Venerdì 1 ottobre, impossibile negarlo, è stata una giornata umida, colpita verso le dieci del mattino perfino da una pioggia sottile durata un’ora o poco più. Come capite, una situazione allarmante. Nulla di più naturale, quindi, del vedere scorrere sul tabellone luminoso di Largo Zecca l’avviso della AMT “Date le condizioni meteo la regolarità del servizio non è garantita”.
Dubbio: si tratta di una capacità paranormale di AMT che ha previsto l’alluvione con tre giorni di anticipo, oppure (più probabile) del vizio irritante di nascondere le proprie inefficienze dietro a scuse inconsistenti? Quell’umido venerdì infatti il servizio era mal garantito come al solito, lo scontro all’arma bianca per riuscire a salire sul 18 non è stato diverso da quello che si ingaggia normalmente nelle mattinate di sole.
(Paola Pierantoni)
Autore: Redazione
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OLI 272: TRASPORTI – Rain
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OLI 272: SOCIETA’ – L’estate nera delle donne italiane
Luglio caldissimo, agosto piovoso, mare opaco di alghe e petrolio, risse politiche, circo equestre a Roma con carabinieri e cavalli berberi e, spesso in prima pagina sui quotidiani a corto di notizie, uno stillicidio quotidiano di violenze contro le donne.
Donne massacrate dai loro ex mariti e fidanzati che “non si rassegnano” a essere lasciati; donne massacrate da ex fidanzati di altre, che sfogano la propria rabbia sulla prima che incontrano; donne massacrate da medici incompetenti, che trasformano in tragedia un evento naturale come il parto; donne massacrate dalla paura e dall’ignoranza, mentre abortiscono clandestinamente nel bagno di casa; donne usate da una pubblicità violenta e volgare, che ne offende la dignità umana; donne in parata davanti al dittatorello di turno, assoldate in massa a pochi euro al giorno. Un lungo elenco di offese, di mercimonio, di violenza a volte più sottile, più spesso omicida, troppo lungo, articolato, specifico per poterlo ritenere casuale.
Alla base la convinzione che le donne siano per loro natura “inferiori”, un “ambiguo malanno”, come già le etichettava l’antichità classica, convinzione radicata nel nostro paese anche grazie alla storica misoginia cattolica, convinzione che fino a pochi anni fa nessuno osava esprimere, ma che la recente svolta popolar-pecoreccia del pensiero politico ha sdoganato, un po’ come è accaduto per il razzismo, per l’omofobia e per la certezza che tutto sia lecito, basta solo non farsi beccare con le mani nel sacco, o, se beccati, produrre immediatamente una legge ad personam per farla franca.
Un’estate nera per le donne italiane: e non aiuta che molti quotidiani continuino a definire questi assassinii come “delitti passionali” o “tragedie dell’amore”. Qui l’amore e la passione non c’entrano niente: c’entra invece l’idea che il corpo delle donne appartenga agli uomini, ai medici, ai padri, ai mariti, ai potenti e che il proprio spazio di potere si definisca in base alla forza e all’estensione di questa appropriazione indebita.
C’entra l’idea che il lavoro delle donne sia solo “aggiuntivo” rispetto alla definizione del reddito familiare; c’entra l’idea che lo spazio pubblico non esista e che i diritti collettivi siano inutili; c’entra l’idea che formazione e competenza valgano di meno di un bel “lato B”; c’entra un’idea feudale del potere, in cui la vicinanza al corpo del capo definisce l’accesso al potere stesso.
Parlare di donne, oggi, vuol dire parlare di questo: della natura e delle forme del potere e delle parole nuove che dobbiamo imparare a pronunciare per disvelarne la natura regressiva e pericolosa.
Abbiamo bisogno di vederli in fila, questi donnicidi, di leggerli nella loro enormità, nel loro orrore per sottrarli all’effimera indignazione di chi ne legge distrattamente su un quotidiano, per ricondurli al loro significato di segnale inquietanti di questo nostro tempo.
