Autore: Redazione

  • OLI 294: CITTA’: 1,8 milioni di euro per Villa Serra

    Lavori in corso a Villa Serra di Cornigliano.
    Foto E. Marullo

    Fino a quando, è cominciato a cambiare qualcosa. Prima è apparsa una grata metallica a delimitare il perimetro della villa, poi i castelli di impalcature (questa volta vere e operative, non come quelle che intelaiavano i muri della villa perché non crollassero, ferme lì dal 1992 e ormai rosse di ruggine). Il 3 novembre 2010 è stato inaugurato il cantiere per i lavori di recupero e valorizzazione di villa Serra di Cornigliano.
    Questo restauro arriva da lontano: è infatti applicazione della Misura A3 (recupero e valorizzazione del patrimonio architettonico), citata nel documento “Programma integrato di riqualificazione urbana di Cornigliano” (http://www.percornigliano.it/images/stories/pdf/2009_progr.%20integr.%20riqual.%20urb..pdf), che a sua volta è attuazione dell’accordo di Programma (1999), secondo le modifiche introdotte nel 2005. Insomma, tutto – in sintesi – è figlio degli accordi per la dismissione della cosidetta “Area a caldo” e per la bonifica del quartiere gravemente compromesso dai costi – sociali ed ambientali – della presenza dell’Ilva.
    Le risorse finanziarie che dovrebbero alimentare la riqualificazione urbana di Cornigliano, si legge nel documento, ammontano ad un totale lordo di 216 milioni di euro, garantiti in parte dal Ministero dell’Ambiente ed in parte da quello delle Infrastrutture e dei Trasporti . La somma sarebbe da destinarsi così: 65-70 milioni di euro per la bonifica delle aree ex Ilva, 90-100 milioni di euro per le infrastrutture (strada di scorrimento a mare e nuova delimitazione dello stabilimento Ilva), mentre i restanti 45-60 milioni ricadrebbero a pioggia per gli interventi di riqualificazione urbana.
    Nell’ambito di questi ultimi, a villa Serra è toccata una quota di 1,8 milioni di euro. La ristrutturazione prevede interventi sugli esterni della villa: il tetto in ardesia, gli intonaci, le balaustre e le pavimentazioni in marmo, mentre il recupero del giardino è rimandato ad una futura fase di attuazione dell’accordo di programma. I lavori, che a quanto vedo dalla finestra, procedono speditamente, dovrebbero essere terminati a gennaio 2012.
    I finanziamenti stanziati sono gestiti dalla Società per Cornigliano, mentre l’intervento è eseguito operativamente da Sviluppo Genova (società a partecipazione mista pubblico-privata) su mandato della Società per Cornigliano (costituita da Regione, provincia, Comune e una società partecipata del Ministero dell’Economia). Gli obiettivi della riqualificazione del quartiere, a sentire le parole di Da Molo, che ne è direttore, sono elevati: “Verrà pertanto realizzato un “Master Plan”, non limitato all’area dismessa dallo stabilimento siderurgico, ma che riguarderà l’intera Cornigliano (con particolare riguardo a Via Cornigliano, all’area dell’attuale rimessa degli autobus, a Villa Bombrini e a Villa Serra) e che prevederà funzioni miste, sia a livello di quartiere, che a livello sovra comunale […] L’ideale sarebbe quello di collegare il nascente polo ai temi della scienza e dell’industria, che hanno fortemente connotato nel passato, ma ancora connotano nel presente e nel futuro (Finmeccanica, IIT, Erzelli, etc.) Cornigliano e, in generale, il Ponente genovese” (http://www.cultureimpresa.it/04-2006/italian/punti04.html).
    La destinazione che avrà la villa dopo i lavori di ristrutturazione non è ancora specificata, sebbene la sindaco Vincenzi abbia parlato di “polo di innovazione, incubatore di imprese” (http://www.genova24.it/2010/11/cornigliano-1-8-milioni-di-euro-per-il-restauro-di-villa-serra-1860).

