Categoria: Società

  • OLI 419: SOCIETA’ – L’eredità di un operaio

    Se non hai un’idea della tua vita diversa da quella che il sistema ha scelto per te non ci sarà lotta da dove uscirai vincente. Se spunterai qualche soldo in più – ma dopo aver cacciato sangue – sta tranquillo che qualcuno ha già deciso come dovrai spenderli. Agli operai, invece di interrogarli sulle lotte dovresti chiedergli come vorrebbero divertirsi, cosa gli piacerebbe fare, magari cosa farebbero se fossero ricchi. Lì, se c’è, viene fuori la differenza: se sono o non sono contro. Se vogliono le cose che offre questo sistema, allora le lotte servono al padrone e non a te.
    Gino Canepa

    Ora che tutto sta per cambiare e la vocazione industriale di questo paese verrà ridimensionata in maniera molto seria – lo sanno tutti e si arrampicano sugli specchi per convincerci del contrario – può essere di un certo conforto leggere “L’eredità di Canepa – il Sessantotto tra memoria e scrittura” di Manlio Calegari (ed. Impressioni Grafiche).
    Chi ha vissuto le speranze di quel Movimento troverà pezzi della propria storia operaia, di partito e univerisitaria. Chi invece non c’era, ed ha ancora il privilegio di varcare i tornelli di una fabbrica, potrà ascoltare le voci di Gino, dei compagni operai e di sua madre in un racconto del lavoro straordinario e atroce che parte dalla fine dell’Ottocento per arrivare agli anni Settanta del secolo scorso. Potrà percorre le strade che dagli orti delle ville di san Martino, dove Felicina, mamma di Gino, lavorava la terra già da bambina, arrivavano sino al Mercato Orientale e leggere di quando a Genova si viveva anche di agricoltura.
    Dagli orti, il lettore scenderà sino al porto dove in molti sognavano di lavorare come carbonai – dicevano che avevano inventato il rimmel perché la polvere di carbone gli si fermava lì, sotto gli occhi, gli entrava proprio  nella pelle –  raccontava Felicina , per salire con lei a Begato sposa di Dria. E attraverso la memoria percepire le distanze per raggiungere il porto, un’ora e mezza a piedi passando dalla costa di Fregoso, Granarolo. Un’eredità, quella di Gino che non trascura fascismo, dopoguerra e vita di fabbrica e che in tempi come i nostri, dove vanno alla grande le biografie dei padroni – “Ho coltivato il mio giardino”, di Marella Agnelli uno degli ultimi – è  preziosa per leggere il cambiamento e la disperazione di oggi, a quarant’anni di distanza da quando quelle memorie sono state registrate.
    L’appassionato o lo studente storia potrà accostarsi ad un’idea di ricerca che proprio grazie al Sessantotto aveva favorito l’incontro tra il mondo universitario e il mondo operaio, grazie alla convinzione che la cultura dovesse muoversi e misurasi in modo trasversale, sul campo. Lo studioso di oggi del territorio, invece, saprà di più sull’agricoltura di villa.
    Tra il Sessantotto e il Sessantanove abbiamo vissuto “qualcosa di straordinario”, “una cometa” e si è assistito ad una rottura. La parola “democrazia” ha iniziato ad affinacare categorie ed ordini di medici, notai, magistrati – ha spiegato Manlio in occasione della presentazione del libro, e c’è stata la nascita di amicizie che andavano oltre le tradizionali barriere sociali.
    Davvero potrei venir lì e mettermi in un banco a sentire? Non è che qualcuno mi manda via?
    era l’univeristà
    Marzo 1968. La nascita di un’amicizia.
    (Giovanna Profumo – immagine da internet)

