Guerra mondiale, che però giace ancora rovinato dai crolli bellici e postbellici, proprietà del Comune.

    San Silvestro e Santa Maria in Passione, circa 1985

    Contestualmente alla rinascita di San Silvestro, alla fine degli anni Ottanta si erano avviati consistenti lavori di sgombero delle macerie, ritrovando vani sepolti congelati al momento della distruzione, con affascinanti tracce della vita che vi si svolgeva: quasi una Pompei di pochi decenni prima con saloni, cucine, cisterne, scale, corridoi, scantinati, i parlatori e la grande lavanderia, oltre alla chiesa e al chiostro con giardino che erano rimasti sempre in vista. Saggi di scavo avevano indagato anche testimonianze dell’antichissimo insediamento preromano. Dal 1992, con l’intenzione di farne un parco archeologico co-finanziato dall’Unione Europea, si era proceduto alla messa in sicurezza delle strutture pericolanti, alla protezione dei resti con coperture moderne e alla ricostruzione della parte affacciata su via di Mascherona, adibita a sede dell’Osservatorio Civis, un ufficio comunale che forniva un eccellente servizio di documentazione e monitoraggio computerizzati, con la diffusione di informazioni sul centro storico, attività di sostegno della pianificazione urbana e ottimizzazione della gestione operativa degli interventi sul territorio.

    San Silvestro e Santa Maria in Passione, circa 1985

    Custodiva anche le chiavi della zona recintata, curandone la pulizia e l’ordinaria manutenzione e consentendone l’accesso al pubblico in occasioni particolari, come visite guidate o nel 1999 e 2005 le affollatissime Giornate di Primavera del Fai, il Fondo per l’Ambiente Italiano, durante le quali flussi ininterrotti di centinaia e centinaia di genovesi e no entrarono per la prima volta a scoprire tale inaspettato tesoro.
    Subentrata nel 2007 la giunta Vincenzi a reggere la Civica Amministrazione con differenti indirizzi rispetto alla precedente, l’Osservatorio venne smantellato e sostituito da nuovi organismi collocati altrove, mantenendone però il sito web che consente di continuare ad accedere almeno in parte al patrimonio di dati raccolti.

    Attualmente quei locali ospitano il Centro antiviolenza e l’Ufficio cittadini senza territorio, realtà degnissime che però nulla hanno a che vedere con la specificità di un sito così ricco di significati e di storia e soprattutto che più non si curano del suo mantenimento. L’area delle rovine, scampata a un immaginifico progetto di ricostruzione come ampliamento della Facoltà e annessa biblioteca, rimase abbandonata a se stessa e preclusa alla città, nell’apatia degli enti che avrebbero dovuto occuparsene. Una squallida rugginosa ed eternamente provvisoria barriera in tubi Innocenti, rete metallica e filo spinato, in mezzo alla ricostruita piazza di San Silvestro, la separava dall’accesso ad Architettura, finché il 15 marzo del 2012 un gruppo di studenti e altri volontari che già si dedicavano a una sottostante zona verde utilizzata per sperimentazioni didattiche all’aperto e occasioni di incontro, da loro risistemata e battezzata Liberi Giardini di Babilonia (vedi Oli 345), in cui si parlava pure di analoghe azioni in salita della Misericordia e nei Giardini Rotondi) decise che i tempi erano maturi per abbattere lo sbarramento e occupare l’area non per sé, ma per riaprirla a tutti e in primo luogo agli abitanti nei dintorni.

