Categoria: G8

  • OLI 422: LETTERE – G8, Toccofandi. Un medico dice no

    09/04/2014
    I consiglieri comunali Leonardo Chessa, Pier Claudio Brasesco, Clizia Nicolella e Paolo Repetto hanno inviato una lettera al presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Genova, Enrico Bartolini, per esprimere la loro approvazione sul licenziamento da parte di Asl 3 di Giacomo Toccafondi, medico responsabile dell’infermeria della caserma di Bolzaneto durante il G8 e per chiedere – in qualità di medici e di rappresentanti delle istituzioni – che venga immediatamente aperta la procedura per la radiazione di Toccafondi dall’Ordine stesso.
    In quei giorni del luglio 2011,150 persone fermate dalla polizia subirono violenze fisiche e psicologiche da parte di poliziotti, guardie penitenziarie e personale medico. La Corte di Appello di Genova, in una sentenza del 2010 le ha definite “trattamenti inumani e degradanti o azioni di tortura” che esprimono “il massimo disonore di cui può macchiarsi la condotta del pubblico ufficiale”.
    Giacomo Toccafondi, che secondo i giudici “agì con particolare crudeltà” fu accusato di omissione di referto, violenza privata, lesioni, abuso d’ufficio e condannato a 1 anno e 8 mesi e al risarcimento delle vittime. Il 12 marzo scorso, 12 anni e 8 mesi dopo e terminato l’iter giudiziario, il medico è stato licenziato dalla Asl 3 genovese con decorrenza immediata.” (dal sito del Comune di Genova)

    Genova, 8 marzo 2015
    Purtroppo i vertici dell’ordine dei medici di Genova prima di lasciare il posto al nuovo consiglio eletto hanno “evitato” ciò che avrebbe dovuto essere scontato: la radiazione del Toccafondi, disonore per qualsiasi medico che prenda sul serio la propria professione. Sono allibito e scandalizzato da tale scelta e mi chiedo: cosa deve fare un medico per essere radiato? Sarebbe almeno un minimo riparatorio sottoscrivere un appello : NON POSSO ACCETTARE DI FAR PARTE DI UN ORDINE DI CUI FA ANCORA PARTE IL DOTT.GIACOMO TOCCAFONDI
    (Dott. Pier Claudio Brasesco)