    Non ci resta che aspettare, a questo punto, che villa Serra completi il maquillage…
    (Eleana Marullo)
  • OLI 294: ILVA – Di nuovo le donne

    Fotografia tratta dal sito di La Repubblica, ed. Bari

    Questa volta sono le “Donne per Taranto”, città che vive sotto i fumi dell’Ilva. Donne che si costituscono in comitato “a favore della tutela della vita e della salute“, per chiedere “la creazione di mappe epidemiologiche”, per rivendicare una “economia più pulita che non causa inquinamento e distruzione”, donne che si preoccupano del fumo rosso che grava “sulle case dove vivono i nostri bambini”.
    Ne parla – isolatamente – La Repubblica del 21 marzo, pagina nazionale, con un articolo di Giovanni Di Meo.
    Anche a Genova furono le donne del Comitato salute e ambiente a mettere – antipaticamente – in discussione il fatto che fosse “inevitabile” pagare in salute il diritto al lavoro. A sparigliare gli equilibri, a percorrere la via della “irragionevolezza”, a chiedere a industriali, istituzioni e sindacato la capacità di progettare un lavoro che non facesse male.
    Le donne tarantine richiamano in un loro comunicato quel che avvenne a Genova, l’indagine epidemiologica che nel 2001 determinò la decisione di chiudere l’area a caldo dell’Ilva, ma ormai l’idea che l’Ilva di Cornigliano e quella di Taranto appartengano allo stesso gruppo sembra svanita dalle coscienze. Anche quella del sindacato: che ognuno si arrangi con le sue polveri, il suo inquinamento, le sue malattie e la sua disoccupazione.
    (Paola Pierantoni)

  • OLI 294: SANITA’ – Recco, ospedale sì, ospedale no

    Il carnevale di Recco di domenica 20 marzo 2011 non è stato solo un momento di gioia per grandi e piccini, con musica dal vivo, clowns, pentolaccia e milioni di coriandoli. Insieme alle molte persone intervenute per divertirsi c’era anche una rappresentanza del comitato cittadino che si sta opponendo alla chiusura dell’ospedale Sant’Antonio. Il piccolo ospedale serve un’area vasta del territorio e con il suo pronto soccorso rappresenta una sicurezza per la salute di tutti gli abitanti, anche delle valle sovrastanti Recco.
    Ha lasciato perplessi in questa occasione la scarsa partecipazione della cittadinanza presente sul lungomare, che si è limitata a dare un’occhiata al gruppo dei contestatori, vestiti a sandwich con scritte di protesta. Era presente anche la bara dell’ospedale, ormai divenuta il simbolo delle contestazioni anche per altre occasioni quali il Teatro Carlo Felice di Genova.
    Il giorno dopo, lunedi 21, inizia l’occupazione dell’ospedale, per impedire in extremis che inizi il trasloco delle apparecchiature nelle nuove strutture. La protesta nasce dalla fondata preoccupazione di dover affrontare un viaggio fino a Genova in caso di codici di gravità particolarmente gravi, ma anche dalla scomodità di ricoveri in medicina o ortopedia troppo distanti dai luoghi di residenza. La riviera ligure è popolata per di più da persone anziane, costringerle ai ritmi derivanti da una gestione solamente economica della sanità rispecchia il fallimento del tipo di politiche intraprese fino ad oggi in generale in Italia. Si parla per posti letto, per fatturati pro capite, gli ospedali sono diventati “aziende”, i malati gli “utenti”, si spendono milioni di euro per pitturare stanze vuote. Come se andare in un ospedale fosse uguale che a recarsi in banca a litigare col direttore per gli interessi. Mentre si dialoga dei massimi sistemi legati ai fatturati e ai costi sempre più esorbitanti della sanità, si perdono di vista sin le cose più semplici: al pronto soccorso di san Martino a Genova, una porta a vetri all’ingresso ambulanze che si apre e si chiude continuamente nell’indifferenza di qualsiasi dipendente, oppure viene realizzata una sala di attesa inutile perché lontana dalla porta dell’ambulatorio per il quale si attende la chiamata, col risultato che la coda si forma nel corridoio del p.s., bloccando le barelle in transito, tra i lamenti da parte di un personale che non si pone nemmeno più il problema di capire il perché i malati “preferiscano” stare in piedi due ore. E se glielo spieghi, ti guardano come se fossi un fuoriuscito da psichiatria.
    La gente è stanca e disillusa delle parole di chi gestisce, la politica dei professionisti ha fatto il suo corso e abbiamo bisogno di un nuovo modo di amministrare. Anche di fronte alle promesse ed anche ai primi atti della Regione che assicura la creazione di Tac e ambulatori con stanziamento già accordato dal Consiglio regionale, l’occupazione continua ad oltranza perché nessuno dei 150 occupanti si fida più, e prima di abbandonare la posizione vogliono vedere i fatti. Non è un caso che alcuni si incatenano di fronte all’ingresso con in mano le tessere elettorali nell’atto di essere strappate.
    In realtà nessuno è poi convinto di intervenire per mandarli via: dagli stessi operai della ditta che non possono eseguire il lavoro di trasloco ma che solidarizzano, agli stessi Carabinieri, che usufruiscono essi stessi della struttura e si limitano a “prendere le generalità”, in mancanza di un ordine specifico di sgombero. Certo, questo arriverà prima o poi, e sarà eseguito con la divisa antisommossa alla quale una parte dello Stato che non appartiene più a tutti i cittadini ci ha qualche tempo abituati.
    Siamo solo un po’ in ritardo rispetto allo stato catatonico della sanità del Lazio, ma ci arriveremo presto: la Liguria non vuole essere seconda a nessuno, tanto meno nel male.
    (Stefano De Pietro)

