Categoria: Regione Liguria

  • OLI 427: REGIONE – Oooh lovely, Lo-Ve-Li

    Il Palazzo della Regione Liguria, in piazza De Ferrari a Genova,
    quando era sede della compagnia Navigazione Generale Italiana,
    circa 1930, in pieno Ventennio.

    Se non altro la Liguria, dopo il botto elettorale, è sempre sui media per il nuovo governatore fintamente ipercinetico Giovanni Toti.
    Il pupone infatti scorrazza con Maroni e Zaia, fa proclami, si mostra sibillino e rigoroso sul suo parlamentino, minaccia di annullare le ferie, raduna gli eletti in convento, si è finalmente insediato. Con i 5stelle che scrivono a lui “personalmente in persona” come dice l’aiutante di Montalbano e i giornali che scrivono sul nulla. Tutto un agitarsi per non fare. In realtà i numeri della maggioranza lo spaventano da matti, non tanto e non solo per la difficoltà a governare, quanto perché gli toccherà sempre essere presente: un incubo!
    E come farà con Arcore, la vita mondana milanese, romana, marinara? Lui che pensava di aver appeso il cappello divenendo il portavoce di Silvione, dopo aver sudato sette camicie a fare quel capolavoro di Tg4. Da un talk all’altro con quella sua voce da Bubu, spargeva in giro il Verbo del padrone e mai e poi mai pensava di essere eletto presidente in Liguria, “Una regione”, come si è trovato a dire più volte, “che vale forse quanto Brescia”.
    Così adesso “la Liguria lavorerà con il Nord-Ovest e con un occhio ad est”, ovvero Veneto e Lombardia: auguri, speriamo, visto che la Liguria, quando va bene, è stata considerata il sud del mitico Nord.
    Persino il quotidiano La Stampa ci ha abbassato il target. Su Genova per tanto tempo si comprava La Stampa con il Corriere Mercantile, poi l’acquisto del Secolo XIX e la decisione di puntare per il capoluogo proprio su quest’ultimo: un flop per la Stampa, che senza il Corriere Mercantile ha visto paurosamente diminuire le sue copie, tranne per il Ponente, meta affezionata di tanti piemontesi, amanti della Riviera dei Fiori e per la quale produce un buon inserto.
    Nemmeno in occasione delle elezioni regionali La Stampa ha considerato un granché la Liguria, tanto che il 2 giugno è uscita con articoli uguali-uguali sui due giornali: “Renzi mette la mimetica” pag.3 La Stampa, pag 13 Il Secolo XIX; “Pastorino traditore”, rispettivamente a pag 3 e a pag. 4; “L’effetto Pastorino non è stato decisivo”, pag. 9 e pag. 12; “ Stop ai migranti, zero burocrazia”, pag.5 e pag. 3. Il tutto è parso un copia-incolla avvilente da parte di un quotidiano che pareva essere affezionato alla nostra Regione. Per fortuna ora c’è Toti: un titolo al giorno farà sparire i problemi di torno.
    (Bianca Vergati – foto Archivio fotografico del Comune di Genova)

  • OLI 423: REGIONE – Carbone che viene, carbone che va

    “ Ma tu con chi stai?” è il quesito principale che imperversa sui media liguri, da destra e da sinistra tutti sgomitano, ma dai politici nemmeno un pio di come sta la nostra Liguria. Pare si stia sfasciando il Salone Nautico, che non interessa soltanto Genova, eppure il capo di Fiera, Sara Armella, è occupata a fare le primarie Pd, mentre il presidente in scadenza dell’Autorità Portuale Merlo, consorte della candidata presidente regionale, presenta un Piano regolatore Portuale “da sssogno”, direbbe Crozza-Briatore: stupendo il blueprint di Renzo Piano, speriamo che lo facciamo.
    Si prevedono però due nuove dighe, gulp, quando neppure si è deciso se e quando fare la torre piloti, forse l’unica certezza è l’abbattimento dell’ex palazzo Nira, che magari basterebbe bonificare per recuperare…
    Il porto di La Spezia compra gru giganti dalla Cina, una volta le costruiva Ansaldo Industria, come se quel gioiello di golfo fosse adatto per intensificare il megatraffico container, a Imperia crisi nera, è lontano il ricordo dei mulini sbuffanti della pasta Agnesi e dei treni carichi di grano, ora ristorantini, vecchi yacht e sulle banchine rubate al mare svettano gli scheletri degli edifici del superporticciolo incompiuto.
    A Savona è stata chiusa la centrale termoelettrica di Tirreno Power, non più a norma, restano duecentomila tonnellate di carbone inutilizzate e a rischio inquinamento. Finalmente si è deciso per lo sgombero: il 15 per cento andrà alla centrale di Monfalcone. E il resto? Ci vorranno quaranta camion al giorno per completare lo smaltimento delle prime trentamila tonnellate, che viaggeranno fino al Terminal Rinfuse di Genova, essendo stato chiuso da tre mesi quello di Savona-Vado, proprio per la cessazione dell’attività della centrale. La movimentazione del carbone potrebbe avere effetti sull’ambiente, intanto è certo che dovranno essere compiuti millecinquecento viaggi per l’imbarco sino a Genova.
    Complimenti per la gestione alla Regione, al Ministero, a tutte le Autorità Portuali, che puntano i piedi per non essere accorpate, quasi ogni porto fosse una repubblica marinara e il coordinamento in questo caso è brillato: la Befana è lontana, ma molto di quel carbone dovrebbe essere scaricato a casa di tutti quei soggetti di cui sopra.
    (Bianca Vergati – immagine di Guido Rosato)