  • OLI 390 – G8 DI GENOVA: Pena ridotta ma sempre ingiusta

    Poco più di due ore sono state sufficienti per la decisione della Corte d’Appello di Genova che doveva limitare il suo intervento alla richiesta della Cassazione di valutare le eventuali riduzioni di pena a carico di cinque manifestanti coinvolti negli avvenimenti di Genova 2001. E’ utile ricordare che i pm Anna Canepa e Andrea Canciani accusarono venticinque manifestanti di essere responsabili di tutto quello accaduto a Genova il 20 e 21 luglio, ricorrendo addirittura al rispolvero di un articolo del codice fascista Rocco, recepito nell’ordinamento ma mai applicato prima, che prevede il reato di associazione per delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio. I successivi tre gradi di giudizio avevano in gran parte smentito la incredibile elaborazione dei pubblici ministeri e in Cassazione quindici di quei venticinque vennero o assolti o condannati a pene minime cadute in prescrizione, perché ritenuti responsabili al più di un “reato di resistenza” (che sarebbe davvero assurdo considerare tale), nel senso che le loro azioni erano state provocate da “cariche violente e ingiustificate” dei reparti di carabinieri. Per i restanti dieci, quasi come compensazione, vennero confermate pur con qualche riduzione pene rilevantissime per reati comunque riconducibili a danni alle cose e non a persone (in appello si erano erogati fino a 16 anni di carcere e anche in questo caso va ricordato che quattro poliziotti delinquenti riconosciuti responsabili dell’omicidio di Federico Aldrovandi sono stati condannati ciascuno a tre anni e mezzo, quindi quattordici anni in tutto). La Cassazione chiese per cinque di essi di ritornare in Appello per la valutazione delle attenuanti. La sentenza ha accolto in gran parte le richieste della difesa e per quattro dei cinque ha ridotto la pena di due anni, cosa che consentirà almeno l’affidamento ai servizi sociali.
    E’ significativo rimarcare che nella requisitoria il Procuratore generale si è dichiarato favorevole alla riduzione della pena, anche se in misura inferiore a quella poi decisa dalla Corte. Una delle ragioni fondamentali di questa posizione sta nella convinzione espressa nelle requisitoria che a determinare il comportamento degli accusati vi erano stati anche gli abusi delle forze dell’ordine e la follia nella gestione dell’ordine pubblico che caratterizzò quelle tragiche giornate. Nulla di diverso, quindi, dalle motivazioni della stessa sentenza della Cassazione. Ma ancor più nulla di diverso dalla sentenza con la quale un’altra sezione della Cassazione aveva concluso il processo per la macelleria messicana alla scuola Diaz. I più alti gradi della polizia, altissimi grazie anche alle promozioni che nel frattempo erano intervenute, sono stati condannati a quasi cinque anni di carcere (che non faranno mai!), ma soprattutto a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, già avvenuta. La motivazione consiste nell’aver “prodotto il degrado dell’onore dell’Italia nel mondo”. E si riferisce al falso vergognoso commesso da questi ignobili dirigenti, che obbligarono dei sottoposti a introdurre nella scuola due bottiglie molotov al fine di poter incolpare i 93 innocenti che dormivano nella scuola del reato di terrorismo. Va segnalato, a conferma della difficoltà di fare del nostro un paese davvero civile, che quegli alti dirigenti risultano tuttora insigniti di onorificenze al merito della Repubblica (d’altra parte è sempre cavaliere anche il presidente delinquente!).
    L’esito del processo Diaz (va ricordato che in primo grado erano stati tutti assolti, e che il giudizio si era piegato alla volontà politica di considerare l’operazione Diaz una “perquisizione legittima”, come tutto il peggior ciarpame della destra e del gruppo dirigente si ostinava a ripetere) si deve alla dignità professionale, alla coerenza morale e al coraggio di Enrico Zucca e di Francesco Cardona Albini, i due pubblici ministeri che si batterono ostinatamente perché giustizia fosse fatta, nonostante minacce e ritorsioni. Quella sentenza, nel buio che spesso circonda i peggiori “delitti” dello Stato, deve essere considerata davvero illuminante, e i suoi dettati si sono certamente riflessi anche nell’esito che ha avuto oggi la sentenza d’appello che ha riguardato le attenuanti per i manifestanti. E’ difficile dimenticare che per sostenere quella sentenza fu decisivo un filmato di pochi secondi che riprese tutto il gruppo davanti alla scuola a gingillarsi fra le mani un sacchetto di plastica blu contenente le due molotov; mentre interi filmati e centinaia di fotografie non furono sufficienti a impedire l’imbroglio di quattro consulenti (lo sparo per aria!) e la decisione di due magistrati inadeguati di archiviare l’omicidio di Carlo sottraendolo anche a un dibattimento processuale.
    (Giuliano Giuliani – immagine di Guido Rosato)