  • OLI 414 – POLITICA: Sentinelle al riso

    Questa volta le sentinelle non sono state lasciate sole, silenziosamente in piedi a testimoniare domenica scorsa la Verità e i Valori non negoziabili in cui credono, a difendere la libertà di espressione che la proposta di legge avanzata da Ivan Scalfarotto e molti altri deputati tenderebbe subdolamente a minare (anche se a leggerne e rileggerne il testo questo non pare proprio, in quanto si limita a estendere anche a chi commette o incita a commettere atti di discriminazione o violenza motivati dall’identità sessuale della vittima le stesse pene già previste dalla legge Mancino-Reale del 1975, per chi compie analoghi atti per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi) e a difendere la famiglia tradizionale composta da marito, moglie, figli e talvolta uno o più amanti segreti non di rado del proprio sesso (ma l’importante è che non si sappia, nella squisita ipocrisia del “si non caste, tamen caute” non più riservato ai pastori ma a tutto il gregge), come ha notato anche Massimo Gramellini su La Stampa, commentando la direttiva del ministro degli interni Alfano ai prefetti per imporre ai sindaci che hanno istituito registri delle unioni civili celebrate all’estero di annullarli.
    Il tutto in non casuale concomitanza col concistoro e sinodo indetti da papa Bergoglio per discutere sul tema della famiglia.
    Questa volta le Sentinelle in Piedi “apartitiche e aconfessionali” erano accompagnate nelle loro esibizioni in molte piazze italiane da manifestazioni di segno contrario, nelle quali il netto dissenso verso chi rifiuta la variegata articolazione della realtà e vorrebbe continuare a imporre a tutti un unico modo di pensare e agire, con un rigore violentemente assolutista camuffato da mitezza, si è espresso in forme diverse. Si va dalle reazioni estreme di frange giovanili che non sortiscono altro effetto che fomentare il vittimismo di cui le sentinelle sono maestre, ben evidente – com’era prevedibile – nei resoconti della stampa di parte, fino ad azioni assai più incisive e condivisibili dove prevalgono l’ironia e lo sberleffo, che ridimensionano e coprono di ridicolo le pretese di questi paladini in piedi.

    A Genova, in piazza De Ferrari, le sentinelle si son trovate in compagnia di un folto gruppo di uomini e donne, sia di associazioni per la difesa dei diritti delle persone omosessuali e transgender, sia semplicemente in disaccordo con quanto propugnato dai manifestanti in piedi. Uno striscione che affermava il diritto a varie forme di famiglia era tenuto teso in un’arcata del Palazzo della Regione, mentre accanto si ascoltavano in cerchio le testimonianze non silenziose di chi desiderava condividere riflessioni sulla propria condizione ed esperienza. Tra la folla, a piccoli capannelli si tentava con scarso risultato di confrontarsi civilmente tra contestatori e portavoce delle sentinelle, in un dialogo impossibile tra visioni antitetiche del mondo, nel quale si rispecchiava in piccolo la contrapposizione tra Italia confessionale e Italia laica che è uno dei nodi fondamentali del malessere che stiamo vivendo, anche se di certo non l’unico, sul quale varrebbe la pena ritornare a ragionare in altre occasioni. Qualche esagerazione ogni tanto, con schiamazzi più o meno allegri e accensione di candelotti fumogeni, con l’unico risultato di rafforzare il vittimismo di cui sopra; ma ci potevano anche stare: è il gioco delle parti… 

    In altre città si è giocato in modo diverso. A Milano, ad esempio, le sentinelle che s‘erano date appuntamento in piazza XXV Aprile davanti alla Porta Garibaldi si son trovate un bel numero di festosi manifestanti che le sfottevano esibendo cartelli con surreali pretese altrettanto assurde, tra girotondi e chiassosi saltelli.

    Il capolavoro l’ha però messo in scena Giampietro Belotti, il trentenne che in piazza Sant’Anna a Bergamo, approfittando di un posto lasciato libero nella loro ordinata disposizione, si è intrufolato da solo tra le sentinelle come sentinella a leggere il Mein Kampf mascherato con una divisa nazista, con ai piedi un cartello recitante “I Nazisti dell’Illinois stanno con le Sentinelle”, chiaro riferimento al film The Blues Brothers di John Landis (1980). Ma il colpo di genio è stato il bracciale recante non la svastica della Germania di Adolf Hitler, bensì la doppia X della Tomania di Adenoid Hynkel, altra citazione cinefila da Il grande dittatore (The Great Dictator, 1940) di Chaplin.
    Dopo poco è stato allontanato dalla Digos e correva voce – poi rientrata – che la magistratura stesse valutando un’eventuale incriminazione per apologia del fascismo e/o del nazismo. Se così fosse stato, povera Italia!