    Due manifestanti al Carnevale di Recco

    Coriandoli e proteste a Recco il 20 marzo 2011
    La bara dell’Ospedale

    Intervengono anche i sindaci della riviera

    Ogni funerale ha la sua vedova …

    Incatenati all’ingresso dell’ospedale

    La “salute” impacchettata

    Catene, protesta e certificati elettorali

    L’ingresso dell’ospedale

    Interno in attesa del trasloco

    Sit-in di protesta

    All’interno dell’ospedale

  • OLI 294: DDL Testamento biologico: il rischio di una brutta fine

    Wilma aveva ottantatre anni. Aveva insegnato latino e greco tutta la vita. Fino a quando l’Alzheimer non le aveva invaso il cervello, andava in chiesa tutte le domeniche e pregava tutte le sere. Per Natale la costruzione del presepe le occupava un’intera giornata. Era capace di creare montagne altissime, posizionar fondali, distribuire muschio, abilissima a nascondere i fili delle luci.
    Wilma cucinava e sapeva spiegare l’Iliade e l’Odissea verso dopo verso. Tre viaggi nella sua vita: Grecia, Roma e Parigi. Poi le vacanze in montagna. Sempre lo stesso periodo. Sempre lo stesso posto. E’ morta in una casa di riposo dopo due giorni di agonia. Il suo volto pareva affogare e riemergere dal mare di una morte cinica ed esitante nel prendersela. Solo l’intervento dell’infermiere di turno, allontanati i congiunti dalla stanza, l’ha aiutata nel trapasso. “Ma le ha dato qualcosa?”, ha chiesto una parente, vedendo il volto che improvvisamente non affogava più. “No. Non ho fatto proprio nulla”, “Ma non vede? E’ morta”, ha insistito la donna. “No. Non è ancora morta. Ma ci siamo vicini. Ancora due minuti”, ha risposto l’infermiere tastandole frettolosamente il collo.
    Arthur di anni ne aveva 87. Allettato da due, in casa. Presidi, brodini, panni. Aspettava la morte come un’ospite, allontanando parenti ed amici che andavano in visita. Una vita piena. Così colma di relazioni e interessi che era impossibile per lui accettarne la nuova versione. Arthur non aveva più parole o spunti. Deciso a non essere più, preferiva attendere senza essere disturbato.
    Quando gli è stata diagnosticata una grave infezione i medici hanno avvisato i parenti: “Non c’è nulla da fare. Potete portarlo in ospedale, vivrà due settimane con dolore. Potete lasciarlo qui, in casa, morirà prima. Ma morirà meglio.”
    Se n’è andato, la sofferenza alleviata dalla morfina. Gli occhi chiusi. Lontana da lui l’agonia di Wilma.
    Nel mondo in cui avevano vissuto Wilma e Arthur la morte era tabù, una faccenda privata, relativa al fato e alla volontà di dio. La commentavano con frasi spezzate davanti alla lenta agonia di un amico e di un parente.
    Entrambi volevano che, venuto il loro momento, qualcuno se ne occupasse nel migliore di modi. In famiglia. Tra amici. Con discrezione.
    Wilma e Arthur non immaginavano di poter diventare liberi, per legge, oltre che della loro vita, anche della loro morte.
    In Italia, motivo di preoccupazione è che sulla scelta del singolo di morire dignitosamente qualcuno in parlamento metta le mani, in nome di un dio che è davvero una questione privata.
    La raccolta firme promossa dalla Fp-Cgil e Fp-Cgil Medici contro il ddl all’esame alla Camera dei Deputati è una buona notizia per chi si vuole bene e non ha nessuna intenzione di fare una brutta fine.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 294: CITTA’ – Il nuovo Puc, lecito sognare

