Categoria: alimentazione

  • OLI 418: VIAGGI – New York, la vita in un carrello

    C’è un carrello.
    Grande. Profondo.
    E dentro il carrello, c’è il mondo.
    Tre tipi diversi di affettati, barattoli di sughi a non finire, latte che ti vendono nei contenitori di plastica che sembrano quelli usati per trasportare la benzina e che sono letteralmente giganteschi. Pane, il pane in cassetta e quello fresco, fatto affettare. Il pane per lo Shabbath ebraico, il pane ai cinque cereali, il pane solo ai cereali, il pane dietetico, il pane aromatizzato, il pane dolce. Ma se il pane non è abbastanza mettiamo in un sacchetto anche qualche beagle. Contenitori di yogurt (non i barattoli piccini, ma quelli che possono durarti per due settimane). Verdura e frutta di grandezze inquietante (si pensi ad arance grosse come dei meloni). Tomatos, potatos, turnips, parsnips, broccoli, avocados. Dolciumi vari. Marmellate, miele, sciroppo d’acero, senape e maionese e ketchup. Pollo arrosto che non può mai mancare. Pollo arrosto organico, plain oppure aromatizzato al BBQ, al rosmarino e aglio, al limone. Ice Cream, ice cream dietetico, gelato (attenzione: tra ice cream e gelato gli americani fanno la differenza), sorbetto. Diversi tipi di cereals, diversi tipi di pasta (Barilla, De Cecco, Maria e altre marche vendute come tipicamente italiane e che io non ho mai visto), prodotti congelati, prodotti cotti da riscaldare, sushi. Olive (dieci tipi diversi che il consumatore provvede a pescare con un cucchiaione dai barattoli di plastica senza coperchio per mettere la quantità desiderata dentro contenitori più piccoli). E il carrello scivola per questi corridoi infiniti, dagli scaffali alti fino al soffitto, stipati di qualsiasi cosa tu possa desiderare ed è così claustrofobico. C’è così tanta scelta, come si fa a scegliere? Degli studi dimostrano che più prodotti sono offerti ad un consumatore, meno quel consumatore compra. La scelta è troppa. Gli americani vogliono avere la possibilità di poter trovare esattamente quello che gli interessa, quel prodotto fatto in tal modo, come piace a loro, esattamente come piace a loro, con l’importo calorico che vogliono. C’è un reparto solo per l’olio. Dove ci sono bottigliette piccole e bottiglioni enormi e c’è quello pugliese, toscano, ligure, quello con gli aromi, quello con le olive di derivazione controllata. Ci sono tutti questi carrelli e a volte si scontrano e le persone si chiedono scusa o si insultano. Proseguono arrabbiate o come se nulla fosse. Così concentrate su quello che devono comprare. Velocemente, più velocemente. Che a New York non c’è mai tempo. Che ogni attimo è vissuto perché ti porti all’attimo successivo. Che il consumismo di questi supermercati non è diverso dal consumismo della loro stessa vita. Sempre tutto. Sempre il meglio. Sempre di più. Che non è mai abbastanza.
    (Biancalice Sanna)

  • OLI 403: SOCIETA’ – Vegano non è marziano

    (Torta di fragole vegana)