    (foto Corriere della Sera)
    Non resta che richiamare alla mente e tener viva la frase sempre valida, dagli anarchici di fine ‘800 alle contestazioni del ’68, fino ad oggi: “La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà”.
    (Ferdinando Bonora – foto dell’autore, dove non diversamente specificato)
  • OLI 405: SOCIETA’ – Scuola, non ti scordar di me

    La primavera è arrivata silenziosa, è entrata dentro la scuola Solari di San Fruttuoso a Genova e con i suoi colori, i suoi profumi ha appassionato i cuori degli alunni, degli insegnanti e dei volontari del Circolo Nuova Ecologia che hanno collaborato al progetto nazionale di Legambiente “Non ti scordar di me, operazione scuola pulita” con il patrocinio del Municipio Bassa Valbisagno.
    È stata una grande festa quel giorno, grazie alle insegnanti, che hanno risposto con entusiasmo alla proposta: lo studio e la realizzazione di alcune aiuole all’interno di un prato della scuola, la piantumazione di un albero da frutto, l’elaborazioni di disegni, di cartelli con i pensieri dei bambini che invitano a rispettare e a mantenere puliti gli spazi verdi, la ideazione di manifesti, che annunciavano agli abitanti del quartiere la grande festa di primavera.
    L’evento era un’opportunità particolare per i bambini, per conoscere il verde intorno a loro, comprendere quanto sia importante prendersi cura delle piante, che proprio loro avranno messo a dimora, dopo aver preparato la terra, dopo aver imparato i nomi delle erbe aromatiche e dei fiori che hanno scelto, innaffieranno e cureranno. Erano così contenti di poter “fare un buco” per le piantine, odorare i profumi delle aromatiche, ahimè, in tanti non distinguevano il rosmarino dalla salvia.. Adesso gli alunni della scuola sapranno raccontare che il giardino della scuola è uno spazio verde speciale e ogni spazio libero della città potrebbe trasformarsi in un giardino fiorito proprio come il loro: non accade soltanto nelle fiabe.
    (Ester Quadri)

     
  • OLI 403: SOCIETA’ – Ceronetti, il sesso e la vecchiaia

    “Asessuate? Hai capito? E’ una palla formidabile, scoperesti tutti i giorni, e chi ce l’ha detto a noi? Che nostra nonna aveva voglia di scopare?”
    Nel gruppo ‘Generazioni di donne’ (*) del sesso in vecchiaia abbiamo iniziato a discutere da tempo, ed ora ecco un articolo di Ceronetti che si presenta come un invito a nozze, perché Ceronetti solleva un problema verissimo, ma lo declina, senza l’ombra di un dubbio, interamente al maschile.
    L’articolo, comparso su La Repubblica di martedì 1 aprile sotto il titolo di ‘Mettiamo fine alla barbarie della vecchiaia senza sesso’, si apre con una citazione da Sofocle che nell’Edipo a Colono sintetizza perfettamente la cultura del suo tempo facendo dire al suo eroe che “la più grande sciagura per un uomo è una lunga vita”.
    Affermazione rivoluzionaria oggi, tempi in cui invecchiamenti interminabili si accompagnano a infiniti escamotage tecnici, estetici, sociali per negare l’esistenza della vecchiaia.
    Ora però, dice Ceronetti, questi vecchi che sempre più popolano le nostre città, e che “La geriatria contemporanea non abbandona neppure al di là dei cento”, sono le vittime di una barbarie medica, politica e sociale, che li esclude dal sesso, o dall’amore a sfondo sessuale, “a partire da un’età prossima alla settantina”.
    Che fare? Ceronetti prende atto che è stata data qualche risposta alla solitudine sessuale dei disabili e dei carcerati, ma si chiede con inquietudine: “per i vecchi maschi, eterosessuali, coniugati o soli, si muoverà mai qualcuno?”