    Da un sogno, forse una speranza, parte il nuovo Piano Urbanistico Comunale di Genova: un Puc che ha impegnato più di 60 fra tecnici e architetti, come ha sottolineato la sindaco in sala rossa, per arrivare alla conclusione di un impegno preso in campagna elettorale, messo in cima alle priorità del suo mandato, tanto da tenere a sé la delega all’Urbanistica.Genova si dovrà preparare ad accogliere quasi un milione di persone, 320 mila “city users”, in più, “nomadi”, che verranno magari a lavorare di passaggio per realizzare le grandi opere previste, persone che per scelta o necessità trascorreranno a Genova parte della loro vita.
    -Non si pensi ad un aumento di abitanti ma di avere una fascia di persone che gravitano sulla città , spiega la Vincenzi,- l’esempio sono i ricercatori dell’Iit, 600 ricercatori di altissimo livello, che si fermano qui per cinque-sette anni al massimo.
    E già verrebbe da chiedersi perché se ne vanno invece di fermarsi.
    Così pur partendo da un’analisi del Censis, che conferma per i prossimi vent’anni i 600mila abitanti attuali, si elabora un’ipotesi di città che dovrà espandersi nei servizi, ma non nel consumo di suolo, una città “compatta”, che costruisce sul costruito. Meno male. Peccato che si continui a costruire, vedi i grattacieli di S.Benigno a Ponente o il palazzone di via Rossetti a Levante.
    Sono sempre tutte eredità ?
    Eppure il Censis parla chiaro: una città-elefante, non gazzella, che crescerà di poco, Anzi entro il 2025 si avrà desolatamente un meno 19% di under 14 , arrivando ad essere soltanto il 10% degli abitanti, mentre gli over 65 saranno un terzo della popolazione: secondo Anci ( Corriere della Sera, 14 marzo) nel 1951 Genova aveva 80mila abitanti in più.
    Auguri alla sindaco per un sogno che si vorrebbe disperatamente condividere. Mancano gli attori però per questa città futuribile, la politica e l’economia.
    La politica, che si è mossa soltanto con la grande crisi, cieca al declino della città già in atto da molto tempo prima, preoccupandosi poco delle aziende che si rattrappivano, quando non chiudevano o si trasferivano.
    Liberando così spazi ghiotti come l’ex Boero, l’ex Verrina, l’ex Italsider, l’ex Saiwa, l’ex, l’ex… e via alla riqualificazione con palazzine, grattacieli, su cui ha investito “la meglio imprenditoria” e le banche.
    E al Cardinale che al te deum di fine d’anno tuona: – le risorse ci sono, è imperativo morale metterle in circolo – (Secolo, 2 genn 2011), risponde Viziano, leader dell’omonimo gruppo di costruzioni: – ma la città non sostiene chi fa investimenti.
    Mentre il petroliere Garrone scrive una lettera a Il Secolo il 4 marzo 2011: – Abbiamo dovuto sempre lottare in questa città sì bellissima ma così ostile e difficile … Il motivo del lamento? Non riesce a costruire lo stadio. Tutta roba che dà lavoro.
    Inutile affannarsi per un Malacalza che se ne va o ad un Ansaldo che chiede da anni lo sbocco a mare e a cui ancora pochi giorni fa è stato chiesto di aspettare altri tre anni, senza appoggiare mai di fatto il lavoro di eccellenza che rappresenta. Così la Silicon Valley degli Erzelli pare più un’operazione immobiliare che “la cittadella della conoscenza” tanto auspicata: si spera non sia così, anche se il Politecnico che lì doveva nascere e che non si è fatto, politica e imprese l’avevano molto tiepidamente appoggiato.
    L’unico affare l’ha messo a segno l’imprenditore della siderurgia, che non lo si riesce a schiodare dagli spazi, datigli in omaggio dalla politica appunto.
    La sindaco vagheggia – una città capace di accogliere e di attrarre grazie alle nuove infrastrutture ma anche ad uno sviluppo promesso dal rilancio del porto e dalla nascita di nuove attività sulle aree già oggi libere, oltre un milione di metri quadrati censiti e registrati.
    Dunque imprese e lavoro cercasi per un milione di spazi e di persone. Intanto ci si accontenterebbe di un lavoro per quelli che già ci sono.
    (Bianca Vergati)

