Autore: Redazione

  • OLI 262: VERSANTE LIGURE – Tutto un Grecia Grecia

    Pur nella sua efficacia,
    boutade che mi ripugna
    ché in qualunquismo sfocia
    la scrivo, però è indegna:
    da noi non c’è la Grecia
    ma la variante Magna.
    Versi di ENZO COSTA 
  • OLI 262: CULTURA – Per Edoardo Sanguineti

    Vivendo per capire 
    Vivendo per capire perchè vivo,
    scrivo anche per capire perchè scrivo:
    e vivo per capire perchè scrivo
    e scrivo per capire perchè vivo.

    (Edoardo Sanguineti)
    Non ha scelto un buon momento per morire Edoardo Sanguineti. Poteva aspettare ancora un po’. Poteva aspettarci ancora un po’. Non scaricarci addosso in modo cosi improvviso e ammutolente lo spegnimento della sua voce e della luce mobile e penetrante dei suoi occhi.
    Troppo freddo è stato questo lungo inverno. E troppo duro. Cominciavano appena a prevalere i raggi di sole e le giornate cominciavano a tingersi di colori e tepori primaverili.
    Non doveva Edoardo, che al calore umano teneva moltissimo, con la sua morte e con il suo scomparire alle nostre viste, aggiungere una ventata di gelo, al gelo già accumulato sulla nostra pelle e nelle nostre persone.
    Anche nella storia c’è freddo, come diceva Caproni – non troviamo tracce per sapere se amato o no – e nella società, per le strade della città e nella cronaca. E la parola di Sanguineti era sempre calda, fino all’incandescenza a volte. Di calore autentico, con la sua faccia ben esposta, sia che si esprimesse in poesia, sia che si manifestasse in teatro, in saggi, in conferenze, in interventi sui giornali, o in commenti musicali. Aveva la forza della poesia. E non temeva il paradosso, la rottura, le capriole linguistiche, il giuoco. Non temeva polemos che sapeva essere figlio degli dei.
    Ed era parola colta, molto colta e saggia, profondamente saggia. Capace di suscitare il pensiero sempre, sia che comunicasse ad una platea di allievi, sia che si liberasse in una piazza per invitare a non far retrocedere la linea della dignità e dell’umanità, sia che si esprimesse in una dimensione più intima dove contano la dolcezza delle relazioni umane e scorre l’acqua dell’amicizia e dell’amore.
    Ed era parola allenata al pensiero critico e alla potenza delle idee, che alla critica richiamava sempre per capire, per non fermarsi alla omologante superficie di ciò che appare, alla seduzione scriteriata, alla finzione ”buonista” e consolatoria. In questo senso era essenza della politica, dell’impegno politico, che quando necessità chiamava non si tirava indietro, ci metteva corpo e carne.
    “Politico prestato alla poesia” diceva Sanguineti di sé stesso, facendoci intendere, e questo crediamo essere il suo significato più profondo, come politica e poesia siano intrecciate inscindibilmente e come non si dia buona politica senza buona poesia.
    E “chierico rosso”, rispondendo a Montale, che trova nella materialità della condizione degli operai dell’Italsider e delle loro assemblee, le fonti della materialità poetica della sua scrittura. Parola quindi che si distende fra “l’utile e il bello per arrivare al vero”, secondo la sintesi di Goethe.
    Ma parola anche che non cela le ombre profonde dell’infelicità, del dolore vissuto e non taciuto, della fragilità che la ragione mai può neutralizzare, e che, se le condizioni lo consentono, con pudore e discrezione possono sciogliersi in lacrime, ricordando il padre o leggendo una poesia per l’amico Berio, appena deceduto.
    Ora che Sanguineti è morto siamo tutti più poveri, anche coloro che con lui non erano d’accordo; Genova è più povera, senza uno dei suoi figli più amati, l’Italia e il mondo sono più poveri, senza questo ambasciatore della cultura, senza questo “chierico” della dignità e dell’uguaglianza di tutti, senza questo difensore delle “casematte” della democrazie, secondo il suo amato Gramsci, “e che adesso, che potrei dire tutto, proprio, non essendo più vivo davvero, non ho più niente da dire, ecco” (Postkarten, 1977).
    Questo aveva scritto nel 1977 e ci aveva dato l’illusione che già morto non potesse più morire oppure, ed è la stessa cosa, potesse sempre risorgere e continuare a parlare.
    Ora ci parleranno solo i ricordi e le opere. Per sempre.
    La sua morte è stata circondata da un profondo alone di rispetto e di amore.
    Bene ha fatto il Comune di Genova a destinargli come ultima dimora il Pantheon dei suoi migliori figli, dove certamente prenderà posto “dalla parte del torto”, come direbbe il suo Brecht, accanto a quel Bisagno partigiano, che ha sacrificato la vita per la liberazione dai fascisti e dai nazisti.
    E per quella Costituzione Repubblicana che senza timore e pavidità Sanguineti ha sempre difeso.
    (Angelo Guarnieri)