    Domanda interessante e legittima, ma zoppa senza la sua gemella speculare: “per le vecchie femmine, eterosessuali, coniugate o sole, si muoverà mai qualcuno?”.
    Tale asimmetria non può che condurre a soluzioni sociali e politiche sghembe, come le ipotesi evocate dallo scrittore che, mentre allontana da sé il ricorso alla prostituzione “perché degrada l’uomo molto più della donna”, vagheggia una rinascita in forma moderna delle ierodule, le schiave sacre “che compivano un servizio presso tutti gli antichi templi d’Occidente come d’Oriente”, affidando la sua speranza al “riemergere secondo una socializzazione d’anno Duemila di quella sacralità femminile del corpo offerto liturgicamente per amore delle Divinità, che certissimamente non è mai morta”.
    Ma le vecchie donne di oggi non hanno nella loro storia né ‘ieroduli’ da rievocare in forma moderna, né – più prosaicamente – prostituti.
    E allora? Un’amica dice che non si può saltare questo passaggio, perché altrimenti l’uguaglianza tra i sessi non potrà davvero compiersi. Quindi bisognerà avere fantasia, essere capaci di ‘inventare’, perché finché persiste la prostituzione femminile come dato sociale unilaterale, tutto il resto non basta per parificare la situazione, né a livello concreto, né a livello simbolico. Si potrebbero immaginare dei luoghi dove è garantito che lì sesso è giusto, è corretto, che vi si può accedere senza umiliare gli uomini, come invece sono state umiliate le donne?
    Luoghi che rappresentino pubblicamente la libertà delle donne di praticare il sesso potrebbero essere una tappa nel viaggio verso l’uguaglianza.
    (*) Per notizie sul gruppo ‘Generazioni di donne: www.generazioni-di-donne.it 
    (Paola Pierantoni – Fotografie dell’autrice)

  • OLI 403: SOCIETA’ – Vegano non è marziano

    (Torta di fragole vegana)

    Anni fa ne aveva scritto in Pastorale Americana Philp Roth. La figlia dello svedese era una di loro, ma non faceva una bella fine. Certo la letteratura può essere spietata.
    Oggi, numerosi anche in Italia, li puoi incontrare ad un aperitivo organizzato a Bogliasco per cercare di capire come mangiare rinunciando totalmente non solo a carne e pesce, ma anche a latte con tutti i derivati, uova, miele e a non indossare né lana, né pelle e piume. Ti indicano la strada per stare alla larga da circhi, zoo e acquari.
    Fabio e Lella hanno il volto diafano, il fisico scattante e asciutto di chi vive nella natura e la luce negli occhi che solo una fede profonda accende nello sguardo. Milanesi di nascita, vivono nelle Marche e pubblicano da sé i loro libri. Ne mostrano uno di ricette dal titolo Tutti bravi in cucina (e senza sofferenza animale) mentre attorno a noi è un trionfo di torte salate e dolci, pane, insalate, compresa quella russa, tutti rigorosamente vegan, con famiglie che assaggiano, annuendo compiaciute.
    Nel loro banchetto tante pubblicazioni di Ecoeditoria Creativa. Loro è la Troglodita Tribe S.p.A.f (Società per Azioni felici) con convinzione spiegano di essere vegani da quattordici anni. E’ stata la presa di coscienza del livello di violenza che subiscono gli animali, proprio in quella campagna bucolica che avevano immaginato prima di lasciare la metropoli, a condurli su questa strada, insieme a cinquanta miliardi di animali uccisi ogni anno.
    Si tratta anche una scelta etica dettata dall’antispecismo, la filosofia che considera un’ingiustizia il fatto che specie diverse da quella umana vengano discriminate, imprigionate, sfruttate, uccise e che si batte contro l’antropocentrismo – in un parallelo con razzismo, sessismo, omofobia – mirando ad una società in cui tutte le specie vengano considerate alla pari. Spiegano che – assodato che la violenza c’è, è evidente capita anche a loro di ammazzare una zanzara – l’intento è eliminare tutta la violenza intenzionale e sistematica.
    Essere Vegan è la pratica dell’antispecismo e l’antispecismo è la teoria.
    Raccontano di tre generazioni di vegani in Inghilterra con dati scientifici assolutamente positivi e di ambulatori – ne indicano uno pediatrico anche a Firenze – dove i dottori sono vegani e vegetariani. Parlano di nutrizionisti che favoriscono questo stile alimentare.
    Si scopre così che maionese e besciamella possono essere fatte con il latte di soia, che le frittate non hanno bisogno di uova per essere tali e che un ospite a cena vegano non è un marziano. Si può cucinare facilmente anche per lui. Bastano due parole chiave, ricette vegane e un giro nella rete.
    Chi proprio non vuole rinunciare a formaggetta e carne, ma volesse iniziare a capire, potrebbe fare come nei tempi andati, quando si mangiava pesce il venerdì, ed accostarsi all’alimentazione vegana una volta a settimana.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • OLI 390: SOCIETA’ – Unlearning. Una famiglia in viaggio tra decrescita, baratto e nuovi mondi.

