La sposa scende i gradoni di pietra, alle sue spalle si staglia il campanile grigio, la facciata d’ardesia a righe e Teresa, la mamma della sposa, la guarda commossa. E’ un sabato di giugno, i turisti ormai sciamano via, ancora una foto di quelle rocce a picco sul mare con la chiesina che pare fatta a carboncino, i matrimoni in quell’angolo di Liguria sono consueti, al più si spia se la bella ha gli occhi a mandorla, ché vengono fin qua per convolare a nozze.
Le giovani invitate scendono scalze fino al vicolo, i tacchi son dolori in quella discesa ma lei no, Teresa resiste, i suoi non sono tacchi a spillo, procede spedita nel suo vestito rosso verso l’imbarcadero e la vedi ondeggiare un po’, sarà il selciato pensi. Invece no. Il suo passo pare un tantino strascicato, morbida, una bruna bellezza mediterranea, dagli occhi grandi, che ti volti a guardare.
Sono passati pochissimi anni, ora Teresa ti guarda ancora con i suoi begli occhi scuri spalancati, vigili, ma non può parlare : una specie di parkinsonismo le sta divorando i movimenti, il respiro, la voce, a stento si muovono le labbra, forse vorrebbe sorridere.
Suo marito ha studiato, ha letto tutto quello che poteva leggere, ha scoperto che la cannabis rilassa i muscoli, il male più grande per Teresa, le contratture le procurano dolori infiniti, le rattrappiscono le mani, le gambe. Aveva chiesto come sperimentazione domiciliare che le si prescrivesse la cannabis e dopo mesi di attesa finalmente ne era stata concessa una modesta quantità per fare decotti: pochissima dalla Asl della città di residenza, mentre quella della provincia accanto ne prescrive sei volte tanto.
Dunque una discrezionalità che varia da ospedale a ospedale, troppa prudenza o altro che è meglio non dire, di fatto un trattamento sanitario diverso nella stessa Regione.
Non esiste dunque un protocollo a livello nazionale o strapotere del Titolo Quinto?
Purtroppo arriva una polmonite e il ricovero in ospedale: il coma farmacologico e la terapia di cannabis interrotta. I medici sono chiari, già l’hanno aiutata a respirare, l’hanno inserita nella terapia del dolore, morfina e stordimento, prassi consolidata, al diavolo dignità e migliore qualità di vita del malato.
Niente cannabis per Teresa, non c’è nessun protocollo che la preveda, la si può dare soltanto ai malati di Sla e sclerosi multipla.
Il marito di Teresa insiste, insiste almeno per alleviarle i dolori, infine il Comitato etico non si pronuncia, ma c’è un altro iter e si concede il decotto, tanto per provare e lei si sveglia dal coma, è tornata a guardarti, con quegli occhi belli che a tratti si riempiono di lacrime, vorrebbe parlare forse. Il compagno della vita ogni giorno è lì ad accarezzarle le mani, il viso, le parla, vorrebbe almeno lenirle il dolore delle contratture: con l’incoraggiamento di un dirigente illuminato i medici hanno acconsentito finalmente alla “sperimentazione ufficiosa” dopo mille giri burocratici, una dose ben più forte, con un’altra formula, ma la medicina però non è disponibile. Così è andato in Svizzera a comprare lo Sativex, con la prescrizione di un medico svizzero, uno spray a base di cannabis a dosi elevate.
Intanto il tempo è passato e la malattia è progredita, pur se Teresa ha di nuovo iniziato lentamente a muovere le mani, ad aprire meglio la bocca, fra lo scetticismo stupefatto dei medici e dopo tanta immobilità chissà.
Il suo amorevole compagno vorrebbe portarsi a casa Teresa, le vuole così bene, si conoscono dai banchi di scuola, spera di riuscire a farla parlare di nuovo, farla muovere, rimetterla seduta, ha buttato in fondo al cuore che cosa voleva ricordargli con le sue lacrime Teresa, che glielo aveva detto quando aveva scoperto la sua malattia senza ritorno e ancora riusciva a parlare: “Portami in Svizzera”.
Aveva ragione il cuore?
