Categoria: sciopero

  • OLI 410: ILVA – Se anche Edo Ronchi lascia la partita

    Se le le cose andranno come qualcuno ha deciso, fatta carta straccia di un anno di lavoro e del piano industriale di Enrico Bondi, parte dell’Ilva verrà svenduta, con la benedizione di Federacciai, spacchettata e una buona percentuale di Pil – chi non ricorda il mantra proprio sul Pil quando erano iniziate le inchieste della Todisco? – sarà polverizzata dalla concorrenza straniera.
    Forte il rischio che, tra due o tre anni, succeda come sta accadendo oggi in Alitalia: chiusura di stabilimenti ed esuberi da accompagnare alla porta.
    Una delegazione di Arcelor Mittal sta mappando tutti i siti produttivi dell’azienda ma anche la fantasia più ottimista fatica ad immaginarli travestiti da Olivetti mentre investono miliardi di euro per contribuire a rendere ecocompatibile l’Ilva di Taranto. Più probabile, invece, che mirino a quote di mercato. Non stupisce che proprio mentre ci sono movimenti così importanti di un gruppo straniero, la Riva Fire abbia deciso, proprio ora, di presentare ricorso al Tar del Lazio contro il piano ambientale dell’Ilva, bollandolo come atto unilaterale (Secolo XIX, 9 luglio 2014).
    Mentre al livello nazionale si spostano queste pedine, su quelle di Genova, i 1740 dipendenti di Cornigliano, pende la spada di Damocle della fine dei contratti di solidarietà il 30 settembre. Un assaggio di quello che potrà accadere, se il problema non verrà tempestivamente risolto, si è visto i 3 e il 4 luglio quando un gruppo di lavoratori – dopo aver sentito le ragioni del direttore di stabilimento sulla mancanza di risorse per pagare i premi a luglio – è sceso in sciopero bloccando la città. Gli operai dell’Ilva di Genova sono abituati così, il salario – non lo stipendio – ha detto in assemblea uno di loro, rivendicando la provenienza di classe – non si tocca. Qui siamo. Un’azienda alla deriva, che stava lentamente riprendendo la rotta del proprio futuro con Enrico Bondi, viene nuovamente spinta in balia delle onde e affidata ad un nuovo Comandante Commissario che dovrà ripercorrere le tappe del predecessore per capire come gestire un gruppo di 16mila unità nella fase di crisi più acuta. Se non fosse successo davvero sarebbe una barzelletta.
    A Genova, in assemblea, i lavoratori hanno sollecitato le OO.SS Ilva a ritrovare l’unità sindacale andata dispersa da un sito all’altro e c’è chi ha chiesto al sindacato di cambiare marcia rispetto al passato. Richiesta ancor più giustificata viste le evidenti perplessità espresse sull’ultimo decreto ILVA , decreto che ha spinto anche Edo Ronchi a fare un passo indietro e a sottrarsi dalla partita. In assemblea, le parole sono state sempre le stesse: stipendio, salario, famiglie, lavoratori, dignità, operai, padrone, produzione, reddito, posto, sciopero. E Accordo di Programma: la bitta alla quale sono incatenate tutte le garanzie del sito produttivo di Cornigliano e dei suoi dipendenti. Nell’aria la consapevolezza che allo stabilimento dell’Ilva di Genova e non solo lì si aprirà un nuovo doloroso capitolo.
    Forse il più difficile.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • OLI 392: TEATROGIORNALE – Lo sciopero dei miei sogni

    [Il Teatrogiornale è un racconto di fantasia liberamente tratto dalle notizie dei giornali].

    A Genova c’è lo sciopero generale e il vento. Non è una novità a Genova, c’è sempre vento ma non tutti sanno che a volte questo si incanala tra i pilastri e fa cantare la sopraelevata. Il suo canto oggi non è disturbato dal rumore delle macchine perché dopo una settimana di sciopero dei mezzi pubblici i genovesi hanno deciso che è stupido prendere tutti la macchina e rimanere imbottigliati nel traffico. Molti motorini, biciclette, monopattini, pattini a rotelle, passeggini e anche un sidecar. Le poche macchine che girano vanno ai venti all’ora e si fermano a chiedere alle donne incinte o agli anziani se desiderano un passaggio.
    -Io ho fatto la partigiana!
    Urla una vecchina brandendo il bastone a tre piedi contro una punto classic grigia che si è fermata ad offrirle uno strappo.
    -Non mi spavento per due passi, belinun! E scendi da quella macchina che ti si rammollisce il cervello!
    La punto classic rimane interdetta e poi continua il suo viaggio solitario, all’altezza del secondo semaforo di Corso Aurelio Saffi posteggia e un signore sui cinquant’anni apre la portiera ed esce, il vento gli scompiglia i capelli radi. Il mare è grigio blu, le nuvole toccano l’orizzonte.