    San Silvestro
    e Santa Maria  in Passione, marzo 2015

    “L’inerzia burocratica e il rimbalzo delle responsabilità hanno portato a questa condizione di immobilismo e hanno fallito: per questo motivo un atto semplice, spontaneo, consapevole e risolutore trova legittimazione anche se varca i confini della consuetudine legalitaria. Ci assumiamo la responsabilità di questo gesto collettivo, perché crediamo nella necessità di tornare a pensare la società non solo come insieme di leggi, ma come sistema di valori etici, culturali e politici”, aggiungendo “Vola solo chi osa farlo”, citazione da Luis Sepúlveda.
    E ancora: “Oggi dimostriamo quanto possa essere semplice ed efficace interagire con lo spazio pubblico in autonomia: la responsabilità individuale e collettiva è infatti il motore del nostro agire, giusto anche se illegale”.
    Questo e molto altro hanno scritto – e non può non venire in mente Antigone, nodo cruciale della coscienza civile occidentale – nei comunicati che via via producono, frutto di matura riflessione politica alimentata da assemblee settimanali che non si esauriscono in teorizzazioni, ma producono azioni concrete come la faticosa pulizia dell’area invasa da arbusti e sterpaglie, bonificata e resa praticabile nell’ottobre 2014, con la massima attenzione al rispetto e alla salvaguardia dei resti poi commentati con visite guidate e apparati illustrativi, restituendole quella dignità di parco archeologico in nuce vagheggiato all’inizio.

    A dicembre si è avviata l’impegnativa organizzazione delle periodiche Raibe, le animate aperture al pubblico così chiamate ricordando gli antichi magazzini/mercati genovesi dal nome arabeggiante, d’ora in poi con cadenza mensile, ogni seconda domenica.

    Video https://www.youtube.com/watch?v=XpDKYYXsDHI

    Raiba, 8 marzo 2015

    L’ultima è stata lo scorso 8 marzo, dal mattino a sera inoltrata, riuscitissima con folta partecipazione e attività di vario genere distribuite ovunque, come si può vedere nella pagina Facebook dei Liberi Giardini di Babilonia.  Nel desolante panorama partitocratico locale e non solo, verso il quale la disaffezione e il disgusto dei cittadini stanno crescendo in modo sempre più preoccupante, questa esperienza di entusiasta gestione diretta di una sia pur minuscola porzione della polis da parte di chi vi abita o studia o lavora o desidera comunque prendersene cura – che tra l’altro la fotografa Federica De Angeli ha scelto quale stimolante tema per l’edizione 2015 del suo Corso di Fotografia Avanzata – rappresenta un vitale laboratorio di buona politica che le istituzioni, con le quali sono già avviati contatti, farebbero bene a non ignorare né sottovalutare, o ancor peggio ostacolare, ma favorire, senza tentare di fagocitarlo ma rispettandone l’autonomia e la libertà, come modello positivo per il diffondersi di analoghe pratiche di buon governo dal basso, qui a Genova e nel resto d’Italia.
    Non siamo che agli inizi. Il seguito alla prossima puntata.
    (Ferdinando Bonora – fotografie dell’autore)

  • OLI 422: BENI COMUNI – Valletta Cambiaso, se il Pubblico è distratto

    L’ultimo derby è stato rinviato per pioggia e per lo stato horribilis del campo in un rimpallo di responsabilità anche se il Comune ha già passato la palla per la manutenzione dello stadio di Marassi tempo fa e il consorzio che gestisce sostiene che Samp e Genoa non pagano, come del resto succede per l’affitto.
    A Nervi la piscina ha chiuso per problemi strutturali e chi l’aveva in gestione ha lasciato un buco a sei zeri, fra bollette e impianto che non ha mai visto migliorie: con il miraggio di fondi europei è stato presentato un progetto dalla sostenibilità economica pari a una lotteria.
    Ad Albaro lo stadio del Tennis è a malapena agibile per i campi, ma tutto il resto, ovvero l’ex splendido verde del parco è un pianto. Che succede? Succede che i soldi sono finiti e la cuccagna pure.

