Categoria: Testamento biologico

  • OLI 404: SANITA’ – Franco Henriquet, per non morire di dolore

    (Franco Henriquet)

    Mi auguro che gli amici mi siano amici fino in fondo e che non facciano di me l’Enrico Toti del carcinoma, ma sappiano esortare a vedere oltre il caso personale, sappiano sollecitare a prendersi a cuore le faccende dei nostri ospedali e a tener caldo il problema sino a che non avremo ospedali, medici infermieri dal volto umano”, Gigi Ghirotti – luglio 1974.

    Gigi Ghirotti era un giornalista. Si era ammalato di cancro nel 1972 e della sua malattia scrisse per la Stampa e in un libro, Lungo viaggio nel tunnel della malattia
    Chissà quanti a Genova sanno chi era l’uomo che ha dato il nome l’associazione che in città si occupa di malati oncologici terminali. Ma in moltissimi erano da Feltrinelli il 16 aprile, per la presentazione del libro La strada di Henriquet, 30 anni della Gigi Ghirotti nella storia del suo fondatore (ed. Chinaski) scritto a quattro mani insieme a Enrico Cirone.
    Franco Henriquet ha spiegato che lo spirito di Ghirotti è stato fondamentale per l’associazione che ha fondato. E partendo dalla propria vita professionale ha raccontato un poco della storia sanitaria di questo paese, quando non esisteva ancora la specializzazione in anestesia – lui nasce ortopedico – e si poteva incappare in un primario che ti impediva di comunicare ai pazienti la gravità della malattia di cui erano affetti.
    Da qui la spinta a farsi carico del bisogno dei malati che non potevano guarire, per quali c’era meno attenzione, scegliendo di assisterli per davvero e anche dire loro, senza essere categorici, la verità, per sciogliere una rete di inganni e di bugie che metteva in difficoltà il rapporto.
    Henriquet ha parlato anche del fine vita: noi siamo contrari all’eutanasia, perché facendo terapia del dolore vogliamo togliere il dolore, sia dell’animo che dal punto di vista fisico, non accorciare la vita. Però sentiamo la mancanza di una legge sul testamento biologico, perché oggi la medicina si è dotata di strumenti tali che si può mantenere in vita una persona anche al di là della volontà della persona di vivere in quelle condizioni, in uno stato non di vita, ma di vita di vegetativa. Ventilazione artificiale, tracheotomia, inserimento di tubi per la nutrizione permettono di vivere per molti anni e quando uno si trova in uno stato di incoscienza deve subire tutto quello che la medicina gli offre per mantenersi in vita. Sono solo gli scontri a livello ideologico, ha spiegato Henriquet, ad impedire che sia fatta una legge che tutela le volontà dell’individuo. (OLI 283)
    L’associazione oggi ha un hospice a Bolzaneto ed uno ad Albaro per accogliere oltre a i malati oncologici anche i malati di SLA – sarebbe importante avere più posti letto – e si occupa di assistenza domiciliare. Ogni giorno la Gigi Ghirotti si prende cura dai sei ai settecento malati; con centoquaranta dipendenti, e costi elevati, di cui la Asl copre il 60%. Il restante 40% lo coprono associazioni e cittadini. Nel 2013 hanno sostenuto un costo di 7 milioni e 200mila euro. Pur essendo un’organizzazione locale sono al 32° posto a livello nazionale delle onlus.
    Alla presentazione si è avvertita l’assenza delle istituzioni, (assessori alla sanità e compagni).
    Ma solo un pochino.
    (Giovanna Profumo – Foto dell’autrice)