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  • OLI 262: POLITICA – La diffusione militante della Fondazione Carige

    Nuove militanze: 22 maggio, la fondazione Carige diffonde Il Giornale (Foto Paola Repetto e Ivo Ruello)

    “Genova in festa. Giovani, stelle e sport”: dal 20 al 23 maggio il centro di Genova (Porto Antico, Piazza Matteotti, De Ferrari, San Lorenzo) è stato davvero in festa, con centinaia e centinaia di bambine, bambini, ragazze e ragazzi che si esibivano in decine di attività sportive e di danza. Scoperta di una vita giovane che scorre quasi insospettata nella città, e si impegna in una miriade di attività mostrando di aver raggiunto un livello di qualità che rivela impegno, passione, lunghe ore di esercizio.

    Tre le attività portanti della manifestazione: il “Progetto giovani” della Fondazione Carige, “Stelle nello sport” del Coni Liguria e “Festa dello sport” della Porto Antico.
    Quindi quattro bellissime e allegre giornate di cui la città deve ringraziare i tre soggetti di cui sopra, e una moltitudine di partner ( Comune, Provincia, Regione, Esercito Italiano, Miur, Carabinieri, Polizia … ) e di sponsor, tanti da decorare fittamente con i loro logo metri e metri quadrati di striscioni.
    A giudicare dal netto predominio, ovunque, del colore blu e del logo Carige, sembra comunque chiaro che la Fondazione Carige deve aver dato a questa manifestazione molto, ma proprio molto, più degli altri. Quindi un grazie particolare alla Fondazione Carige.
    Ora, nella mattina di sabato e domenica diverse giovani e graziose ragazze che indossavano una maglietta col logo del “Progetto Giovani” della Fondazione si aggiravano a coppie tra Piazza De Ferrari e Matteotti distribuendo gratuitamente l’accoppiata informativa de Il Giornale più Il Mercantile.
    Domande: la gratitudine per le belle giornate di sport, danza e giovinezza deve includere anche l’accettazione della distribuzione militante ai cittadini di un foglio spudoratamente governativo? Che relazioni ci sono tra la Fondazione Carige e l’organo di stampa Il Giornale, e in che sedi sono state eventualmente concordate? Quali ne sono le implicazioni, i termini di scambio? Questa azione di stampa e propaganda è stata anticipatamente resa nota e concordata con gli altri attori e sostenitori della manifestazione? Ricordiamo, a questo proposito, che il Comitato scientifico di Progetto Giovani include tutte le principali istituzioni cittadine.

