Autore: Redazione

  • OLI 403: ESTERI – Voci dalla stampa internazionale

    Afghanistan
    Daily Mail, 17/03/2014: “I soldati britannici hanno ucciso inutilmente centinaia di abitanti armati in Afghanistan, che non rappresentavano alcuna minaccia imminente, ha affermato un ex ufficiale. In un sensazionale nuovo libro, il maggiore Richard Streatfeild, condanna le tattiche “Turkey Shoot” che hanno portato alla “macellazione ripetitiva” di persone, che le truppe britanniche, avrebbero dovuto proteggere.” http://www.dailymail.co.uk/news/article-2587070/British-snipers-killed-Afghans-pointless-turkey-shoot-boosted-support-Taliban-says-major-revealed-troops-died-lack-equipment.html

    Siria: Una lunga guerra per procura
    The Independent, 29 marzo 2014: “Se gli USA andranno avanti con questo piano, allora stanno dicendo, in effetti, che sono pronti a condurre una lunga guerra per procura in Siria, contrariamente a tutte le ipocrete effusioni di Washington e Riyad circa il porre fine alle sofferenze del popolo siriano.” http://www.independent.co.uk/voices/commentators/the-us-is-paying-the-cost-of-supporting-the-house-of-saud-as-cracks-begin-to-appear-9223659.html

    Brasile: la guerra contro le donne
    Washingtonexaminaer, 30/03/2014: “Il 65 per cento degli intervistati hanno detto che le donne che indossano “abiti che mettono in mostra il corpo” meritano di essere violentate.” http://m.washingtonexaminer.com/women-in-revealing-clothes-deserve-to-be-raped-say-brazilians-in-new-poll/article/2546507

    Arabia Saudita
    Reuters, 28/03/2013: “Le violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita non sono state sollevate durante i colloqui di venerdì tra il presidente americano Barack Obama e re Abdullah, ha detto un funzionario USA.” http://www.reuters.com/article/2014/03/28/us-obama-saudi-rights-idUSBREA2R1SK20140328

    Glenn Greenwald
    The Intercept, 28 /02/2014: “Se si vuole giustificare tutto questo sostenendo cinicamente che gli Stati Uniti traggono vantaggio dal loro sostegno a repressive e brutali tirannie, andate pure avanti. Questo, almeno, è un atteggiamento onesto, ma non andate in giro agendo come se gli Stati Uniti fossero una sorta di coraggioso avversario della repressione politica e delle violazioni dei diritti umani, quando l’esatto contrario è così palesemente vero.” https://firstlook.org/theintercept/2014/03/28/us-takes-break-condemning-tyranny-celebrate-obamas-visit-saudi-arabia/

    Governatore USA si scusa per aver chiamato “territori occupati” i territori occupati
    Politico, 30/03/2014: “Il governatore del New Jersey Chris Christie si è scusato con Sheldon Adelson, in un incontro, sabato, per aver fatto passare una linea politica sbagliata sul Medio Oriente, durante un discorso tenuto nella prima parte della giornata. Nel discorso aveva infatti invocato un viaggio del 2012 fatto da lui e la sua famiglia in Israele, Christie ha detto: “Ho fatto un giro in elicottero attraverso i territori occupati ed ho subito sentito personalmente (..) il rischio militare che Israele deve affrontare ogni giorno.” http://www.politico.com/story/2014/03/chris-christie-occupied-territories-apology-105169.html

    Israele: i richiedenti asilo imprigionati nel deserto
    The Telegraph, 04/04/2014: “Attivisti per i diritti umani dicono che Israele dovrebbe vergognarsi del suo trattamento dei richiedenti asilo a Holot, una struttura di detenzione per “infiltrati” nel deserto del Negev”. http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/middleeast/israel/10743910/We-are-prisoners-here-say-migrants-at-Israels-desert-detention-camp.html

    Myanmar: Rohingya, una delle minoranze più perseguitate al modo
    Ahram, 29/03/2014: “Myanmar ha detto sabato che i musulmani non sarebbero autorizzati a registrarsi come “Rohingya” nel suo primo censimento in tre decenni (…) La mossa è arrivata dopo che i buddisti in un stato occidentale colpito dai disordini hanno promesso di boicottare il censimento nel timore che potrebbe portare a un riconoscimento ufficiale dei Rohingya, considerati dalle Nazioni Unite una delle minoranze più perseguitate al mondo” http://english.ahram.org.eg/NewsContent/2/9/97799/World/International/Myanmar-says-Rohingya-term-banned-from-census.aspx

    Canada/Ucraina
    The Globe and Mail, 21/03/2014: “L’antisemitismo, come tutti sappiamo, non ha un nemico più intransigente di Stephen Harper e il suo governo. L’hanno persino denunciato dove non esiste. Perciò possiamo essere sicuri che sono offesi da Svoboda, anche se in pubblico, stranamente, sono stati silenziosi come una tomba.” http://www.theglobeandmail.com/news/politics/as-a-champion-of-israel-harper-will-face-uncomfortable-truths-in-ukraine/article17617024/