Perché è ipocrita manifestare per una donna condannata a morte in un paese lontano, se non c’è, insieme, la consapevolezza della violenza che tuttora è presente nella nostra cultura e nella nostra società.http://www.ilcorpodelledonne.net/?page_id=89
http://comunicazionedigenere.wordpress.com/2010/09/24/sulla-pubblicita-sessista/
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/08/violenza-sulle-donne-in-aumento-simonelli-e-doveroso-parlarne/48752/
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20070221_00/
http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/09/06/news/lerner_murgia-6791000/(Paola Repetto)
OLI 272: SOMMARIO
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OLI 272: PAROLE DEGLI OCCHI – Il “futuro” del trasporto pubblico?

Foto (C) Giorgio Bergami OLI 272: SOMMARIO
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OLI 271: VERSANTE LIGURE – IBRACADABRA
La crisi, devastante,in apparenza sfibral’Italia agonizzantema no: la gente vibra,c’è un segno confortante:il Capo ha preso Ibra!Versi di ENZO COSTAVignetta di AGLAJA -
OLI 271: ILVA – Un documento non si nega a nessuno
No. La vicenda Ilva non è un’emergenza. Ma è il risultato di una disattenzione gravissima. Per molti è stato difficile farsi una ragione del perché si sia dovuti arrivare, a tre giorni dalla scadenza della cassa integrazione e dei lavori di pubblica utilità, senza sapere ancora quali sarebbero stati luogo di lavoro e mansioni per i dipendenti Ilva che da cinque anni in carico agli enti locali. Oggi 28 settembre, dopo un incontro in Comune, una riunione in Confindustria e un Consiglio Comunale monotematico, i lavoratori si possono alimentare solo di intuizioni.
Chiunque avesse scorso gli articoli pubblicati sulla vicenda Acciaierie di Cornigliano dal 2005 ad oggi, avrebbe potuto, con estrema facilità, prevedere il quadro e coglierne gli aspetti di maggior criticità – dalla crisi siderurgica, alla cassa integrazione ordinaria, dalle riunioni con l’azienda alle sollecitazioni di sindacato e lavoratori. Sino alle vicende amianto e aree. Un insieme di problemi che messi in fila, con il minimo di buon senso richiesto a enti locali, governo e sindacato, avrebbero facilmente fornito spunti per far fronte con ampio anticipo allo scenario che si prospetta oggi. E’ un fatto che, solo a distanza di due giorni dalla scadenza della proroga di cassa e lavori di pubblica utilità – voluta e finanziata totalmente da Regione Liguria – i lavoratori Ilva hanno qualche elemento in più sul loro status giuridico a decorrere dal 1 ottobre.
Il Gruppo Riva aveva da tempo esposto la sua soluzione: far rientrare tutti in fabbrica ricorrendo ai contratti di solidarietà. Soluzione presentata nel Collegio di Vigilanza del 24 agosto, nel quale l’azienda aveva fatto presente che la scadenza del quinquennio di cassa poneva un limite inderogabile alle richieste di proroghe.
Ma la proposta di rientro per i cassintegrati – una settimana al lavoro, tre a casa – ha fatto emergere dubbi sulla reale capacità occupazionale dello stabilimento, oggi in crisi, e sul quale, a regime, ognuno fornisce numeri troppo contradditori (1800 azienda, 1600 Fiom, 1300 altri osservatori).
A questa va aggiunta la perplessità in relazione alla chiusura dell’accordo di programma a partire dai 70 milioni di euro scritti nell’accordo e mai versati dal Governo all’Autorità Portuale per arrivare alla totale assenza della centrale termica. Con l’azienda che ha dichiarato di non aver nessun interesse a ridiscutere un accordo che, per quanto la riguarda, considera rispettato.
Alle infinite richieste di convocazione di un tavolo romano, avanzate dal Comune di Genova e dalla Regione Liguria, nessuno dalla capitale ha mai risposto. E questo rilevante elemento ha permesso alle istituzioni locali di dichiarare di aver fatto, comunque, il possibile.
La richiesta, datata 25 settembre, del sindaco Vincenzi al gruppo Riva, di finanziare con 2 milioni di euro la proroga dei lavori di pubblica utilità e di capire con l’azienda le reali strategie e il piano di rilancio, ha il sapore del sale buttato nella pasta a fine cottura.