  • OLI 417: REGIONALI 2015 – Se non ora, quando?

    Si dice che ormai la partita sia quasi chiusa e che sulle primarie per le regionali liguri 2015 del centro sinistra i giochi siano praticamente fatti. Si avverte un vago senso di resa anche nei militanti più radicali che, dalla lettura dei quotidiani, nemmeno osano proporre un nome e pare si siano in maggioranza allineati nel sostenere Cofferati. Niente di troppo vincolante, sia chiaro, ma qualcosa che si può serenamente trattare durante una cena – la politica genovese alimenta una tradizione abbastanza consolidata di pasti – definita su la Repubblica ed Genova “Patto della Lanterna” dove tutti o quasi si sono messi d’accordo (Lista Doria, Sel, Civatiani, Prc) per sconfiggere i renziani liguri. Le primarie fissate per il 21 dicembre mirano a ridurre l’affluenza e l’eventuale danno, quindi è bene far fronte.
    Chi non comprendesse i motivi per i quali un neoeletto al Parlamento Europeo debba essere candidato in Liguria, se ne faccia una ragione e prenda nota della recente frase di uno scafato militante Pd: il problema è che non abbiamo nessuno.
    Ma sarà vero?
    Forse il Pd e una certa rappresentazione della sinistra non hanno nessuno.
    L’affluenza alle elezioni Europee ha prodotto un dato implacabile: solo il 57% degli aventi diritto è andato a votare sei mesi fa. Mentre nel 2010 in Liguria, per le regionali, l’affluenza era stata del 60,92%.
    Il 40% non si è presentato a votare e probabilmente non lo farà la prossima primavera, alla faccia del premier che sventola la stessa percentuale per rivendicare un consenso ottenuto alle europee.
    Ma sarà vero che non c’è via di uscita e nemmeno alternativa in Liguria?
    Cosa dicono le ragazze di Se non ora quando? Le stesse, che si battono per la preferenza di genere nella legge elettorale regionale e che con precisione avevano prodotto e messo in rete un sondaggio dove si indicavano i nominativi di donne competenti e preparate da proporre nella carica di assessore comunale? Nessuna di queste donne potrebbe essere della partita? Penso a Michela Costa, Alessandra Ballerini, Deborah Lucchetti, Manuela Cappello e alle altre.
    E le molte associazioni, quelle in prima linea per la difesa del territorio, per il diritto allo studio e alla salute cosa dicono?
    Davvero, in una regione che frana fisicamente e politicamente, ci possiamo accontentare di andare al voto aderendo ai soliti rituali?
    Non è vero che non c’è nessuno. E’ l’assenza di politica che ci rende deboli e un pochino ciechi.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • OLI 417: REGIONALI 2015 – L’usato sicuro: il candidato sindacalista