  • OLI 386 – G8 DI GENOVA: Per non archiviare Carlo

    Giuseppe Filetto l’immagine simbolo di quei giorni di luglio non l’ha più voluta guardare. Ha cercato di non soffermarcisi, passando oltre. E’ la fotografia di Carlo Giuliani ammazzato, la scena che si è ritrovato davanti lui, quando, con due medici, è arrivato in piazza Alimonda . Filetto per fare il suo mestiere di giornalista si era travestito da infermiere della croce rossa ed aveva girato su un’auto medica per tutto il giorno.
    Quella, ha spiegato, è la foto “della cronaca di una morte annunciata, iniziata la mattina del 20, alle undici circa. Eravamo in Piazza Paolo da Novi e abbiamo visto che una ventina, una trentina di giovani avevano iniziato smontare le impalcature di un cantiere edile, a smontare le inferriate di un’aiuola, a riempire gli zaini di pietre, e dall’altra parte della piazza c’erano un centinaio, forse più, di carabinieri, polizia che guardavano e non intervenivano e ci chiedevamo per quale motivo stesse succedendo questo. Poi lo abbiamo capito al pomeriggio, dopo le 17.25, perché stava succedendo questo. L’abbiamo capito quando poi il corteo dei Cobas è stato invece caricato, mentre venti giovani che smontano le impalcature non vengono minimamente disturbati, poi un corteo dei Cobas viene caricato un’ora dopo”.
    Inquadrature, testimonianze, filmati, atti, vengono rievocati per ricostruire la trama della tragedia che ha segnato l’apice dell’assedio di Genova sotto il G8. E sono raccontati ai genovesi che il 3 ottobre, al Centro documentazione Carlo Giuliani, sono venuti per la presentazione del libro “Non si archivia un omicidio”, scritto da Giuliano, padre del ragazzo. Scritto perché la foto della cronaca non si può archiviare e per restituire al figlio “attraverso tutta la documentazione, la verità”.
    Un libro per denunciare “le singole persone” e la logica che non ha voluto celebrare il processo, una logica determinata “dal voler togliere da mezzo la cosa più grave accaduta in quei giorni e cioè l’uccisione di un ragazzo”.
    Giuliani descrive un clima, individua le responsabilità di chi era in piazza Alimonda racconta di pubblici ministeri che non hanno fatto il loro dovere, chiedendo l’archiviazione sulla base di una consulenza che sosteneva “l’invenzione” dello “sparo per aria” “che ha incrementato il giudizio di legittima difesa”. Ma ci si chiede anche perché Placanica, già stordito dai lacrimogeni viene fatto salire sulla camionetta e portato in giro per Genova armato.
    Parallele a piazza Alimonda e alla morte di Carlo corrono altre vicende giudiziarie del G8 come la Diaz – per la quale ci sono voluti otto anni prima che Michelangelo Fournier dichiarasse che si era trattato di “macelleria messicana” – ma che è arrivata a sentenza, grazie a pubblici ministeri adeguati e alla prova regina, “un filmatino di quindici secondi che mostra” i rappresentanti delle forze dell’ordine con le molotov, il falso in atto, moltov per le quali le vittime della Diaz si sarebbero prese “oltre alle botte” anche quattordici anni di carcere, per terrorismo.
    “Non si archivia un omicidio” dice il padre di Carlo è un libro che “può servire ai pigri” che allora si sono fermati a quanto raccontato in televisione e che oggi vogliono andare oltre. Ma è anche un libro che si rivolge a chi, in questa Italia tragica e desolante, vuole fare della legge la propria professione.
    (Giovanna Profumo – immagine da internet)

  • OLI 310 : G8 – 2001/2011 Il ricordo ed il futuro

    La memoria profonda del G8 2001 sta animando Genova in questo mese di luglio incerto, affaticato, raramente assolato; proiettato in un presente – futuro spesso caratterizzato dalla parola baratro, speculazione, reazioni angoscianti, fantasmi finanziari, prepotenza dei mercati. Come se poi dietro a tutto questo mondo oscuro e che si muove alle spalle non ci fossero persone in carne, ossa e con gioielli, banche, denaro al limite dell’evanescenza, potere, armi.
    Il decennale del G8 ha l’ambizione di avere come spazio di riflessione e di azione il frammento linguistico a potenzialità atomica “Voi la crisi, noi la speranza”. Voi e noi, la crisi e la speranza: un voi che lavora per mantenere privilegi e ingiustizie e un principio “libertà”, che come dice Stephane Hessel (Indignatevi) è come “la volpe nel pollaio”: E un noi che continua a ricercare fili e motivazioni per un mondo migliore, non più possibile ma necessario, radici e futuro per uno stare insieme a condividere gioia e dolore, secondo quel che la vita è, solidarietà e fratellanza fra noi umani e la madre terra che ci nutre. E una libertà che o è di tutti o non è.
    Il decennale del G8 ha già camminato molto dal 24 giugno, con una bella mostra, Cassandra, con dibattiti, riflessioni, manifestazioni culturali, teatro, musica, poesia. Buone parole sono circolate, dense di significato, ansiose di sapere e di ricostruire un profilo degno alla verità dei fatti. Nel centro della città e nelle periferie. E poco ha contato se i gruppi in ascolto, in riflessione e talvolta in conflitto, fossero numerosi o scarni. Alla fine saranno sempre tantissimi ad aver comunicato ad essersi confrontati con il ricordo e con il futuro, ad aver appreso dall’esperienza.
    Grande merito va al piccolo – grande gruppo di persone, che senza retorica, nostalgie da reduci, rancore, ha trovato il coraggio civile e l’energia vitale per portare a termine un programma di tale portata. Un vero esempio di partecipazione attiva e sapiente. E merito va anche alle istituzioni democratiche di Genova che hanno saputo interagire, mettendosi a disposizione per la pienezza della democrazia che, Aristotele docet, deve essere cooperazione ed amicizia.
    Ora ci sono le cinque giornate finali e cruciali del programma, con Piazza Alimonda il 20, la manifestazione da Sampierdarena a Caricamento e gran concerto di liberazione il 23, l’assemblea internazionale del 24 per chiudere il cammino, segnando nuovi sentieri per la speranza.
    (Angelo Guarnieri)