    Un giorno mamma Anna vede un disegno della piccola Gaia: un pollo a quattro zampe. La sera lo fa vedere a papà Lucio e insieme riflettono su che tipo di insegnamenti stanno dando a loro figlia.
    Le quattro zampe del pollo sono le quattro cosce delle vaschette del supermercato? Gaia ha mai visto un pollo? Loro sono una famiglia di città ma esistono realtà diverse? Esistono modi differenti di vivere all’interno di questa società? Esiste un altro mondo possibile dove far crescere la piccola Gaia o almeno farle sapere che esiste?

     Papà Lucio è un regista video e propone alla sua famiglia di fare un viaggio-documentario per esplorare queste possibilità, quasi un manuale così che dalle loro esperienze altre famiglie si incuriosiscano e trovino ispirazione sia per la vita di tutti i giorni sia per scoprire un altro modo di viaggiare.

    Il  documentario uscirà a ottobre 2014 e sarà  di sessanta minuti più dieci micro-documentari che approfondiscono i temi più interessanti incontrati durante il viaggio e due libri: un ricettario e un manuale per riprodurre il viaggio con link, forum e indicazioni pratiche.

    Trailer

     Questo è un progetto coraggioso per molte ragioni.

    – Per l’idea di famiglia che racconta: due genitori che si mettono in discussione e mettono in discussione il loro stile di vita per cercare coerenza tra il loro sistema di valori, il modo di vivere e l’educazione che donano a loro figlia.

    – Per l’idea di società che porta avanti: per realizzare questo progetto vivranno realtà e modi di viaggiare alternativi non basati sul denaro ma sul baratto declinato in tanti modi differenti e innovativi.

    – Anche la scelta del tipo di finanziamento è in linea con la filosofia del documentario: Unlearning è un progetto di CROWDFUNDING, ovvero un finanziamento dal basso dove chiunque sia interessato può pre-acquistare il documentario, i gadget correlati o fare donazioni.

    Per avere maggiori informazioni clicca qui.

    – Non in ultimo in un periodo storico dove la parola crisi, sia economica che ideologica, sta monopolizzando le nostre vite e le nostre speranze questa famiglia curiosa, così amano definirsi, è una boccata d’aria fresca.

