Autore: Redazione

  • OLI 286: GRANDI OPERE – Inquietudine in galleria

    “Sì, il raddoppio del tratto ferroviario Andora – S. Lorenzo (19 chilometri di cui 16 in galleria) dovrebbe essere completato nel 2012, ma su quel treno a 200 km all’ora in galleria non ci salgo neanche morto”.
    Confidenze di un claustrofobo? No, confidenze di fine estate di un lavoratore molto perplesso sulla futura sicurezza dell’impianto. Segue un mare di spiegazioni tecniche che non paiono mancare di un filo logico. Proviamo a riassumere.
    Lo scavo prevede sette gallerie, di cui quattro realizzate con una “talpa”, cioè una gigantesca macchina la cui testa è una fresa che ruota lentamente frantumando la pietra, e che, man mano che avanza, cementa pareti e volta della galleria mettendo in posa delle centine armate con tondini di ferro. Questi vengono inglobati nel cemento che si consolida velocemente a bassa temperatura (non superiore a 30°) grazie all’aggiunta di un appropriato addittivo. Tutto il processo è realizzato e controllato in modo automatico.
    E allora, cosa c’è che non va? L’elenco che si snoda è lungo. Il tondino dell’armatura dovrebbe essere di elevata sezione, adatta ad opere industriali, mentre nelle centine (in quante?) pare che ci vada tondino a piccola sezione, con l’aiuto di un doppio regime di bolle di accompagnamento. Anche l’addittivo al cemento a volte si trasforma mutandosi in acqua, ma in questo caso il consolidamento richiede temperature più elevate, fino ai 60°, e allora ecco il tapullo per “bypassare” il sistema di controllo automatico della macchina. Poi c’è il restyling: vernice spry color zinco spruzzata su ferri arrugginiti per “passare le ispezioni”, dato che rotture, fessurazioni, distanze fino a 5 cm tra le calotte lasciano passare acqua.
    L’amico conclude: “Te lo immagini cosa può succedere a seguito dello spostamento d’aria provocato da un treno in corsa a quella velocità? E quando se ne incrociano due, di treni?”
    Paranoie? Malumori lavorativi che trovano sfogo nell’ingigantire piccoli problemi fino a tramutarli in allarme?
    Un breve articolo – “Blitz al cantiere di Andora – sequestrata l’area Ferrovial” – uscito lo scorso 20 novembre sull’edizione savonese del Secolo XIX, purtroppo, conferma: “Carabinieri e finanzieri hanno posto sotto sequestro l’intero stabilimento-capannone della Ferrovial Agroman, la ditta spagnola che si è aggiudicata l’appalto delle Ferrovie italiane per effettuare i lavori … Secondo gli investigatori, per la realizzazione dei “conci” sono state utilizzate percentuali inadeguate sia di cemento che di ferro per armatura, e i manufatti sarebbero irregolari rispetto alle norme di legge e dunque potenzialmente pericolosi per viaggiatori e ferrovieri”. Indagati i legali rappresentanti della Ferrovial Agroman e della Cossi Costruzioni, ditta lombarda che produce le armature in ferro e acciaio.
    Torna sull’argomento Il Secolo XIX del 22 gennaio, edizione di Imperia, che ripercorre la storia giudiziaria di questo cantiere, soggetto ad indagine già dall’agosto del 2009 per gravi irregolarità nello smaltimento dei materiali di scavo, e ora “in parallelo” anche per la sicurezza delle gallerie in costruzione.
    Il cantiere è aperto da circa cinque anni: ce ne è voluto di tempo per accorgersi che qualcosa non andava.
    Attendiamo gli esiti, augurandoci notizie di stampa meno avare, e meno localistiche: non è questione che interessi solo il ponente ligure.
    (Paola Pierantoni)