  • OLI 294: SCUOLA – Lettera di una professoressa

    Sul newsgroup it.istruzione.scuola, è stata pubblicata questa lettera della prof.ssa Marta Sereni del Liceo Malpighi di Roma. E’ una testimonianza che merita qualche riflessione.

    §§§

    Sono esterrefatta dell’iniziativa del Ministero dell’Istruzione (non più pubblica), dell’Università e della Ricerca scientifica che, insieme all’Ufficio scolastico regionale della Regione Lazio, ha organizzato una giornata per l’orientamento degli studenti delle classi quinte di tutta la Regione Lazio.
    Detto così non ci sarebbe nulla da stupirsi, ma vorrei illustrarvi una serie di particolari non secondari dell’iniziativa in questione:


    1) All’incontro, finanziato da quel Ministero che ha prodotto la cosiddetta Riforma Gelmini, con tagli e disastri all’Istruzione pubblica, sono invitate le Università pubbliche e…quelle private (Università Pontificie Romane)!
    2) Questo finanziamento non è poca cosa, visto che gli studenti partecipanti, provenienti da tutto il Lazio, saranno 5000! Verrà loro offerto lo spostamento in pullman, gadget e il pranzo. (Stiamo parlando di 100 pulmann e 5000 pranzi, più i gadget)
    3) Non è finita qui: perché i pullman? Perché il luogo dell’incontro è lontano da tutto: il Santuario del Divino Amore!
    4) Anche il luogo dove si svolgerà il Convegno ne sottolinea l’intento: perché sia stato scelto proprio il santuario del Divino Amore è scritto chiaramente nella Circolare ministeriale inviata ai Presidi. Cito testualmente: “il Santuario del Divino Amore è meta tradizionale di pellegrinaggi che si svolgono soprattutto di notte. Oggi come ieri, il Santuario si offre a tutti – cattolici e di altra religione, credenti e non credenti, italiani e stranieri, tutti cittadini e pellegrini di Roma – come il traguardo di un viaggio notturno, passaggio umano denso di difficoltà ma che si conclude nella luce del mattino. Il pellegrinaggio, lungo cammino attraverso la notte, è evocativo di un messaggio simbolico per i nostri giovani: la vita che viviamo e che costruiamo incontra momenti di buio e sforzo, soprattutto quando si affrontano scelte importanti, e la paura e l’incertezza si confrontano con il desiderio. Sono momenti che ci accomunano tutti nella ricerca interiore delle soluzioni, in un percorso di progressiva consapevolezza che ci consente di “sfondare la notte” nella luminosità
    del giorno che nasce.”
    5) Per finire: gli studenti verranno poi allietati da un musical della Star Rose Academy (Accademia di spettacolo fondata dalle Suore Orsoline) e infine potranno finalmente assistere alla messa celebrata dal Rettore della Pontificia Università Lateranense.