    (Arianna Musso)

  • OLI 386: LETTERE – Europa, riflessioni dal Bar Sport

    Venerdì 11 ottobre mi trovavo come di consueto al Bar dove quasi ogni mattina faccio colazione e dove sfoglio pigramente il quotidiano della mia città partendo dalle prime pagine per affrettarmi verso le pagine della rubrica sportiva (sapete faccio parte di quella schiera di persone un po’ affaticata per dire cosi…) quando incappo in un articolo divertentissimo su un ex giocatore della Sampdoria, Federico Piovaccari, trasferitosi alla Steaua di Bucarest gloriosa società della capitale Romena. L’articolo riportava le fortunate vicende del calciatore italiano immigrato in Romania diventato in pochissimo tempo idolo della tifoseria a suon di goal e buone prestazioni, ma soprattutto si soffermava sulle vicende del chiacchieratissimo patron della Steaua ossia Gigi “Big” Becali…e lo faceva in tono davvero divertente e ironico raccontando episodi più o meno ridicoli sulle uscite dell’istrionico presidente tipo “vinsi tre giocatori giocando a poker” oppure “ho comprato un aereo perché quello che aspettavo era in ritardo” ma anche sul presunto passato poco chiaro, facendo notare altresì che il presidente si trova al momento in carcere a scontare una pena detentiva di sei anni per presunte mazzette all’esercito nel primo periodo post-comunista dell’attuale Repubblica romena. Terminando, Il Secolo XIX ridicolizzava ulteriormente Becali chiamando in causa le vicende di un suo fratello venditore di Rolex falsi in quel di Napoli; il ritratto che ne usciva era davvero ridicolo e divertente, faceva sorridere pensando ad una realtà, quella dell’est Europa, dove ancora tutto è concesso e dove c’è spazio per improvvisazione e intrallazzo. Tuttavia, si dà il caso che, essendo sposato con una ragazza romena, conosca più o meno da dentro le vicende dell’amatissimo e sottolineo amatissimo, presidente della Steaua che mi ricorda moltissimo un altro amatissimo presidente di una società di calcio italiana noto anch’egli per uscite istrioniche e divertenti, pensate che il burlone voleva far passare una sua amante minorenne per la nipote di Mubarak! O che si divertiva a fare le corna agli altri premier nelle foto ufficiali! (perché da noi Lui è anche un “grande” politico). Sapete però che differenza ho notato? Che i romeni hanno messo in gabbia il povero Gigi “Big” Becali! Che gente eh? Privi del ben che minimo senso dell’humor…
    (Riccardo Badi – immagine da internet)

  • OLI 382: SOCIETA’ – I martiri dell’ignoranza

    La prima volta che ho sentito il racconto di Lanciné Camara, giovanissimo cittadino della Costa D’Avorio, sulla sua piccola amica albina, è stato durante un laboratorio teatrale a cui partecipiamo entrambi, il ‘Laboratorio Immigrati’ di Vico Papa: quindici persone impegnate ormai da un anno a mettere in scena la storia della immigrazione a Genova.
    Una sera, nel corso di una delle improvvisazioni che fanno parte di questo lavoro, ciascuno dei partecipanti doveva raccontare un episodio della propria vita legato ad una forte emozione.
    Lanciné, giovane immigrato della Costa D’Avorio, parlò di quando, andando a scuola, passava ogni mattina davanti alla casa di una ragazzina della stessa età.
    La conosceva perché frequentavano la locale parrocchia cattolica, ma non erano compagni di scuola perché a lei, albina, non era permesso andarci: essere albini in molti paesi africani è uno stimma che ti esclude.
    Si sorridevano e si guardavano al di là della recinzione del giardino, ma una mattina la sua piccola amica non c’era più. Lui non osava nemmeno chiedere cosa ne fosse stato, perché anche solo parlarne era cosa proibita. Poi seppe che era stata uccisa e fatta a pezzi dai suoi stessi parenti. Ci disse: “era il mio primo amore”.
    Lanciné si è fatto testimone di questo dramma, ed è riuscito, anche se nostro concittadino solo da due anni, a promuovere un’iniziativa d’informazione e sensibilizzazione che si è svolta lo scorso venerdì 14 giugno nella ‘Sala Clerici’ della Biblioteca Berio.
    Il titolo era “L’albinismo in Africa: un dramma sociale e culturale”.

