Categoria: Tunisia
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OLI 394: ESTERI – Tutto era di Ben Ali

Centro di Sfax [Ho vissuto in Tunisia per alcuni mesi. Quello che riporto sono degli stralci di discorsi che mi hanno fatto varie persone tunisine in riferimento alla situazione politica nel loro paese. Le persone, maschi o femmine e di diverse estrazioni sociali, riportavano tutte una visione omogenea della realtà anche se non credo del tutto veritiera. Per chi non lo sapesse Ben Ali fu il presidente della Tunisia dal 1987, deposto nel 2011 con la rivoluzione dei gelsomini.]
Uscivi di casa, andavi a prenderti un caffè al bar e davi i soldi a Ben Ali: perché la produzione del caffè era monopolio suo o della sua famiglia.
Prendevi la macchina, andavi a fare benzina e davi i soldi a Ben Ali: perché le aziende che estraevano petrolio erano tutte sue o della sua famiglia.
Ti accendevi una sigaretta e davi i soldi a Ben Ali; chiamavi tua moglie e davi i soldi a Ben Ali, perché le compagnie telefoniche erano tutte sue o della sua famiglia.
Qualunque cosa facessi davi soldi a Ben Ali.La moglie di Ben Ali, la quale è raccontata sia come la figlia del generale in capo sia come una parrucchiera e a volte entrambe le cose contemporaneamente, aveva la fissa per le scarpe, ne possedeva di tutte le fogge: con i tacchi, senza tacchi, incastonate di diamanti.
La moglie di Ben Ali voleva prendere il posto di Ben Ali e si faceva vedere sempre in televisione.
Quando la moglie di Ben Ali è scappata si è portata via metà del tesoro di stato (in lingotti d’oro) nascosto nelle valigie.E’ furbo Ben Ali.
Ben Ali era il portiere di Bourguiba ma quando Bourguiba ( il presidente dell’indipendenza e fondatore dello stato tunisino moderno) si ammalò lui diventò i suoi occhi e il suo braccio. E quando la sua voce è diventata troppo debole, Ben Ali parlò al posto suo. Il popolo pensava di ascoltare Bourguiba attraverso la voce di Ben Ali ma era Ben Ali che parlava.
Quando l’eroe della rivoluzione è morto per tutti i tunisini Ben Ali era già il volto e la voce dello stato.La famiglia d Ben Ali e quella della moglie hanno organizzato la Tunisia come se fosse la loro azienda e i cittadini tunisini fossero i loro schiavi.
Ma si stava meglio.
Il latte costava tre volte di meno. Il pane costava la metà.
La polizia se la chiamavi veniva, ora la polizia ha paura ad intervenire. La polizia pensa solo a chiederti soldi.
Prima se pensavi che qualche negoziante ti stesse fregando chiamavi la polizia e questa prima lo picchiava e poi controllava.
Nessuno ti fregava perché tutti avevano paura.
Quando c’era Ben Ali una donna poteva camminare senza paura nel centro di Tunisi e non c’era la spazzatura abbandonata ovunque.
Ora nessuno vuole più lavorare, prima tutti lavoravano perché avevano paura ora che hanno la libertà nessuno vuole fare nulla.Con la rivoluzione tutto è peggiorato ma adesso deve avvenire una nuova rivoluzione.
Gli esponenti di Ennhada (movimento della rinascita, partito filo islamista ora al governo in coalizione) sono tutti pazzi perché hanno passato troppi anni in prigione.
Quelli di Ennhada non capiscono più nulla a furia di pregare.
Quelli di Ennhada stanno riscrivendo la costituzione tunisina.
Quelli di Ennhada vogliono che le donne vadano in giro con il bourqa ma lo sanno tutti che in Arabia Saudita le donne vanno in discoteca e sotto il bourqa sono tutte truccate e bevono.Alla fine con Ben Ali si stava meglio.