    Se dallo stadio di calcio il Comune è pur riuscito a defilarsi come manutenzione dell’erba dopo gestioni in fallimento, tutto il resto è ancora a suo carico, dallo stato tribune, ingressi e quant’altro.
     Il patrimonio pubblico costituito dagli impianti sportivi è dunque nebbia fitta. Mala gestione si dirà. Non solo. Il punto vero è pure un altro: sono gli accordi a fare acqua, ovvero le fatidiche Convenzioni che le Istituzioni fanno con chi ne assume la gestione. Non si capisce se sono poco accorti i funzionari o incapaci, idem i gestori, ad essere carini. Parliamo di un impianto sportivo di indubbia valenza architettonica e di un parco storico vincolato. Il fatto è che quando si “concede” un impianto pare che chi lo acquisisce faccia un piacere all’Ente. Si stipulano così contratti alla picchio che, se puta caso, non vengono rispettati nessuno paga. E non soltanto in senso metaforico.
    Si cita sempre “la funzione sociale  dello sport”, con buona pace di tutti e se l’impianto va in malora, si chiude e ci si arrabatta poi per trovare le risorse con fregature annesse, il più delle volte.
    Accade così per Valletta Cambiaso, un parco storico in cui fu costruito decenni fa lo stadio del Tennis, il più pregiato in Italia dopo il Foro Italico di Roma: una costruzione artistica di valore e una collocazione in un contesto di verde addirittura vincolato. Nel 2006/ 2007 la Federazione Italiana Tennis, dopo decenni di corsi Coni di successo, fece il gran passo e ne assunse la gestione con l’impegno di una riqualificazione delle opere strutturali per mezzo milione di euro, altri centomila euro sarebbero stati spesi per rimettere a posto il parco. Il canone sarebbe stato di quindicimila euro l’anno per i primi dieci anni e il doppio nei venti successivi, mentre ci si impegnava altresì sulla manutenzione del verde per un onere di trentamila euro l’anno.
    Gli anni sono passati e niente di tutto questo è successo, anzi spesso è dovuto intervenire il Comune di Genova per riparare e ripristinare alberi, vialetti. Ma siccome sanzioni non ne erano state inserite nella Convenzione non si potrà pretendere nulla. Due anni fa è subentrata in subconcessione una società, la MyTennis, costituita ad hoc dai due circoli più vip della città: fame di spazi, 400 allievi, l’organizzazione di un grande evento internazionale, il Challenger, e una gestione delle ore praticamente esclusiva, alla faccia della funzione sociale, a parte una manciata di ore nessun altro circolo vi ha più battuto palla. Quatta quatta la FIT ha rimesso alla vigilia di Natale la concessione e My Tennis ha scodellato a gennaio un progetto per riqualificare il tutto, approfittando di supposti fondi europei. Si farà una gara naturalmente, partendo da quel progetto e siccome risorse non ce ne sono, vinca il migliore…
    Il progetto è valido: peccato che si vorrebbe abbattere un bel numero di alberi di un parco vincolato storico, gli aghi dei pini si sa son fastidiosi, si vorrebbe recintare parecchio, occupare uno spazio consistente per “evitare commistioni fra atleti e bambini”, parola del progettista che ha presentato presso il Municipio Medio Levante il piano. Il Municipio ha approvato il progetto con molti paletti. Sarà ascoltato? Preoccupazione primaria per i cani, a quanto pare i più importanti fruitori, cui si propone di dedicare un’oasi del parco da sempre frequentata dai bimbi: che ce ne facciamo di questi mocciosi molesti, sempre meno a dire il vero, che corrono, giocano, importunando la concentrazione dei giocatori di tennis?
    (Bianca Vergati)

