Anche quest’anno il 25 aprile è assurto alle cronache nazionali con palinsesti milionari, processioni e corone. Cerimonia laica sacrosanta, apparsa a molti ancor più necessaria visto che ricorrevano settant’anni dalla Liberazione. E poco importa che a commemorare ci fosse chi la Costituzione la mortifica in parlamento: è solo tristezza presente sommata alla memoria passata. Piccola assuefazione al peggio.
Tuttavia esistono luoghi felici dove commemorare corrisponde a ragionare e perché no, a progettare. Spazi toccati dalla presenza di giovani – è aperta la stagione di caccia a questa specie sotto campagna elettorale – che ascoltano e condividono idee per il proprio futuro, parlano della resistenza di oggi, magari al femminile e commemorano anche, con la proiezione di un docufilm su un partigiano diretto da uno di loro.
Ricordare il 25 aprile alle Valli Unite è stato questo: un grandioso fine settimana sui prati, tra le cascine della cooperativa di Costa Vescovato, tra i colli tortonesi, un fiorire di giovani famiglie con piccoli marmocchi che pareva di essere in Svezia. Così è stato possibile conoscere di più sulla resistenza delle miliziane curde in Siria e su un modello di democrazia che vuole rappresentare maschio e femmina con pari dignità.
E ancora sapere che – mentre l’Expo apre con la sfida di nutrire addirittura il pianeta – alle Valli, è nata l’associazione ForestIERI – perché per la gente del luogo chi si insedia rimane sempre un “foresto”, come ha spiegato Ottavio Rube – con lo scopo di ripopolare il territorio con nuovi insediamenti agricoli e abitativi. Così è stato fatto il punto della situazione grazie ad una ricerca di Jeff Quiligotti, insieme ai produttori di vino Timorasso, a Manlio Calegari, Marco Revelli, Andrea Cavallero. Lontano dalle dinamiche della politica, dai bandi europei – l’invito accorato è starne alla larga per non esserne vittime – si comprende cosa vuol dire tornare a coltivare la terra se c’è una visione dove si accoglie e si condivide e il trattore si presta al vicino.
Si è parlato di semplificazione per le aziende che nascono, di catalogare le terre libere facendo in modo che i comuni collaborino, di facilitazioni, e di una rete umana per non essere isolati. Quindi aiuto pratico per avere la terra, ripopolare il territorio e creare un’economia che generi ricchezza e qualità della vita.
Le storie raccontate sono quelle di chi “ha lasciato perdere l’azienda paterna” per insegnare in città, ma con la volontà di raccogliere testimonianze su tutta la memoria possibile del luogo, ma anche di chi ha deciso di farsi contadino senza nessuna radice familiare, senza esperienza, persone nuove. L’inchiesta ha messo a fuoco il ruolo di un intermediario sociale, l’associazione ForestIERI, che è poi la cooperativa, e il fatto che questi insediamenti sono in funzione di un volano che non è solo soluzione economica o imprenditoriale, ma è anche soluzione culturale complessiva di conoscenza, di fiducia: quella fiducia che nella storia della Cooperativa le Valli Unite, trenta, quarant’anni fa, il territorio non le voleva riconoscere.
E poiché senza i partigiani non è 25 aprile, è stato proiettato il docufilm “Like e bullet around Europe” sulla figura di Anton Ukmar detto Miro, comandate della VI Zona, diretto da Mauro Tonini .
(Giovanna Profumo – Foto dell’autrice)
Categoria: Manlio Calegari
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OLI 425: 25 APRILE – Resistere alle Valli e guardare al futuro
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OLI 419: SOCIETA’ – L’eredità di un operaio
Se non hai un’idea della tua vita diversa da quella che il sistema ha scelto per te non ci sarà lotta da dove uscirai vincente. Se spunterai qualche soldo in più – ma dopo aver cacciato sangue – sta tranquillo che qualcuno ha già deciso come dovrai spenderli. Agli operai, invece di interrogarli sulle lotte dovresti chiedergli come vorrebbero divertirsi, cosa gli piacerebbe fare, magari cosa farebbero se fossero ricchi. Lì, se c’è, viene fuori la differenza: se sono o non sono contro. Se vogliono le cose che offre questo sistema, allora le lotte servono al padrone e non a te.
Gino CanepaOra che tutto sta per cambiare e la vocazione industriale di questo paese verrà ridimensionata in maniera molto seria – lo sanno tutti e si arrampicano sugli specchi per convincerci del contrario – può essere di un certo conforto leggere “L’eredità di Canepa – il Sessantotto tra memoria e scrittura” di Manlio Calegari (ed. Impressioni Grafiche).