Ho incontrato in nave un signore tunisino che vive in Francia, una persona colta e distinta che mi ha confidato la paura che Ben Ali, o le persone a lui vicine, si stiano organizzando per presentarsi alle prossime elezioni. Questo signore ha concluso che il problema della politica in Tunisia è un problema culturale e fino a quando non si creerà un’alternativa culturale e ideologica ad Ennhada e a Ben Ali le rivoluzioni potranno solo peggiorare le cose.
L’articolo è stato aggiornato al 17 dicembre 2013.(Arianna Musso)
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OLI 357: ESTERI – I fiori di gelsomino sono ormai secchi
C’è stata una rivoluzione e ora stanno tutti peggio di prima: insomma, la “solita storia”. A Biserta si può tastare il polso della situazione prendendo un taxi: una delle arterie principali della città era chiamata «Avenue 7 novembre» in “onore” dell’ascesa al potere del dittatore Ben Ali (che succedeva all’ottimo ma anziano Habib Bourguiba). Dopo la rivoluzione, peste au diable se la si poteva più chiamare in questo modo! Ogni riferimento al cleptocrate e dalla sua famiglia in fuga (con l’ultima tonnellata e mezza d’oro delle casse tunisine in valigia) era bandito con orgoglio. Dopo un breve sbandamento toponomastico, durante il quale si voleva dare alla strada il nome di un martire locale della Rivoluzione, ci si attestò sul più facile e omogeneo «Avenue 14janvier», la data d’inizio della Revolution du Jasmin. Ciò dava ampio margine ai francesi di fare un lapsus con il loro 14 juillet . Ma la delusione è grande: la Libertà non è quello che sembrava, la disoccupazione è in aumento e i ladri anche; i turisti, stanchi di sentire discussioni sui capelli delle donne e spaventati da pericoli immaginari, non vengono più. Il cibo aumenta orribilmente di prezzo. Un dittatore, ladro sì, ma capace di tenere più o meno in ordine il paese (che ora rigurgita di spazzatura), non era forse un miglior compromesso? Si chiedono in molti. E così, triste a dirsi, è di nuovo possibile chiedere al tassista di accompagnarci alla ‘7 novembre’ : non reagirà. Se ne può fare una simpatica occasione di discussione politica – “Ci porti per favore alla «7 novembre, o alla 14 gennaio»: a lei la scelta !” – oppure fare come faccio io quando mi sento poco ciarliera : “andiamo alla «Ex 7 novembre», s’il vous plait…”
(Monica Profumo – foto dell’autrice) -
OLI 354: INFORMAZIONE – Amber Lyon e gli altri: chi racconta (a proprie spese) la verità sul Medio Oriente
Amber Lyon, giornalista della CNN, fu inviata l’anno scorso in Bahrain per documentare la rivolta in quel paese. Con mille difficoltà riesce a produrre un filmato sulle repressioni più brutali operate dal regime sostenuto dagli Stati Uniti. Il documentario, che ha ricevuto riconoscimenti dalla critica: è stata recensito da Glenn Greenwald sul Guardian, ed è stato insignito di numerosi premi giornalistici (come il 2012 Gold Medal), ma non è ancora andato in onda sulla CNN e nel marzo del 2012 la giornalista è stata licenziata dalla CNN col pretesto di fare parte un “movimento indipendente” con lo scopo di cedere all’esterno i documentari investigativi di proprietà del network. Amber Lyon ha così commentando il suo licenziamento: “A questo punto, non posso che considerare il mio stipendio come dei soldi sporchi che servono a farmi stare in silenzio. Sono diventata giornalista per esporre, non per aiutare a nascondere le malefatte. Non sono disposta a tacere su questo ancora a lungo, anche se questo è significato perdere il lavoro.” Per chi vuole approfondire ecco l’intervista di Amber Lyon su RT.com. pubblicata su Youtube. Qui invece troverete l’articolo di Glenn Greenwald del Guardian (è, a mio parere, il miglior giornalista occidentale che si occupi di Medio Oriente e