  • Oli 286: TUNISIA – Il popolo delle miniere e i suoi martiri

    Fotografia di Monica Profumo

    In seguito alla cacciata di Ben Alì in Tunisia, i regimi che da decenni sono insediati nel Nord Africa hanno iniziato a vacillare. Gli scossoni si sono propagati in Algeria e soprattutto in Egitto, dove Mubarak detiene il potere dal 1981, quando entrò in carica come successore di Sadat, appena assassinato.
    Come anticipato in Oli 285 (La rabbia ha radici lontane), la rivolta popolare in Tunisia è stata anticipata dai fatti accaduti nel 2008 e raccontati da Gabriele del Grande ne Il mare di mezzo al tempo dei respingimenti (Infinito, ed. 2009). Dopo i disordini scoppiati nella zona di Gafsa, ed i primi successi ottenuti dalla popolazione, il governo tunisino decise di adottare la linea dura. Anche questa volta – come nel caso attuale – l’inizio delle violenze fu segnato dalla morte di un ragazzo, tanto tragica quanto simbolica: il 6 maggio 2008 tre giovani disoccupati occuparono la stazione elettrica di Tabeddid e interruppero la corrente elettrica agli impianti di produzione dei fosfati. Avevano ricevuto la promessa di un lavoro ma, una volta presentatisi alla Compagnia dei fosfati, avevano scoperto di essere scomparsi dalle liste. Con la loro protesta chiedevano di poter lavorare e la garanzia di un contratto.
    La polizia intervenne immediatamente ed intimò ai giovani di andarsene, ma l’appoggio della popolazione era tale ed il malcontento così universalmente condiviso che uno dei tre ebbe il coraggio di resistere alla pressione: Hicham Ben Jeddou El Alaymi afferrò tra le mani le sbarre dell’alta tensione e sfidò le forze dell’ordine «Attaccate la corrente adesso». Pochi secondi dopo, il corpo del ragazzo giaceva carbonizzato ai piedi delle autorità.

    Fotografia di Monica Profumo

    Fu così che iniziò la guerriglia, con la polizia da una parte, che esercitava violenza e commetteva abusi senza controllo, mietendo vittime, e la popolazione che scendeva in piazza e reagiva a sassate.
    Il 6 giugno 2008 la polizia sparò sulla folla che manifestava, vi furono feriti e vittime. Arresti di centinaia di persone, principalmente sindacalisti e loro familiari, decapitarono la protesta. Furono tutti rapidamente processati e condannati con l’accusa di associazione a delinquere.
    Erano rimaste fuori dal carcere le donne, che presero in mano le redini della protesta e tornarono in piazza. Zakiya Dhifaoui, poetessa e corrispondente di un giornale di opposizione, raggiunse la città di Redeyef per scrivere un reportage sul ruolo delle donne nella protesta, ma, in tutta risposta, anche le referenti furono arrestate. La giornalista ebbe una condanna a quattro mesi di carcere. Fu un chiaro segnale: i giornalisti dovevano evitare la regione di Gafsa e tacere di arresti e violenze. Youtube e Dailymotion furono oscurati in Tunisia per evitare che si diffondessero i video delle violenze commesse dalle forze dell’ordine. Operatori e cameramen delle tv che appoggiavano la protesta furono arrestati o scomparvero misteriosamente. Le personalità che avevano guidato e sostenuto la protesta finirono ad ingrossare la popolazione delle carceri. Quelle stesse carceri, nei giorni scorsi, sono state assaltate e date alle fiamme per liberare i detenuti (segue).
    (Eleana Marullo)