(Bianca Vergati – foto da internet)
Categoria: Cannabis
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OLI 424: SANITA’ – Teresa e la cannabis
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OLI 424: SINISTRA – In assenza del Messia si parla di maria
Dove eravamo rimasti?
Che per le Regionali della Liguria don Farinella aveva sognato di unire M5S e sinistra-sinistra in una grande coalizione senza riuscirci, e che poi era stato proposto e votato Giorgio Pagano per alleare almeno Rete a Sinistra e Altra Liguria (due componenti nelle quali erano confluiti SEL, Rifondazione, verdi, civatiani, lista Doria e tutti quelli che nel Pd si oppongono a Renzi) e che era quasi fatta, ma poi la pubblicazione di un carteggio mail ha dato la stura ad una coalizione, sostenuta da Cofferati, sfavorevole a Pagano, così è partita la candidatura di Pastorino (anche lui sindaco ma di Bogliasco, nonché parlamentare). Allora Giorgio Pagano ha rinunciato a candidarsi per non portare su di sé l’onta di aver scisso la sinistra, però Altra Liguria non ha appoggiato Pastorino ed ha deciso di presentarsi da sola insieme ai Verdi.
Situazioni che nemmeno gli sceneggiatori di House of Cards arriverebbero a immaginare…
Così da anime della sinistra i potenziali elettori si sono trasformati in anime in pena.
Quello che rimane di questa catastrofe, militanti sopravvissuti, era in Largo Pertini sabato mattina per la presentazione del candidato Antonio Bruno della lista l’Altra Liguria e ai giardini Luzzati domenica ad un incontro-aperitivo a favore della legalizzazione della cannabis, organizzato dai sostenitori di Pastorino.
Alla prima iniziativa è venuto a buttare uno sguardo anche Pierfranco Pellizzetti – analista raffinato e crudele del contesto politico regionale – che con un certo compiacimento non ha fatto che ribadire, interpellato, quello che già aveva scritto su Pagano, Pastorino e compagni, alimentando l’impressione che esista davvero la schiera dei promotori “del tanto peggio, tanto meglio”.
Alla seconda iniziativa, con ragionevole ritardo, si è presentato Pastorino, sulla scia di una tradizione consolidata per la quale i candidati sono come le spose. Per fortuna i suoi giovani supporters avevano preparato seriamente l’incontro sviluppando, anche in assenza del candidato, il tema cannabis nelle sue molteplici sfaccettature: utilizzo a fini terapeutici, personale, imprenditoriale e come rilancio delle aree agricole abbandonate dell’entroterra. Mentre il Consiglio comunale genovese ha approvato una mozione favorevolealla legalizzazione. Accrescendo in chi scrive la convinzione che il milione di metri quadri vista mare, con tanto di moli, afferenti all’Ilva di Cornigliano potrebbero essere convertiti alla coltivazione e lavorazione della pianta, se dovesse venir meno la vocazione siderurgica del sito.
Al dibattito ai giardini Luzzati, grazie ai relatori informati sulle inchieste andate in TV, è stato possibile un approccio costruttivo al tema della legalizzazione dell’oro verde, a partire dalla possibilità di sottrarre alla criminalità organizzata – Camorra SpA – un mercato che in Colorado ha creato legalamente 10.000 nuovi posti di lavoro, più il gettitio fiscale che permettermebbe un’entrata di otto miliardi di euro annui.
Gli interventi dei presenti hanno dato voce alla fatica di chi, gravemente malato, è sottoposto alla sadica burocrazia del sistema sanitario per ottenere cannabis, e dei consumatori che rivolgendosi alla rete illegale dello spaccio, rischiano di assumere sostanze tagliate e gravemente dannose. Peccato che gli operatori del Sert non siano intervenuti, che fossero assenti i medici del lavoro che, per legge, devono verificare il consumo di droghe nei siti produttivi e che poco si sia detto sulle piantine coltivate dai militari italiani a Firenze.
Così in assenza del messia a sinistra si è parlato di maria.
Un saggio provvidenziale inizio. Una speranza per il coltivatore diretto di Ospedaletti finito in manette dopo aver convertito la produzione della sua azienda alla coltivazione illegale di canapa.
(Giovanna Profumo – foto dell’autrice)