  • OLI 422: ILVA – Landini, media assemblea

    Un reporter riprende un lavoratore che fotografa un fotografo mentre scatta primi piani a Landini. L’immagine più evidente che si è nel cuore di una rappresentazione è data dal fatto che, ad un certo punto, due fotografi sistemano un casco ILVA proprio sopra i tubi innocenti che reggono il palco, come se quel casco fosse stato dimenticato da un operaio, ed iniziano a scattare foto.
    Quella con Landini, non è, come promesso dal volantino affisso nelle bacheche aziendali, un’assemblea. Ma è incontro a porte spalancate, con stampa, lavoratori e cittadini. Un momento storico per l’ILVA di Cornigliano una giornata che ha dato alla siderurgia genovese visibilità, ma non un’assemblea che significa confronto, riflessione, condivisione di idee, tra lavoratori e sindacato.
    Landini – dio lo benedica per il suo impegno politico – ha detto le cose che dice a Ballarò, Piazza Pulita, Servizio Pubblico, ma ha perso un’occasione importante: sentire le opinioni di chi in quella fabbrica lavora e di chi da quella fabbrica è stato messo in cassa integrazione. Dispiace che tutto diventi media, che in questo cacofonico rivolgersi all’esterno non ci sia più tempo per un ascolto autentico, il tempo per le parole. Anche scomode. Quelle che il sindacato non vuole sentir dire. I numeri, investiti in questa partita, sulla carta non permettono di immaginare grandi scenari sul fronte dei salari che drenano  milioni di euro al mese. Un miliardo e duecento milioni dei Riva – ancora da rimpatriare – sono esclusivamente destinati alla legittima realizzazione dell’AIA e 556 milioni, provenienti dalle risorse della cassa depositi e prestiti oltre che dai soldi di Fintecna, sono una cifra che ILVA è capace di fumarsi in 6 mesi soprattutto alla luce dell’anticipata chiusura dell’altoforno 5 – indispensabile per la messa in sicurezza dell’impianto – che ridurrà ulteriormente la capacità produttiva del sito di Taranto già oggi, in perdita. I conti non tornano.
    La Newco è ancora un soggetto molto magmatico. Si aggiunga che i Riva hanno fatto ricorso contro lo stato di insolvenza dell’Ilva lamentando che La mano pubblica potrà impunemente non eseguire quelle stesse misure per la realizzazione delle quali ha illegittimamente sottratto a degli imprenditori privati la propria fabbrica. E’ vero che nella fase più delicata della discussione del decreto legge, Claudio Riva aveva chiesto che si terminasse il ciclo delle audizioni in Commissione Senato, prima di procedere alla dichiarazione di insolvenza dell’ILVA, richiesta inascoltata. Che piaccia o meno – e la gestione Riva non è piaciuta affatto – a processo ancora da fare, le scelte strategiche che hanno riguardato l’Ilva rischiano di essere oggetto di ricorsi da molti fronti e sanzioni, comprese quelle della Comunità Europea.
    Un ragionamento con Landini poteva mettere a fuoco dove trovare 150 milioni di euro per l’impianto della banda stagnata. Altro spunto di riflessione cosa ne sarà delle centinaia di lavoratori genovesi oggi “utile risorsa” degli enti pubblici, destinati però a rientrare a settembre 2015 con i contratti di solidarietà, e ancora cosa significa nel testo della legge, votata dal parlamento “garanzia di adeguati livelli occupazionali”.
    Adeguati, rispetto a quale modello siderurgico? Sulla base di quale piano industriale?
    Si fa strada il precedente Alitalia, e qualcuno, purtroppo, vuole afferrarlo al volo.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 422: TEATROGIORNALE – Sala riunioni bambini interiori

    immagine tratta da:
    http://fractalenlightenment.com/it/32306/life/healing-our-inner-child