  • OLI 262: LIGURIA – Se il declino è contagioso

    Non si vedono più sul Rondò, la piazza dove s’incontra la gente che conta ad Imperia Oneglia, sono blindati in villa gli Scajola, scorta agli accessi: il ministro e signora sono spariti. Regna il silenzio, non più clamori di feste, fra gli ulivi centenari sulle colline, nel palazzotto ottocentesco, un tempo magione di campagna di uno degli avvocati più illustri del ponente, residenza ufficiale di “sciaboletta”, soprannome del politico datogli dai suoi concittadini. Una casa di campagna che si apriva nella bella stagione di cui, a sentire alcuni onegliesi, ognuno ha un ricordo: le signore, – e che signore democratiche – si riunivano a ricamare insieme alle amiche e alle donne di servizio, i bambini imparavano ad andare in bicicletta, a giocare a nascondino e poi i bei picnic con “sciue cine”, fiori di zucchine ripieni e “piscialandrea”, pizza al pomodoro, cipolle e acciughe salate. Poi la vecchia casa avuta in eredità fu sventrata, soltanto la faccia ta è quella originale e piano piano il politico potente comprava uno dopo l’altro gli appezzamenti intorno, e anche una casa, risistemata soltanto per ospitare gli amici in trasferta. Si completava la tenuta con una nuova strada privata, la piscina e un garage gigantesco, che conserva le auto d’epoca di cui il ministro va pazzo. E pensare che il comune di Diano, la frazione d’Imperia di cui si parla, pare sia di solito assillante fino al centimetro, quando si deve ristrutturare.
    Lo sconcerto è palpabile in città, la delusione per aver perso un ministro, così chi farà più qualcosa per quella parte di Liguria, un mondo a sè, quasi come il regno di Seborga. Incredulità, ironia e anche un po’ d’indignazione per la sua versione dei fatti. Pensare che da tempo il ponente era ormai territorio esclusivo dell’exministro, a lungo sindaco, che pur non originario del luogo, prima il padre e poi lui, avevano scalato i posti del potere della balena bianca, l’unico feudo democristiano in Liguria, affettuosamente benvisti da Paolo Emilio Taviani, testimone di nozze. Pare sia affranto e incredulo per la presa di distanza, la freddina solidarietà di pdl e concittadini, mentre ritornano in giro storie passate: tant’è il ministro ha smentito la consorte, ordine del partito senz’altro, ma con una tale vigoria… Una coppia pubblica, affettuosa, e lei così presente, lei per cui più d’un onegliese s’offusca: professoressa in aspettativa, appassionata d’arte, corsi all’Università, conferenze, eventi, premi alla cultura e ricevimenti ad Imperia e Roma. Mentre lui si sente abbandonato da Silvio e poco amato in patria, tranne dall’altro Claudio per il bene della Liguria, il pdl genovese, che mal sopportava il suo potere, ha alzato c resta e toni e nel frattempo solo la Lega acchiappa sottosegretari.
    Tanti si sentono “orfani”, era l’unico ministro ligure e con i parlamentari che si sono avvicendati in questi anni in campi opposti, la nostra regione certo non ha brillato in politica. Liguria, sud del nord, da cui i pochi giovani scappano, sono un terzo rispetto agli anni ’70, anziani, pensionati, territorio dimenticato dalle infrastrutture, porti trascurati se pur primi in Italia, industrie dismesse non solo per crisi ma per gravi colpe politiche. A chi si domanda chi penserà alla Liguria d’ora in avanti a Roma si può chiedere quanto è servito avere da 15 anni un ministro ligure.
  • OLI 262: MIGRANTI – Famiglie in movimento