    Cattolici e non: non vi sembra un gravissimo (e costosissimo) affronto alla concezione dell’Istruzione pubblica e laica? Possibile che dobbiamo offrire su un piatto d’argento una tale pubblicità alle Università private e cattoliche, soprattutto in un momento in cui la nostra Istruzione pubblica statale è stata colpita così duramente? Possibile che dobbiamo pagare tutto ciò, quando nelle scuole si “tira avanti” a fatica perché manca l’essenziale per il funzionamento?


    Vi prego di diffondere e proporre qualche azione politica significativa (un’interrogazione parlamentare?)


    Marta Sereni (Liceo Malpighi)


    P.S. Per chi volesse sapere proprio tutto, il riferimento ufficiale lo trovate al seguente link:


    Nota USR prot. 1702 del 25/01/2011, programma e scheda di adesione [zip, 200 KB]


    Convegno “Oggi scelgo io” – Festa dell’orientamento. Roma, 14 Marzo 2011

    §§§
    (a cura di Aglaja)
  • OLI 294: CULTURA – UNITA’ D’ITALIA E TAGLI ALLA CULTURA

    da Repubblica.it del 17/03/11: Il Nabucco in differita, niente diretta per il maestro Muti

    Rai3, nella giornata dei 150 dell’Unità d’Italia, ha trasmesso il Nabucco diretto dal maestro Riccardo Muti. Il concerto non è stato però trasmesso in diretta, nella serata che vedeva presente il premier Silvio Berlusconi (fischiato e contestato all’ingresso nel teatro n.d.Aglaja), ma è stata mandata in onda la replica del 15 marzo scorso, nel corso della quale il maestro Muti, come aveva già fatto nel corso della prima serata alla presenza di Giorgio Napolitano, aveva nuovamente coinvolto il pubblico nel bis di ‘Va pensiero’ (qui nel video)

    Muti ha spiegato: “Per l’unità non basta un coro, quattro manifesti e un tricolore”. Dopo l’esecuzione del notissimo brano e un lunghissimo applauso da parte del pubblico, il maestro ha interrotto l’opera e ha spiegato che avrebbe fatto partecipare tutti al coro, perché non si pensasse che la sera della prima era diversa dalle altre
    “E’ solo un invito e non un’imposizione – ha però precisato, concedendosi poi una battuta – quindi chi soffre d’asma può tranquillamente restare seduto”. Dopo una lunghissima risata del pubblico e un nuovo applauso, Muti ha detto: “Però non vorrei che le celebrazioni per l’Unità d’Italia fossero semplicemente qualche manifesto, il tricolore e dopo aver fatto la festa torna tutto come prima. Serve altro. Quindi, se noi facciamo Va pensiero insieme, è perché non vorremmo che domani, passando qui davanti, troviate un cartello ‘Teatro chiuso’”
    Quindi il maestro si è girato dal podio e ha diretto un coro collettivo, a cui diversi spettatori hanno partecipato alzandosi in piedi. Al termine, di nuovo applausi scroscianti. Da qualche palco sventolio di tricolori e tante grida: “Grazie, maestro”. (Autore Anonimo)


    (a cura di Aglaja)

  • OLI 294: PAROLE DEGLI OCCHI – Uniti da 150 anni




    foto di Giorgio Bergami ©
    17 marzo 2011.
  • OLI 293: VERSANTE LIGURE – ANALFA(NO)BETISMO

    Fai un gesto scorretto
    o non solidale
    che a te dà diletto
    e a molti fa male?
    Avrai un bell’effetto
    col fard lessicale:
    di’ (trucco perfetto)
    “È un gesto epocale!”.