    Entra una bambinetta senza i denti davanti, ha un vestito a righe bianco e rosso e i codini allentati, il moccolo al naso le cade sulle labbra e ritmicamente lo lecca.
    La stanza è spoglia, al centro cinque sedie di metallo disposte in cerchio, le finestre danno su un parco cementato con tre alberi grandi, segno di un passato giardino. Il cielo è plumbeo. La bambina gira attorno alle sedie, spinge con le mani gli schienali, gira sempre più velocemente spingendoli con sempre più forza, le sedie iniziano a spostarsi, poi a cadere.
    – Perché sei arrabbiata?
    Una maestra magra, con la collana di perle è sulla soglia dell’aula, guarda la bambina con benevolenza.
    – Non sono arrabbiata, mi annoio.
    Da dietro una scatola bigia che si confonde con i muri esce un’altra bambinetta, ha una scamiciata rosellina e i calzettoni bianchi.
    – Perché hai paura?
    Chiede sempre la maestra, non alla bambina nascosta ma quella senza denti.
    – Non ho paura!
    – Io sì.
    Dice la bambina nascosta. La bambina senza denti le lancia una sedia, la maestra si siede tranquillamente su un’altra sedia.
    – Maestra, mi ha tirato la sedia!
    Urla la bambina nascosta correndole incontro.
    – Non fare la spia, cara, non lo sai che chi fa la spia non è figlio di Maria, non è figlio di Gesù e all’inferno ci vai tu?
    Le dice la maestra allontanandola gentilmente.
    La stanza si riempie di bambini e bambine, sono tutti vestiti da adulti con scarpe troppo grandi, giacche e pantaloni penzolanti tanto che spesso devono tenersele con entrambe le mani. Hanno tutti una gran fretta e guardano preoccupati nella direzione della bambina senza denti.
    – Sedetevi!
    Dice la maestra con voce autoritaria.
    – Perché l’avete lasciata sola con la sua rabbia? Lei non era sbagliata, lei era solo una bambina rifiutata, negata. Le hanno fatto credere di essere sbagliata. Ma voi che l’avete lasciata sola l’avete fatta diventare sbagliata.
    Tutti i bambini adulti sono seduti e si guardano la punta dei piedi, qualcuno inizia a frignare che non è colpa sua, una bambina con la sporta della spesa farfuglia che non è mica sua madre… In realtà oltre la punta delle scarpe tengono d’occhio anche la bambina senza denti. Hanno paura e non vedono l’ora di andarsene. Una bambina signora è rannicchiata sulla sedia e piagnucola ma non si capisce cosa dica. L’unica tra i bambini che continua a giocare annoiata è la bimba senza denti.
    – Tu dove eri, quando questa bambina chiedeva aiuto?
    Continua la maestra, rivolgendosi a una bambina con un cappotto di lana cotta troppo grande.
    – Io facevo la spesa e questa qui mi voleva sputare in faccia e allora io ho cambiato marciapiede, mi ha chiamato vecchia rinco…
    La maestra alza le spalle scuotendo la testa, la bambina in cappotto di lana cotta vorrebbe dire ancora qualcosa ma nessuno l’ascolta, trenta bambini in silenzio, inchiodati alle loro sedie, infagottati in abiti inadatti.
    – Li hai fatti tu questi disegni?
    Chiede la maestra indicando una cartellina colorata.
    – Ti piacciono i miei paciughi? Non sono dei veri disegni, sono solo degli scarabocchi. I bambini non sono capaci a disegnare. L’ha detto la mia mamma.
    – Non gliel’ho detto io, io volevo essere brava…
    Frigna la bambina rannicchiata sulla sedia.
    – Noi dobbiamo parlare con te, con il tuo bambino interiore, per questo siamo qui, nella sala riunioni dei bambini interiori.
    – Per questo ci sono tutti questi mocciosi?
    Ha la faccia sfigurata dalla rabbia, in alcuni atteggiamenti scimmiotta le adolescenti della tivù.
    – Sì, sono i bambini interiori di tutti quelli che hanno partecipato all’”evento”, chiamiamolo così. Sono bambini, spaventati, bambini incapaci. Bambini che cercano conforto e che non lo trovano.
    La bambina nascosta lentamente si avvicina alla maestra, cerca di mettere la mano nella sua. La maestra l’allontana.
    – Ma sbrigatela da sola, belinona!
    La bambina nascosta torna a nascondersi dentro la sua scatola bigia.
    – E tu, perché sei arrabbiata?
    Continua la maestra.
    – Non sono arrabbiata, mi annoio! Non c’è niente che mi piaccia! Mi sembra che siano tutti degli sfigati e che dandogli due sberle possano capirlo meglio quanto sono sfigati!
    – Compi su di loro la violenza che altri hanno fatto su te?
    – Io ho paura.
    Dice una voce da sotto la scatola bigia.
    – Zitta sfigata!
    Rispondono in coro la maestra e la bambina senza denti. La stanza è di nuovo vuota, i bambini adulti sono scomparsi, le sedie sono riverse sul pavimento, la bambina senza denti le prende a calci e molte finiscono contro la scatola bigia. La maestra in collana di perle continua a scrivere i suoi appunti. Dopo qualche tempo esce dalla stanza, chiude la porta a chiave e si incammina verso la macchinetta del caffè. Vicino alla macchinetta c’è un grosso bidone dove gettare i bicchierini sporchi. La maestra sospira, guarda la sua cartellina e la getta. Si sistema i capelli, cerca in tasca due spiccioli per prendersi un cioccocaffè. Dalla sala riunioni dei bambini interiori si sentono delle urla. Dal lungo corridoio arriva un’altra maestra, si riconosce dal giro di perle attorno al collo.
    – Com’è andata?
    – Bene, credo che l’abbiano linciata ora.
    – Di già? Ma chi delle due?
    – Ha importanza?
    – Certo che no.
    – Cioccocaffè? Quanto zucchero?