  • OLI 310: DECENNALE G8 – I migranti, il Forum, e l’idea geniale del sindacato

    Oggi, 19 luglio 2011, ultima riunione della redazione di Oli prima delle vacanze.
    Impossibile per me non pensare all’anniversario che rappresenta questa data: dieci anni dalla manifestazione dei migranti del G8. La mia memoria corre però ai giorni che la precedettero, e che furono drammatici per tutto il gruppo di persone che dal 1995 aveva creato la rete cittadina del Forum Antirazzista di Genova. Drammatici in particolare per quelli di noi che lavoravano nel sindacato. Infatti, nonostante i nostri disperati appelli, Cgil Cisl Uil negarono l’adesione alla manifestazione. Non solo: ci diffidarono di utilizzare nel corteo la sigla Forum Antirazzista di Genova.

    Così dopo più di quindici anni di lavoro comune una rete complessa che andava dalla Caritas alla Cgil, da Città Aperta alla Cisl, all’Arci e a moltissime altre associazioni fu spezzata: impossibile reggere l’impatto di quella censura, e andare oltre l’emozione di una giornata in cui ciascuno di noi, ridotto a singolo individuo senza storia e senza voce, aveva visto scorrere nella sua città la più straordinaria manifestazione sull’immigrazione che avesse mai vissuto.
    Riprendo in mano le carte di allora e rileggo l’appello che chiedeva sostegno e adesione alla manifestazione dei migranti. Breve e chiarissimo. Diceva che sarebbe stato molto importante riuscire “A dare visibilità alle migliaia di san papier, ai profughi, ai rifugiati, in una grande manifestazione europea degli immigrati e delle loro associazioni per i diritti negati, per il rispetto delle culture di tutti, per la libera circolazione, per il diritto di asilo, per l’abolizione dei centri di permanenza temporanea e per la regolarizzazione dei clandestini, per il diritto di voto, per il diritto di resistere e lottare per una società di eguali con eguali diritti ed eguali doveri, liberi dal bisogno e dalla paura”. Seguiva una marea di sigle di associazioni e di nomi singoli. Tra questi Don Balletto e Don Gallo.
    Il 13 luglio una comunicazione della Cisl Liguria, firmata da Andrea Sanguineti, rendeva noto che la Cisl non sarebbe stata presente né con i suoi attivisti, né con bandiere e striscioni in quanto quella annunciata era “una manifestazione organizzata e coordinata dai centri sociali … che prevede la partecipazione di movimenti strutturalmente violenti per cui riteniamo che vi siano oggettivi pericoli per i cittadini extracomunitari”.