  • OLI 286: POLITICA – Nichi Vendola: a “caccia” di un leader

    Dietro al palco un cartello indica le parole d’ordine di Sel.
    Sono collegate l’una all’altra, nodi cardini di una rete: sogni, solidarietà, ambiente, idee, futuro, cultura, partecipazione, diritti, lavoro, impegno, sinistra, giovani.
    E’ la fabbrica di Nichi. Che venerdì 21 gennaio non fatica a Genova a trovare operai e operaie che la sostengano. La sala chiamata del porto è colma di gente, giovani donne e uomini, militanti nostalgici del P.C.I. e delle idee. Persone bisognose più che mai oggi di riconoscersi in un leader.
    Lui, previsto per le 18, arriva con quaranta minuti di ritardo.
    Ma dopo aver aspettato così tanto, che importanza ha?
    Luca Telese, che lo affianca, parla di Mirafiori e degli sconfitti della Fiat, nella quale a perdere è stato Marchionne. E racconta del coraggio di Maria – 37 anni, un figlio a carico di 6 – che ha dichiarato di votare no, consegnando alla stampa nome e cognome.
    Nichi ha carisma e parole gentili. Spiega che è andato a Mirafiori perché si sente erede del meglio delle cultura liberale ed anche della cultura cristiana. Dice che è necessaria la libertà dalla miseria e dalla paura e indica tra il pubblico Rami ed Elias che hanno meno di cinque mesi e non hanno nomi italiani. Ritorna con il pubblico alle parole: prima le 3 i: impresa, inglese, informatica. Oggi tre p: povertà, precarietà, paura, “e nessuno si azzardi a dire che c’è una quarta p…”.
    Accenna a riduzioni di pause e diritto alla malattia, inflitti agli operai di Mirafiori. E richiama alla necessità a “liberarsi da incrostazioni ideologiche” per portare nel “nuovo secolo passione e curiosità. Non è il tempo della nostalgia, ma della ricerca in mare aperto” in ascolto delle nuove generazioni. “Ma non ci si può congedare dal lavoro perché il lavoro è la questione centrale”. Perché “non è in gioco la sconfitta della Fiom ma la solitudine di molti lavoratori”.
    Fatica Vendola ad individuare la “modernità di Marchionne”. E parla al suo pubblico di razzismo e dei 70.000 detenuti oggi nelle carceri italiane e ricorda quando l’allarme scattava a quota 45.000, rimarcando che ormai sono state “buttate via le chiavi” delle galere del paese. Racconta della sua famiglia e delle letture di bambino, e di un mondo nel quale America Latina e Luther King entravano in casa, parte di un’attenzione collettiva. Oggi Il grande fratello mostra una famiglia dalle porte blindate, totalmente ignara di quello che accade.
    Molto simile ad un massaggio dell’anima il discorso di Vendola che, se uno potesse permetterselo una volta alla settimana, ci si butterebbe a pesce.
    Diversa l’opinione di Bersani che, su La7, a “Le invasioni barbariche commenta”: “Dobbiamo proporre alla gente qualcosa di cui fidarsi, non qualcosa di cui essere incantati”.
    Sulla posta, un appello su http://www.lav.it/ denuncia la nuova legge sulla caccia approvata dalla regione Puglia presieduta da Vendola. A rischio – in base all’appello e a relativa raccolta firme – beccacce, storni, tordi. Ma garantita libertà di circolazione ai fuoristrada.
    Sicuramente Vendola saprà spiegare. Per non deludere.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 286: COSTITUZIONE ITALIANA – Luciano Canfora: revisionismo, consenso e Costituzione