politica estera in generale). Un altro giornalista bravo e coraggioso è Andrew Hammond, il corrispondente dal Medio Oriente della Reuters. Egli è unico nella sua conoscenza della regione: parla correntemente l’arabo ed ha una mente indipendente. Gli arabi americani consigliano vivamente la lettura del nuovo libro di Hammond (in inglese), The Islamic Utopia. A proposito della Reuters, è stata forse l’unica ad accorgersi la settimana scorsa della manifestazione in Tunisia dei laici tunisini contro il governo islamico, ed ha raccontato la situazione tragica nella quale si trova la popolazione siriana schiacciata tra il martello del regime e l’incudine dei ribelli, in particolare della parte più debole (donne e bambini) e povera della popolazione: “molti poveri siriani assediati nelle zone di guerra hanno smesso di fuggire. Sono tornati a casa con la sola speranza di morire con un po’ di dignità”. (). Sulla Siria segnalo inoltre queste parole dette da una donna siriana e riportate dall’Economist del 27 ottobre: “Bashar Assad è un cane, è un assassino – dice una madre di otto figli – ma, non ci piacciono neanche i combattenti. Siamo stanchi e vogliamo la pace”.
(Saleh Zaghloul) -
OLI 298: YEMEN – Le donne di Piazza del Cambiamento.
Il movimento per la libertà e la democrazia che sta coinvolgendo quasi tutti i paesi arabi ha già avuto grandi risultati con la caduta di Mubarak in Egitto e Ben Al in Tunisia. Nello Yemen il processo di cambiamento è in una fase avanzata.
I giovani yemeniti stanno seguendo il modello egiziano: l’occupazione ad oltranza delle piazze principali delle città. Piazza del Cambiamento nella capitale Sana’a è occupata dal 3 febbraio scorso. Come è stato in Egitto e Tunisia (dove il processo di costruzione della democrazia sta andando sempre avanti con tutti i pericoli e le insidie che caratterizzano queste delicate fasi storiche), anche nello Yemen le donne stanno partecipando molto attivamente alle lotte. Le loro colleghe tunisine stanno ottenendo risultati importanti che, soltanto qualche mese fa, erano inimmaginabili: in base alla nuova legge elettorale non saranno ammesse liste che non abbiano almeno il 50% di candidate.
Le donne presenti in piazza hanno avuto un ruolo fondamentale per mantenere il movimento per il cambiamento nello Yemen sulla linea della nonviolenza. I giovani continuano a non rispondere alle provocazioni e non cadono nella trappola della violenza alla quale è stato costretto il movimento in Libia.
Consapevole della determinazione e del coraggio delle donne il contestato presidente Ali Saleh ha cercato nel suo discorso al popolo di venerdì scorso di neutralizzarle attaccandole su un punto molto delicato della tradizione yemenita: ha fatto appello alle forze dell’opposizione (che, come in Egitto, non rappresentano i giovani in piazza, ma che hanno partecipato in un secondo momento al movimento), di evitare la promiscuità tra donne e uomini nelle piazze.
La riposta delle donne yemenite è stata forte ed immediata con cortei femminili in tutte le principali città, chiedendo di processare il presidente per calunnia al loro onore. “Ci vuole rinchiudere in casa come le galline”, “saremo noi donne a farlo cadere e a processarlo”, “noi siamo educate, oneste e coscienziose è lui che non è stato onesto nei confronti del popolo e dei suoi diritti”.
Poche, invece, sono state le donne che hanno seguito il classico del calcio mondiale sullo schermo gigante allestito in piazza del Cambiamento a Sana’a. La partita di calcio tra Real Madrid e Barcellona, due tra le squadre più forti e spettacolari del mondo, dove giocano Messi e Ronaldo, è stata seguita dai giovani divisi nel tifo per una squadra o l’altra, ma, alla fine della partita, uniti nel chiedere la partenza del presidente Ali Saleh.