    “I sindacati li sento, li guardo, non so sinceramente cosa vogliano fare”, risponde serafico Sergio Cofferati a Lilli Gruber , su Ottoemezzo, il 4 novembre, come se a Roma a sfilare ci fosse stato il suo ologramma. Fa l’occhiolino a sinistra e si mette l’elmetto da pompiere, tante le sollecitazioni commoventi, come le definisce lui, a presentarsi alle primarie Pd, in vista delle elezioni regionali in Liguria.
     Proprio non sa , ma pochi giorni dopo, dal foyer del teatro Carlo Felice lo comunica al mondo, per fare un favore alla comunità, pare sottendere il suo accettare la sfida. Non dice che il Pd genovese non sa più che a santo votarsi, a fronte della novella Lella di Spezia, una renziana della seconda ora come Pinotti e dintorni. E vorrebbe schierare un usato sicuro. Insomma, tutto un nuovo che avanza per la gioia degli affranti cittadini-elettori. Soltanto sei mesi fa, alla vigilia delle elezioni europee l’ineffabile Sergio dichiarava urbi et orbi (Oli 404): “Cinque anni sono molti, ma il mio lavoro dovrebbe ancora proseguire all’insegna della continuità dell’impegno” . Gulp, ma non era venuto a Genova per fare il papà?
    Sarebbe stato interessante un suo commento alla Commissione in Comune per l’inserimento dei lavoratori Ilva, svoltasi il giorno prima dell’alluvione: sono 765 e la situazione si trascina dal 2005. “Ma non sono lavoratori che faranno corsi di formazione per essere ricollocati, ritorneranno all’Ilva”, afferma un rappresentante sindacale al grido di “tornate sul web” rivolto ai grillini, che chiedono chiarezza sui ruoli assegnati. Era per dare maggior dignità agli incarichi, spiegano i 5 Stelle e altri, ma i sindacati non l’hanno presa bene a sentire qualcuno che sindaca nelle loro proposte.
     Come recita la delibera, “tra impiegati, operai e persone con conoscenze informatiche”, 163 sono gli assegnati alle manutenzioni, 131 al Verde, 99 ad Amiu “per ripristino ambientale”, 28 ad Aster “per attività specialistiche”, mentre 28 operai saranno nelle scuole “per lavori di pubblica utilità”, che non significa fare il bidello o aggiustare un banco.
     Con il dovuto rispetto dei lavoratori, le collocazioni non appaiono del tutto congrue alle esigenze del Comune e della città, dai 42 uscieri, ai 58 per i cimiteri e altre decine di incarichi fumosi. E’ un accordo-pilota, il primo in Italia, eppure… Storia amara è quella dell’Ilva, ma forse i cinquecento euro oltre la cassa integrazione conforteranno un po’ i lavoratori: tanti ragazzi precari prendono quei soldi lì come stipendio globale, se mai lavorano.
     Si capisce il furore dei dipendenti Ilva, cause note purtroppo, dai proprietari, ad una gestione dissennata, alla crisi del settore.Comunque i sindacati rassicurano, precisano che al Comune non costerà nulla, paga tutto la Società per Cornigliano. Che è una società nata con Statuto a firma del sindaco Pericu, per la bonifica delle aree siderurgiche, al 45% ne è proprietaria Regione Liguria e per l’altra metà Comune e Provincia, in una sorta di matrioske verso altri rami sempre pubblici, con finanziamenti governativi e poteri d’appalto. A retribuzione zero ne è presidente il vicesindaco di Genova, prima presidente di quel Municipio.
    Solidarietà per i lavoratori, ma chi parla per loro ha un’aria fumosa, un’aria stizzita, un’aria feroce anche con chi cerca di dare un aiuto.Viene il dubbio se per davvero si sono avute a cuore le vite degli altri, il futuro delle persone, che magari in questi dieci anni di trattative avrebbero potuto ricollocarsi altrove, ancor prima della crisi economica globale, invece di far credere ad un posto di lavoro nell’acciaio, che non ci sarebbe stato più.
    Ecco, questi sono i sindacati di cui anche Cofferati è stato per anni la guida, oggi più che mai sulla scena, al ricordo dei tre milioni in piazza di dodici anni fa, quando si approssimavano la globalizzazione moderna, il web e il cellulare – non per parafrasare Renzi, ci mancherebbe – ma perché nel bene e nel male, il tempo ha lasciato segni indelebili.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 415: CITTA’ – Come se si stesse su un vulcano


    Due rappresentazioni a confronto dello stesso territorio, con i torrenti Bisagno e Fereggiano, a 210 anni di distanza l’una dall’altra. Le avevamo già pubblicate dopo l’alluvione del 4 novembre 2011 (OLI 319), senz’altro commento che la didascalia: 
    Sopra: 
    dall’Album topografico di Genova e suoi dintorni, penna ed acquerello colorato, circa 1797, Genova, Collezione Topografica del Comune, inv. n. 1127 (particolare). 
    Sotto: 
    da Google Earth, 9 agosto 2007.
    Le ripubblichiamo ora tali e quali, aggiungendo stavolta alcune riflessioni.
    Dopo tre anni la replica dello spettacolo è andata in scena quasi identica, ma più intensa e straziante, il 9 ottobre 2014. Solo l’orario della rappresentazione è cambiato: se fosse rimasto lo stesso, invece che a notte fonda, il numero delle vittime sarebbe stato ben maggiore dell’unico sventurato travolto dalla piena.
    Di sicuro ci sono responsabilità degli amministratori locali – Comune e Regione – che non hanno diramato per tempo l’allerta fidandosi più di uno sballato modello previsionale che non dei loro occhi, che non potevano non vedere quant’acqua stesse precipitando da ore dal cielo.
    Ma il preavviso non avrebbe comunque fermato la furia dei torrenti: i negozi, i laboratori, le cantine, i magazzini e gli altri locali a pianterreno o seminterrati sarebbero stati in ogni caso allagati.
    Se – altra grave mancanza di chi gestisce il territorio – si fossero mantenuti gli alvei perfettamente puliti, sgombri da alberi, arbusti e cespugli che son pittoreschi a vedersi quando è bel tempo e ospitano animali selvatici, ma riducono di molto la portata nei momenti di piena, probabilmente si sarebbe ridotto il danno, però quasi certamente non si sarebbe evitato lo straripamento, data l’entità delle precipitazioni in relazione allo stato di un territorio ormai irreparabilmente compromesso da un secolo e mezzo di urbanizzazione sempre più intensa e irrispettosa di un ambiente che da sempre è soggetto per sua natura a periodiche inondazioni.