Muoversi prima, politicamente, voleva dire altre cose. Molto semplicemente, all’interno del Collegio di Vigilanza, chiedere quel tavolo almeno un anno fa.
Il Consiglio Comunale monotematico sulla vicenda Ilva, in questo momento, è ancora in corso, la discussione a cui ho assistito fino a poco fa mi è parsa desolante. Nella migliore delle ipotesi, verranno prodotti due documenti separati.
Come ha fatto notare cinicamente un sindacalista navigato “un documento non si nega a nessuno”.
(Giovanna Profumo) -
OLI 271: CULTURA – Realtà e futuro davanti a sé: Vittorio Foa
Pietro Medioli è riuscito giovedì scorso a superare i confini spazio temporali che racchiudono la figura di Vittorio Foa: ha esteso il tavolo della cucina di Formia attorno al quale amici, conoscenti e accompagnatori di amici mangiavano assieme a lui e Sesa Tatò confrontandosi sulle cose della vita. Buttato giù le pareti che circondavano quel vano, cucina, salotto, studio, cuore di una casa aperta a tutti. Per alcune ore la Casa del Cinema di Roma, in cima a via Veneto, all’inizio del parco di Villa Borghese si è trasformata in tutto questo. Seduti alla tavola, come sempre è stato in casa Foa-Tatò, indistintamente, parenti, politici, studiosi, amici, ragazzi di cui ha accompagnato l’infanzia, tanti che l’hanno conosciuto unicamente attraverso le sue parole e i suoi passaggi.
Il documentario, promosso dalla fondazione Di Vittorio, è stato un viaggio di un’ora attraverso la sua vita tra immagini d’inizio Novecento, inquadrature della Torino d’oggi, eccezionali disegni dal carcere di Ernesto Rossi, filmati della liberazione e della Costituente, l’immancabile cucina di Formia e le montagne amate dall’infanzia della Valle d’Aosta. Tutto questo accompagnato dalle parole di Foa, punteggiate dai suoi “nevvero” e i suoi silenzi carichi di riflessione a non intimorire l’interlocutore, a ricordarci che ascoltare non è solo mezzo per imparare, ma anche per rispettare l’altro da se, vederlo come una risorsa e non un ostacolo. A fargli da contraltare le domande di Federica Montevecchi e Pietro Medioli, i discreti, ma essenziali interventi di sua moglie Sesa.
Così davanti agli occhi dei partecipanti è corsa una vita lunga un secolo, Foa l’avrebbe compiuto il 18 settembre scorso. Una durata quasi eterna, che non è bastata ai sindacati italiani a comprendere che l’unità non è fatta di sole parole, interessi di categorie e calcoli aritmetici, ma di un impegno morale e politico per se e per gli altri al di là delle differenze, per lo sviluppo di una società comune. Un’unità che non è omologazione, ma che nasce dalla diversità. Ettore Scola intervenendo l’ha ricordato, se il pensiero rimane uguale a se stesso, allora si è persa di vista la realtà, il suo fluire. Vittorio Foa aveva realtà e futuro davanti a sé.
Quando le luci si sono accese, lasciando gli spettatori con Vittorio davanti alle sue montagne, tutti avrebbero voluto continuare la cena con lui, sentirsi rivolgere una domanda personale ed attenta, interrogarsi sul futuro.
Potrebbe esserci un dolce a sorpresa, perché non diffondere il documentario nelle scuole, da dove il futuro dovrebbe partire?
(Maria Alisia Poggio)
http://tv.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/per-esempio-vittorio-ricordando-foa-uno-dei-padri-della-sinistra/53236?video -
OLI 271: MIGRANTI – I quiz sono incomprensibili e la patente diventa un miraggio
L’italiano è morto. La punteggiatura è ormai generata dal caso. I congiuntivi defungono, giorno dopo giorno, l’uso comune ha dimenticato, in un processo irreversibile, migliaia di vocaboli e si è ridotto alle quattro parole ripetute senza tregua dalla Tv.