(Saleh Zaghloul) -
Oli 286: TUNISIA – Il popolo delle miniere e i suoi martiri
Fotografia di Monica Profumo In seguito alla cacciata di Ben Alì in Tunisia, i regimi che da decenni sono insediati nel Nord Africa hanno iniziato a vacillare. Gli scossoni si sono propagati in Algeria e soprattutto in Egitto, dove Mubarak detiene il potere dal 1981, quando entrò in carica come successore di Sadat, appena assassinato.
Come anticipato in Oli 285 (La rabbia ha radici lontane), la rivolta popolare in Tunisia è stata anticipata dai fatti accaduti nel 2008 e raccontati da Gabriele del Grande ne Il mare di mezzo al tempo dei respingimenti (Infinito, ed. 2009). Dopo i disordini scoppiati nella zona di Gafsa, ed i primi successi ottenuti dalla popolazione, il governo tunisino decise di adottare la linea dura. Anche questa volta – come nel caso attuale – l’inizio delle violenze fu segnato dalla morte di un ragazzo, tanto tragica quanto simbolica: il 6 maggio 2008 tre giovani disoccupati occuparono la stazione elettrica di Tabeddid e interruppero la corrente elettrica agli impianti di produzione dei fosfati. Avevano ricevuto la promessa di un lavoro ma, una volta presentatisi alla Compagnia dei fosfati, avevano scoperto di essere scomparsi dalle liste. Con la loro protesta chiedevano di poter lavorare e la garanzia di un contratto.
La polizia intervenne immediatamente ed intimò ai giovani di andarsene, ma l’appoggio della popolazione era tale ed il malcontento così universalmente condiviso che uno dei tre ebbe il coraggio di resistere alla pressione: Hicham Ben Jeddou El Alaymi afferrò tra le mani le sbarre dell’alta tensione e sfidò le forze dell’ordine «Attaccate la corrente adesso». Pochi secondi dopo, il corpo del ragazzo giaceva carbonizzato ai piedi delle autorità.Fotografia di Monica Profumo Fu così che iniziò la guerriglia, con la polizia da una parte, che esercitava violenza e commetteva abusi senza controllo, mietendo vittime, e la popolazione che scendeva in piazza e reagiva a sassate.
Il 6 giugno 2008 la polizia sparò sulla folla che manifestava, vi furono feriti e vittime. Arresti di centinaia di persone, principalmente sindacalisti e loro familiari, decapitarono la protesta. Furono tutti rapidamente processati e condannati con l’accusa di associazione a delinquere.
Erano rimaste fuori dal carcere le donne, che presero in mano le redini della protesta e tornarono in piazza. Zakiya Dhifaoui, poetessa e corrispondente di un giornale di opposizione, raggiunse la città di Redeyef per scrivere un reportage sul ruolo delle donne nella protesta, ma, in tutta risposta, anche le referenti furono arrestate. La giornalista ebbe una condanna a quattro mesi di carcere. Fu un chiaro segnale: i giornalisti dovevano evitare la regione di Gafsa e tacere di arresti e violenze. Youtube e Dailymotion furono oscurati in Tunisia per evitare che si diffondessero i video delle violenze commesse dalle forze dell’ordine. Operatori e cameramen delle tv che appoggiavano la protesta furono arrestati o scomparvero misteriosamente. Le personalità che avevano guidato e sostenuto la protesta finirono ad ingrossare la popolazione delle carceri. Quelle stesse carceri, nei giorni scorsi, sono state assaltate e date alle fiamme per liberare i detenuti (segue).