    “Non si può più parlare di famiglia. Si deve parlare di famiglie, al plurale, perché c’è ormai una pluralità di famiglie: eterosessuali, omosessuali, di fatto, oppure fondate sul matrimonio. Il legislatore però fatica a prenderne atto”. Queste parole di Giovanna Savorani, presidente dei Corsi di laurea in Servizio sociale presso la Facoltà di Giurisprudenza, introducono la presentazione del libro “Famiglie in movimento” (*). Ad ascoltare un’aula piena di ragazze – tra loro anche qualche ragazzo – che studiano per diventare assistenti sociali. Una professione, dice la docente, che deve proporsi azioni “leggere, complesse, preventive, riparative”.
    L’iniziativa della presentazione di questo libro agli studenti nasce da una collaborazione tra il Centro Studi Medì – Migrazioni nel Mediterraneo (http://www.csmedi.it/) e la Facoltà di Giurisprudenza.
    Oggetto della ricerca, basata su 300 interviste a donne migranti in Liguria e curata da Maurizio Ambrosini e Emanuela Abbatecola, sono le “molte” famiglie migranti, che contraddicono il formato unico che alcuni vorrebbero proporre come modello di una inesistente normalità. Emerge la figura delle madri “transnazionali”: il 53 % ha tutti i figli in patria, il 7 % ne ha un pò qui e un po’ in patria, il 40 % è riuscita a ricongiungerli. Ma anche in questo caso, quello apparentemente più favorevole che noi vediamo come una storia “a lieto fine”, la realtà è variegata e complessa, e Ambrosini avverte: “Si tratta sempre di un nuovo, difficile inizio che va progettato, seguito, curato, e che può avere esiti imprevisti e lontani dalle aspettative”.
    Anche quando il ricongiungimento va in porto tra le mani non c’è più quello che si aveva quando si è partiti. Per arrivarci – se ci si arriva, e se lo si desidera davvero – sono necessari in media non meno di sei, sette anni, di cui almeno due per conquistare il permesso di soggiorno. A proposito: solo il 15 % delle intervistate è potuto entrare in Italia con un regolare titolo di soggiorno, e tanto valga per tutti quelli che continuano a distinguere tra “regolari buoni” e “clandestini cattivi”.
    Nell’aula attenta le ricercatrici (oltre ai due coordinatori già citati: Deborah Erminio, Francesca Lagomarsino, Maria Grazia Mei) propongono dati e frasi raccolti nel corso della ricerca che offre una visione complessa e per nulla scontata di questa realtà sociale. L’80 % delle donne intervistate sono venute in Italia da sole e sono loro, quando decidono di farlo, ad attivare i ricongiungimenti col coniuge e con i figli. Questo aprire la strada della emigrazione appartiene soprattutto alle donne sudamericane e dell’Est Europa. Mi chiedo quanto questo protagonismo nella immigrazione sia conseguenza, e quanto incida, sui cambiamenti della condizione culturale e sociale delle donne. I dati della ricerca offrono molti spunti per riflettervi. Nel corso della emigrazione il 31 % dei legami familiari si spezza definitivamente, ma queste rotture, prevalentemente, non derivano dal fatto che l’emigrazione è un processo destabilizzante: “In realtà sembra soprattutto vero l’inverso, l’e migrazione rappresenta un’opportunità socialmente legittimata per porre fine ad un’unione matrimoniale che non funziona più. Su 93 donne separate / divorziate 86 erano emigrate da sole … solo 6 sono venute al seguito dei coniugi”.