Esiste una sola isola, arcaica e tutelata per legge, dove vigono, anzi proliferano a sproposito, arcaismi, termini obsoleti e periodi lunghi con infinite subordinate: i quiz per l’esame teorico della patente B.
Questa giungla di termini, sinonimi, veri e propri test di logica e trabocchetti linguistici è piuttosto ostica già per gli italiani; la situazione si complica se, a dover affrontare l’esame, sono degli stranieri, magari con una buona – od ottima – competenza linguistica, ma inermi di fronte alle trappole dei quiz.
Fino al settembre 2006 era possibile per gli stranieri sostenere la prova d’esame teorico come orale, con quattro domande, che sostituivano la paginata di quiz. Successivamente una modifica del Codice della strada ha eliminato questa possibilità, introducendo l’esame informatizzato e la possibilità di impostare sette differenti lingue (inglese, francese, tedesco, spagnolo, russo, cinese e arabo). Detta così sembrerebbe la soluzione ottimale.
In realtà non è tutto facile come sembra. Alcune traduzioni in lingua sono meno comprensibili del pur astruso italiano ministeriale: per la lingua araba, ad esempio, la traduzione adatta per un marocchino spesso non è comprensibile per un libanese, la varietà linguistica regionale non è presa in considerazione e le traduzioni in alcuni casi non sono esatte, rendendo difficile rimanere entro il margine dei quattro errori.). L’esame diventa un ostacolo insormontabile se si conosce sommariamente l’italiano e solo qualche dialetto escluso dal ventaglio di lingue ammesse per il test. Vedi il caso degli indiani del Punjab residenti nella provincia di Piacenza, che nel 2009 hanno risolto il problema acquistando patenti contraffatte (http://www.atopiacenza.it/Allegati/Eventi/2009.08.27_PRO43_2782009-123757.pdf .
Il Codice della strada è stato aggiornato di recente, lo scorso agosto, ma nessun intervento si è posto il problema di questa situazione, per la quale il tasso dei bocciati tra gli stranieri, all’esame di guida, è molto più alto rispetto agli italiani, e non per carenze sulla conoscenza delle norme ma per il gap linguistico.
Se nell’esame per la patente gli stranieri devono essere equiparati agli italiani (come non avviene, purtroppo, in molti altri casi, come alcuni concorsi pubblici, il famoso “bonus bebè”, i bonus vacanze, tanto per citare qualche caso spicciolo), perché non rimodernare i quiz, sciogliendo le formule complicate, le doppie negazioni e le trappole logiche, sostituendo i termini desueti? Si otterrebbe un oggetto in grado di selezionare i futuri guidatori in base alla reale conoscenza del codice stradale, anziché su parametri linguistici. E forse ne gioverebbero anche gli italiani.
(Eleana Marullo) -
OLI 271: AMBIENTE – Diritti dell’uomo a dimensione balneare
“Gli ombrelloni sulla spiaggia sono a disposizione gratuitamente”: della scelta del Comune di Raches sull’isola di Ikaria (Grecia) avevamo già parlato lo scorso anno (vedi Oli 235).
Quest’anno l’ombrellone gratuito c’era ancora e torniamo a parlarne perché il fatto è stupefacente e commovente per noi visitatori italiani, abituati alle aree confinate delle nostre spiagge “libere”, alle controversie sulla definizione di battigia e sul diritto a metterci l’asciugamano o solo a passarci, alle vicende dei bagnanti che si fanno accompagnare dai carabinieri per accedere al mare, alla tassa di ingresso che ci tocca pagare per entrare in una spiaggia se non vogliamo innescare un conflitto coi gestori .Il cartello che accompagna l’avviso del comune ikariota recita: “Non è permessa a terzi alcuna iniziativa economica all’interno dei confini delle spiagge che devono essere interamente libere a disposizione di qualunque persona, che sia o meno nostro cittadino”, e preannuncia provvedimenti di esproprio per gli eventuali contravventori. Una specie di dichiarazione dei diritti dell’uomo a dimensione balneare.