    Luciano Canfora

    (…) Il ragionamento parte dalla cosiddetta scoperta del CONSENSO. Apparente scoperta. Apparente per un duplice motivo: perché l’intuizione di come il fascismo si fosse via via radicato, ferme restando le sue origini violente e soprafattorie in un consenso di massa, era il cardine delle fondamentali “lezioni sul fascismo” di Palmiro Togliatti, incentrate appunto sulla nozione del fascismo come “regime reazionario di massa”; e inoltre perché quel consenso – che non fu né costante né indiscusso – è stato per lo più documentato con il dubbio strumento delle ingannevoli perché corrive carte di polizia. E andrebbe dunque studiato in modo ben altrimenti critico.
    L’implicazione di questa apparente scoperta è ben nota: trasformare il fascismo in regime normale, magari un po’ paternalistico ma non repressivo. L’ulteriore corollario è la denuncia dell’età staliniana come unica vera esperienza totalitaria. Essendosi peraltro il fascismo proposto come antitesi frontale del bolscevismo, il corollario ulteriore è che qualcosa di molto buono vi doveva essere in tale “primo della classe” dell’anticomunismo. Coronamento del ragionamento è l’attacco alla nostra costituzione repubblicana ed ai suoi principi fondanti, per essere essa stata scritta anche dai comunisti e comunque da uomini che comunisti non erano ma che alcune delle istanze fondamentali del comunismo accoglievano e apprezzavano: a cominciare dall’esordiale indicazione (articolo 1) del lavoro come fondamento della Repubblica e dalla implicita identificazione tra cittadino e lavoratore, a seguitare con l’articolo 3, ed il suo impegno a “rimuovere gli ostacoli” di ordine sociale che impedivano e tuttora impediscono l’effettiva uguaglianza tra i cittadini.
    Orbene qui non si intende sottrarsi alla sfida. Il “velen dell’argomento” ci è ben chiaro. Noi sappiamo che la principale battaglia che tutti i democratici hanno da affrontare è proprio la difesa della costituzione e in primo luogo dei suoi principi esemplarmente delineati nel capitolo primo. E sappiamo anche che il vulnus più profondo finora inferto alla costituzione è stata la modifica della legge elettorale, l’abbandono del principio proporzionale, unico istituto che rispetti davvero l’istanza del suffragio universale.
    Tutto questo ci è chiaro, e la battaglia è ardua.
    Ma il punto di partenza non ci sfugge , né intenderemo sfuggirvi, anzi lo dobbiamo affrontare di petto. È la questione del consenso. L’Italia sta scivolando verso un REGIME REAZIONARIO FONDATO SUL CONSENSO. Ed è sui modi in cui oggi, diversamente che nel 1922-1926, il consenso si consegue che le idee non sono sempre chiare.
    Ma il processo è ormai molto avanzato. Le forme di creazione del consenso sono molto più capillari e sofisticate e irresistibilmente pervasive che non in passato: concomitanti con la radicale trasformazione del reclutamento stesso del personale politico-parlamentare – ormai prevalentemente abbiente e centrista -, dovuto appunto al meccanismo elettorale maggioritario.
    Orbene lo studio del modo in cui davvero il fascismo pervenne – in capo a cinque lunghissimi anni dal 1921 (sua prima apparizione in parlamento) al 1926 (leggi eccezionali e messa fuori legge del PCI) – a dar vita ad un REGIME è forse oggi il più istruttivo dei compiti intellettuali.
    Forse la sinistra (il centro-sinistra) si fa qualche illusione sulle prossime elezioni del 2006. A mio avviso, invece, la destra oggi al potere non cederà facilmente il timone, non attenderà passivamente il responso delle urne. Farà di tutto, ma proprio di tutto, per conservare il potere. Essi pensano di avere ormai in pugno l’Italia per un lungo tempo. Pensano di averla riplasmata sotto ogni riguardo. Noi non possiamo chiudere gli occhi su questa evidente verità.

    Dal 1922 al 1926 il fascismo creò le premesse per restare al timone. Per prima cosa abrogò il sistema elettorale proporzionale poi creò un blocco, un listone unico nel quale imbarcò pezzi di tutte le formazioni politiche liberali e cattoliche delle più varie sfumature. Quindi ricorse alla provocazione. E mi riferisco non solo al rapimento di Matteotti. Ma alla provocazione imbastita contro il partito comunista (l’arresto dei “corrieri” sorpresi alla stazione di Pisa con volantini “eversivi” come prova della imminente “eversione comunista”): donde l’arresto di Gramsci e degli altri dirigenti; donde la creazione del tribunale speciale, donde il mostruoso “processone”; e alla fine l’attentato oscuro di Bologna e la sospensione degli altri partiti.
    Questo crescendo è uno scenario che sembra arcaico ma è un modello ancora utilizzabile.
    Ben venga l’invito a studiare come davvero il fascismo giunse al potere e si affermò. Non ne caveremo, come si vorrebbe, la tranquillizzante immagine di un regime tutto sommato “normale” (tenendo conto anche dei tempi perigliosi in cui nacque), ma l’allarmante scenario ancora ripetibile, mutati lo stile e gli strumenti, di come si demolisce una democrazia.

    Luciano Canfora, Prolusione contro il revisionismo storico, 2005

    (a cura di Aglaja)

  • OLI 286: PAROLE DEGLI OCCHI – Foto dall’extra mondo

    Avvertenza: queste fotografie vengono dall’extra mondo.   Lo diciamo per non creare inutili turbamenti. Trattasi dei tram di Zurigo, dotati di video che oltre ad annunciare le fermate, e i tempi per arrivarci, segnalano per ogni fermata le eventuali coincidenze con altri mezzi pubblici, tram o treni, indicando i relativi tempi di partenza. Alle fermate il simbolo della carrozzella indica se il mezzo in arrivo è accessibile ai portatori di handicap. Non tutti i mezzi sono accessibili, ma ogni linea è dotata di mezzi accessibili; solo il tempo di attesa è un pò più lungo: diciamo, 10 minuti anzichè due o tre. Superfluo l’uso del telefonino. 
     Foto di  Paola Pierantoni