    Il pubblico, numeroso ed attento, è stato informato della dimensione dell’abinismo in Africa (un caso ogni 4000 abitanti, e fino ad uno su 1000 in Nigeria), degli aspetti medici particolarmente pesanti causati dalle alte temperature, dal sole, dalla carenza di cure e di prevenzione che espongono a sofferenze e danni gravi alla vista, alla pelle: moltissimi i casi di tumore. Si è parlato delle iniziative di sostegno, sensibilizzazione, aiuto che molte organizzazioni – tra queste la “Associazione Di Cooperanti Tulime ONLUS” (http://www.tulime.org/2011/10/13/progetto-albini/) – stanno svolgendo in diversi paesi africani.

    Ma è stato Lanciné a dare col suo intervento la dimensione culturale, sociale, emotiva di questo dramma. “Gli albini non sono considerati persone! Una leggenda racconta che gli albini spariscono ma non muoiono mai, simbolizzano una maledizione degli dei. Le famiglie in cui nascono sono sommerse dalla vergogna e dalla paura, e in tanti casi arrivano all’infanticidio. Oppure sono considerati incarnazione di un potere magico, benefico o malefico … “.
    L’ambiguità che rappresenta un essere come l’albino, alimenta pratiche occulte: spesso sono cacciati, uccisi, mutilati, vittime di crimini rituali. C’è un mercato dei loro organi, ritenuti magici. In una situazione di miseria, è un mercato che rende.
    Che vada bene sono esclusi, soli, abbandonati. Dice Lanciné: “Alla luce del sole, quelli che restano nel buio diventano martiri dell’ignoranza degli altri, e la sorte che tocca a chi è in minoranza è uno specchio che ingrandisce i mali della società”.
    Ogni società ha i suoi albini, e l’Europa e l’America ne sanno qualcosa.
    L’incontro si è concluso con un messaggio di speranza, il video del grande compositore Salif Keita, albino, che canta: io sono un nero, la mia pelle è bianca, io sono un bianco e il mio sangue è nero, e io adoro questa differenza, questa differenza è bella. Ognuno, al suo turno, avrà il suo amore, e la vita sarà bella. 
    (Paola Pierantoni – foto dell’autrice)

    Pubblichiamo anche la bella poesia che Lacine Camara ha scritto e letto al convegno, qui nella traduzione di Marina Bonelli

    Dio! Clemente e misericordioso, Dio!
    Te ne prego, non abbandonare Mukidoma!

    Sarò consegnato all’indegna prigione della diversità
    dove l’orizzonte della mia esistenza non sarà che avversità.
    Invano cercherò una luce per illuminare i loro occhi,
    dove già la mia differenza giustificherà la mia inferiorità

    Pregando per non avere un figlio che mi assomigli,
    la loro pioggia di sputi seguirà la mia apparizione
    e per maledire lo zerou-zerou che mi rappresenterebbe,
    mi bagneranno con parole irridenti e denigranti.

    Mi accuseranno di aver commesso un grave crimine, 
    quello di essere nato con la pelle troppo bianca!
    Allora la mia anima sarà chiusa in una prigione,
    dove la pena sarà immensa come l’universo.

    Resterò dunque perso nella mia solitudine.
    Una brezza malinconica profumerà la mia vecchiaia.
    Le mie labbra resteranno serrate, la mascella digrignante,
    racchiudendo una energia di dolore e gemiti.

    Non avrò lenti, non avrò occhiali
    che mi diano il santo piacere di vedere bene.
    E il sole stesso si armerà dei suoi raggi,
    per spezzare il mio corpo e infiammare la mia pelle.

    Poiché un corpo di albino è una merce appetibile.
    Senza dubbio, sarò abbattuto, smembrato, e venduto!
    Certamente proprio dalle mani dei miei vicini.
    Probabilmente proprio per volontà dei meii genitori!

    Così sarò sacrificato agli dei! 
    I feticci avrebbero grandi poteri celesti
    gli stregoni saprebbero fabbricare i migliori talismani.
    Ecco chi saprebbe guarire da ogni disgrazia!
    Ecco chi potrebbe riempire di pesci le piroghe,
    ecco chi potrebbe concedere tutti i poteri.