    Luigi Garibbo dis. e inc., Veduta del Ponte della Pila sul Bisagno presso alle mura di Genova,
    poco dopo il suo diroccamento per la gran piena de’ 26 Ottobre del 1822.

    Ben lo sapevano i nostri antichi, che nel medioevo costruirono il lunghissimo ponte di Sant’Agata (le poche arcate superstiti nel greto del Bisagno non sono che una minima parte delle originarie 28 che si estendevano da Borgo Incrociati fino alla chiesa di Sant’Agata, presso piazza Giusti) per garantire la continuità del transito anche nei momenti di piena.
    Lo stesso fecero gli ingegneri sabaudi che nei primi decenni del XIX secolo realizzarono la nuova carrozzabile verso la Toscana, il cui primo tratto (via Minerva, oggi corso Buenos Aires) correva su un terrapieno sopraelevato di alcuni metri sul piano di campagna, in previsione delle rare ma sempre in agguato alluvioni che, allora come oggi, interessavano la piana estesa tra le odierne piazza Tommaseo e vie Galata e Cesarea. La strada fu abbassata solo con l’attuazione del piano regolatore del 1877, col quale, dopo l’annessione a Genova di sei comuni a levante del Bisagno nel 1873/’74, si disposero case dove prima erano orti.
    Poco male se un tempo finivano sott’acqua per qualche ora campi coltivati e pochi edifici rurali sparsi qua e là.
    Assai peggio è quanto avviene oggi e continuerà sicuramente ad accadere in futuro, senza rimedio, dato l’assetto assunto da questa porzione di città di cui, in modo assai poco lungimirante se non addirittura colpevole, si è consentito nei decenni lo sviluppo in tale area critica.
    L’asfalto e le costruzioni hanno ricoperto le pendici delle colline impermeabilizzandole e obbligando la pioggia a correre in basso invece di essere parzialmente assorbita dal terreno, specie grazie alla speculazione edilizia dal secondo dopoguerra fino ad oggi, considerando pure i numerosi parcheggi interrati in gran voga negli ultimi anni. I corsi d’acqua nei fondovalle sono stati ridotti d’ampiezza e in parte nascosti sotto strade sicuramente funzionali e anche belle, come il viale Brigata Bisagno e Brigate Partigiane, ma esiziali nei momenti di piena: è ben noto come la portata di un fiume o torrente coperto si riduca di colpo in maniera considerevole nel momento in cui il pelo dell’acqua tocca la sommità del condotto, con conseguente esondazione.
    Questo video impressionante, girato da una finestra dirimpetto e con drammatiche voci fuori campo, realizzato e pubblicato su Facebook da Maria Principalli, documenta quanto successo l’altra notte col Fereggiano:

    Chi risiede o lavora in queste zone deve purtroppo prendere atto di tale amara realtà, elaborare la consapevolezza che dopo periodi più o meno lunghi di quiete il dramma si ripresenta inesorabile, abituarsi a convivere con questo pensiero, agire di conseguenza. 