Chi ha vissuto le speranze di quel Movimento troverà pezzi della propria storia operaia, di partito e univerisitaria. Chi invece non c’era, ed ha ancora il privilegio di varcare i tornelli di una fabbrica, potrà ascoltare le voci di Gino, dei compagni operai e di sua madre in un racconto del lavoro straordinario e atroce che parte dalla fine dell’Ottocento per arrivare agli anni Settanta del secolo scorso. Potrà percorre le strade che dagli orti delle ville di san Martino, dove Felicina, mamma di Gino, lavorava la terra già da bambina, arrivavano sino al Mercato Orientale e leggere di quando a Genova si viveva anche di agricoltura.
Dagli orti, il lettore scenderà sino al porto dove in molti sognavano di lavorare come carbonai – dicevano che avevano inventato il rimmel perché la polvere di carbone gli si fermava lì, sotto gli occhi, gli entrava proprio nella pelle – raccontava Felicina , per salire con lei a Begato sposa di Dria. E attraverso la memoria percepire le distanze per raggiungere il porto, un’ora e mezza a piedi passando dalla costa di Fregoso, Granarolo. Un’eredità, quella di Gino che non trascura fascismo, dopoguerra e vita di fabbrica e che in tempi come i nostri, dove vanno alla grande le biografie dei padroni – “Ho coltivato il mio giardino”, di Marella Agnelli uno degli ultimi – è preziosa per leggere il cambiamento e la disperazione di oggi, a quarant’anni di distanza da quando quelle memorie sono state registrate.
L’appassionato o lo studente storia potrà accostarsi ad un’idea di ricerca che proprio grazie al Sessantotto aveva favorito l’incontro tra il mondo universitario e il mondo operaio, grazie alla convinzione che la cultura dovesse muoversi e misurasi in modo trasversale, sul campo. Lo studioso di oggi del territorio, invece, saprà di più sull’agricoltura di villa.
Tra il Sessantotto e il Sessantanove abbiamo vissuto “qualcosa di straordinario”, “una cometa” e si è assistito ad una rottura. La parola “democrazia” ha iniziato ad affinacare categorie ed ordini di medici, notai, magistrati – ha spiegato Manlio in occasione della presentazione del libro, e c’è stata la nascita di amicizie che andavano oltre le tradizionali barriere sociali.
Davvero potrei venir lì e mettermi in un banco a sentire? Non è che qualcuno mi manda via?
Lì era l’univeristà
Marzo 1968. La nascita di un’amicizia.
(Giovanna Profumo – immagine da internet) -
OLI 384: POLITICA – Un Piano per le regionali
Non si può certo dire che Genova non sia una fabbrica di idee. Considerata la chiusura delle fabbriche vere è un privilegio avere una classe politica così feconda di progetti e cantieri. E non ha nessuna importanza che per amministrare il quotidiano – vedi manutenzione strade, territorio, scuole, sanità, sicurezza – le risorse siano inesistenti, quando escono sulla stampa lenzuolate di grandi progetti e investimenti faraonici corredati dalla narrazione di incontri tra il nostro archistar Renzo Piano e Claudio Burlando.
Come ha ricordato Piero Ottone su Repubblica il 14 giugno, il primo Affresco dell’architetto fu presentato nel 2004 ma poi “Lo si è deliberatamente messo da parte perché disturbava interessi costituiti, posizioni di potere, che non volevano nessuna riforma, nessun cambiamento”.
Del primo Waterfront, Manlio Calegari aveva scritto su Oli, i suoi pezzi sono una fonte utile per comprendere dinamiche ed errori del passato.Ma oggi Piano non è stato coinvolto solo per il porto, ma anche per la sanità, durante un incontro con i direttori di Asl e Regione – di cui ha dato notizia Repubblica – nel quale ha presentato il suo progetto di ospedale ideale, immerso nel verde dove dovrebbero esserci “quattrocento metri quadri per ogni posto letto”. E’ stata una lezione “sull’ospedale modello” dove massima è l’attenzione agli aspetti umani, al rapporto di paziente e famiglia con il personale sanitario. L’esatto contrario di quanto avviene in molti reparti della regione. Burlando ha precisato che ha coinvolto Piano perché cercheranno di fare strutture nuove come l’ospedale di Taggia, il Galliera, quello del Ponente genovese e il San Martino, che Piano dichiara non va buttato via perché “è un capitale pazzesco”.
