Categoria: Paola Pierantoni

  • OLI 427: GRECIA – La Grecia al voto sull’euro

    OLI 427: GRECIA – La Grecia al voto sull’euro

    Cosa dire di più di tutte le analisi e discussioni che si incrociano sui mezzi di informazione di tutta Europa? Forse solo le parole raccolte dagli amici che abbiamo qui.
    Dice Nikos, capitano di nave ora in pensione ‘Io sono per il sì, ma voterò no’. E forse riassume perfettamente il dilemma. Sì per l’Euro, sì per l’Europa, sì per un accordo comunque necessario, ma no perché non esiste una alternativa politica a Tsipras, e se vince il ‘sì’ si andrà di nuovo ad elezioni politiche più incerte e pericolose che mai. Inoltre le forze politiche e le personalità politiche che ora sostengono il sì sono quelle responsabili della situazione finanziaria ed economica in cui si trova la Grecia.
    Sicuramente no, dice un altro Nikos molto più giovane, perché c’è in corso in Europa un gioco pesante che vuole far cadere i governi orientati a sinistra, e se cade la Grecia ci sarà un effetto ‘domino’ in tutta Europa, a partire da Spagna ed Italia.
    Io voterò sì, dice Panaghiotis, lavoratore autonomo, grafico pubblicitario, intanto perché non sono assolutamente d’accordo sul referendum: Tsipras doveva prendersi lui la responsabilità di decidere, era il suo compito di governante, è lui che ha gli elementi per poter decidere. Poi la vittoria del ‘no’ porterà ad una paralisi economica ancora più drammatica, tutto il lavoro che ho fatto in questi anni andrà bruciato.
    Marina, che lavora in un albergo, ci dice che ha il cuore stretto: ‘Non sappiamo più cosa sia la Grecia, e dove sia la Grecia’; con i turisti, naturalmente, deve mostrare un aspetto sereno, allegro, ma le è davvero molto, molto difficile.
    Christiana, antropologa, insegnante di ballo e di lingua ci dice che tutti ‘stanno giocando’, e che questo ‘gioco’ interminabile è diventato davvero faticoso da sopportare. Lei però non si sente depressa, e fonda il suo stato d’animo in questo: le generazioni che ci hanno preceduto, dice, hanno passato cose peggiori, la guerra, la fame. Quindi ce la faremo anche noi, e alcune cose non ce le possono comunque togliere. Accenna alla bellezza della musica, della natura che abbiamo intorno nel momento in cui stiamo parlando, al clima di amicizia che circola tra le persone che con lei stanno seguendo un seminario di canto.
    Teodosia racconta un breve scambio sentito in paese: ‘Andiamo in compagnia a Raxes stasera?’ (Raxes è un villaggio ricco di vita notturna) ‘A bere qualcosa?’ chiede uno… ‘No, a cercare benzina’. Molti stanno infatti riempiendo non solo i serbatoi delle auto, ma taniche di scorta. Teodosia si dice invece tranquilla ‘Non ho ancora prelevato un euro al bancomat, e non sto facendo scorta di benzina…’
    Teodoro, architetto, libero professionista affida i suoi pensieri a Facebook:
    ‘Andiamo bene… stasera ci saranno fianco a fianco ad Atene una manifestazione per il ‘Sì’ e una manifestazione per il ‘No’. Vogliono farci diventare come l’Ucraina?’
    E poi: ‘Quando vedo quali sono i politici che sostengono il ‘Sì’ corro verso il ‘No’, Poi quando vedo che per il ‘No’ c’è Alba Dorata ci ripenso molto seriamente…’
    ‘Questo referendum è come se un ingegnere affidasse ai proprietari di una palazzina la decisione su quali materiali e tecniche usare per costruirla’
    La nostra emozione? I governi greci hanno avuto enormi responsabilità, e il popolo greco è stato largamente connivente con politiche clientelari e tolleranti verso un sistema molto diffuso di corruzione e di evasione dalle tasse. Inoltre Tsipras ha sicuramente vinto le elezioni perché ha promesso cose che sapeva assai bene di non poter mantenere. Ma l’Europa ha spinto cinicamente la Grecia in un vicolo sempre più cieco, senza possibilità di uscita. Per quale scopo? Per quali interessi? Solo per cecità? Inoltre, con tutti i difetti che gli si possono attribuire, se Tsipras non si fosse spinto a promettere quel che non poteva dare, c’era pronta una deriva a destra pesantissima, con un partito neo-nazista già al 12% e pronto ad allargare ulteriormente il suo consenso tra le persone più povere.
    Alla Grecia serve una spinta per riaprire l’economia, e all’Europa ‘politica’, all’Europa ‘dei popoli’ serve che la Grecia non collassi, che ce la faccia.
    l’Europa potrebbe ben permettersi di pagare qualche prezzo per questo obiettivo, o no? A meno che gli obiettivi non siano altri, e che per questi obiettivi serva proprio la caduta del governo Tsipras, per segnare uno ‘stop’ a qualunque ipotesi di spostamento a sinistra degli Stati europei.
    (Paola Pierantoni e Ivo Ruello – foto degli Autori)
  • OLI 407: TURISMO – Dalle città ai set