    Ma oltre al coniuge ci sono i figli, e qui si arriva al nodo: “Le madri sono schiacciate da processi di colpevolizzazione e di auto – colpevolizzazione” perché non vi è nessun riconoscimento sociale del fatto che riescano ad inviare ai figli rimasti in patria mediamente 300 euro al mese, un terzo dello stipendio, “Le madri non vengono considerate procacciatrici di risorse materiali. A loro si chiede la cura e l’affetto”. Quindi un padre che emigra continua ad essere un buon padre, mentre una madre che emigra è “una madre che abbandona”. In realtà i figli non sono abbandonati, ma curati da una rete familiare costituita soprattutto da donne (nonne, zie).
    Rapporti tenuti vivi da rimesse economiche, regali, telefonate, e rientri in patria in media ogni due anni, aprono riflessioni sul potere o non potere essere madri quando non si può essere fisicamente presenti, e sui nuovi ruoli nella famiglia allargata che in assenza della madre si prende cura dei suoi figli: “Si può essere buone madri anche a distanza. La richiesta di una presenza fisica deriva da una concezione paternalistica”. Ma quello che domina è ancora la censura sociale, e le madri stesse hanno di sé una “immagine filtrata dallo sguardo degli altri”. Emergono strazianti rivelazioni delle rotture che si sono compiute: i figli che non ti chiamano più mamma, che non riconoscono più la tua immagine nella fotografia che hai mandato, le conversazioni telefoniche sempre eguali, tu stessa che incontrando all’aereoporto la figlia improvvisamente cresciuta ti accorgi che ti è estranea, che non provi per lei la prescritta emozione di amore: “la separazione è come quando si incrina un vetro, anche se è apparentemente intatto ha una frattura che non si sana”.
    Una donna però rompe l’inconfessabile tabù della “madre che abbandona” e dice “ … Io non avevo nessuna intenzione di ricongiungermi …”. E’ una sola voce esplicita dietro cui probabilmente vi è una realtà più diffusa, che viene percepita dalla rete familiare che osserva le assenze sempre più prolungate, i ritorni differiti “Forse aveva proprio voglia di partire … “.
    A conclusione dell’incontro Ambrosini si guarda intorno nell’aula universitaria affrescata, e osserva: “Siamo circondati da simbologie legate alla famiglia. Possiamo quindi capire l’influenza di ciò sulla nostra cultura, e la fatica che implica la de-costruzione di questo modello. E’ importante ragionare sulle rappresentazioni. La ricerca ci aiuta a leggere più lucidamente al realtà”. Che bella lezione!
    (*) “Famiglie in movimento – Separazioni, legami, rinnovamenti nelle famiglie migranti” a cura di Maurizio Ambrosini e Emanuela Abbatecola. Ed. Il Melangolo. – La ricerca è stata finanziata dall’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Liguria.
  • OLI 262: AMBIENTE – I boschi avanzano ma il ministro non lo sa