    Repubblica Centro Africana
    Chron, 29/03/2014: “C’è solo un quartiere di Boda dove i musulmani sono al sicuro dalle pallottole e dalle machete dei miliziani cristiani. Molti di coloro che si avventurano fuori sono uccisi, sgozzati o si spara contro le loro auto. Persino i morti devono obbedire: i corpi dei musulmani sono sepolti dietro un vecchio magazzino perché il tradizionale cimitero musulmano è ora strapieno”. http://www.chron.com/news/world/article/Thousands-of-Muslims-stuck-in-C-African-Republic-5359342.php
    (Saleh Zaghloul)

  • OLI 403: BENI COMUNI – L’altro Bersani, per un’altra Europa

    L’intervista che Marco Bersani, portavoce di Attac, ha rilasciato a PAN PAN PAN segnale d’urgenza su beni comuni, debito pubblico, tagli, TTIP (Parternariato Transatlantico su Commercio e Investimenti). E ancora su privatizzazioni e Cassa Depositi e Prestiti e sulla possibilità di agire un cambiamento concreto.
    Per chi sa e vuole approfondire, per chi non sa e si vuole informare. Il video su GenoVirus

  • OLI 403: COMUNE – Se alle affissioni hanno perso la strada

    Compaiono ogni tanto grandi manifesti scritti fitti fitti della Direzione Urbanistica del Comune di Genova, comunicazioni che riguardano progetti edilizi, loro varianti o approvazioni. In gran spolvero e a tutto campo sono affissi nello spazio solitamente dedicato agli avvisi  “in caso di nevicata a alluvione”, elezioni: la comunicazione è abbondante, alla lettura pare esaustiva e puntuale e qualche curioso lo vedi soffermarsi colpito da tanto scritto. Dopo poco però il solerte cittadino si allontana e pensi forse è troppo complicata la questione.
    Non è soltanto questo. Il punto è che lo zelante lettore, di solito è un passante che abita nei dintorni: che cosa potrà importargli di leggere se si tratta di un progetto dall’altra parte della città? Peccato, non si guarda al di là del proprio orticello, si dirà. La cosa più strana è però che i manifesti che vengono affissi non sono riferiti al territorio in cui li trovi, no, si riferiscono molto spesso ad un altro quartiere.
    A novembre c’era in via Gianelli, a Quinto, un manifesto che riguardava piazza Leonardo da Vinci, Albaro, ma in Albaro non ve n’era traccia e nessun ufficio pareva sapere a che cosa ci si riferisse: la delibera a riguardo è poi comparsa in Consiglio Comunale, mentre qualche settimana fa in Albaro due manifesti riguardanti la Valbisagno, nella foto i manifesti in via De Gaspari, dietro s’intravede il parco dell’ex ambasciata russa.
    (Bianca Vergati – foto dell’autrice)

  • OLI 403: SOCIETA’ – Ceronetti, il sesso e la vecchiaia

    “Asessuate? Hai capito? E’ una palla formidabile, scoperesti tutti i giorni, e chi ce l’ha detto a noi? Che nostra nonna aveva voglia di scopare?”
    Nel gruppo ‘Generazioni di donne’ (*) del sesso in vecchiaia abbiamo iniziato a discutere da tempo, ed ora ecco un articolo di Ceronetti che si presenta come un invito a nozze, perché Ceronetti solleva un problema verissimo, ma lo declina, senza l’ombra di un dubbio, interamente al maschile.
    L’articolo, comparso su La Repubblica di martedì 1 aprile sotto il titolo di ‘Mettiamo fine alla barbarie della vecchiaia senza sesso’, si apre con una citazione da Sofocle che nell’Edipo a Colono sintetizza perfettamente la cultura del suo tempo facendo dire al suo eroe che “la più grande sciagura per un uomo è una lunga vita”.
    Affermazione rivoluzionaria oggi, tempi in cui invecchiamenti interminabili si accompagnano a infiniti escamotage tecnici, estetici, sociali per negare l’esistenza della vecchiaia.
    Ora però, dice Ceronetti, questi vecchi che sempre più popolano le nostre città, e che “La geriatria contemporanea non abbandona neppure al di là dei cento”, sono le vittime di una barbarie medica, politica e sociale, che li esclude dal sesso, o dall’amore a sfondo sessuale, “a partire da un’età prossima alla settantina”.
    Che fare? Ceronetti prende atto che è stata data qualche risposta alla solitudine sessuale dei disabili e dei carcerati, ma si chiede con inquietudine: “per i vecchi maschi, eterosessuali, coniugati o soli, si muoverà mai qualcuno?”