    All’entrata del porto antico, all’altezza dei giochi, dei controllori dell’AMT hanno un banchetto dove chi desidera può versare un euro a sostegno dei lavoratori precettati e multati dalla prefettura: c’è la fila.
    -Alla fine oggi avrei dovuto spendere tre euro e trenta per l’autobus, ne do due e ci ho guadagnato un euro e trenta.
    Una signora bionda, con una borsa di Prada, parla con un’altra sciura con medesima pettinatura e borsa; le scarpe basse da ginnastica Hogan invece del solito mezzo tacco fanno trasparire l’eccezionalità del momento.
    -Ma non avrei mai detto di trovarti qua, cara.
    Dice l’altra tirando fuori il suo portafoglio Gucci non taroccato.
    -Ragazza, non è una questione di comunisti o di facinorosi, io non voglio che tolgano i mezzi pubblici perché non mi piace guidare e voglio il mio 35.
    Per chi non lo sapesse il 35 è l’autobus che va a Carignano.

    Poco più in là, davanti alla palestra del Mandraccio, c’è la scuola della Maddalena che fa lezione in piazza: i bambini hanno i cartellini identificativi come durante le gite e scrivono sdraiati a terra sopra un enorme telone colorato. I maestri e le maestre hanno portato la lavagna di ardesia e vi hanno attaccato degli striscioni che dalla lavagna vanno fino alle ringhiere del Porto Antico, un gabbiano passeggia sul filo. Sugli striscioni c’è scritto: “GIU’ LE MANI DALLA SCUOLA PUBBLICA- SCUOLE IN SICUREZZA ORA E SUBITO”.

    La scolaresca del convitto Colombo aiuta gli addetti dell’AMIU a raccogliere la spazzatura.
    -Ma perché non siete in sciopero?
    Chiede Homar di dieci anni a Pamela, la netturbina più bella di tutto il centro storico.
    -Ma siamo in sciopero.
    Risponde lei porgendo il sacchetto dove lui mette una bottiglia di plastica vuota.
    -Siamo in sciopero perché vogliamo vivere meglio e non peggio quindi raccogliamo la spazzatura ma poi la portiamo in comune.

    Via Garibaldi è presidiata dalla polizia, sia in Piazza Fontane Marose che in Piazza della Meridiana c’è una camionetta con relativi agenti, ad ogni vicolo ci sono poliziotti in tenuta anti sommossa pronti a fermare qualunque assalto da parte dei cittadini. I netturbini però passano da via della Maddalena e, grazie all’aiuto degli abitanti di quei palazzi, calano i sacchetti dell’immondizia dai tetti in via Garibaldi come tanti palloncini neri che volano dall’alto verso il basso, dolcemente, senza far rumore.

    I negozianti, per venire incontro a tutti in questo momento di emergenza, hanno abbassato i prezzi degli articoli di prima necessità.
    -Se loro non guadagnano è giusto che neanche noi guadagniamo.
    Dice la panettiera di via Lomellini, dietro il bancone il collega guarda duro il giornalista, un ragazzo di venticinque anni in giacca blu; quest’ultimo vorrebbe fargli una domanda ma poi ci ripensa, forse i trecento euro che prende a fine mese col suo contratto a progetto non valgono il confronto con quell’omone grosso dai capelli neri.

    In porto tutto è fermo e i portuali hanno circondato la zona rossa creata dal comune così che sembra che la giunta e il sindaco siano in gabbia, ostaggio della loro stessa città. Anche gli operai e gli impiegati dell’Ansaldo hanno aderito alla protesta e si incamminano tutti insieme verso Tursi, il comune, per aiutare i loro concittadini.
    -Ma come ci arrivo in centro da mia figlia?
    Chiede un signore in cappotto e coppola a un gruppo di impiegate in corteo.
    -Non lo so, signore, gli autobus non passano da giorni, qua c’è sciopero generale, le strade sono tutte un corteo.
    -E va beh, se non passa l’autobus dovrò prendere il corteo. Dice il signore e si mette a camminare dietro la scritta: -LO STATO SIAMO NOI! GIU’ LE MANI DALLA NOSTRA CITTA’!