    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA
  • OLI 293: SOCIAL MEDIA – Cosa succede a 70 km dall’Italia

    Sono passati appena tre mesi dal suicidio del giovane Bouazizi, che ha innescato il domino che ha sconvolto il Nordafrica e fatto cadere un dittatore dopo l’altro. Eppure le sorti della Tunisia sono quasi completamente scomparse dalle pagine di cronaca.
    Un’eccezione che offre la possibilità di approfondire quello che è accaduto – e sta ancora accadendo – molto vicino a noi è l’istant book 70 Km dall’Italia. Tunisia 2011La rivolta dei gelsomini (Mehdi Tekaya e Global Voices online, ed. Quintadicopertina, http://www.quintadicopertina.com/?option=com_content&view=article&catid=54:70-chilometridallitalia&id=114:70-chilometri-dallitalia).
    La pubblicazione offre due punti di partenza per l’analisi dell’accaduto: in primo luogo espone le premesse storiche che hanno portato alla rivolta un paese considerato all’avanguardia per istruzione, diritti delle donne, sistema sanitario e con ottimi rapporti con l’unione europea. In seconda battuta, si interroga sul ruolo giocato dall’accesso ai social network (Twitter, Facebook, Youtube e blog) nella diffusione e nell’esito della rivolta.
    La prima considerazione è immediata: le persone che hanno spinto e sostenuto la rivolta sono proprio quelle cresciute sotto la dittatura di Ben Alì, spesso con un’istruzione avanzata e penalizzate dalla situazione economica del paese, dove il tasso di disoccupazione dei laureati arriva al 30% contro una media nazionale del 14%.
    L’analisi storica di Mehdi Tekaya, storico contemporaneo e ‘media-hacktivist’ di origine tunisina, prende inizio dalla figura di H. Bourguiba. Presidente della Repubblica e leader del Paese per oltre trent’anni, unisce una ventata innovatrice (specialmente nell’emancipazione femminile e nell’affermare la laicità dello stato) ad uno smodato culto della personalità, che finisce per degenerare in dittatura. Dal 1963 la Repubblica tunisina diviene un regime a partito unico e Bourguiba viene nominato presidente a vita. La situazione sembra cambiare con l’ascesa di Ben Alì, che il 7 novembre 1987 destituisce l’ormai anziano presidente e se ne proclama successore, intraprendendo una serie di azioni per una riforma apparentemente democratica dello stato. Ma, continua Tekaya, il curriculum del nuovo leader doveva indurre dal principio qualche preoccupazione: formatosi prima alla scuola militare di Saint Cyr, in Francia e poi alla Senior Intelligence School di Fort Holabird, nel Maryland, viene chiamato più volte ad intervenire in patria, per tenere sotto controllo i movimenti islamici e, nel 1984, per guidare la soppressione della rivolta del pane.
    Dopo tre anni di “primavera democratica”, avviene la svolta autoritaria.
    Negli ultimi dieci anni le uniche voci che si sono opposte al regime sono state quelle diffuse sul web, che ha veicolato le istanze dei cyber-attivisti e dei critici del regime, nonostante la legislazione repressiva e le gravi conseguenze (arresti, pressioni e difficoltà amministrative, difficoltà a trovare lavoro) a cui essi si esponevano.
    La seconda parte del libro parte appunto dalla ricchezza e dal peso che hanno avuto i social media nel contesto tunisino per tracciare un percorso attraverso gli articoli curati dalla redazione italiana di Global Voices Online(*) e da Voci Globali. E’ dato largo spazio alla voce diretta dei netizen, di cui si riporta il testo originale e la traduzione, ma anche i video e le fotografie che hanno fatto il giro della rete.
    Il progetto editoriale di 70 Km dall’Italia. Tunisia 2011 – La rivolta dei gelsomini è a cura di Maria Cecilia Averame, con la collaborazione di Bernardo Parrella (GVO).

    (*) Global Voices è “una rete internazionale di blogger che informano, traducono e sostengono i citizen media e i blog di ogni parte del mondo”( http://it.globalvoicesonline.org/).
    (Eleana Marullo)