    Dio, clemente e misericordioso, Dio!
    Ti prego, non abbandonarmi!
    Non abbandonare Mukidoma,
    almeno là, anima in pace, 
    troverò un pò di serenità.
    (Lanciné Camara)


  • OLI 368: SOCIETA’ – Flexitariani, o dell’elogio della flessibilità

    Pochi gioni fa, chiedendo ad amici invitati a cena se avessero cibi sgraditi, diete particolari, la risposta è stata: “No, siamo onnivori, anzi flexitariani”.
    Wikipedia ci informa che flexitariana o semi-vegetariana (*) è una dieta vegetariana con introduzione occasionale di carne: tendenza in crescita, a leggere il recente articolo del Guardian (**), che spiega come la corretta interpretazione di questa dieta consista nel consumare carni di cui si conosce la provenienza “etica”. Nella speranza di essere percepiti dagli animali come una minaccia meno pericolosa di un carnivoro a tempo pieno.
    Analizziamo i termini: flexi, flessibile, flessibilità (***), una bella qualità che permette ad un albero di flettersi al vento senza spezzarsi, ad un edificio di resistere ad un terremoto: il termine opposto è rigidità, riassumibile nella locuzione latina frangar non flectar (mi spezzo ma non mi piego). Parrebbe che la flessibilità sia associabile ad una maggior “intelligenza”, ad una minore intransigenza, ad un comportamento mentale che obbliga a ragionare. In Italia ce ne sarebbe un gran bisogno.

    (*) http://en.wikipedia.org/wiki/Semi-vegetarianism
    (**) http://www.guardian.co.uk/lifeandstyle/2013/jan/21/flexitarianism-vegetarianism-with-cheating
    (***) http://en.wikipedia.org/wiki/Flexibility_%28engineering%29

    (Ivo Ruello – Immagine da internet)

  • OLI 367 – SOCIETA’ – Voti invisibili

    Dopo una campagna elettorale fondata sul marketing, che ha visto protagonisti tv e radio, questo week-end gli italiani si sono recati alle urne per votare.
    I candidati durante la loro campagna elettorale hanno offerto soluzioni “strategiche” alla crisi economica e finanziaria che stiamo vivendo, peccato però che in gran parte siano gli stessi responsabili che l’hanno causata. Questa sfiducia ha portato ad un calo di affluenza alle urne da parte degli elettori.
    Il voto è importante perché è il mezzo con cui si può esprimere un giudizio, ma più importante è il voto che diamo ogni giorno con le nostre azioni e le nostre scelte quotidiane; noi, singoli cittadini, facciamo politica tutti i giorni, anche quando sosteniamo che la politica non ci interessa.
    Votiamo quando andiamo a fare la spesa, quando scegliamo di acquistare un prodotto locale o un prodotto che arriva dal Sud America; votiamo quando decidiamo di andare in auto oppure in bici; votiamo ogni volta che decidiamo di guardare un programma in tv o leggere un libro; votiamo ogni volta che entriamo in un negozio, in un supermercato; ogni volta che scegliamo un film al cinema; quando decidiamo che stile dare alla nostra vita. Di certo sono elezioni più difficili di quelle politiche, non dobbiamo mettere una croce su un simbolo né presentare un documento d’identità, ma dobbiamo metterci in gioco in prima persona. Diventiamo responsabili delle nostre scelte quotidiane e, dato che questi voti li distribuiamo comunque nostro malgrado, sarà utile farlo con la maggior consapevolezza possibile.
    Tutte le scelte personali hanno un impatto e delle conseguenze sulla collettività e sull’ambiente, anche quelle più insignificanti e più superficiali.
    Se partisse da noi stessi orientare eticamente la nostra vita affinché le nostre azioni promuovano la libertà e la dignità di tutti, riusciremmo a modificare la realtà che ci circonda senza dover delegare la responsabilità solo ed esclusivamente ai nostri politici. Le responsabilità e le piccole attenzioni civiche provenienti “dal basso” sono il primo passo verso il reale cambiamento.
    (Maria Di Pietro)