    Anni fa ne aveva scritto in Pastorale Americana Philp Roth. La figlia dello svedese era una di loro, ma non faceva una bella fine. Certo la letteratura può essere spietata.
    Oggi, numerosi anche in Italia, li puoi incontrare ad un aperitivo organizzato a Bogliasco per cercare di capire come mangiare rinunciando totalmente non solo a carne e pesce, ma anche a latte con tutti i derivati, uova, miele e a non indossare né lana, né pelle e piume. Ti indicano la strada per stare alla larga da circhi, zoo e acquari.
    Fabio e Lella hanno il volto diafano, il fisico scattante e asciutto di chi vive nella natura e la luce negli occhi che solo una fede profonda accende nello sguardo. Milanesi di nascita, vivono nelle Marche e pubblicano da sé i loro libri. Ne mostrano uno di ricette dal titolo Tutti bravi in cucina (e senza sofferenza animale) mentre attorno a noi è un trionfo di torte salate e dolci, pane, insalate, compresa quella russa, tutti rigorosamente vegan, con famiglie che assaggiano, annuendo compiaciute.
    Nel loro banchetto tante pubblicazioni di Ecoeditoria Creativa. Loro è la Troglodita Tribe S.p.A.f (Società per Azioni felici) con convinzione spiegano di essere vegani da quattordici anni. E’ stata la presa di coscienza del livello di violenza che subiscono gli animali, proprio in quella campagna bucolica che avevano immaginato prima di lasciare la metropoli, a condurli su questa strada, insieme a cinquanta miliardi di animali uccisi ogni anno.
    Si tratta anche una scelta etica dettata dall’antispecismo, la filosofia che considera un’ingiustizia il fatto che specie diverse da quella umana vengano discriminate, imprigionate, sfruttate, uccise e che si batte contro l’antropocentrismo – in un parallelo con razzismo, sessismo, omofobia – mirando ad una società in cui tutte le specie vengano considerate alla pari. Spiegano che – assodato che la violenza c’è, è evidente capita anche a loro di ammazzare una zanzara – l’intento è eliminare tutta la violenza intenzionale e sistematica.
    Essere Vegan è la pratica dell’antispecismo e l’antispecismo è la teoria.
    Raccontano di tre generazioni di vegani in Inghilterra con dati scientifici assolutamente positivi e di ambulatori – ne indicano uno pediatrico anche a Firenze – dove i dottori sono vegani e vegetariani. Parlano di nutrizionisti che favoriscono questo stile alimentare.
    Si scopre così che maionese e besciamella possono essere fatte con il latte di soia, che le frittate non hanno bisogno di uova per essere tali e che un ospite a cena vegano non è un marziano. Si può cucinare facilmente anche per lui. Bastano due parole chiave, ricette vegane e un giro nella rete.
    Chi proprio non vuole rinunciare a formaggetta e carne, ma volesse iniziare a capire, potrebbe fare come nei tempi andati, quando si mangiava pesce il venerdì, ed accostarsi all’alimentazione vegana una volta a settimana.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • OLI 306: LIGURIA – I giovani e l’entroterra

    Azienda agricola nell’entroterra genovese

    Il comunicato Istat “Occupati e disoccupati” del 1 aprile 2011 (*) confronta i dati occupazionali dell’ultimo trimestre 2010 con quelli dell’ultimo trimestre 2009.
    Leggendoli salta agli occhi una novità: il sensibile aumento (+2,5%) degli occupati in agricoltura, a fronte della continua perdita nella industria (-2,4%) e nelle costruzioni (-3,9%).
    Sul web magazine Agronotizie (**) una analisi di Coldiretti sottolinea la crescita della componente giovanile del lavoro agricolo: “Dopo anni di fuga dalle campagne il trend si sta invertendo … sono sempre di più i giovani che vedono nell’agricoltura uno sbocco professionale”. A conferma, il fatto che gli iscritti alle 23 facoltà di Agraria sono in crescita in tutta Italia, con aumenti che vanno dal 6% al 30%.

    Coltivazione di piccoli frutti, adatta al nostro entroterra

    Pare però che questa novità non riguardi la nostra regione: infatti sia Paolo Arvati (La Repubblica, 5 aprile 2011), sia Monica Zunino (Corriere Mercantile, 19 aprile 2011) riferiscono che nello stesso periodo in Liguria si sono persi 2000 occupati nei settori di agricoltura, silvicultura e pesca.
    Che ne sarà, ci siamo chiesti, della piccola attività agricola e di allevamento di cui avevamo parlato in Oli 278 (***): ci sarà stato un ritorno indietro? Le difficoltà avranno prevalso?
    No, per fortuna. Ora nella piccola azienda si è aggiunto un giovane, più il lavoro che viene esternalizzato: sistemazione del terreno, recinzioni, norcineria … Non vi sono per ora margini di accumulo, l’attività paga solo il lavoro che viene prestato, e resta indispensabile il finanziamento regionale del Programma di Sviluppo Rurale 2007 – 2013: per ora i soldi, materialmente, non sono ancora arrivati, ma prima o poi …