    Il ricordo è tanto antico, che non riesco più nemmeno a ricostruire l’anno. Di certo ero molto, ma molto più giovane, quando ascoltai la previsione di Ilya Prigogine, espressa nel corso di una sua conferenza a Genova: lo scienziato aveva detto che il turismo di massa sarebbe stato uno dei fattori di trasformazione del mondo più determinanti, incontrollabili e distruttivi. Ci ho ripensato qualche giorno fa, quando a ‘Prima Pagina’ il giornalista di turno, Pier Luigi Vercesi Direttore di ‘7’, settimanale del Corriere della Sera, ha citato un articolo di Tommaso Montanari pubblicato il 22 maggio sul Fatto Quotidiano, in cui si diceva che: “San Gimignano ha progressivamente perso i connotati della città per assomigliare sempre più a una quinta cinematografica, a una Disneyland del Medioevo, con tanto di ben tre ‘musei’ della tortura …” e parla dei paurosi prezzi delle case, della riduzione e omologazione delle professioni possibili, del bassissimo livello di un turismo da mezza giornata. Tutto, dice, è per i turisti, che come se fosse un turno di lavoro, ‘spazzano la città dalle 11 del mattino alle 18 di sera’.

    Ma poi non è che la città venga restituita ai suoi abitanti, perché i due terzi di loro ormai sono fuggiti, e quando i turisti se ne vanno ‘la città non c’è più’.
    Ho avuto il privilegio di visitare per la prima volta San Gimignano nel 1962; avevo sedici anni e l’emozione provata allora è stata tanto intensa da essere rimasta intatta nella memoria. Poi c’ero tornata in anni recenti, e lo shock era stato terribile: fuga immediata. Quest’anno, a gennaio, di ritorno da un viaggio, mi ci sono fermata una notte. Sulle prime l’illusione di avere ritrovato una magia nelle strade invernali e deserte, poi, molto rapidamente, la presa d’atto che la cittadina era davvero morta, scomparsa, annullata. Non solo era evidente che non ci abita quasi più nessuno, ma anche l’assenza di ogni imperfezione nel selciato delle strade, nelle facciate delle case, in ogni dettaglio urbano denunciava che non si era nella vita ma su un set.
    Che Genova resti un po’ disordinata e un po’ sporca, e che i turisti arrivino, va bene, ma non più di tanti. Che non ci portino via l’anima e la vita. (Paola Pierantoni – fotografie dell’autrice)

  • OLI 404: CULTURA – Cantare, che passione!

    A chi nei mesi scorsi fosse passato in Vico Papa, sotto Via della Maddalena (vedi OLI 365), poteva capitare di ascoltare musiche inconsuete: erano le prove del gruppo vocale ‘Le vie del Canto’, nato nel 2006 e specializzato da anni in musica popolare, canti partigiani e di lotta. Ma questa volta il repertorio era del tutto differente: canti popolari della settimana santa, provenienti da tutta Italia, da Ceriana in Liguria a Diamante in Calabria, passando per Sessa Aurunca in Campania.
    Da tempo non cantavo in un coro, ma la passione che anima questo gruppo e la bellezza dei canti mi hanno affascinato e mi sono fatto coinvolgere. Dopo le prove, il concerto col titolo “E la Madonna si missò ‘n cammine”, che si è tenuto l’11 aprile all’Oratorio SS. Nazario e Celso di Genova Sturla.
    Come recitava il programma di sala, questi canti, che siano sardi, salentini, grichi, calabresi, usano modalità narrative che risalgono alle Sacre Rappresentazioni di epoca medioevale. I riti della settimana Santa sono ancor oggi tramandati, spesso grazie alle Confraternite, per la loro forza poetica e per l’originalità della loro forma espressiva.
    Non è necessario essere credenti per apprezzare la spiritualità di questi canti, dove protagonista è il dolore straziante di una madre che si aggira dolente in cerca del figlio. Chiunque sia il figlio. Chiunque sia la madre.
    Alla galleria d’immagini di Paola Pierantoni abbiamo associato il canto “All’arie, all’arie” di Pisticci (Matera)
    (Ivo Ruello)