    Nell’ultimo mezzo secolo la cadenza era all’incirca ventennale: 1953, 1970, 1992, 2011 (per limitarsi al bacino del Bisagno, senza parlare di altre zone altrettanto a rischio con tempi diversi). Ora dopo appena tre anni ci risiamo, complici i rivolgimenti climatici in atto a livello planetario. Non possiamo sapere quando sarà la prossima.
    È come stare sulle pendici del Vesuvio, di cui con beata incoscienza molti godono il magnifico ambiente e lo splendido panorama, pur sapendo con fatalistica rassegnazione che prima o poi il vulcano si risveglierà e allora sarà la fine per la miriade di case che ospitano circa 600.000 abitanti, che si spera riescano a mettersi tutti in salvo coi piani di evacuazione da tempo predisposti. Ma laggiù accadrà una volta soltanto, qui invece chissà quante volte ancora, con l’acqua al posto del fuoco.
    Occorre partire da questa considerazione, con realismo
    Di sicuro si deve cominciare col perseguire almeno la riduzione del danno, curando la costante manutenzione e pulizia dei greti e monitorando di continuo l’efficienza dei tombini, investendo risorse economiche innanzitutto in queste azioni minute e assai poco d’immagine, ma utili per la collettività, piuttosto che in grandi opere visionarie.
    Se i soldi non bastassero, si possono sempre coinvolgere i cosiddetti  “angeli del fango” e nuovi volontari, in ricorrenti giornate di faticosa ma gratificante festa tutti insieme non a spalare fango, ma a prevenirlo periodicamente sotto il coordinamento organizzativo dei municipi. O avvalersi – se mai sarà avviato – del  nuovo Servizio civile obbligatorio per tutti, come lo era il vecchio servizio miliate di leva, di cui si sta cominciando a parlare a livello nazionale.
    Assai più impegnativo, ma indispensabile, è il completamento dello scolmatore del torrente Fereggiano e di altri rivi, per condurli a sfociare direttamente in mare attraverso una galleria solo in piccola parte scavata e poi interrotta per intricate vicende burocratiche e giudiziarie.
    Ma poiché, come probabile, nonostante queste azioni gli eventi potranno comunque ripetersi, sia pur – si spera – con minore intensità e frequenza, è opportuno che si stabiliscano norme di comportamento per tali occasioni, da diffondere capillarmente tra la cittadinanza coinvolta affinché le faccia proprie, a partire dall’infanzia, stimolando anche la capacità di autonoma valutazione del rischio senza attendere i comunicati ufficiali. Qualcosa si era cominciato a proporre, anche con manifesti disegnati dalle scuole, ma molto resta ancora da fare.
    Rimane il problema delle attività al pianterreno, già duramente provate nel 2011 e ora di nuovo ferite in modo gravissimo, con la prospettiva di esserlo ancora non si sa quando e quante volte. Altrettanto vale per i mezzi di trasporto privati, posteggiati ovunque nelle aree inondabili.
    Quali soluzioni si potrebbero escogitare, che siano davvero praticabili e non fantascientifiche?
    Sarebbe utile oppure no scoperchiare il Bisagno nel tratto terminale fino alla Foce, come alcuni sostengono, demolendo la copertura realizzata ottant’anni fa, rifatta con gran dispendio da poco ma soltanto a metà (alta incompiuta, per un’incredibile alluvione di ricorsi in un contesto dove l’accusa di tangenti è stata tangibile)? Ce la sentiremmo di annullare un’arteria di grande traffico, vanificare quanto già speso e alterare radicalmente un compiuto e valido contesto urbano degli anni Trenta?
    Questi ed altri interrogativi possono essere materia di elaborazione per architetti, urbanisti e pubblici amministratori in diretto e costante confronto con i cittadini, con l’obiettivo di risolvere problemi vitali prima di abbandonarsi a sogni fantasmagorici e redditizi per pochi.
    Il dibattito è aperto.
    (Ferdinando Bonora)

  • OLI 407: REGIONE – L’Europa scommette sullo sport, la Liguria forse

    “La Regione scommette sullo sport”, così su Repubblica il presidente Burlando annuncia ” riprogrammazione di fondi comunitari” per investire su ventisei strutture sportive ad uso scolastico in Liguria. A tutta pagina poi l’assessore regionale allo sport precisa che ci saranno 3 milioni di euro per mettere a norma più di venti impianti sportivi, strutture che una volta ammodernate, permetteranno di utilizzare gli stessi impianti in orario pomeridiano, grazie alla sinergia tra scuole e società sportive. Si sceglie di valorizzare interventi significativi “per garantire le migliori condizioni per lo sport scolastico, fondamentale nello sviluppo psicofisico dei ragazzi”. Che buoni intenti.
    A scorrere il Giornale della Giunta della Regione Liguria si legge: “Scuola e sport: in arrivo 3 milioni grazie ai fondi Par Fas 2007-2013”.Ovvero, mentre già si lavora per i progetti 2014/2020 la Regione Liguria con una riprogrammazione ha utilizzato, finalmente, i fondi europei richiesti ancora nel primo mandato. Fondi a destinazione puntuale, lasciati in stand by, che si sono tenuti stretti, non sono arrivati adesso, sono stati investiti ora perché magari si sarebbero dovuti restituire.
    Intanto diamo il benvenuto noi  ai liceali di Mol, cittadina vicino a Bruxelles, giovani atleti che l’assessore regionale allo sport non è riuscito a salutare, ragazzi venuti per quattro giorni dal Belgio a Genova, grazie ad un’iniziativa d’interscambio sportivo del Trionfo Ligure di Villa Gentile ( Mercantile, 17/4).
    Una sorta di Erasmus dello sport insomma. Peccato,  l’assessore non è riuscito a festeggiarlo, era  impegnato in veste istituzionale, nella mezza maratona, a partecipare pure ad un gara di foot golf per beneficenza. Nell’occasione si rileva pure che tra calciatori, giornalisti , professionisti, imprenditori, coccolati anche dalle trofiette di Zeffirino, per la Gigi Ghirotti sono stati raccolti ben millequattrocento euro.
    (Bianca Vergati – Foto dell’autrice)