    (Arianna Musso – Foto da Internet)

    Dal secoloxix.it:Gli amici: è una ragazzina pericolosa, va fermata: poteva uccidere”

  • OLI 422: LETTERE – G8, Toccofandi. Un medico dice no

    09/04/2014
    I consiglieri comunali Leonardo Chessa, Pier Claudio Brasesco, Clizia Nicolella e Paolo Repetto hanno inviato una lettera al presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Genova, Enrico Bartolini, per esprimere la loro approvazione sul licenziamento da parte di Asl 3 di Giacomo Toccafondi, medico responsabile dell’infermeria della caserma di Bolzaneto durante il G8 e per chiedere – in qualità di medici e di rappresentanti delle istituzioni – che venga immediatamente aperta la procedura per la radiazione di Toccafondi dall’Ordine stesso.
    In quei giorni del luglio 2011,150 persone fermate dalla polizia subirono violenze fisiche e psicologiche da parte di poliziotti, guardie penitenziarie e personale medico. La Corte di Appello di Genova, in una sentenza del 2010 le ha definite “trattamenti inumani e degradanti o azioni di tortura” che esprimono “il massimo disonore di cui può macchiarsi la condotta del pubblico ufficiale”.
    Giacomo Toccafondi, che secondo i giudici “agì con particolare crudeltà” fu accusato di omissione di referto, violenza privata, lesioni, abuso d’ufficio e condannato a 1 anno e 8 mesi e al risarcimento delle vittime. Il 12 marzo scorso, 12 anni e 8 mesi dopo e terminato l’iter giudiziario, il medico è stato licenziato dalla Asl 3 genovese con decorrenza immediata.” (dal sito del Comune di Genova)

    Genova, 8 marzo 2015
    Purtroppo i vertici dell’ordine dei medici di Genova prima di lasciare il posto al nuovo consiglio eletto hanno “evitato” ciò che avrebbe dovuto essere scontato: la radiazione del Toccafondi, disonore per qualsiasi medico che prenda sul serio la propria professione. Sono allibito e scandalizzato da tale scelta e mi chiedo: cosa deve fare un medico per essere radiato? Sarebbe almeno un minimo riparatorio sottoscrivere un appello : NON POSSO ACCETTARE DI FAR PARTE DI UN ORDINE DI CUI FA ANCORA PARTE IL DOTT.GIACOMO TOCCAFONDI
    (Dott. Pier Claudio Brasesco)

  • OLI 421: ELEZIONI REGIONALI – Riusciranno i nostri eroi?