    Dal secolo XIX: Genova nel caos, oggi quarto giorno di sciopero

  • OLI 379: ESTERI – Voci dalla stampa internazionale

    Violenza sessuale contro le Colf in Medio Oriente
    Il sito (7daysindubai) ha pubblicato martedì 16 maggio un articolo nel quale si legge: “Una colf è stata salvata dalla minaccia di ulteriori abusi per mano del suo datore di lavoro dopo aver chiesto aiuto su Facebook.
    Cristine Dumo fu salvata dalla casa in Ras Al Khaimah dagli assistenti sociali, martedì sera, ed è ora sotto la tutela del Consolato delle Fillippine a Dubai.
    Un funzionario del Consolato ha detto a 7DAYS: “L’abbiamo accolta nel nostro centro per i lavoratori migranti la scorsa notte. Lei è traumatizzata, ma stabile. Si è sollevata per essere sicura e non dovrà tornare dal datore di lavoro.”
    La ventitreenne filippina, che aveva lavorato per il suo datore di lavoro per otto mesi, ha descritto come il suo datore di lavoro ha cercato più volte di aggredirla sessualmente, ma lei ha reagito. “Ha detto che lui la schiaffeggiò e tentò di violentarla – ha detto il funzionario del Consolato – è riuscita a resistere. Ha detto che aveva paura di gridare aiuto perché il datore di lavoro la minacciava di mandarla in prigione se ne avesse parlato con qualcuno”.
    http://www.7daysindubai.com/Abused-maid-Ras-Al-Khaimah-rescued-facebook-plea/story-18992673-detail/story.html

    Deportazione a Dubai
    Dall’articolo di Brian Whitaker, di domenica 26 maggio 2013, sul sito (al babadi Dubai): “Decine di lavoratori edili immigrati che hanno aderito allo sciopero all’inizio di questo mese a Dubai stanno ora affrontando la deportazione. Migliaia di lavoratori principalmente asiatici impiegati da Arabtec – una delle più grandi imprese di costruzioni del Golfo – hanno iniziato uno sciopero, il 18 maggio, ma ritornati al lavoro dopo quattro giorni in seguito all’intervento della polizia. Sindacati e scioperi sono illegali negli Emirati Arabi Uniti e altri stati del Golfo, e alcuni degli scioperanti identificati sono stati arrestati per essere interrogati”.

    http://www.al-bab.com/blog/2013/may/migrant-workers-in-dubai-face-deportation.htm

    Il futuro della Siria
    The Economist, del 23 maggio 2013, pubblica “Un’intervista con Jabhat al-Nusra”: ” Domanda: che  dire degli Alawiti?” Risposta: “Solo Allah sa cosa sarà di loro. C’è una differenza tra i Kuffar (gli infedeli) di base e quelli che si sono convertiti dall’islam. In quest’ultimo caso, bisogna punirli. Alawiti inclusi. Anche i sunniti che vogliono la democrazia sono kuffar come lo sono tutti i sciiti. Non si tratta di chi è fedele e di chi non è fedele al regime, si tratta della loro religione. La Sharia dice che non ci può essere punizione per gli innocenti e che ci deve essere punizione per i malvagi, ed è questo che noi seguiamo”.

    http://www.economist.com/blogs/pomegranate/2013/05/syrias-fighters-0
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 365: TEATROGIORNALE: Baby sciopero

    A partire dal 31 gennaio, OLINEWS pubblica i contributi di Arianna Musso che, ispirandosi ad una notizia, ne trarrà un testo letterario.
    da la Repubblica: Sale parto ferme (*)