  • OLI 403: PAROLE DEGLI OCCHI – Senza tetto in Europa / Parigi

    Foto di Paola Pierantoni
    La difesa del clochard: una tenda sulle bocchette dell’aria calda della metropolitana
  • OLI 403: SOCIETA’ – Ceronetti, il sesso e la vecchiaia

    “Asessuate? Hai capito? E’ una palla formidabile, scoperesti tutti i giorni, e chi ce l’ha detto a noi? Che nostra nonna aveva voglia di scopare?”
    Nel gruppo ‘Generazioni di donne’ (*) del sesso in vecchiaia abbiamo iniziato a discutere da tempo, ed ora ecco un articolo di Ceronetti che si presenta come un invito a nozze, perché Ceronetti solleva un problema verissimo, ma lo declina, senza l’ombra di un dubbio, interamente al maschile.
    L’articolo, comparso su La Repubblica di martedì 1 aprile sotto il titolo di ‘Mettiamo fine alla barbarie della vecchiaia senza sesso’, si apre con una citazione da Sofocle che nell’Edipo a Colono sintetizza perfettamente la cultura del suo tempo facendo dire al suo eroe che “la più grande sciagura per un uomo è una lunga vita”.
    Affermazione rivoluzionaria oggi, tempi in cui invecchiamenti interminabili si accompagnano a infiniti escamotage tecnici, estetici, sociali per negare l’esistenza della vecchiaia.
    Ora però, dice Ceronetti, questi vecchi che sempre più popolano le nostre città, e che “La geriatria contemporanea non abbandona neppure al di là dei cento”, sono le vittime di una barbarie medica, politica e sociale, che li esclude dal sesso, o dall’amore a sfondo sessuale, “a partire da un’età prossima alla settantina”.
    Che fare? Ceronetti prende atto che è stata data qualche risposta alla solitudine sessuale dei disabili e dei carcerati, ma si chiede con inquietudine: “per i vecchi maschi, eterosessuali, coniugati o soli, si muoverà mai qualcuno?”

    Domanda interessante e legittima, ma zoppa senza la sua gemella speculare: “per le vecchie femmine, eterosessuali, coniugate o sole, si muoverà mai qualcuno?”.
    Tale asimmetria non può che condurre a soluzioni sociali e politiche sghembe, come le ipotesi evocate dallo scrittore che, mentre allontana da sé il ricorso alla prostituzione “perché degrada l’uomo molto più della donna”, vagheggia una rinascita in forma moderna delle ierodule, le schiave sacre “che compivano un servizio presso tutti gli antichi templi d’Occidente come d’Oriente”, affidando la sua speranza al “riemergere secondo una socializzazione d’anno Duemila di quella sacralità femminile del corpo offerto liturgicamente per amore delle Divinità, che certissimamente non è mai morta”.
    Ma le vecchie donne di oggi non hanno nella loro storia né ‘ieroduli’ da rievocare in forma moderna, né – più prosaicamente – prostituti.
    E allora? Un’amica dice che non si può saltare questo passaggio, perché altrimenti l’uguaglianza tra i sessi non potrà davvero compiersi. Quindi bisognerà avere fantasia, essere capaci di ‘inventare’, perché finché persiste la prostituzione femminile come dato sociale unilaterale, tutto il resto non basta per parificare la situazione, né a livello concreto, né a livello simbolico. Si potrebbero immaginare dei luoghi dove è garantito che lì sesso è giusto, è corretto, che vi si può accedere senza umiliare gli uomini, come invece sono state umiliate le donne?
    Luoghi che rappresentino pubblicamente la libertà delle donne di praticare il sesso potrebbero essere una tappa nel viaggio verso l’uguaglianza.
    (*) Per notizie sul gruppo ‘Generazioni di donne: www.generazioni-di-donne.it 
    (Paola Pierantoni – Fotografie dell’autrice)