    In una comunicazione ufficiale della Cgil, sempre del 13 luglio, viene annunciata l’idea geniale su cui concordarono Cgil Cisl e Uil nazionali:  quella di invitare “un rappresentante” del Genoa Social Forum al convegno organizzato dal sindacato per il giorno prima, il 18 di luglio. Incambio “Cgil Cisl Uil manderanno un messaggio che verrà letto alla conclusione della manifestazione dei migranti”.
    Alla luce di quel che avvenne quel giorno, di tutta la storia successiva, di quel che avviene oggi nel nostro paese e nel mondo c’è da disperarsi a rileggere questa dimostrazione di radicale incapacità di capire, di mancanza di generosità, di coraggio, di responsabilità verso le persone giovani che in quei giorni si esposero ai rischi della speranza.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 310: ANNIVERSARI – Il G8 parallelo della Cgil

    Epoca di anniversari. Dieci anni dal G8. Per me, all’epoca sindacalista Cgil, non sono solo le emozioni, i fatti, la vitalità e i drammi di quei tre giorni a tornare in superficie, ma i tormenti che li hanno preceduti e seguiti all’interno del sindacato. Ci ripenso perché sono emblematici di una difficoltà di rapporto tra grandi strutture organizzate e movimenti che blocca le possibilità di cambiamento, in allora come adesso.
    A premessa alcuni fatti e date.
    Un direttivo Cgil del 12 giugno 2001 fu il primo ed unico momento di discussione politica della Cgil genovese “in preparazione del G8”. La Cgil nazionale, e quella di Genova e della Liguria non aderirono all’appello del GSF. Nei tre giorni del G8 “l’apparato politico” della Cgil fu invitato a “presidiare” la sede nel timore di possibili attacchi. Chi andò alle iniziative fu considerato “in ferie”, decisione poi rientrata dopo le proteste degli interessati. Aderì invece qualche Camera del lavoro di altre città e la Fiom nazionale: sabato 21 luglio il pulmino della Fiom fu per molti una zattera nella tempesta. Il 24 luglio il direttivo della Cgil fu nuovamente convocato e decise a maggioranza di rinviare a settembre la discussione su quel che era avvenuto a Genova.
    Attraverso qualche frammento dagli appunti di quei giorni tento un ritratto di questo G8 parallelo.
    “… Nessuna discussione ha coinvolto, preparato in questi mesi passati i lavoratori e noi stessi ad affrontare i temi che faranno sì che tra un mese Genova sarà epicentro di cose piuttosto complicate … è come se in tutto questo periodo un torrente ci sia corso di lato mentre noi stavamo attenti a non farci bagnare … In tutti questi mesi non abbiamo stabilito un rapporto con questa discussione e con questi soggetti. Potevamo farlo o tentare di farlo? … Al direttivo è intervenuto un ragazzo che ha provato a spiegare qualcosa del GSF. E’ stato interrotto molte volte, l’equazione era: movimenti anti global e GSF = centri sociali casinisti e pericolosi da tenere alla larga. Ma una persona giovane non la si cassa così, si fa parlare e poi si contro argomenta.”
    “… Per un mese almeno la città è stata piena di dibattiti, presentazione di libri, di riviste … i genovesi hanno risposto in gran numero, pochissimi i sindacalisti visti in giro: è illogico che i dirigenti sindacali non siano stati spinti a seguire i dibattiti, a rendersi conto di persona, e non tramite TV, di quel che avveniva, anche alle manifestazioni, che è sempre parecchio diverso dal sentirselo raccontare.”
    “ … Noi siamo in ritardo e lontani. Ormai noi siamo lontani dal rapporto con i punti di sofferenza più acuta dell’epoca attuale, lontani dalle persone giovani non appiattite sulla apatia”
    “… Rinviata a settembre la discussione sui fatti del G8. Mi rammarico di non avere avuto l’autonomia di pensiero ed emotiva per dire il mio no a questo congelamento che contrasta con tutto quello che penso e sento. Grande delusione nei confronti di me stessa. Come si può bloccare una cosa così evidentemente naturale come quella di confrontarsi su un evento così coinvolgente, così importante, appena avvenuto, ed anzi ancora in corso? In questi giorni ognuno di noi vive il suo trauma individualmente, qui in Cgil è tutto un andare e venire da una stanza all’altra, ma non siamo monaci in un convento!”
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 310: PAROLE DEGLI OCCHI – Dieci anni dopo