  • OLI 294: DDL Testamento biologico: il rischio di una brutta fine

    Wilma aveva ottantatre anni. Aveva insegnato latino e greco tutta la vita. Fino a quando l’Alzheimer non le aveva invaso il cervello, andava in chiesa tutte le domeniche e pregava tutte le sere. Per Natale la costruzione del presepe le occupava un’intera giornata. Era capace di creare montagne altissime, posizionar fondali, distribuire muschio, abilissima a nascondere i fili delle luci.
    Wilma cucinava e sapeva spiegare l’Iliade e l’Odissea verso dopo verso. Tre viaggi nella sua vita: Grecia, Roma e Parigi. Poi le vacanze in montagna. Sempre lo stesso periodo. Sempre lo stesso posto. E’ morta in una casa di riposo dopo due giorni di agonia. Il suo volto pareva affogare e riemergere dal mare di una morte cinica ed esitante nel prendersela. Solo l’intervento dell’infermiere di turno, allontanati i congiunti dalla stanza, l’ha aiutata nel trapasso. “Ma le ha dato qualcosa?”, ha chiesto una parente, vedendo il volto che improvvisamente non affogava più. “No. Non ho fatto proprio nulla”, “Ma non vede? E’ morta”, ha insistito la donna. “No. Non è ancora morta. Ma ci siamo vicini. Ancora due minuti”, ha risposto l’infermiere tastandole frettolosamente il collo.
    Arthur di anni ne aveva 87. Allettato da due, in casa. Presidi, brodini, panni. Aspettava la morte come un’ospite, allontanando parenti ed amici che andavano in visita. Una vita piena. Così colma di relazioni e interessi che era impossibile per lui accettarne la nuova versione. Arthur non aveva più parole o spunti. Deciso a non essere più, preferiva attendere senza essere disturbato.
    Quando gli è stata diagnosticata una grave infezione i medici hanno avvisato i parenti: “Non c’è nulla da fare. Potete portarlo in ospedale, vivrà due settimane con dolore. Potete lasciarlo qui, in casa, morirà prima. Ma morirà meglio.”
    Se n’è andato, la sofferenza alleviata dalla morfina. Gli occhi chiusi. Lontana da lui l’agonia di Wilma.
    Nel mondo in cui avevano vissuto Wilma e Arthur la morte era tabù, una faccenda privata, relativa al fato e alla volontà di dio. La commentavano con frasi spezzate davanti alla lenta agonia di un amico e di un parente.
    Entrambi volevano che, venuto il loro momento, qualcuno se ne occupasse nel migliore di modi. In famiglia. Tra amici. Con discrezione.
    Wilma e Arthur non immaginavano di poter diventare liberi, per legge, oltre che della loro vita, anche della loro morte.
    In Italia, motivo di preoccupazione è che sulla scelta del singolo di morire dignitosamente qualcuno in parlamento metta le mani, in nome di un dio che è davvero una questione privata.
    La raccolta firme promossa dalla Fp-Cgil e Fp-Cgil Medici contro il ddl all’esame alla Camera dei Deputati è una buona notizia per chi si vuole bene e non ha nessuna intenzione di fare una brutta fine.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 283: DIRITTI – Scegliere il tempo del morire

    L’evento questa volta è raccontato “dall’interno” perché siamo in tre – della redazione di OLI – ad avervi partecipato.
    Giovedì scorso, per tre ore, gli uffici dell’Anagrafe di Corso Torino sono stati animati da una insolita agitazione, che si sommava a quella della vicina sala dedicata ai matrimoni: un gruppo di donne di età molto diverse, unite dalla appartenenza al gruppo “Generazioni di donne”, aveva organizzato la consegna collettiva dei propri testamenti biologici per “sollecitare le forze politiche e il legislatore a riconoscere pienamente il diritto alla autodeterminazione” e per affermare il diritto a scegliere il tempo del proprio morire, a rifiutare di diventare esseri puramente vegetativi nelle mani di altri, o di soffrire senza prospettiva per un tempo indeterminato.
    Ognuna delle “testamentarie” sapeva bene quanto sia incerto questo terreno: nessuna legge garantisce la validità di questo atto, e attendere che una normativa rispettosa della pluralità di pensieri possa arrivare nel prossimo futuro richiede un grande ottimismo: gli attacchi a Saviano e Fazio per lo spazio dato a Mina Welby e a Englaro, la minatoria circolare governativa contro i registri comunali, l’isterica reazione al suicidio di Monicelli, il grande attivismo delle gerarchie cattoliche, dicono che tira una brutta aria per la ragione e il rispetto.

    Ma il cammino della politica è lungo, e le prospettive si costruiscono anche nei momenti bui, agendo soprattutto sul piano della cultura e della consapevolezza: per questo le organizzatrici intendevano rivolgersi non solo alle istituzioni e alle forze politiche, ma alle persone, donne e uomini.
    Alle persone però bisogna arrivarci, e non è così facile.
    Il gruppo ha un suo sito (*), ma per questa occasione è stata tentata anche la strada degli organi di informazione. Ripetuti invii di comunicati e diversi giri di telefonate non sono però riusciti a smuovere i redattori della stampa locale oppressi, come hanno lamentato al telefono, “dalle centinaia di segnalazioni” che piovono sui loro tavoli ogni giorno. Così sui giornali di questo evento non vi era traccia.
    Altra assenza sensibile quella della amministrazione comunale: la manifestazione era organizzata da tempo, ma nessuna presenza politica si è affiancata ai gentilissimi funzionari responsabili della redazione materiale degli atti.
    Peccato, poteva essere una buona occasione per richiamare l’attenzione pubblica su un “servizio” – e soprattutto su una questione etica, culturale e politica – pesantemente sotto attacco da parte del governo.

    Il documento che annunciava l’iniziativa osservava che sul testamento biologico “L’informazione è molto carente e si è limitata al momento del lancio della iniziativa” e che “La nostra azione pubblica ha lo scopo di spezzare questo silenzio”. Il sito del Comune, per parte sua, non aiuta, arrivare alla voce “testamento biologico” è cosa ardua: imperizia? Distrazione? Intenzionalità? …
    Per colmare almeno in parte queste lacune, le istruzioni necessarie a compiere questo atto sono state inserite sul sito del gruppo (*).
    Un aiuto è venuto solo dal lungo e bel servizio di Emanuela Pericu sul TGR: avrà giocato la particolare attenzione femminile su questo tema? Il 65 % dei testamenti è stato depositato da donne, e donne erano le organizzatrici di questo testamento plurale.
    Riflettere sulle ragioni profonde di questa differenza può essere un esercizio interessante.
    (*) www.generazioni-di-donne.it
    (Paola Pierantoni)