    I “maiali felici” sono raddoppiati di numero

    Nel frattempo nuovi maiali (temporaneamente) felici hanno sostituito gli epigoni, i salami stanno stagionando, nuove attività (coltivazione di piccoli frutti, lamponi, uva spina, mirtilli, ribes) sono in fase di impianto, altre (allevamento di capre per la produzione di formaggi, e di galline per le uova) sono programmate a breve.
    Il giovane perito di agraria che ha avviato l’impresa sembra reggere bene l’isolamento della vita campestre, e l’altro giovane socio  non pare rimpiangere i lavori precari che si è lasciato alle spalle. Aree crescenti di bosco vengono recuperate dall’abbandono, una antica mulattiera riprende servizio, via vai di persone e saluti al posto del silenzio.
    Alle spalle di tutto ciò c’è la decisione di una famiglia di salvaguardare un vasto terreno boschivo di proprietà, sottraendolo al degrado, e questo si è tramutato in una opportunità di lavoro per ora per due ragazzi, nel futuro, si può sperare, anche per altri.
    Ma perché la Liguria non riesce a promuovere in modo più significativo e diffuso queste attività, queste disponibilità? Perché perdiamo occupazione in un settore che altrove è in crescita? Perché non riusciamo a mettere insieme una politica di salvaguardia del territorio, di aumento della occupazione, di risparmio energetico, di sensibilizzazione alla qualità dei prodotti alimentari e di rispetto per il benessere animale?
    Il futuro del cibo di qualità e della economia regionale, ad esempio, sta nella spocchia di Eataly, o nel sostegno a reti distributive come quella dei Gruppi di acquisto solidale (****), o altre forme (mercatini rionali) che facilitino l’arrivo dei prodotti locali ai compratori?
    (*) http://www.istat.it/salastampa/appuntamenti/calendario.html
    (**) http://agronotizie.imagelinenetwork.com/attualita/2011/04/07/agricoltura-l-occupazione-cresce-ed-e-giovane-13104.cfm
    (***) http://www.olinews.info/2010/11/oli-278-zootecnia-i-maiali-felici-che.html
    (****) http://retiglocali.it/gasprovge/i-gas-di-genova-e-provincia/
    (Paola Pierantoni – foto dell’autrice)

  • OLI 301: LETTERE – La libertà di scelta resta fuori dalla porta. Della scuola.

    Quando penso “mensa scolastica” la mia memoria olfattiva torna al profumo di cibo che accoglieva bimbi e genitori all’ingresso della scuola materna, odore di minestrone la mattina e budino al cioccolato all’uscita. Ora quando entri in una scuola oggi, non ti accoglie nemmeno più l’odore di disinfettante, perché se non lo portano i genitori da casa le pulizie si fanno all’acqua, senza sapone. Eppure, visti i costi, la mensa dovrebbe essere di buona qualità, anche se non è comprensibile come sia possibile che un ottimo menu biologico a Bologna costi 6,24 € a pasto e a Genova, non biologico, 6,50 €. In entrambi i casi si tratta di “pasti veicolati”, cioè prodotti e consegnati da aziende esterne, solo che a Genova sono private mentre a Bologna il comune è socio maggioritario.
    Ma veniamo alla libertà. In anni di asilo nido, scuola d’infanzia e primaria ho visto il menu scolastico peggiorare in qualità e penso che a farne le spese sono migliaia di bambini ogni giorno. Ho tentato di entrare nella commissione mensa, ma di solito ci vanno genitori che sono liberi all’ora di pranzo o che per particolari esigenze devono assistere il figlio diabetico per essere sicuri che abbia l’assistenza necessaria.
    Quest’anno però mio figlio mi mette con le spalle al muro: “ma perché non mi posso portare il pranzo da casa? Perché devo mangiare un pezzo di pesce congelato che viene chissà da dove, di solito pesce halibut, che come si legge anche su Wikipedia, viene pescato nel Pacifico del nord, dalla Russia al Giappone…. ma mamma saranno radioattivi!”
    Figlio mio, perché hai la sfortuna di essere allergico alle porcherie che le industrie mettono nel tonno in scatola, o meglio hai la fortuna di esserlo, così non te lo mangi. E hai anche il permesso di non mangiare quel povero pezzo di pesce morto lontano, per niente, visto che non puoi sostituirlo con altro ma puoi lasciarlo nel piatto.
    Però lui vorrebbe portarsi il pasto da casa, anche un pezzo di formaggio. Solo che non si può: puoi chiedere al comune un menu differente per allergie, per motivi religiosi o etici e sperare che sia disponibile: il menu o l’incaricato a compilarlo. Far da sé non è più una pratica prevista, ma non se ne comprende il motivo.
    Proporrei un questionario di valutazione della qualità da far compilare ai bambini, in fondo sono loro che mangiano a scuola tutti i giorni.
    (Cristina Capelli)