  • OLI 403: PUBBLICITA’ – Alberi e piantine

    Un maschio adulto (presumibilmente il padre) e un maschio giovanissimo (presumibilmente il figlio) piantano un albero nel giardino di casa. Il maschio adulto libera l’alberello dal vaso e insieme al maschio giovanissimo lo pianta nel terreno.
    I due ridono e si scambiano occhiate complici mentre una femmina giovanissima (presumibilmente figlia del primo e sorella del secondo) sta a guardare, imbronciata ed esclusa, il rito primordiale che si svolge sotto i suoi occhi.

    Solo piantine per le donne?

    A questo punto una femmina adulta (presumibilmente madre dei piccoli e moglie/compagna del maschio adulto) si affaccia alla porta e fa cenno alla femmina giovanissima. Insieme, si dirigono verso un’altra zona del giardino e la madre rinvasa per la figlia una piantina che poi la figlia mette sulla finestra di casa. Madre e figlia guardano la piantina e sorridono compiaciute ai maschi che hanno completato il loro lavoro innaffiando l’alberello.
    E’ la pubblicità di uno yogurt che, ancora una volta, trasmette un messaggio pieno di contenuti discriminatori e sessisti. Infatti, mentre i maschi, in uno spazio esterno, piantano un arbusto destinato a diventare un grande albero che vivrà negli anni futuri, le donne, in uno spazio interno, travasano una piantina che concluderà la sua vita effimera su un davanzale. I maschi, quindi, fanno grandi cose destinate a durare e ad essere utili per tutti (il grande albero), mentre le femmine fanno piccole cose con un semplice valore di ornamento interno alla casa.
    Maschi e femmine occupano, quindi, spazi diversi, con una diversa gerarchia di valori: la felicità sta nel riconoscere la propria diversità/inferiorità, accettarla e non invadere lo spazio esterno che i maschi occupano con tanto successo. Questa è la lezione che la madre impartisce alla figlia: non interferire, travasa la tua piantina e renditi conto che piantare grandi alberi non è per te.
    Un messaggio pubblicitario non deve per forza mercificare il corpo della donna per essere considerato discriminatorio: anche in modo molto meno aggressivo si possono veicolare modelli e stereotipi profondamente lesivi della libertà femminile.
    (Paola Repetto – Foto Paola Pierantoni)

  • OLI 402: PAROLE DEGLI OCCHI – Mistero e vicoli

    Foto di Paola Pierantoni
    Capita, nel mistero dei vicoli, di fare magici incontri

  • OLI 402: STORIA – Né partito, né marito

    Ci sono libri che conducono dentro a pezzi di storia della città che è come se non fossero stati mai perché rimasti, fino a quel momento, solo nelle memorie individuali di qualche decina, o centianio, di persone, o magari congelati in qualche archivio, destinati a restare senza voce fino a che qualcuno (qualcuna, in questo caso) non ha deciso di andarseli a guardare, di pensarci su, per tradurli poi in storie raccontabili.
     Il 12 marzo, presso la Sala Clerici della Biblioteca Berio, c’è stata la presentazione di uno di questi libri: “Né partito, né marito”, di Graziella Gaballo, studiosa e autrice di saggi e monografie sulla storia delle donne.
    L’idea di questo libro, racconta, le era venuta due anni fa, alla presentazione del video ‘Donne in Movimento’ realizzato da Archimovi, ed aveva scoperto che a Genova c’erano degli importanti fondi documentari sui movimenti delle donne: il Fondo Archinaute, il Fondo Coordinamento Donne Flm, il Fondo “Generazioni di Donne”. Di fronte a questa ricchezza documentaria, che davvero è una specialità genovese, non aveva resistito al desiderio di trarre dei fili dalla somma un po’ anarchica di documenti nata dalla conservazione spontanea delle protagoniste di quelle vicende.
    Decisione preziosa, come quella a suo tempo delle autrici di “Non è un gioco da ragazze”, mediazione necessaria a costruire la storia, senza cui tutto il lavoro di raccolta e cura condotto per anni da tante donne sarebbe inutile.
    Il titolo del libro deriva da uno slogan, tracciato sul selciato di Piazza De Ferrari la notte del 7 marzo 1978, quando una cinquantina di femministe si diedero un notturno appuntamento in piazza per attaccare manifesti e scrivere frasi e slogan sui muri, a contestazione della manifestazione dell’8 marzo, ai loro occhi ormai troppo istituzionale e priva di combattività. La notte divenne drammatica: interventi della polizia, spari, arresti. Poi iniziative di solidarietà, processo, condanne.