    – Oggi devo nascere!
     Il bambino si sporge oltre le nuvole. Il musetto imbronciato, il pancione in avanti. La bis-bisnonna lo trattiene spaventata, è una donna giovane, morta di parto in un’isola della Sicilia diversi decenni prima. I capelli sono raccolti in una spessa treccia nera.
    -Te lo assicuro. Oggi è il grande giorno, l’epifania, oggi nasco io. Fammi volare, alla mamma sono già iniziate le doglie. Non la senti?
    La bis-bisnonna lo trattiene per il braccino, cerca con gli occhi qualcuno che la possa aiutare. Lassù, tra le nuvole si vedono solo uccelli pronti ad acchiappare il nascituro appena lei lo lascerà partire. Si prende coraggio ed esclama a voce talmente bassa e impastata da essere completamente sovrastata dalle urla concitate del piccolo:
    -Non si può fare. Quest’oggi non puoi nascere. Visto che il piccolo non l’ha sentita ripete con voce più forte, forse adesso troppo forte perché le esce quasi un ruggito.
    -Non si può. Quest’oggi non puoi nascere. Hanno altro da fare laggiù. Aspetta domani.
    -Ma io devo rivelarmi, devo andare! Insiste il pupo cercando di divincolarsi dalle mani forti che lo stringono, ma la bis-bisnonna continua:
    -C’è una gran confusione, non ci sono dottori, non ti possono aiutare, credimi, è una cosa delicata questa, lasciami dire, non è che arrivi tu e patapim! Senti ammia, hanno indetto sciopero, sciopero nazionale di tutti i dottori e di tutte le ostetriche.
    -Ma nonna, io nasco da solo, la so la strada, non ti preoccupare.
    -Tutti nasciamo soli e tutti moriamo soli. E’ che, per amore di nonna, aspetta domani…
    Il piccolo spalanca gli occhi grigi e si lascia cadere giù dalla nuvola a peso morto, un gabbiano si butta in picchiata e lo prende al volo. Il bambino lo abbraccia e con la piccola manina saluta la bis-bisnonna che lancia un grido muto. La donna si è sporta dalla nuvola di scatto, quasi a volerlo seguire e lo continua a guardare, la treccia tra le labbra in un moto di angoscia. Quanto dovrà aspettare ora? Chi dovrà attendere? Forse nessuno, forse andrà tutto bene. Ma chi sono queste donne e questi uomini che la fanno stare così in pena? Hanno costruito gli ospedali: bravi. Hanno debellato le setticemia, le gestosi quasi, hanno inventato l’episiotomia, hanno perfezionato il cesareo e tutte le altre cuciture. Bravi. Ma perché proprio oggi, che deve nascere il suo bis-bisnipotino, ci deve essere sciopero nazionale? E tutti i discorsi che sente con il suo orecchio fine di trapassata: contenziosi, colpa medica, legali, responsabilità oggettiva, strutture sanitarie, diritti… tutto le sembra così distante a lei che è morta nel 1924.
    (Arianna Musso – foto da internet)
    (*)http://www.repubblica.it/salute/2013/02/11/news/sciopero_sale_parto-52438815/?ref=HREC2-7

  • OLI 335: LAVORO – Fiom e loro alla patria

    Settimana enigmistica, trova le differenze.
    Sono passati dieci anni dalla prima manifestazione in difesa dell’articolo 18 e a Roma venerdì 9 marzo c’è lo stesso sole di allora, ma più parole d’ordine. In corteo striscioni colorati, operai e giovani precari, prodotti a basso costo del mercato del lavoro italiano stile nuovo millennio.
    Come nel 2002 l’articolo 18 è, per chi manifesta, un diritto inalienabile e da estendere a chi tutele non ne ha.
    Simili le parole. Diversa la sostanza.
    In sciopero, oggi, unicamente la Fiom, lasciata sola da chi in quella lotta – appena dieci anni fa – aveva fortemente creduto e l’aveva vinta. E’ un fatto che il nuovo governo riesce a proporre riforme che a Berlusconi era concesso di sussurrare appena.
    Al corteo si unisce Vendola, ma è l’unico politico da prima serata. Ci sta il tempo per una breve narrazione ai cronisti e, senza nemmeno raggiungere Piazza San Giovanni, sparisce in una strada laterale.
    La Fiom riempie il viali con i suoi iscritti, li colora di rosso. Insieme a loro immigrati, lavoratori dello spettacolo, parenti delle vittime del disastro ferroviario di Viareggio, studenti e pensionati.
    Solitaria sventola una bandiera del Pd. Chi la tiene ha la fierezza del pensatore libero in partito incerto.
    Settimana enigmistica, trova le differenze: i dieci anni trascorsi che nel disegno non si possono vedere, l’assenza di Cofferati, l’arrivo in Fiat di Marchionne – narrato dalla rabbia dei delegati Fiom – reintegrati proprio grazie all’articolo 18. La riforma delle pensioni, la continua crescita del precariato, un’incapacità costante di presidiare il lavoro da parte dei partiti e di una larga fetta del sindacato, quarantasei tipi di contratti precari diversi. Le dimissioni in bianco fatte firmare alle donne. La necessità di difendere la costituzione nei luoghi di lavoro. L’articolo 8, voluto da Berlusconi, in cui si consente alle aziende di derogare alla legge.
    Trova le similitudini: il concetto, lo stesso di dieci anni fa, che cedendo diritti si crei occupazione. Che la minor tutela per tutti equivalga a minor danno per un maggior numero di lavoratori. Che grazie al sacrificio, quello dei soliti, si faccia il bene della nazione, una nazione che ha scelto di essere competitiva grazie alla bassa retribuzione, in cui non si investe in ricerca.
    Un certo clima diffuso e pressante di oro alla patria.
    O meglio di loro alla patria.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)