    Ricorre il decennale del G8 tenutosi a Genova nel luglio 2001, con un intenso programma di iniziative per ricordare la gravità di quei giorni cupi culminati nell’uccisione di Carlo Giuliani, nella macelleria della scuola Diaz e nelle torture (*) alla caserma di Bolzaneto – con conseguenti depistaggi e mistificazioni da parte di organi dello Stato – ma che videro anche importanti occasioni di dibattito e di elaborazione di idee per “un diverso mondo possibile, nonostante tutto e tutti”. Momenti indimenticabili per chi vi partecipò e su cui occorre continuare a riflettere, senza smettere di lottare per un differente modo di concepire i modelli di società, di ambiente, di economia, di rapporti sociali e politici in questo nostro Paese sempre più devastato culturalmente, oltreché socialmente ed economicamente:

    Da qualche tempo, alla base del neoclassico Palazzo Serra tra Piazza Santa Sabina e Via delle Fontane, sede della facoltà di Lingue e Letterature straniere, campeggia un variopinto murale che s’apre con la citazione di uno slogan delle lotte operaie dello scorso inverno, qui dedicato a Carlo Giuliani, per proseguire con una fantasmagoria di forme e di colori il cui valore estetico innesca l’ennesimo conflitto tra arte di strada e monumentali preesistenze ambientali.

    Foto di Giorgio Bergami ©
    (*) reato non contemplato dal Codice Penale italiano
  • OLI 308: INFORMAZIONE – Che succede in quelle sale?

    Aula Magna San Salvatore – Punto G 2011 Genere e globalizzazione

    C’è una caratteristica della informazione cittadina per cui spesso, anzi, quasi sempre, gli eventi di pensiero e approfondimento (dibattiti, convegni) vengono annunciati, ma non raccontati una volta che sono avvenuti.
    Come se riguardassero esclusivamente le persone in sala, e non mettesse conto di trasmetterne almeno qualche suggestione a chi – per mille motivi – non ha occasione di frequentare certe sedi, di essere presente a certi appuntamenti.
    Quando la cosa ha un certo rilievo, prima che tutto avvenga, o il giorno stesso a margine, viene intervistato chi ha organizzato l’evento, e se capita la presenza di una persona “famosa” può magari scapparci un’altra intervista, ma più in là non si va.
    Il tutto, quando va bene, viene annunciato e raccontato da chi è parte in causa.
    Manca comunque, e sistematicamente, l’occhio critico di un giornalista che si sieda in quella sala, e cerchi di percepire e di trasmettere quel che vi avviene. Che sta succedendo lì? Chi c’è in sala? Che ruolo gioca in città chi ha organizzato l’evento? Che rapporto si crea tra pubblico e organizzatori? Cosa raccontano della città le persone che si sono riunite in quella occasione? Cosa c’è da cogliere di veramente importante nelle parole che vengono scambiate, in quelle che vengono taciute, nella atmosfera del luogo?
    Certamente è impossibile – anche con le migliori intenzioni – pensare di adottare questo metodo per tutto quel che avviene in città.
    Ma il fatto è che non succede mai, e questo mai determina la natura e la qualità di quel che riesce ad emergere alla superficie della informazione.
    Chi organizza, nei giorni successivi, raccoglie rassegne stampa, e nel caso che all’evento sia stato comunque dedicato “spazio” può anche compiacersene. Ma ben che vada si tratta di uno spazio asettico, neutro, che non alimenta domande e che addormenta i conflitti.

    Recente occasione per queste riflessioni sono state le notizie di stampa sul meeting internazionale del 25 e 26 giugno “Punto G – Genere e globalizzazione”, che nulla hanno trasmesso su alcuni, determinanti, punti di contraddizione che hanno impegnato, e anche diviso, le donne in sala. Ne cito alcuni:
    Violenze al G8: ne è stata colpevole solo l’azione repressiva della polizia, o è necessaria una assunzione di responsabilità anche da parte del movimento no global?