La cosa interessante è il cambiamento radicale che un provvedimento come questo determina nel paesaggio e nella qualità dello stare al mare: nessuna recinzione, l’arenile lasciato libero anziché essere colonizzato da file di sdraio ben stipate per il maggior guadagno, assenza di musiche ossessive, la spiaggia restituita alla sua identità: è quella spiaggia, su quel mare, con quel paesaggio che nessuna sovrastruttura ti impedisce di contemplare, con quei suoni che nessuna musica ti impedisce di sentire, per cui ti dici che valeva la pena fare tanti chilometri per andare proprio lì. Altrimenti …La decisione dell’ombrellone gratuito per l’amministrazione comunale di Raxes, comunque, è stata tutt’altro che pacifica ed è a rischio. Gli interessi premono. Le elezioni comunali sono alle porte e su questo ci sarà battaglia.
Chissà come andrà a finire. Certo che un po’ servirebbe anche a noi, pur così lontani, che vincesse il partito della spiaggia libera e gratuita. Abbiamo fame di buoni esempi, anche a distanza.
(Paola Pierantoni) -
OLI 271: INFORMAZIONE: Se nulla importa
Jonathan Safran Foer, autore di Ogni cosa è illuminta e di Molto forte, incredibilmente vicino, è un giovane e notevole scrittore americano, che, dopo il suo grande successo internazionale, ha deciso di dedicare tre anni – tre anni sono molti – per svolgere una inchiesta e per scrivere un libro sull’allevamento industriale degli animali.
Il titolo originale del libro è Eating Animals, diventato – nella edizione italiana – Se niente importa (Guanda, febbraio 2010, 18 €). Il fenomeno narrato è la drammatica esplosione dell’allevamento intensivo di polli, tacchini, maiali e bovini nella produzione di carne, uova, latte negli Stati Uniti dove, documenta Foer, la zootecnia industriale occupa oggi il 99% del mercato, mentre gli allevatori familiari o artigianali sono ridotti ad una quota residuale. Sessanta pagine di note e bibliografia, decine di interviste che includono colloqui approfonditi con lavoratori del settore, molte visite di persona ufficiali e clandestine agli allevamenti documentano nel dettaglio questa realtà produttiva, e le sue conseguenze.
Osserva Foer “L’industria zootecnica esercita la propria influenza politica sapendo che il proprio modello di business dipende dal fatto che i consumatori non hanno la possibilità di vedere o sentire”. Le cose che documenta lo scrittore americano sono infatti strazianti, intollerabili, se guardiamo al prezzo richiesto in termini di sofferenza degli animali sia nel corso della vita che durante la macellazione. Ed estremamente preoccupanti se si guarda alle conseguenze in termini di impatto ambientale, di salute per i consumatori, e di condizioni psico-fisiche per i lavoratori.
E qui veniamo a casa nostra. Al momento della uscita del libro i giornali ne hanno parlato, hanno riportato stralci dal libro, hanno intervistato l’autore (La Repubblica del 19/02/2010; Il Corriere della Sera del 3/3/2010; Liberazione del 8/3/2010 … ), ma in nessuno degli articoli viene introdotta la questione di cosa avvenga qui da noi, in Italia e in Europa. Magari nella UE c’è qualche regola in più, magari le cose vanno un po’ meglio, ma non mi risulta (mi sbaglio?) che i grandi organi di informazione abbiano preso dal libro di Foer lo spunto per avviare una propria attività di inchiesta su questo tema. L’argomento resta così circoscritto in un confine esotico e lontano, che non ci tocca davvero. Materia letteraria, quindi, e non politica.
Eppure l’argomento meriterebbe tutta l’attenzione possibile perché tocca trasversalmente i territori della economia, del mercato, della informazione, della salute, della ecologia, della etica. Perché solleva la questione del rapporto tra scelte individuali e logiche di mercato. Perché l’informazione è la chiave di volta per rompere il muro di mistificazione e silenzio che ci rende passivamente complici di una delle grandi perversioni del nostro tempo.