    La presentazione del libro alla Berio

    Da questo spunto iniziale parte un’accuratissima, documentata, puntigliosa ricostruzione del movimento femminista a Genova, in tutte le sue molteplici articolazioni: dalla mappatura dei collettivi genovesi che si formarono nei primissimi anni ’70 (nel 1971 Genova è stata sede delle primissime esperienze femministe in Italia), alla successiva esperienza del ‘femminismo sindacale’ (i Coordinamenti Donne Flm e le 150 ore delle donne, nati nel 1976). E poi: le pratiche politiche dell’autocoscienza, la frequentazione della psicoanalisi, i temi della riflessione femminista con epicentro nella sessualità, il tragitto dall’emancipazione alla liberazione, il pensiero della differenza; le letture condivise: le riviste e i libri ‘di quegli anni’; le battaglie politiche: divorzio, aborto, violenza sessuale.
    Corredato da note molto precise e accurate, da un’ottima bibliografia, da immagini bellissime, da un indice di nomi che è in sé un percorso nella storia della città, è un libro da leggere!
    Il giorno della presentazione alla Berio una non giovane coetanea mi dice: “sono qui perché mi ci ha portato mia figlia” … bellissima inversione di ruolo tra generazioni che fa da specchio alle parole con cui il libro si conclude: “Tocca a noi farci radici e costruire consapevolmente una genalogia: perché non resti un vuoto storiografico, e perché la memoria storicizzata fornisca a chi è venuto dopo strumenti di conoscenza e consapevolezza”.
    Potete trovare il libro presso: Assolibro di C.so Buenos Aires (Augustus); Libreria Einaudi di salita Pollaioli; Books’in di vico Fieno; Falso Demetrio di via San Bernardo; su IBS, o, infine, prendendo contatto con Archimovi.
    (Paola Pierantoni – Foto Luciana Brunod)

  • OLI 401: POLITICA – La vittoria delle donne sconfitte

    Dunque, in Parlamento donne di diverso orientamento hanno stretto un’alleanza, contrapponendosi alle decisioni e alle omissioni dei rispettivi partiti di riferimento, rappresentandola simbolicamente con la scelta del colore bianco, usato nel recente passato nelle manifestazioni contro il femminicidio.
    In questo modo hanno dimostrato che le donne sono ancora capaci di atti di ‘disubbidienza’, e che la disubbidienza è necessaria se si vuole almeno tentare di inceppare il meccanismo di una politica fondata su accordi tra uomini fermamente e trasversalmente schierati a difesa della conservazione del loro status opponendosi, come osserva Chiara Saraceno (La Repubblica 11 marzo) a quelle che dovrebbero essere definite non ‘quote rosa’, ma “norme antimonopolistiche che impediscono la formazione di un ‘cartello’ basato sul sesso”.
    Le donne si sono pubblicamente esposte, e sono state sconfitte.
    Non ce l’hanno fatta contro l’attacco concentrico dell’incredibile ambiguità intrinseca al Partito Democratico, della deprimente viltà di menare la botta col volto coperto dal voto segreto (proposta da Forza Italia ma certo accolta con segreta gratitudine da molti del PD), e della desolante logica dei Cinque Stelle che giocano a fare gli alieni invece di diventare attori efficaci di democrazia.
    Ma è avvenuto un importante fatto politico e culturale: le donne hanno messo in scena, pubblicamente, quello che lo storico Giorgio Galli – citato su La Repubblica del 11 marzo da Filippo Ceccarelli – definisce “un conflitto che non è stato oggetto in quanto tale di attenzione da parte degli storici. Come se fosse un fenomeno sociale secondario, ed è il conflitto maschile-femminile; ed è proprio da questo perenne, sommerso e indicibile incontro-scontro che vengono a crearsi le condizioni per la vita stessa degli uomini e delle donne”.
    Se a seguito di questa vicenda riescono a filtrare sui giornali pensieri e consapevolezze figli della cultura femminista, c’è, nonostante tutto, da gridare alla vittoria, e da aprirsi alla speranza che, carsicamente, un cambiamento culturale sia dopotutto possibile.
    Il fatto che le parlamentari abbiano condotto questa battaglia, e siano andate incontro a questo scacco, può aiutarle nel futuro a rafforzare la propria autonomia di pensiero, a rinunciare alla gratificazione dell’approvazione maschile, a non abbandonarsi alla illusione che i conflitti siano alle spalle. E non solo in merito di leggi elettorali.
    Certo, sarebbe stato bello vedere circolare questo brivido di autonomia anche tra le ministre. Speriamo che non si buttino questa giornata alle spalle, e che ripensino a quel che è avvenuto.
    (Paola Pierantoni – immagine da internet)