    Stefania Prestigiacomo, ministro per l’Ambiente, ha chiuso, con il suo intervento, la conferenza nazionale per la biodiversità, che si è tenuta a Roma il 22 Maggio scorso, nell’ambito delle iniziative previste per il 2010, l’anno internazionale per la biodiversità. Il ministro ha insistito sulla necessità di un rinnovamento delle normativa sulle aree protette e sull’importanza della biodiversità, affermando “Se scompare una specie animale o vegetale in Italia, se una zona umida viene compromessa, se un fiume viene distrutto dall’inquinamento, significa che si perde un pezzo di quel puzzle al centro del quale ci siamo noi. E gli esempi, purtroppo tragici sono sotto gli occhi di tutti”. E’ poi intervenuta anche sul legame che intercorre tra mancata tutela dell’ambiente e dissesti idrogeologici “Le frane causate dall’uomo, laddove ha modificato indiscriminatamente l’equilibrio del territorio ci hanno fatto pagare un tributo pesante di vite umane e ci dicono che stravolgere gli assetti naturali può essere micidiale anche per l’uomo”.
    Le affermazioni del ministro sarebbero condivisibili ed inconfutabili, se non cozzassero palesemente con le sue dichiarazioni in merito ad alcuni fatti recenti, che ne dimostrano la scarsa competenza.
    La rivista forestale “Sherwood” segnala (http://www.rivistasherwood.it/blog/479-tapiro-verde-a-striscia-la-notizia.html) un servizio andato in onda su Striscia la notizia il 14 maggio, in cui il taglio regolare di un bosco ceduo di castagno, nell’ambito di un regime a rotazione e nel pieno rispetto della normativa vigente, veniva definito dall’inviato “uno scempio”; il bosco che, secondo le parole del giornalista, “non c’è più”, rettifica Sherwood, è destinato a ricrescere dalle ceppaie che sono rimaste, insieme ad un numero di alberi determinato per legge in base alla necessità di garantire luce sufficiente da permettere la crescita dei nuovi castagni (esiste anche un gruppo su Facebook che denuncia l’accaduto http://www.facebook.com/?ref=home#!/group.php?gid=118236094883274&v=wall&ref=mf).
    L’informazione distorta che filtra dal servizio è che un regolare taglio di bosco possa causare pericoli e dissesti idrogeologici, mentre l’esperienza forestale e le ricerche ambientali sul campo dimostrano come invece la mancata gestione dei boschi e dei versanti, conseguente all’abbandono delle aree rurali, sia la prima causa di frane e smottamenti.
    Queste nozioni elementari, che dovrebbero essere l’ABC di chi si occupa dell’ambiente, sfuggono evidentemente al ministro Prestigiacomo, che ha ringraziato Striscia la Notizia per “l’ennesimo scoop in campo ambientale”, associando il taglio degli alberi a possibili disastri ambientali ed ha affermato “sembra assurdo ma non esiste uno strumento per capire quanti alberi ci sono nel nostro Paese”.
    Lo strumento, invece, esiste e si chiama Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio, ed è stato completato nel 2005. Grazie ad esso e, a studi di settore che ormai da decenni si occupano dell’argomento, sappiamo che il bosco avanza inesorabilmente nelle zone rurali prive di gestione, chiudendo le zone aperte in cui un tempo crescevano, per esempio, fiori che la legge tutela (orchidee, narcisi ecc..) e che sono destinati a scomparire, impoverendo la biodiversità nazionale, se abbandonati ad una tutela passiva.
    L’inventario informa, soprattutto,del fatto che “che i boschi, in Italia, sono raddoppiati rispetto agli anni ’50, triplicati rispetto al primo dopoguerra”.
    Peccato che il ministro per l’ambiente non lo sappia.
    (Eleana Marullo)
  • OLI 262: PAROLE DEGLI OCCHI – Sanguineti con le donne per la laicità