    Foto di Paola Pierantoni
    Foto di Paola Pierantoni

    Foto di Paola Pierantoni
  • OLI 285: VERSANTE LIGURE – IL SOL DEL REGREDIRE

    Marchionne è esternatore
    tutt’altro che leggiadro?
    Borghezio, con furore,
    il Sud tratta da ladro?
    Deprimersi è un errore
    non così buio è il quadro:
    c’è il Sol (24 Ore)
    e in più quello di Adro.
    Versi di ENZO COSTA
    Vignetta di AGLAJA
  • OLI 285: TUNISIA – La rabbia ha radici lontane

    Foto di Monica Profumo

    La crisi tunisina non ha catalizzato l’attenzione mediatica, se non come un fatto di politica estera in un paese lontano. In realtà la Tunisia è a 20 minuti di volo dalla Sicilia ed i rapporti economici con l’Italia sono fitti. Un riepilogo dei fatti: la rivolta si è propagata attraverso i social network e con il tam tam dei cellulari, la rabbia del popolo tunisino è scoppiata dopo la morte di Mohamed Buaziz, il giovane laureato che vendeva la frutta e si è dato fuoco dopo che la polizia gli aveva sequestrato la merce e lo aveva umiliato schiaffeggiandolo. Gli scontri più sanguinosi sono scoppiati intorno alla zona di Kasserine; gli incidenti sono segnalati e localizzati direttamente dai cittadini tunisini a questo indirizzo http://tunisie.crowdmap.com/.
    Il giovane Buaziz è la prima vittima della crisi; alla fine, il bilancio ammonta a 78 morti e 94 feriti. Il presidente Ben Ali sopraffatto dagli eventi infine è fuggito in Arabia Saudita ed il governo è passato, provvisoriamente, al premier Ghannouchi.
    La situazione in Tunisia è critica ormai da qualche anno. Un quadro dei problemi che hanno attanagliato recentemente il paese viene offerto da Gabriele del Grande ne Il mare di mezzo al tempo dei respingimenti (Infinito Edizioni, 2009), che racconta la grave situazione di uno stato sottoposto all’arbitrio del regime ed agli abusi della polizia

    Foto di Monica Profumo

    Nel 2008 la regione di Gafsa, quasi al confine con l’Algeria, fu scossa da una violenta insurrezione, che ebbe scarsa rilevanza nella stampa internazionale. A Gafsa si trova uno dei più grandi giacimenti di fosfati al mondo, scoperto durante l’occupazione coloniale francese. L’economia della regione fu stravolta dall’apertura delle miniere: arrivò manodopera da tutto il Grande Maghreb e perfino dall’Italia. La concentrazione di lavoratori diede origine alla nascita del sindacato tunisino.
    Le miniere, nazionalizzate dopo il 1957, andavano a gonfie vele al tempo dell’insurrezione del 2008 e la Tunisia era il quinto paese produttore al mondo. Ma, racconta Del Grande, le cose non andavano altrettanto bene per i lavoratori: il giacimento era in preda ad una crisi ventennale, la modernizzazione aveva aumentato la produzione dimezzando il personale, il tasso di disoccupazione cresceva senza sosta, mentre qualunque altra riconversione dell’area era ormai impossibile: l’inquinamento aveva avvelenato le falde acquifere e reso impraticabile agricoltura ed allevamento.
    Anche la rivolta del 2008, come quella attuale, scoppiò tra i giovani del paese ed ebbe come scintilla l’accesso al lavoro: la Compagnia dei Fosfati (Cpg) indisse un concorso pubblico per l’assegnazione di 80 posti. Quando vennero resi pubblici i risultati, fu chiaro che il concorso era truccato e che erano stati selezionati soltanto parenti e raccomandati. I giovani disoccupati occuparono tutta la città di Redeyef, raccogliendo la solidarietà della popolazione. Le autorità locali diedero inizio ad un negoziato che, dopo un esordio promettente, si interruppe, mentre i disoccupati furono sgomberati. A Tunisi nacque il Comitato nazionale di solidarietà al popolo delle miniere. Il fermento e la partecipazione intorno alla rivolta allarmarono il regime e furono quindi sedati dall’intervento della polizia (7 aprile 2008). Ne seguì l’arresto di una trentina di uomini che erano coinvolti nel movimento. Agli arresti scoppiò uno sciopero generale, alla fine, grazie alla protesta popolare, i sindacalisti arrestati furono rilasciati.
    Il ricordo delle sommosse del 2008 deve aver giocato un ruolo importante nell’accelerare i tempi e amplificare la violenza della reazione di governo durante la crisi attuale. (Segue)