  • OLI 400: GRECIA – Madre, dove vivo?

    La centralissima Piazza Monastiràki

    C’è una bella canzone scritta da Vangelis Korakàkis nel 1998, anno in cui la Grecia era ancora in piena illusione di crescita (con l’appuntamento delle Olimpiadi a breve scadenza, denaro circolante, bar, taverne e locali pieni di gente) il cui testo, curiosamente, sembra invece scritto oggi.
    Dicono i versi: “Madre, mi hai dato la vita nel tempo più difficile. Tutte le cose intorno mi urtano, tutto quello che vedo mi ferisce, ma tutti mi prendono per menagramo. La nostra speranza è perduta, e il nostro destino è scritto sul libro del diavolo. Madre, dove vivo? La barchetta che mi porta si è abbattuta su un fianco, e oscilla paurosamente, dimmi come posso reggermi, come posso restare in piedi”.
    L’abbiamo messa come sottofondo ad una serie di immagini colte lo scorso gennaio nelle vie del centro di Atene, proprio la zona che comprende le piazze e le vie più importanti della città, come se a Genova parlassimo di Corvetto, De Ferrari, San Giorgio, Via XX Settembre.
    Il cuore ‘nobile’ della capitale, come fossimo in una periferia degradata, è stato ricoperto da graffiti, e dopo un po’ che si gira tra queste superfici che ti rinviano immagini a volte belle, altre no, ma comunque per lo più aggressive, disperate o amaramente ironiche, senti proprio che è una crisi profonda che ti parla, attraverso ogni muro, ogni saracinesca.
    Un linguaggio espressionistico che grida uno stato, ma non indica direzioni da seguire.

    La città ti parla anche attraverso la sua segnaletica stradale: la grande maggioranza dei cartelli indicatori, non solo nel centro, bensì ovunque, anche nei quartieri residenziali, è stata resa il più possibile illeggibile attraverso la capillare, sistematica, opera di un esercito anonimo che ha cancellato le scritte con vernici e adesivi. Gli amici mi dicono che è il frutto del disprezzo ormai endemico che il greco medio nutre verso tutto ciò che è pubblico. Un’aggressività che trova sfogo nel sabotaggio autolesionistico.

    Ti parla la molta polizia che vedi ovunque, con agenti vestiti come andassero agli scontri armati: giubbotti antiproiettile, e altre protezioni da robocop. Un amico mi dice: “E ci credo! Qui è diventato comune sparare ai poliziotti, che peraltro fanno quel mestiere per una miseria”.
    Ti parlano le vetrine dei negozi chiusi, con incollate le scritte ‘si affitta’, ‘si vende’, destinate a rimanere senza risposta. I senza tetto, presenti ovunque. L’autostrada che va da Atene a Patrasso, incredibilmente vuota in giorno lavorativo ed ora di punta.
    Un disastro che ti entra dentro e ti lascia senza parole.
    Poi parli coi molti amici in difficoltà, e ti trovi davanti persone che combattono, che non si lamentano mai, che sono capaci di una allegria che è difficile trovare dalle nostre parti.
    Qui c’è una forza che ancora di più ti lascia senza parole.
    Speriamo che l’Europa prima o poi riesca a capirlo, e che si impegni a dare opportunità, e non a toglierle.
    (Paola Pierantoni – foto dell’autrice)