  • OLI 404: ELEZIONI EUROPEE – Sergio, beato fra le donne

    Campeggia già per tutta la città la faccia bonaria e barbona di Sergio Cofferati, di nuovo in corsa per le Europee 2014, beato tra le donne candidate, con Marina, sindaco di Stella, provincia di Savona, Maria Chiara da Lerici, operatrice sociale e Carlotta, assistente per dieci anni di Roberto Speciale, ex europarlamentare, magari la più titolata per la Ue, avendo fondato con l’onorevole il Centro in Europa, che ha come vocazione, vedasi nel sito…aggiornare le insegnanti della scuola primaria. Un’associazione culturale, piena di buoni intenti, con la collaborazione di firme illustri, ma anche centro di corsi di formazione, uno di mille, cui contribuiscono pure il Comune di Genova e la Regione Liguria: come staff sempre Roberto Speciale e la dott.ssa Carlotta.
    Sempre nel sito alla voce “ materiali” il top è l’intervista a Francesca Balzani, europarlamentare, brillante tributarista, reclutata dall’ex sindaco Vincenzi e divenuta poi in Europa relatrice del Bilancio europeo, ora Assessore al Comune di Milano e arringata dall’assessore regionale Raffaella da Spezia perché oserebbe ambire a fare il prossimo governatore della Liguria, non essendo neppure iscritta al partito, in cui la spezzina ha fatto tutta la gavetta.
    Anche Francesca è desolatamente tra i parlamentari italiani che hanno abbandonato l’Europa, non si ricandiderà, solo i Francesi hanno fatto peggio, sono in tredici,  sette invece gli italiani che hanno lasciato a metà  il seggio europeo negli ultimi cinque anni, di cui quattro del Pd, Ds, ecc., in buona compagnia di Bersani, Serracchiani, e altri transfughi vari che in questi anni, pur di essere in Europa avevano cambiato casacca, bandiera, look : quasi ventimila euro al mese sono miele per gli orsetti golosi.
    Nessuna traccia di manifesti per Alessia Mosca, nominata direttamente da Matteo Renzi, forse per parare i colpi del partito liquido, non certo di provata fede a livelli locali. Così per l’altra candidata Renata Briano, assessore regionale all’Ambiente, a suo tempo sbarcata in Regione direttamente con il listino del presidente. Alla conferenza stampa di presentazione l’altro candidato maschio, il ragazzo Brando, un curriculum nel partito da paura, praticamente ha iniziato dalle scuole medie, nel suo sito Fb non è ancora stato rimosso l’appello alle primarie 2012 pro Bersani: Sono il più giovane candidato di tutta Italia, dichiara orgoglioso, “nato in Liguria” sottolinea nei manifesti.  L’unica definita renziana doc è Maria Chiara, operatrice sociale di Lerici, invano cerchi il suo curriculum, ma sul quotidiano on line di Spezia si legge che scelte come Brando e Maria Chiara sono  finalmente espressione del territorio.
    E il giovane ministro Andrea Orlando saltabeccato dall’Ambiente alla Giustizia? Forse lo si considera in un ministero non di peso, visto che tranne leggi ad personam, i cittadini non vedono riforme da decenni. “Cinque anni sono molti, ma il mio lavoro dovrebbe ancora proseguire all’insegna della continuità dell’impegno – dichiara l’europarlamentare uscente Sergio Cofferati – l’obiettivo è quello di completare un lavoro complesso, dalle infrastrutture alle attività produttive, dai servizi ai diritti delle persone e sul sito Pd invita a scaricare un libretto in cui dice di raccontare tutto quello che ha fatto a Bruxelles. Nel libretto pieno di foto di giovani cittadini, vanta il 97 per cento di presenze con undici incarichi come relatore e persino altri 20 come relatore ombra. Auguri.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 396: PUC – Quando si partecipa troppo

