Categoria: Iqbal Masih

  • OLI 424: TEATRO – Iqbal, la libertà in scena

    Due oggetti deposti sul pavimento.
    I passi di chi porta un tappeto che viene srotolato davanti a noi.
    Passi veloci, capriole: i ragazzi si presentano nome e anni: undici, sedici, tredici anni.
    Giocano al gioco del prigioniero, una parola risuona a più voci: “Libero”.

    Questo l’inizio dello spettacolo “Parlaci di Iqbal” (Palazzo della Nuova Borsa in scena ancora ore venerdì 17 e sabato 18 aprile, ore 20.30 – ingresso libero, spettacolo proposto all’interno della manifestazione “La Storia In Piazza” che quest’anno ha come titolo ” Le età del capitalismo”.)

    I ragazzi che agivano la storia erano tutti, senza distinzione, consapevoli che solo attraverso la pulizia dei movimenti e il giusto ritmo della parola, avrebbero potuto passare la storia di Iqbal. Una presenza che si acquisisce attraverso una pratica del teatro, attraverso l’esercizio e il gioco fatto “sul serio”.
    Pochi oggetti hanno narrato la storia: due strumenti per la fabbricazione dei tappeti, una lunga stoffa che simboleggiava il fiume e il gioco perduto, la bandiera del BLLF – l’associazione che si batte per la fine della schiavitù – un mappamondo che racconta il viaggio di Iqbal, da bimbo libero, per raccontare la sua storia al mondo; poi una penna che lui contrappone agli strumenti di lavoro, la penna come simbolo di libertà, delle biciclette – la bicicletta riversa dopo l’assassinio di Iqbal, e le molte biciclette che ci hanno circondato, correndo attorno a noi del pubblico, le biciclette che pedalano i migliaia di bambini schiavi che ci sono ancora del mondo.
    La Sala delle Grida, al palazzo della Borsa, è stato un palcoscenico totale, dove gli spettatori sono stati circondati e trasportati in un altro mondo. La drammaturgia è stata delicata, alternando momenti emotivamente forti a momenti di sfogo e gioco, sempre inerenti e utili alla narrazione.

    Il piccolo Iqbal fugge dalla fabbrica di tappeti dove è schiavo e va alla manifestazione del BLLF, un attivista lo nota e gli chiede chi sia, ma il bambino non riesce a parlare, non vuole scoprirsi davanti a tutti, quindi gli racconta nell’orecchio la sua storia. L’attivista, dopo averlo ascoltato (il pubblico no, rimane in attesa, in ascolto, attento), gli dice:
    – Bene, se vuoi essere libero devi andare su quel palco e denunciare il tuo padrone davanti a tutti.
    Successivamente gli attivisti del BLLF lo scortano dal suo padrone e lui, Iqbal, a soli dieci anni, deve dichiararsi libero davanti al suo padrone.
    Gli adulti ci sono, sono lì ad aiutarlo, a sostenerlo ma non sono lì per fare il lavoro al suo posto, a liberarlo, perché la libertà nasce prima di tutto dall’autodeterminazione, questo narra, senza esplicitarlo o banalizzarlo, lo spettacolo.
    Come testimone vivente di questa storia c’era Ehsan Ullah Khan, sindacalista del BLLF.

    Un bell’esempio di teatro politico e sociale fatto dai cittadini per i cittadini ben scritto (in collaborazione con Ehsan Ullah Khan) e diretto da una professionista del teatro come Enrica Origo.
    Un teatro che non si parla addosso, degli attori che non si compiacciono delle proprie emozioni e dei propri sentimenti ma un teatro che parla ed emoziona il pubblico, calato all’interno di uno dei luoghi simbolo dell’economia della città.
    Da vedere.
    (Arianna Musso – Foto dell’autrice)

  • OLI 374: SCHIAVITU’ – A Genova Iqbal ha fatto scuola

    (foto di Giovanna Profumo)