    © foto: Giorgio Bergami
    17 dicembre 2005, Sanguineti parla alla manifestazione in difesa della laicità dello Stato convocata da alcune donne a Piazza Matteotti

    Ballata delle donne

    Quando ci penso, che il tempo è passato,
    le vecchie madri che ci hanno portato,
    poi le ragazze, che furono amore,
    e poi le mogli e le figlie e le nuore,
    femmina penso, se penso una gioia:
    pensarci il maschio, ci penso la noia.

    Quando ci penso, che il tempo è venuto,
    la partigiana che qui ha combattuto,
    quella colpita, ferita una volta,
    e quella morta, che abbiamo sepolta,
    femmina penso, se penso la pace:
    pensarci il maschio, pensare non piace.

    Quando ci penso, che il tempo ritorna,
    che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
    penso che è culla una pancia di donna,
    e casa è pancia che tiene una gonna,
    e pancia è cassa, che viene al finire,
    che arriva il giorno che si va a dormire.

    Perché la donna non è cielo, è terra
    carne di terra che non vuole guerra:
    è questa terra, che io fui seminato,
    vita ho vissuto che dentro ho piantato,
    qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
    la lunga notte che divento niente.

    (E. Sanguineti, Mikrokosmos)


  • OLI 262: LETTERE – Molte e strane regole

    Come scrive SDP sul numero 260 di questa Newsletter, ricevere un servizio di sostegno alla ricerca di lavoro può richiedere a volte un percorso tortuoso e spesso – per i “non addetti ai lavori” – dai passaggi incomprensibili. Gli “addetti ai lavori” invece sono chiamati ad effettuare questi passaggi, applicando normative di ogni ordine e grado, per arrivare ad erogare il servizio nella maniera formalmente più consona, oltre che efficace e personalizzata.
    I Centri per l’impiego della Provincia di Genova oggi sono principalmente votati all’erogazione di servizi per il lavoro quali consulenze orientatative, l’erogazione di voucher per consentire la fruizione di corsi di aggiornamento professionale, l’attivazione di work experiences, il sostegno all’attivazione di nuove imprese, l’erogazione di incentivi alle imprese che assumono nuovo personale e via dicendo ma devono comunque presidiare numerose funzioni amministrative e rispettare i regolamenti che consentono l’impiego di risorse economiche regionali, nazionali ed europee.
    La sostanza di ciascuno di questi servizi è fatta dall’operatore addetto e dal tipo di bisogno del cittadino. La forma e, soprattutto, il tipo di finanziamento del servizio stesso, dipendono da elementi formali che sono imprescindibili.
    Quindi per ogni persona in cerca di occupazione deve essere formulato un progetto individualizzato che potrà comprendere servizi diversi e di durata variabile. Questo vale sia per chi si avvicina per la prima volta al mercato del lavoro, sia per chi voglia esservi reintegrato dopo aver perso un lavoro dipendente, sia per gli ex imprenditori, per gli imprenditori, per chi è in generale occupato ma in cerca di migliore occupazione.
    Il finanziamento di un percorso individualizzato e la possibilità di godere di “bonus assunzionali”sono strettamente legati al fatto che la persona che si presenta allo sportello di un Centro per l’Impiego sia correttamente individuata come “inoccupata”, “disoccupata” o come “occupata”. Se si tratta di persona “occupata” è necessario capire in quale forma.
    Le “leggi ininterpretabili” cui SDP fa riferimento, in certi casi possono rallentare l’esatta individuazione della tipologia di finanziamento utilizzabile, in relazione allo status occupazionale del cittadino. Ma questo pare lo scotto da pagare – da parte dei cittadini e da parte degli operatori – per accedere ai finanziamenti pubblici dei servizi per l’impiego. Il protagonista dell’articolo di SDP è comunque ancora in contatto con il Centro per l’impiego e stiamo cercando insieme di trovare una soluzione che possa andare bene per le sue esigenze.
    Grazie per il vostro lavoro di informazione e critica.
    (Giovanni Daniele – Dirigente dei Servizi per l’impiego, Provincia di Genova)


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  • OLI 262: LETTERE – Tunnel storici e gallerie naturali

    Con riferimento all’articolo comparso sul numero 261 intitolato Tunnel storici e gallerie naturali, la situazione delle alberature immortalate nelle foto è da tempo oggetto di attenzioni da parte del Gruppo PD del Consiglio di Municipio di cui faccio parte.
    Spianata Castelletto è un complesso vincolato per il suo pregio paesaggistico e, di conseguenza, le sue alberature.
    La stabilità delle stesse è garantita dagli esperti(così ci è stato risposto in Consiglio di Municipio), secondo i quali un’eventuale potatura ne determinerebbe il rischio di stabilità, trovando questo tipo di alberi un equilibrio statico tra rami e radici.
    Tuttavia questo è solo un aspetto di un progetto più ambizioso da noi elaborato e approvato con una mozione del Consiglio Comunale a luglio 2009: al fine di mettere al primo posto l’utente “debole” della strada, ossia pedone e ciclista, e per continuare nel processo di valorizzazione di una zona di grande passaggio e attrazione turistica, abbiamo chiesto la pedonalizzazione della via di cui sopra fino all’innesto di Spianata Castelletto.
    Conseguentemente a tale intervento sarà possibile anche mettere in evidenza la particolarità delle alberature, senza per questo doverci prendere delle testate.
    (Simone Torretta – Consigliere di Municipio I Centro Est Partito Democratico)


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  • Versante Ligure



    Tutto un Grecia Grecia


    Pur nella sua efficacia,
    boutade che mi ripugna
    ché in qualunquismo sfocia
    la scrivo, però è indegna:
    da noi non c’è la Grecia
    ma la variante Magna.