    Mercoledì 22 gennaio, ecco presentarsi alle audizioni di cittadini e associazioni in commissione comunale, circa il recepimento nel Puc delle osservazioni regionali di Valutazione Ambientale, il Comitato di Terralba. Di nuovo? il suo rappresentante ha ormai calcato tutte le platee possibili, presenziando ai convegni, nei municipi, in comune, ai tavoli di discussione, dal piano urbanistico al dissesto idrogeologico, ovunque,occupando tempo e spazio, anche quando la questione c’entrava di striscio. Indubbiamente utile per Terralba, che sarà impressa nella memoria dei partecipanti, pure presso gli stralunati cittadini comuni, che avrebbero voluto sentire qualcos’altro, come in quest’occasione e non una mezz’ora di Terralba con claque al seguito.
    Chissà, magari avere una visione un po’ più ampia, sapere quale sarà il futuro dell’abitato e del paesaggio, patrimonio di tutti e non soltanto il destino delle aree ferroviarie di Terralba, su cui erano previsti edificazioni in cambio di una messa a punto di linee metropolitane di superficie: proposta delle Ferrovie dal sapore ricattatorio s’intende.
    Così all’ennesima riunione, grazie a chi si guarda soprattutto il suo ombelico, si sono avute “comode”  risposte frettolose e poco articolate su tematiche più generali, che invece interessano tutti i cittadini. Come la proposta di “moratoria sul consumo di suolo” chiesta per la Liguria da Salvatore Settis sul Secolo XIX ( 22.1.14) e portata avanti dalla rete delle associazioni della “Città che vogliamo”, infatti a Genova ci sono quindicimila vani vuoti e dunque che senso ha costruire ancora? Però apparirebbe da “esproprio oltrecortina” la proposta presentata dalle associazioni di un “allontanamento delle popolazioni” da edifici o zone più o meno a rischio, via la Valbisagno o via la Foce.
    Inquieta la preoccupazione degli uffici circa l’abbandono delle aree in collina se non si permette l’edificabilità anche a chi non fa agricoltura, come invece chiedono i giovani agricoltori, che lamentano una probabile impennata dei prezzi sui terreni agricoli se diverranno edificabili. E altrettanto dicasi per la richiesta della Coldiretti di tenersi stretti, ovviamente per trasferire o vendere, i diritti edificatori.
    Non si sono ancora avute risposte puntuali per le aree a rischio idrogeologico, che ora sono rosse e poi potrebbero non esserlo più, dopo la costruzione dello scolmatore, e nemmeno è chiaro se si costruiranno altri megaparcheggi come quelli a monte nel levante: non è un caso che il terreno dei parchi di Nervi con i suoi alberi centenari che vengono giù, sia intriso d’acqua anche quando non è piovuto. Non sono un caso neppure le casette a picco sul mare sempre nel levante cittadino, quelle che stanno franando a Nervi, frutto di un condono dell’anno di grazia 1986.
    Nessun chiarimento neppure sulle “porzioni” di verde che spettano a ciascun abitante, non soltanto l’aiuola-giardinetto o la porzione di mare libero, o al diritto di ciascuno a non vivere con troppi decibel e traffico inquinante con nuovi insediamenti. Invece di costruire le associazioni propongono una “rigenerazione urbana”, come il rinnovare anche dal punto di vista energetico per risparmiare magari sul riscaldamento, e sarebbe anche lavoro per le imprese edili, è vero, ma di questi tempi e con una popolazione anziana chi andrà a dire a migliaia di cittadini che dovrebbero ristrutturare le loro pareti o le loro finestre?
    Tutto rinviato alla discussione nello specifico del solo Puc.
    Da sottolineare previsioni demografiche ottimistiche degli uffici su eventuali futuri abitanti, previsioni che si rifanno ad un auspicio di città, più che a delle certezze. Si spera che verranno city users per l’università, per l’high tech, per il turismo, per altro lavoro e lo speriamo davvero per Genova, per i nostri giovani, non possiamo respingere queste speranze, ma la realtà di oggi ed il futuro che s’intravede dicono altro.
    Prospettive occupazionali che mettono i brividi.
    Grazie alla crisi che, per la nostra città, ha radici lontane, grazie allo spirito d’iniziativa dei nostri arditi imprenditori, che hanno investito sì nel territorio, ma al massimo nel mattone, grazie alla preminente politica industriale pseudo-pubblica, che ci ha travolto quando non ha più funzionato. A Genova sarà durissima vedere la mitica luce in fondo al tunnel, ma ancora luccicano i soliti noti, armatori, petrolieri, ministri, parlamentari, amministratori di aziende e istituzioni.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 391: CITTA’ – Puc, Regione e autorimesse AMT