    Mentre la scorsa settimana parte della classe politica italiana offriva ai cittadini uno spettacolo pietoso, a Genova i ragazzi della compagnia teatrale di Enrica Origo, attrice e maestra elementare, mettevano in scena la storia di Iqbal Masih, bambino, operaio, sindacalista, assassinato per il suo impegno contro la schiavitù infantile, il 16 aprile 1996.
    A diciotto anni esatti dalla morte di Iqbal, Genova è tornata Città dei Diritti, dedicando alla memoria di questo stupendo bambino una giornata con tre momenti di riflessione.
    Accanto ad Enrica Origo, regista del racconto teatrale, Ehsan Khan sindacalista pakistano che aveva liberato Iqbal dal fabbricante di tappeti che lo teneva schiavo.
    Quarantatre bambini – età compresa tra dieci e sedici anni – nella sala del Munizioniere di Palazzo Ducale, hanno dato voce alla breve e coraggiosa esistenza di Iqbal, una vita incatenata al lavoro per riscattare un debito contratto dal padre.
    In un mondo possibile, l’assassinio di un dodicenne viene raccontato dai suoi coetanei che, attraverso il

    (foto di Giorgio Bergami)

    teatro, si sono fatti portavoce di migliaia di altri ragazzi schiavi del mercato globalizzato.
    Come vediamo il sole e la luna – ha detto Ehsan Khan a Palazzo Tursi – possiamo riconoscere il problema della schiavitù dei bambini, chiedendoci da dove provengano caffè, banane, diamanti, abbigliamento, succhi di frutta, cellulari, computer, cotone.
    Ehsan Khan ha ricordato la campagna promossa contro i prodotti Apple e contro Al Gore vincitore di un Premio Nobel ipocrita che, secondo il sindacalista pakistano, andrebbe restituito alla luce del ruolo che lo stesso Gore riveste nella compagnia informatica.
    Khan ha, poi, chiesto ai presenti alla conferenza pomeridiana a Palazzo Tursi: Pensate davvero di non avere schiavi? Chi di voi ritiene di non avere schiavi? Ed ha segnalato iniziative ed inchieste promosse dai sostenitori della Global March Against Child Labour e della Slaveryfootprint che, attraverso la rete, favoriscono la crescita di una maggiore consapevolezza di quello che l’infanzia subisce nel mondo.
    (Giovanna Profumo – Foto di Giorgio Bergami e dell’autrice)

    Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento di Camillo Arcuri su Iqbal, che è stato letto da Enrica Origo in occasione della conferenza.


    Siamo parte di una società che si definisce orgogliosamente informata, e non sappiamo niente o quasi della storia di Iqbal Masih. Sono i ragazzi come lui a raccontarci ciò che giornali e telegiornali non ci hanno mai fatto sapere: aveva solo dodici anni Iqbal quando gli hanno sparato, nel suo paese, in Pakistan. Lo hanno ucciso perché il suo esempio era considerato pericoloso. Da chi? Dal monopolio dei tappeti (una mafia diremmo qui), un potere spietato al quale aveva osato ribellarsi, non con le armi, ma semplicemente scappando dal buio di quel medioevo. Era andato all’estero, sottraendosi alla sua sorte di piccolo schiavo, venduto dalla famiglia ai padroni dei telai, e aveva testimoniato sulla tragedia generazionale che condanna migliaia di ragazzini come lui. Le sue parole avevano scosso molte coscienze e le vendite dei tappeti erano calate. Così, quando Iqbal Masih è tornato nel suo villaggio, ha trovato la vendetta in agguato. Con lui non è scomparso il disperato simbolo di riscatto che rappresenta. A rompere il silenzio preteso da tutte le mafie, ci pensa il pellegrinaggio di Ehsan Khan, il sindacalista che gli fu a fianco e che porta nel mondo la voce di Iqbal. Insieme a lui ci sono studenti e insegnanti delle scuole di tanti paesi, un moto spontaneo che a Genova ha trovato una convincente forma di espressione teatrale destinata a riprodursi nel progetto Parlaci di Iqbal che Enrica Origo, attrice, regista e insegnante, sta portando avanti con la sua Compagnia di ragazzi dal 2011. Parlaci di Iqbal non è solo uno spettacolo denso di emozioni; è anche e forse soprattutto un esperimento civile per rispondere al bisogno diffuso di “fare”, andando oltre l’esecrazione. Nel nome del loro coetaneo, eroe ignoto, i ragazzi sono entrati così in un ruolo di “moltiplicatori di consapevolezza”: una piccola lezione utile anche per colmare tanti vuoti mediatici.
    Camillo Arcuri