    Precarietà: come può il sindacato “avere la percezione profonda di questa condizione” senza garantire una rappresentanza dei precari nei luoghi di lavoro? E’ possibile muoversi in questa direzione?
    Relativismo culturale, multiculturalismo, e rispetto della “libertà di scelta”: sono atteggiamenti culturali progressisti, o sono in contrasto con i diritti fondamentali delle donne che ora si trovano a dover combattere su un doppio fronte?

    (Paola Pierantoni)

  • OLI 308: LETTERE – Esistono ancora giornalisti?

    Nauseata dalla politica e dalla disinformazione asservita ai padroni, di destra o di sinistra, economici o politici, riporto alcuni esempi vissuti ultimamente:
    1- informazione sui referendum dell’acqua.
    Faccio parte di un comitato, da anni lavoriamo raggiungendo le persone solo attraverso le nostre forze e il volontariato, trasversali ai partiti, organizzati, trasparenti come l’acqua. Un movimento che ha risvegliato gli italiani, coinvolto i giovani, fatto impegnare molti cittadini in prima persona. Solo questo dovrebbe essere un evento da prima pagina! Eppure in questi anni nessuno dei grandi media ci ha considerato, non hanno cercato i fatti, i protagonisti, ma hanno ubbidito ai padroni di turno che chiedevano di depotenziare il movimento e far risaltare altre forze. Mi indigna questo non volere raccontare la realtà, questa incapacità di andare a fondo, questa inevitabile ignoranza che poi traspare negli articoli infarciti di errori e omissioni.
    2- conferenza stampa di presentazione del decennale del G8 a Genova e mostra fotografica.
    Si è parlato al 99% del programma, con eventi su lavoro, beni comuni, ambiente, povertà, ecc.. e solo all’1% si è accennato al ricordo della repressione del 2001. E’ stato ribadito con forza che il decennale non vuole essere il ricordo degli scontri, ma un nuovo ritrovarsi a discutere cose concrete, diritti umani, partecipazione. La mostra contiene centinaia di foto da tutto il mondo sui temi suddetti e solo qualcuna degli scontri del 2001. I pochi giornalisti presenti hanno fatto qualche ripresa e dopo pochi minuti se ne sono andati. Risultato: i servizi sulle TV locali o sui giornali mostravano SOLO le 3 foto degli scontri, rievocavano solo quelli, paventavano timori sulla sicurezza. Questo non è raccontare la realtà.
    3- scontri NO TAV in Val Susa.
    Il fatto: 70.000 persone manifestano pacificamente e 100 imbecilli tirano pietre. La sera apro il sito di Repubblica e i titoli naturalmente parlano solo degli scontri. Le foto danno la misura dell’indegnità di questa informazione: ci sono molte gallerie fotografiche dedicate al lancio di pietre, la singola pietra fotografata in alta risoluzione in tutto il suo tragitto con decine di scatti, da bravi ed esperti fotografi. Poi da un link nascostissimo ecco le foto della manifestazione pacifica: poche immagini di pessima qualità scattate probabilmente dal telefonino di qualche manifestante. Questo è l’emblema della disinformazione: tutti i migliori fotografi a coprire i 100 violenti, nessuno a coprire i 70.000 pacifici. Questa sproporzione è vergognosa. Probabilmente figlia di direttive dall’alto, perché tutti i giornali fanno gli interessi di qualcuno, che sia il capo del governo o sia il partito di opposizione sostenitore della TAV e della privatizzazione dell’acqua…
    Io, cittadina qualunque, farei due appelli.
    Il primo ai giornalisti, perché ritrovino dignità e professionalità, perché il loro lavoro sia raccontare la realtà, non distorcerla o ometterla. Dove è finita l’etica professionale?
    Negli Stati Uniti molti giornali stanno chiudendo, dicono che è un dramma per l’informazione. Ma per come stanno le cose in Italia, io quasi mi auguro che anche i nostri chiudano, perché così come sono fanno solo danni alla verità. Vorrei vedere professionisti che studiano le cose, vanno sul posto e ci passano del tempo per capire.
    Il secondo ai cittadini: non credetegli più! Oggi grazie a internet è possibile informarsi direttamente alle fonti, testimoni scrivono e fanno girare l’informazione. Sfruttiamola. Oppure andiamo noi in prima persona, quando possibile, a vedere, e raccontiamolo.
    Naturalmente ci sarà anche qualche giornalista che lotta contro tutto questo, o qualcuno che crede che le critiche non siano per lui. Può darsi, ma io lo esorto in ogni caso a fare di più perché la sua voce onesta si faccia spazio tra le altre.
    Silvia Parodi – cittadina di Genova