    Dunque va bene o non va bene quanto hanno deciso gli Uffici Comunali riguardo le Osservazioni della Regione in materia Ambientale? Un bel parere secco e se ti va un bel malloppo da leggere, quasi duecento pagine di verbali, tabelle, recepimenti, inviati ai Municipi per approvare un qualcosa che neanche in consiglio comunale hanno ancora visto.
    Tra le pagine di quegli stizziti verbali si è consumata invece una bella lotta tra Enti per decidere il futuro assetto edilizio della città con abitanti in calo irreversibile, costruire o non costruire nei famigerati Distretti di trasformazione, ovvero nelle aree dismesse di fabbriche, vallette verdi, autorimesse, quante residenze, quanti centri commerciali, quanti parcheggi è permesso fare. In un raptus di fine mandato la Regione ha sparato una serie di diktat ambientali, che ha entusiasmato ambientalisti e spiazzato la controparte, sentenziando osservazioni non meramente indicative come di solito avviene, ma le ha blindate a “prescrittive” , nel senso che è obbligo vadano recepite: la Vas, Valutazione ambientale strategica.
    Una spallata da ente sovraordinato, cioè da chi conta di più, sta più in alto nella scaletta d’importanza. Un bel destro per gli Uffici, nel frattempo passati direttamente dal via con il nuovo sindaco come nel gioco dell’oca, tornando a fidata gestione Pd, Fds, Ds, ante Vincenzi, un’ambientalista pura al confronto.
    Si scopre così dai verbali che il Comune “evidenzia come non sia possibile destinare sistematicamente le aree esondabili a verde, (ndr. come richiesto dalla Regione nelle sue Osservazioni) in quanto si tratta nella maggior parte dei casi di aree già insediate o sulle quali pesano interessi anche pubblici notevoli e -conseguenti affidamenti- , come la rimessa AMT della Foce ..sarà necessario esplicitare che alcune previsioni di grande trasformazione di PUC, ad esempio Corso Sardegna e Via Maddaloni, (ndr. dove c’è la rimessa Foce Amt ), per ragioni giuridiche (…!!) non possano che essere confermate, ovviamente evidenziando in norma … il raggiungimento di adeguate condizioni di sicurezza idraulica, come previsto dal Piano di Bacino..” (ndr., Il Piano di Bacino, per dirla semplice, stabilisce come e quanto è sicura una zona rispetto ad un fiume)..”evidenzia il Comune che sta approvando il progetto definitivo dello scolmatore del Ferreggiano-Noce-Rovare (…) L’intervento comporterà una revisione delle zone rosse nel Piano di bacino del Bisagno.”
    Quindi anche se “La Regione, evidenzia la necessità di individuare i distretti in contrasto con le norme di Piano di Bacino… “, il Comune non arretra, vuole lasciare a residenze, commercio, parcheggi magari interrati,  più di quattromila metri quadrati dell’autorimessa della Foce. Un’ipotesi remota si dirà, visto che la Foce è l’unica autorimessa rimasta nel Levante, quella di Boccadasse già venduta, al suo posto un palazzone ed è tramontato il progetto di ricoverare i bus allo stadio Carlini.
    Per ripianare Amt se pare corretto mettere in campo i gioielli immobiliari, posti in luoghi di pregio, altro discorso è il non arretrare rispetto ad una riqualificazione in area rossa cioè esondabile, ipotizzando che prima o poi con i lavori ancora da farsi sullo scolmatore Fereggiano, la Foce zona rossa non sarà più. Portandosi dietro a cascata progetti in soffitta di park interrati nei dintorni, come Caravelle e via Casaregis.
    Intanto già si sa come sono finiti i soldi della rimessa Boccadasse: in un’altra società, una bad company per presentare un‘Amt sana al socio francese, che nel frattempo s’è volatilizzato, riprendendosi il suo capitale tutto intero. Di sicuro Amt fu società giuridicamente inadempiente, ma il Comune fece proprio un bell’affare: soldi e immobili spariti e debiti rimasti.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 390: ECONOMIA – Itticoltura a Nervi

    Un impianto di maricoltura a Nervi, questa è l’ultima novità delle amministrazioni pubbliche liguri: la Regione che va in deroga a sé stessa ed autorizza un impianto a un chilometro dalla costa proprio di fronte al Castello di Nervi, e il Comune che sta valutando di autorizzare l’attività a terra dell’impresa nel porticciolo e le necessarie pratiche per poter aprire un magazzino tecnico e raccogliere il pesce prodotto e portarlo via con dei camion.
    Si inizierebbe con due vasche, per arrivare poi nel tempo a nove, occupando in totale uno specchio acqueo di duecentomila metri quadrati, in un posto che viene ricnonosciuto da tutti come l’ultimo baluardo della conservazione del paesaggio a Genova, per lo meno in riva al mare.
    Contro questo progetto si stanno organizzando i comitati della zona, specialmente i pescatori che troverebbero in quei grandi contenitori galleggianti un intralcio alla propria pesca ed un elemento di disturbo nei confronti del pesce “libero”, che si assieperebbe intorno alle reti sommerse a cercare cibo facile ed abbondante. Con il rischio che i pesci selvaggi, a contatto con un allevamento governato da antibiotici, possano ammararsi più facilmente.
    Certo, si dice, il mercato è diverso, i pescatori non devono temere la concorrenza dell’impianto in quanto si tratta di prodotti differenti, uno allevato, l’altro pescato selvaggio e quindi che può godere di un ben altro valore sul mercato. Ed è anche vero che senza il pesce allevato, il costo del mercato ittico sarebbe proibitivo, quindi di fatto allevare è necessario.
    Ma veder progettare un impianto ad un chilometro dalla costa a Nervi, dove la Regione stessa non prevedeva itticoltura, andando in deroga a sé stessa, nel posto con il miglior panorama di Genova e usando il porticciolo interrato come base logistica lascia il dubbio che qualcosa non funzioni nei meandri della burocrazia nostrana.
    (Stefano De Pietro – immagine da Internet)