  • OLI 307: LETTERE – Pannella e le carceri d’Italia

    Abbiamo ricevuto da Marco Pannella e invitiamo a diffondere:

    Ciao,
    ti chiedo di inserire il mio 1min e 30 al TG5 nella tua bacheca di facebook, nel tuo blog, e anche di passare la voce in tutti i modi possibili per segnalarlo a quanti più siti e blogger (perfino radicali :-> ).

    Ecco i link al video:
    su youtube

    (Marco Pannella)
  • OLI 300: PAROLE DEGLI OCCHI – Italia sodale e solidale


    

    Foto di Giorgio Bergami ©

    
     Due eventi diversi, con un unico denominatore comune: lo sciopero indetto dalla Cgil venerdì 6 maggio e, due giorni dopo, il drammatico sbarco di profughi a Lampedusa, aiutati dalle forze dell’ordine e dagli abitanti che non hanno esitato a buttarsi tra le onde per portare soccorso. In entrambi i casi, il sentirsi un corpo unico, lo sfidare chi vorrebbe altrimenti, il lottare generosamente insieme per un mondo migliore.

     
  • OLI 288: LAVORO – I giornalisti si ribellano al lavoro sottopagato

    Il lavoro precario e sottopagato non risparmia i giornalisti. L’iniziativa di terrelibere.org, curata da Raffaella Cosentino, ha uno slogan che richiama le battaglie degli africani di Castel Volturno: “non lavoro per meno di 50 euro”. E’ una “promessa” che viene fatta, soprattutto a sé stessi, di rifiutare lavori per meno di quella cifra, simbolica e minimale, pur sempre superiore ai pochi euro che spesso si vedono offrire da quotidiani e riviste. Dalla home page del sito: “Chi aderisce alla campagna promossa dall’ebook “Quattro per cinque” non accetta più di scrivere senza garanzie. “Io mi sono sempre rifiutato – scrive Gabriele Del Grande nella prefazione – motivo per cui non ho mai scritto con una serie di quotidiani che Raffaella Cosentino cita nella prima parte del suo libro e che poi sono i quotidiani che fanno le loro battaglie ipocrite contro il precariato. Ma come ben spiega anche lei, il fenomeno è ben più vasto, e anche i principali quotidiani italiani non ne sono esenti”.
    Il sito propone l’acquisto di un libro in formato pdf a 4 euro, dal titolo “Quattro per cinque”, a memoria dei cinque proiettili ricevuti dall’auto della giornalista Angela Corica, pagata quattro centesimi a riga per l’articolo non piaciuto alle cosche locali.
    Inutile dire che l’iniziativa non ha trovato spazio sui quotidiani tradizionali che di tale sfruttamento vivono, pur essendo finanziati dallo stato e ricchi di pubblicità a pagamento. Avrà quindi ragione Beppe Grillo nella sua ormai decennale battaglia contro l’Ordine dei giornalisti e contro il finanziamento pubblico all’editoria? Il numero di firme raccolte nei suoi referendum direbbe di si.
    http://www.terrelibere.org/terrediconfine/i-giornalisti-sfruttati-si-ribellano-seguendo-lesempio-degli-africani-di-castel-volturno
    http://40per50.blogspot.com/
    (Stefano De Pietro)