    (Eleana Marullo)

  • OLI 285: CITTA’ – Aster, colloquio con Antonio Gambale

    Lunedì 17 gennaio, uffici Aster, civico 15 di Via XX Settembre, poco dopo la chiesa della Consolazione, quella di Santa Rita, la santa dei casi impossibili.
    Antonio Gambale, presidente e amministratore delegato di Aster da otto mesi, sfoglia un raccoglitore di articoli della stampa locale, mostra le foto e accenna alle inquadrature.
    In molti lo avevano avvisato. Anche dissuaso ad imbarcarsi in un impresa che lui, oggi, non vuole abbandonare “prima di aver fatto tutto quello che è utile alla buona manutenzione della nostra città”.
    Ci crede. E appare totalmente lontano dalle dinamiche che hanno abitato Aster negli anni passati. Lontano al punto di non pronunciarsi sul passato e di stare con la barra fissa al presente. L’oggi gli mostra un conto amarissimo del quale lui è tenuto a rispondere. Ha detto a coloro che lavorano con lui di aver fiducia in se stessi, perché in gioco c’è l’identità delle persone. Certo è che l’inchiesta del Secolo XIX racconta ai propri lettori di un’azienda assai mal gestita i cui risultati sono a dir poco modesti. Gambale, inizialmente l’aveva accolta come uno strumento prezioso, da stimolo per obbiettivi da raggiungere. Oggi, pacatamente si chiede le ragioni di una virulenza che reputa eccessiva.
    Di cosa stiamo parlando?
    “Le nostre tariffe – dichiara – sono quelle ufficiali della Camera di Commercio e al Comune vengono scontate del 15%, la produzione è stata raddoppiata, ci occupiamo di manutenzione stradale, manutenzione del verde, manutenzione impianti elettrici e permessi… E’ evidente che se ci fossero più risorse si potrebbe fare di più. I lavoratori che hanno accettato di stare in Aster hanno accolto una sfida, ci hanno creduto.” E lui li difende. In azienda ci sono competenze preziose, c’è una memoria storica e tecnica, ma è un’azienda con due cervelli doverosamente in ascolto di aree, direzioni, assessorati, municipi ai quali si aggiungono gruppi locali e ambientali.
    Gambale mostra le inquadrature di alcuni scatti pubblicati sul Secolo XIX, tutte fotografie con l’inquadratura dal basso verso l’alto, così da ingigantire dettagli minimali. E mostra le sue di fotografie con i lavori svolti da Aster ai quali si aggiungono quelli dei grandi utenti che intervengono su asfaltature nuove di zecca lasciando tapulli. Su alcune aree prima del ripristino finale bisogna attendere che il terreno si assesti, che non siano necessari ulteriori interventi. Si tratta di tempi tecnici. Lo sguardo va ad altre realtà, aziende finite. E ancora alle risorse che i comuni non hanno.
    Insiste sul lavoro, globalmente parlando, perché spiega Gambale “siamo sull’orlo del baratro”. E suggerisce un titolo La fine del lavoro di Jeremy Rifkin, ma quella è un’altra storia. Troppo sofisticata per rispondere ai buchi dell’asfalto.
    Otto mesi di nuova direzione di una realtà così complicata sono sufficienti per produrre un bilancio?
    Santa Rita è al civico accanto.
    (Giovanna Profumo)