(Eleana Marullo) -
OLI 285: TUNISIA – La rabbia ha radici lontane

Foto di Monica Profumo La crisi tunisina non ha catalizzato l’attenzione mediatica, se non come un fatto di politica estera in un paese lontano. In realtà la Tunisia è a 20 minuti di volo dalla Sicilia ed i rapporti economici con l’Italia sono fitti. Un riepilogo dei fatti: la rivolta si è propagata attraverso i social network e con il tam tam dei cellulari, la rabbia del popolo tunisino è scoppiata dopo la morte di Mohamed Buaziz, il giovane laureato che vendeva la frutta e si è dato fuoco dopo che la polizia gli aveva sequestrato la merce e lo aveva umiliato schiaffeggiandolo. Gli scontri più sanguinosi sono scoppiati intorno alla zona di Kasserine; gli incidenti sono segnalati e localizzati direttamente dai cittadini tunisini a questo indirizzo http://tunisie.crowdmap.com/.
Il giovane Buaziz è la prima vittima della crisi; alla fine, il bilancio ammonta a 78 morti e 94 feriti. Il presidente Ben Ali sopraffatto dagli eventi infine è fuggito in Arabia Saudita ed il governo è passato, provvisoriamente, al premier Ghannouchi.
La situazione in Tunisia è critica ormai da qualche anno. Un quadro dei problemi che hanno attanagliato recentemente il paese viene offerto da Gabriele del Grande ne Il mare di mezzo al tempo dei respingimenti (Infinito Edizioni, 2009), che racconta la grave situazione di uno stato sottoposto all’arbitrio del regime ed agli abusi della polizia
Foto di Monica Profumo Nel 2008 la regione di Gafsa, quasi al confine con l’Algeria, fu scossa da una violenta insurrezione, che ebbe scarsa rilevanza nella stampa internazionale. A Gafsa si trova uno dei più grandi giacimenti di fosfati al mondo, scoperto durante l’occupazione coloniale francese. L’economia della regione fu stravolta dall’apertura delle miniere: arrivò manodopera da tutto il Grande Maghreb e perfino dall’Italia. La concentrazione di lavoratori diede origine alla nascita del sindacato tunisino.
Le miniere, nazionalizzate dopo il 1957, andavano a gonfie vele al tempo dell’insurrezione del 2008 e la Tunisia era il quinto paese produttore al mondo. Ma, racconta Del Grande, le cose non andavano altrettanto bene per i lavoratori: il giacimento era in preda ad una crisi ventennale, la modernizzazione aveva aumentato la produzione dimezzando il personale, il tasso di disoccupazione cresceva senza sosta, mentre qualunque altra riconversione dell’area era ormai impossibile: l’inquinamento aveva avvelenato le falde acquifere e reso impraticabile agricoltura ed allevamento.
Anche la rivolta del 2008, come quella attuale, scoppiò tra i giovani del paese ed ebbe come scintilla l’accesso al lavoro: la Compagnia dei Fosfati (Cpg) indisse un concorso pubblico per l’assegnazione di 80 posti. Quando vennero resi pubblici i risultati, fu chiaro che il concorso era truccato e che erano stati selezionati soltanto parenti e raccomandati. I giovani disoccupati occuparono tutta la città di Redeyef, raccogliendo la solidarietà della popolazione. Le autorità locali diedero inizio ad un negoziato che, dopo un esordio promettente, si interruppe, mentre i disoccupati furono sgomberati. A Tunisi nacque il Comitato nazionale di solidarietà al popolo delle miniere. Il fermento e la partecipazione intorno alla rivolta allarmarono il regime e furono quindi sedati dall’intervento della polizia (7 aprile 2008). Ne seguì l’arresto di una trentina di uomini che erano coinvolti nel movimento. Agli arresti scoppiò uno sciopero generale, alla fine, grazie alla protesta popolare, i sindacalisti arrestati furono rilasciati.
Il ricordo delle sommosse del 2008 deve aver giocato un ruolo importante nell’accelerare i tempi e amplificare la violenza della reazione di governo durante la crisi attuale. (Segue)(Eleana Marullo)