(Paola Pierantoni)Link:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/02/19/chiedetevi-perche-mangiamo-gli-animali.html
http://www.liberazione.it/rubrica-file/637766631.htm
http://www.corriere.it/animali/10_marzo_03/jonathan-safran-foer-consumo-carne-allevamenti-intensivi_a142bbfe-26dc-11df-b168-001 -
OLI 271: SOCIETA’ – Bevete più latte, il latte fa bene
“Bevete più latte, il latte fa bene; il latte conviene, a tutte le età…”.
A transitare da Campetto, nel cuore di Genova, viene in mente la canzoncina musicata da Nino Rota per “Le tentazioni del dottor Antonio” di Fellini, episodio del film “Boccaccio 70” (1962).
All’ingresso di Palazzo Imperiale non c’è però l’immenso manifesto con l’ammiccante Anita Ekberg sdraiata a porgere un bicchiere di latte, bensì un simulacro di mucca a grandezza quasi naturale che incuriosisce i passanti e li invita a entrare.
Vi si trova – dallo scorso 13 settembre – un distributore di latte crudo, l’unico in centro dei tanti disseminati sul territorio cittadino a cura dell’Associazione Provinciale Allevatori Genova, dopo che erano stati tolti quelli al Mercato Orientale e in Via Gramsci.
Una presenza legata naturalmente a LiguriaStyle.it, il centro di esposizione e promozione dell’artigianato tipico di qualità e delle produzioni agroalimentari nato nel 2008 per volere delle Federazioni Regionali di Confartigianato e CNA Liguria, con il contributo della Regione Liguria per il tramite di Liguria International. Ancora poco conosciuto dalla gran parte dei genovesi, nonostante sia a ingresso libero, ha sede nei monumentali saloni al secondo piano nobile, dove sotto i cinquecenteschi affreschi e stucchi di Giambattista Castello il Bergamasco e Luca Cambiaso si possono ammirare – e acquistare a prezzo di produzione – manufatti e generi alimentari di prima qualità.
Ora vi si vendono anche le bottiglie di vetro da un litro – per chi ne fosse sprovvisto, al prezzo di 1 euro l’una – per potersi imbottigliare da soli il latte al sottostante distributore automatico.
Latte di ottima qualità, munto la mattina presto, subito filtrato e refrigerato per essere trasferito in fretta ai punti vendita.
Il costo al litro è di 1 euro, circa un terzo in meno di quello comunemente praticato per il latte confezionato dalle centrali. Assai conveniente sia per gli acquirenti, sia per gli allevatori che ricavano ben più di quanto offerto dall’industria.
Ogni produttore cura uno o più erogatori che forniscono esclusivamente il suo latte, in un bell’esempio di filiera corta, anzi cortissima. Aderiscono all’iniziativa 16 aziende agricole a conduzione familiare distribuite nel Genovesato, sottoposte a rigorosi controlli sanitari periodici e a sorpresa; ciascuna con poche decine di capi che quando è possibile vengono condotti al pascolo, alloggiati in stalle concepite per il benessere degli animali e l’igiene delle produzioni. Non subendo pastorizzazione né altri trattamenti, a titolo cautelativo le autorità sanitarie hanno imposto recentemente sui distributori la scritta “da consumarsi solo dopo bollitura”, ma molti utenti non se ne curano, fidandosi delle garanzie fornite.
Il latte di Campetto proviene da un’azienda di Masone con una settantina di mucche di razza Pezzata Nera, che se ne stanno all’aperto tutto l’anno brucando e mangiando in più foraggio e cereali.
Questa nuova prassi sta incontrando sempre più il favore del pubblico e sembrerebbe che le grandi centrali del latte stiano cominciando a preoccuparsene, tanto da indurre i propri promotori a praticare sui consumatori un vero e proprio terrorismo informativo su presunti gravi rischi di contaminazione batterica del latte crudo, in realtà inesistenti.Sul latte crudo in Liguria:
http://www.lattecrudoinliguria.comSu Liguria Style.it:
http://www.liguriastyle.itUn’interessante indagine on line sulle modalità di consumo del latte crudo, con questionario da compilare:
http://www.izsler.it/pls/izs_bs/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?rifi=guest&rifp=guest&id_pagina=1027(Ferdinando Bonora)