    “Essere protagonisti”, sottolinea il giovane Stefano Quaranta, occhialini, ascetico, con il tono appassionato di chi ci tiene a rimarcare che non vuole stare alla finestra, come se quel voto unanime Pd per il Presidente della Repubblica avesse scompigliato uno scenario immobile, quasi la brezza capitolina fosse divenuto un uragano, finiti i tempi da comprimari. Di nuovo in prima fila a rivivere l’impegno in Parlamento, “l’avventura” come la definisce l’altro giovanotto.
    L’altro è Luca Pastorino, nell’immancabile smilzo cappottino blu, un dejà vu in puro stile modaiolo fiorentino, chissà se qualcuno glielo dirà prima o poi. Sindaco di Bogliasco, ha fatto del suo Comune un vanto pazzesco, peccato che per colpa del governo abbia dovuto portare al massimo l’Imu, ma “le prime case sono salve” si è giustificato, peccato che vi siano, soprattutto, seconde case, 4456 abitanti. Eletto deputato Pd, civatiano, fiero di essere panda nel suo partito, anche se dal solito loggione, cioè dal fondo della sala qualcuno gli grida “perché non te ne esci?”, sentendolo lamentarsi del solito Pd.
    Ecco i due quarantenni, sono la strana coppia che si è presentata a Palazzo Tursi per la kermesse di Rete a Sinistra sabato 7 febbraio. Una strana coppia per rappresentare una storia due punto zero. Dalla platea una sfilata di “io vorrei”, il risultato di un sondaggio sulla “Liguria che vorrei”. Sanità eppoi ancora sanità, con qualche buona proposta, perché è pur vero che rappresenta quasi il totale della spesa regionale, l’immarcescibile politica di genere, riferita alle candidature ovviamente, un po’d’ambiente, che pare in testa al gradimento, infine il tema del lavoro che non fa mai male. Il tutto esposto con toni vibranti, anche da impiegati regionali, preoccupati del futuro: dove mai troveranno un altro assessore al Personale come Matteo Rossi, ex Sel, che ha difeso per loro “una indennità-disagio di 13,02 euro lordi al giorno per i dipendenti delle fasce più basse, “obbligati a orari non programmabili, impegnati in relazioni interpersonali e procedure complesse..”( http://www.regione.liguria.it/argomenti/media-e-notizie/archivio-comunicati-stampa-della-giunta/item/38716-spese-della-liguria). Le indennità di disagio erano previste fin dal

    contratto decentrato del 2004, si era difeso in conferenza stampa l’assessore Matteo Rossi dietro le sue bianche lunettes, sostenendo che tale contratto era stato cancellato a gennaio 2014 e per le fasce più basse, firmato da tutte le sigle sindacali. L’indennità riguardava anche addetti ai magazzini, al servizio posta interno… al gonfalone dell’ente: per quest’ultimo servizio di rappresentanza, un’indennità di 46 euro lordi nei giorni feriali e 154 nei festivi. Se n’è uscito da Sel l’assessore, starà tentando di entrare nel Listino del presidente candidato.
     “Il candidato ora non conta”, insiste Quaranta di Sel, “davanti a questa platea meravigliosa”.
    E quando conta?
    Dopo l’uscita di Cofferati, pare definitiva, ma non si sa mai, il bolognese è provvisto di porte girevoli, si va cauti, si evoca L’Altra Liguria, altre associazioni in un invito a “ tutti insieme appassionatamente”
    L’impressione e il timore di chi ascolta tutti quei volenterosi è che ciascuno si tenga stretto il suo gagliardetto, nessuno pare ricordarsi che l’avversario non è soltanto Renzi o la Lella di Spezia, e che se a destra si mettono insieme, chissà. Del resto, dopo l’elezione del presidente Mattarella l’opposizione a Renzi sembra più soft. Pur se i grillini, loro malgrado devono fare gli sdegnosi, ordini del capo. Ma se c’è un buon candidato nel segreto dell’urna…ufficialmente un’occasione persa.
    Altrimenti i numeri parlano chiaro.
    Elezioni Europee 2014, Lista Tsipras: 4,51%;. Per Sel alle Politiche 2013: 3,4%; Amm 2012: 5,03%. Gli altri uno zero virgola.
    Ma dove si va? Con i cento ribelli antipaita?
    (Bianca Vergati – Foto di Giovanna Profumo)