  • OLI 307: G8 / PUNTO G – Genere, globalizzazione e Cgil

    Monica Lanfranco di Marea

    Nella pila di documenti raccolti ai tempi del G8 ritrovo una mia lettera del 7 giugno 2001 alle donne della Segreteria della Cgil genovese. Parlavo della iniziativa “Punto G, genere e globalizzazione”, organizzata un mese prima del G8 di Genova dalla “Marcia mondiale delle donne”, protagonista la rivista Marea. In allegato c’era il materiale preparatorio della conferenza.
    Il tono era quello di una disperata invocazione: “ … Vi chiedo di leggere questo materiale e di pensarci su … si tratta di una occasione di riflessione da non perdersi assolutamente, alla quale aderire, alla quale invitare a partecipare … è ovvio che vi sono diversi gradi di radicalità che emergono dai documenti, ma se così non fosse, che discussione sarebbe? Confrontarsi con pensieri in cui la radicalità della analisi non è ancora del tutto mediata è indispensabile a poter pensare davvero. Poi si potrà mediare sulle azioni …”

    Laura Guidetti di Marea

    L’adesione non ci fu. Fu “permessa” solo la partecipazione individuale, che in assenza di informazione e promozione, fu naturalmene scarsissima. In una lettera del 13 giugno Laura Guidetti, una delle organizzatrici, scrisse: “Avremmo desiderato maggiore attenzione e adesione … un’altra occasione mancata per sperimentare lavoro comune e collaborazione col sindacato”.
    Conservo precisa memoria della mia emozione lacerata tra l’entusiasmo per la ricchezza di pensieri e di esperienze che vedevo espressa in quella sala, e la rabbia per la cecità della organizzazione a cui appartenevo.

    Lidia Menapace e Valentina Genta di Marea

    In uno dei documenti preparatori Lidia Menapace scriveva: “Dovendo di necessità far ricorso al diritto di espressione politica (non militare!) attraverso le manifestazioni, è decisiva la scelta delle forme … dobbiamo constatare che il militare esercita ancora un appello diffuso sul maschile e si diffonde anche tra le donne … dunque i movimenti di lotta cerchino nella loro memoria storica altri simboli, altre forme che siano efficaci e che rendano impossibile la provocazione violenta del potere … “
    Oltre ai temi della mondializzazione le donne mettevano in discussione le forme di lotta che il movimento stava scegliendo: la questione della zona rossa da violare, in modo più o meno simbolico. Cosa sarebbe potuto nascere da un incontro, da una alleanza, tra il sindacato e il movimento femminista? Magari si sarebbe potuto capire quale poteva essere, in quella occasione, la “mossa del cavallo” esaltata da Vittorio Foa come strategia alternativa allo scontro diretto, capace di spiazzare l’avversario.

    Susanna Camusso

    Oggi, a dieci anni di distanza, un convegno internazionale (*) organizzato dalle donne di Marea (**) e aperto agli uomini, ha fatto riempire la grande sala dell’Aula magna di S. Salvatore. Stesso titolo di dieci anni fa ma nessun “amarcord”, nessuna rievocazione, solo un guardare all’oggi e al futuro. Che immenso sollievo, che senso di speranza!
    E stavolta per la Cgil c’era la massima carica: Susanna Camusso, segretaria generale, donna, e protagonista del movimento delle donne nel sindacato.
    Al traino, una minuscola rappresentanza del “gruppo dirigente” della Cgil genovese.
    (*) http://puntoggenova2011.wordpress.com/
    (**) http://www.mareaonline.it/
    (Paola Pierantoni)