  • OLI 285: BANCHE -A lezione di real politik

    Villa Cattaneo, un gioiello di residenza extraurbana genovese in una delle aree più commercializzate e industrializzate della città, zona Ikea e Ansaldo per intendersi. Qui ha sede Fondazione Ansaldo, che sabato 15 gennaio ha ospitato il banchiere Alessandro Profumo a conclusione del master “Progetto Mediterraneo: gli allievi intervistano A. P. su imprenditorialità e internazionalizzazione”. Le domande dei ragazzi sono precise, tecniche, si parla di venture capitale, imprese, globalizzazione e le risposte, spesso in inglese, altrettanto puntuali.
    Il banchiere non lascia spazio a illusioni: le banche non finanziano futuro incerto e ai giovani che vogliono fare impresa in realtà non rispondono. Aprire un’azienda, in Italia o all’estero, chiedere finanziamenti non sono compiti di una banca che, sottolinea il manager, “deve occuparsi del capitale di credito e non di rischio. Le banche fanno un mestiere noioso, prestare soldi e chiederli indietro”. Con la certezza del ritorno, sembra sottintendere, ma non lo dice, lo si mormora in platea. Così la ricerca deve essere finanziata dalle imprese; al più qualche spin off delle Università, una scelta che a suo tempo Profumo fece personalmente con riserva anche per Centri di ricerca “puri”.
    Aleggia la questione Fiat, su cui i tanti giornalisti cercano di condurlo, ma Profumo preferisce glissare con una battuta: “Il primo dovere delle imprese è stare in piedi e – continua, bistrattando la giornalista del Corriere della Sera che gli aveva posto la domanda – non si parli di responsabilità sociale, d’impegno a restare nel proprio Paese o verso i dipendenti, soltanto di sostenibilità che è poi fare bene il proprio mestiere”.
    Per i giovani studenti del Maghreb, che anelano magari ad avere un’opinione su quanto sta succedendo nei loro Paesi, un laconico giudizio: si tratta di una richiesta di maggior democrazia e libertà di parola.
    Realpolitik degli imbecilli” titolava Liberation sabato 15 gennaio, riferendosi ai precedenti pubblici apprezzamenti di Sarkozy nei confronti di Ben Alì, senza dare mai sostegno agli oppositori del regime del generale, aiutato a salire al potere anche dagli Italiani. Con un occhio agli affari, come tutta l’Europa, che da anni ha accolto migliaia di lavoratori magrebini per rispedirli poi nei loro Paesi, investendo troppo poco nei Paesi del Sud del Mediterraneo, senza accrescere la collaborazione e lo sviluppo per migliorare l’economia dell’intera area.
    Anche là però le nuove generazioni hanno studiato, navigano su Internet e guardano le televisioni straniere: non è soltanto una rivolta del carovita ma una rivolta generazionale, che ha visto da subito in prima linea tra i dimostranti studenti e insieme professori, i primi uccisi dalle forze dell’ordine. Anzi, il primo giovane morto è stato un ragazzo laureato e disoccupato, cui la polizia aveva sgombrato il banco di frutta, il suo lavoro per sopravvivere. Poi è tutto degenerato.
    Così Ali, Amina, Eba e tutti gli studenti arrivati da Egitto, Marocco, Tunisia e sbarcati ad Arpe, scuola per giovani capitani d’impresa, guidata dall’ex manager dell’Iri Giovanni Gambardella, possono mettersi il cuore in pace, poiché il grande banchiere sostiene che nella vita si deve fare ciò che piace, conta la passione: se si è coinvolti emozionalmente si farà meglio e si avrà il massimo. Belle parole. Ma c’è fame di pane, di lavoro e di libertà.
    Ai giovani però, dall’Europa all’Africa, l’unico ambito sembra essere rimasta la piazza. Certo esistono le piazze virtuali, i canali di espressione del Web 2.0, il pulsare dei social network ma è un discorso interno, non basta ad urlare il disagio. Il fatto è che si è creduto di poter prolungare ad libitum le classi dirigenti, siano esse state elette democraticamente o no.
    In piazze diverse vanno “gli ultimi”, i giovani, coloro che potrebbero rinnovare dall’interno i loro Paesi e ne sono invece estromessi. Da Atene a Tunisi i giovani disperatamente rabbiosi sanno che si gioca il proprio destino e quello dei loro Paesi di fronte al lento spegnimento di una classe di autocrati o tiranni, mummificati in quei Palazzi sempre più depredati e devastati dall’immobilità. Ma quando va bene ricevono soltanto belle parole, altrimenti botte e pallottole.
    (Bianca Vergati)