Ma non è finita qui. Il presidente Burlando spera che Piano possa coprire il ruolo di ambasciatore di Genova all’Expo 2015.
C’è nell’aria una brezza – non ancora un Maestrale – di elezioni regionali, previste proprio tra due anni, meglio prepararsi per tempo.Poi ci sono Gronda e Terzo Valico, praticamente il Santo Graal, le opere destinate a sfamare eserciti di edili – ma siamo sicuri che siano liguri? – anche se incerto è il loro effetto su un territorio estremamente fragile.
In questo scenario scoppiettante le aree di Cornigliano – per intenderci, quelle restituite alla città e in parte consegnate a Spinelli – sono di una desolazione disarmante e nulla è stato fatto, salvo arredare con dei giochi per bambini il piccolo polmone verde di villa Bombrini.
Mentre le aree produttive si stanno inesorabilmente svuotando, sorge il dubbio che non saranno la Gronda e il Terzo Valico a farle riempire, in assenza di un modello di sviluppo serio, con il rischio che queste opere facciano la fine di Malpensa 2000.
Ora si capisce perfettamente la necessità di predisporre il futuro, ma visti gli obbiettivi raggiunti e le occasioni sprecate e questo scollamento dalla realtà, siamo certi che Burlando e compagni siano ancora i politici di sinistra più adatti per rappresentare l’elettorato e guidare la Liguria?
E Renzo Piano perché è così generoso da cascarci una seconda volta?
(Giovanna Profumo – foto dell’autrice) -
OLI 339: SOCIETA’ – Càssego: l’eredità di don Sandro
Càssego, 14 aprile 2012. Foto Giorgio Bergami Sabato 14 aprile si è tenuta a Càssego, in val di Vara, frazione di Varese Ligure, una tavola rotonda alla quale sono intervenuti tra gli altri Manlio Calegari, Diego Moreno, Massimo Quaini e altri studiosi che da decenni seguono lo straordinario lavoro che il parroco, don Sandro Lagomarsini, sta conducendo con la sua comunità.
Càssego, Museo contadino. Foto Giorgio Bergami 1976 Pretesto per l’incontro è stato il quindicennale di una contesa tra comune e parrocchia per la proprietà del piazzale della chiesa, che ciascun ente rivendica per sé. In realtà il dibattito ha sviluppato più ampie riflessioni sull’esperienza-modello che don Sandro sta portando avanti dalla fine degli anni ’60, sulle orme di don Milani: un doposcuola aperto a tutti, affinché si riacquistino con la cultura la consapevolezza e la stima delle proprie origini e si decida di rimanere in questa terra. Naturale complemento di questo percorso fu quasi subito la costituzione di un Museo contadino, frutto di un’azione collettiva di raccolta di oggetti e di memorie durata alcuni anni, aperto al pubblico nel 1975 e continuamente aggiornato fino ad oggi.
Càssego, indumenti di mezzalana.
Foto Giorgio Bergami 1976Nella discussione si è ragionato sull’eredità politica e soprattutto culturale di don Sandro, non senza amare considerazioni su come le idee e le proposte elaborate negli anni ’70 continuino ad essere tuttora attuali, ma nel disinteresse o addirittura nell’ostruzionismo di enti pubblici che tendono a privilegiare quanto è di moda e muove grandi flussi di soldi – si pensi ad esempio al business del “biologico” in campo alimentare e nell’abbigliamento – piuttosto che dedicare particolari attenzioni a quanto produce altri tipi di ricchezze non convertibili in denaro, come quella culturale e il benessere morale e sociale.
Atteggiamento diffuso non solo in ambito rurale, ma ancor più nelle pubbliche amministrazioni urbane.
L’evento è stato fotografato da Giorgio Bergami, già autore quasi quarant’anni fa delle immagini che nel frattempo venivano proiettate, riguardanti i primi allestimenti del museo e il suo patrimonio di testimonianze di vita e di lavoro delle passate generazioni.
(Ferdinando Bonora) -
OLI 267: STORIA – Un 25 giugno a Genova
Il 25 giugno 1960 cominciavano le giornate di Genova.“storiAmestre”, Associazione per la storia di Mestre e del territorio, ricorda l’anniversario con un saggio inedito di Manlio Calegari e Gianfranco Quiligotti.Per leggere presentazione e testo integrale:Le foto sono di Giorgio Bergami