  • OLI 275: ALIMENTAZIONE – I vegetariani, gli acritici e gli onnivori selettivi

    Un’amica, a commento degli articoli finora usciti su Oli (*) a proposito del mangiar carne, degli allevamenti intensivi e del libro “Se nulla importa” di Safran Foer, mi chiede: “Bene, e ora? Che si fa?”
    La via più facile è non fare proprio niente e continuare a “mangiare come tutti gli altri”. A stare ai dati (**) parrebbe a prima vista che la direzione sia proprio questa: in USA siamo ad un consumo di 125 kg. annui di carne pro-capite, in Europa la Danimarca va anche oltre con i suoi pazzeschi 145 chili, e anche in Italia, con tutta la nostra dieta mediterranea, siamo passati dai 57 kg annui pro-capite del 1972 agli attuali 90 / 92 chili, una media di due etti e mezzo di carne tutti i santi giorni. E quasi tutta questa carne viene da allevamenti intensivi.
    Ma, dice Foer, “questa che fino a poco tempo fa, e quasi ovunque, era un’ottima idea, ora non lo è più”, perché aggiunge gocce su gocce ad un vaso prossimo a traboccare. Oltre all’aspetto etico delle condizioni di vita degli animali, l’agroindustria influenza infatti pesantemente inquinamento, salute, consumo di acqua, condizioni di lavoro, declino delle comunità rurali e povertà globale.
    Per quello che lo riguarda lo scrittore Safran Foer, dopo i tre anni passati a raccogliere informazioni per il suo libro, ha deciso che “non vuole avere niente a che fare con l’allevamento intensivo”, e che astenersi dalla carne è per lui l’unico modo realistico di farlo.
    Però le strade possibili sono più di una, e a volte si intersecano.
    Dice Foer “I rancher possono essere vegetariani, i vegani possono costruire mattatoi, e io posso essere un vegetariano che appoggia il meglio della zootecnia”.
    Così agli acritici e ai vegetariani si affiancano i carnivori moderati che, senza azzerarlo, riducono il proprio consumo di carne, e gli “onnivori selettivi” che evitano di acquistare prodotti (carne, uova, latte, formaggi) provenienti da allevamenti intensivi. Cosa che può essere parecchio complicata.
    Naturale essere assaliti dai dubbi: ma davvero scelte di questo tipo possono avere una influenza concreta sulle pratiche agricole globali? Lo scrittore americano osserva che “non possiamo evitare, nutrendoci, di irradiare un’influenza anche nostro malgrado”, e che quindi questa influenza esiste, ed è sorpendente.
    Negli USA (****) il numero di vegetariani nel 2008 era il 3,2% della popolazione, mentre un altro 10% denunciava una dieta orientata in senso vegetariano. Le previsioni sono in crescita.
    Più difficile – immagino – valutare l’entità della platea dei carnivori moderati e degli onnivori selettivi, ma di certo l’industria alimentare inizia a tenerne conto.
    Sarebbe interessante capire cosa sta avvenendo da noi: condizione degli animali negli allevamenti, impatto ecologico, conseguenze sanitarie, orientamento dei comportamenti alimentari, influenza di questi sul mercato. Chissà che qualche giornalista – prima o poi – lo faccia.
    * La forza dei paradossi http://www.olinews.info/2010/10/oli-274-alimentazione-la-forza-dei.html
    Quanta sofferenza sei disposto ad accettare? http://www.olinews.info/2010/10/oli-272-alimentazione-quanta-sofferenza.html
    OLI 271, “Se nulla importa” http://www.olinews.info/2010/09/oli-271-informazione-se-nulla-importa.html
    ** vedi il sito http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=30646 e i molti altri rintracciabili cercando su Google con parole come: consumo / carne / pro capite / dati
    *** http://trashfood.com/2009/12/carnivori-moderati.html
    **** http://www.articlealley.com/article_1351542_23.html
    Altri link:
    http://www.eat-ing.net/getpage.aspx?id=73&dx=2&m=2&pf=f&sez=carne#1
    http://www.ecowiki.it/allevamenti-sostenibili-il-parere-dei-produttori-e-la-figuraccia-di-fazio.html

    (Paola Pierantoni)