  • OLI 421: POLITICA – Don Farinella, anima della sinistra

    “Noi oggi abbiamo bisogno di una politica orgogliosa del proprio primato, da esercitare senza alcuna subalternità: una politica capace di ascoltare e decidere velocemente. Perché dobbiamo essere veloci, liberarci delle zavorre di chi non vuole mai cambiare e correre, in Italia e in Liguria”. Così Raffaella Paita sul Secolo XIX di lunedì 16 febbraio.
    Recentemente mi è stato fatto notare che in quest’ode al turbo, comunque e a tutti costi, c’è un’eco del passato, una certa visione del mondo, decisamente futurista. In questo caso futu-lista.
    Corsa, cambio di passo, velocità,  in ambito Pd, potrebbero diventare argomenti per una tesi. Ma nell’intervento della candidata c’è qualcosa di più: la volontà di imporre un modello preciso di alleanze, quando, dichiarando di volersi rivolgere a tutta la “società ligure”, scrive “basta con la ripartizione di ruoli tra centro e sinistra”. Là dove con centro si vorrebbe dire anche destra, ma non si fa per pudore elettorale.
    La mutazione genetica del Pd in Liguria si compie plasticamente sulla scia della politica di Renzi, ma ha origini più antiche, a partire dal tacito accordo che vedeva i due Claudii (Scajola e Burlando) spartirsi il territorio della regione. In momenti topici di Claudii ne abbiamo collezionati tre (quando si aggiungeva il Riva, quello dell’Accordo di Programma per l’Ilva)
    Per questo sarebbe – o sarebbe stato – importante cogliere l’appello di don Farinella che, in base ad una tradizione genovese che vede alcuni preti (Gallo, Balletto, Tubino) in prima linea nella difesa degli ultimi e nelle battaglie politiche, ha chiamato a raccolta nella sua chiesa chi alle prossime elezioni presenta programmi simili o si definisce ancora di sinistra, un’assemblea tesa prendere atto che da soli – sia M5S che i gruppi di sinistra – perdono, un invito a chi è disorientato per tutto quanto sta accadendo a tornare ad “occuparsi di politica”.
    “La storia indica la strada, non i nostri desideri che possono restare anche sterili. O si vuole cambiarne il corso o si vuole esserne solo testimoni e testimoni inutili.” ha detto Farinella.
    Pare che ad oggi, quest’appello all’unità, non abbia avuto ascolto. Alice Salvatore a San Torpete, il 13 febbrai, non è venuta e Paolo Putti che, comunque, nei Cinquestelle, rappresenta l’ala critico-costruttiva non è parso intenzionato a farsi carico di un “percorso” unitario, consapevole che, dopo aver abbracciato l’estrema antipolitica grillina, con molta difficoltà i militanti liguri potrebbero convergere un’area caratterizzata da forti componenti partitiche (Sel, Sinistra Pd, Tsipras).
    Sarebbe necessario un miracolo.
    E’ probabile che in assenza di una lista credibile a sinistra in molti rinunceranno a votare, con buona pace della Paita, capace in extremis forse di coinvolgere i civatiani . In assenza di un miracolo, restano, per chi fosse interessato alla Liguria due testi “Il libro bianco sulla Liguria” promosso da Controvento e “L’Italia che Vorrei. Ripartire dalla Liguria” voluto da don Farinella.
    Se per ora non “podemos” i due libri potrebbero diventare spunto per parlare veramente di programmi futuri. Senza fretta.
    Ma, dopo le elezioni, cosa resterà di questa voglia di far polituca?
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)