    Domanda interessante e legittima, ma zoppa senza la sua gemella speculare: “per le vecchie femmine, eterosessuali, coniugate o sole, si muoverà mai qualcuno?”.
    Tale asimmetria non può che condurre a soluzioni sociali e politiche sghembe, come le ipotesi evocate dallo scrittore che, mentre allontana da sé il ricorso alla prostituzione “perché degrada l’uomo molto più della donna”, vagheggia una rinascita in forma moderna delle ierodule, le schiave sacre “che compivano un servizio presso tutti gli antichi templi d’Occidente come d’Oriente”, affidando la sua speranza al “riemergere secondo una socializzazione d’anno Duemila di quella sacralità femminile del corpo offerto liturgicamente per amore delle Divinità, che certissimamente non è mai morta”.
    Ma le vecchie donne di oggi non hanno nella loro storia né ‘ieroduli’ da rievocare in forma moderna, né – più prosaicamente – prostituti.
    E allora? Un’amica dice che non si può saltare questo passaggio, perché altrimenti l’uguaglianza tra i sessi non potrà davvero compiersi. Quindi bisognerà avere fantasia, essere capaci di ‘inventare’, perché finché persiste la prostituzione femminile come dato sociale unilaterale, tutto il resto non basta per parificare la situazione, né a livello concreto, né a livello simbolico. Si potrebbero immaginare dei luoghi dove è garantito che lì sesso è giusto, è corretto, che vi si può accedere senza umiliare gli uomini, come invece sono state umiliate le donne?
    Luoghi che rappresentino pubblicamente la libertà delle donne di praticare il sesso potrebbero essere una tappa nel viaggio verso l’uguaglianza.
    (*) Per notizie sul gruppo ‘Generazioni di donne: www.generazioni-di-donne.it 
    (Paola Pierantoni – Fotografie dell’autrice)

  • OLI 403: PUBBLICITA’ – Alberi e piantine

    Un maschio adulto (presumibilmente il padre) e un maschio giovanissimo (presumibilmente il figlio) piantano un albero nel giardino di casa. Il maschio adulto libera l’alberello dal vaso e insieme al maschio giovanissimo lo pianta nel terreno.
    I due ridono e si scambiano occhiate complici mentre una femmina giovanissima (presumibilmente figlia del primo e sorella del secondo) sta a guardare, imbronciata ed esclusa, il rito primordiale che si svolge sotto i suoi occhi.

    Solo piantine per le donne?

    A questo punto una femmina adulta (presumibilmente madre dei piccoli e moglie/compagna del maschio adulto) si affaccia alla porta e fa cenno alla femmina giovanissima. Insieme, si dirigono verso un’altra zona del giardino e la madre rinvasa per la figlia una piantina che poi la figlia mette sulla finestra di casa. Madre e figlia guardano la piantina e sorridono compiaciute ai maschi che hanno completato il loro lavoro innaffiando l’alberello.
    E’ la pubblicità di uno yogurt che, ancora una volta, trasmette un messaggio pieno di contenuti discriminatori e sessisti. Infatti, mentre i maschi, in uno spazio esterno, piantano un arbusto destinato a diventare un grande albero che vivrà negli anni futuri, le donne, in uno spazio interno, travasano una piantina che concluderà la sua vita effimera su un davanzale. I maschi, quindi, fanno grandi cose destinate a durare e ad essere utili per tutti (il grande albero), mentre le femmine fanno piccole cose con un semplice valore di ornamento interno alla casa.
    Maschi e femmine occupano, quindi, spazi diversi, con una diversa gerarchia di valori: la felicità sta nel riconoscere la propria diversità/inferiorità, accettarla e non invadere lo spazio esterno che i maschi occupano con tanto successo. Questa è la lezione che la madre impartisce alla figlia: non interferire, travasa la tua piantina e renditi conto che piantare grandi alberi non è per te.
    Un messaggio pubblicitario non deve per forza mercificare il corpo della donna per essere considerato discriminatorio: anche in modo molto meno aggressivo si possono veicolare modelli e stereotipi profondamente lesivi della libertà femminile.
    (Paola Repetto – Foto Paola Pierantoni)

  • OLI 403: SOCIETA’ – Vegano non è marziano

    (Torta di fragole vegana)

    Anni fa ne aveva scritto in Pastorale Americana Philp Roth. La figlia dello svedese era una di loro, ma non faceva una bella fine. Certo la letteratura può essere spietata.
    Oggi, numerosi anche in Italia, li puoi incontrare ad un aperitivo organizzato a Bogliasco per cercare di capire come mangiare rinunciando totalmente non solo a carne e pesce, ma anche a latte con tutti i derivati, uova, miele e a non indossare né lana, né pelle e piume. Ti indicano la strada per stare alla larga da circhi, zoo e acquari.
    Fabio e Lella hanno il volto diafano, il fisico scattante e asciutto di chi vive nella natura e la luce negli occhi che solo una fede profonda accende nello sguardo. Milanesi di nascita, vivono nelle Marche e pubblicano da sé i loro libri. Ne mostrano uno di ricette dal titolo Tutti bravi in cucina (e senza sofferenza animale) mentre attorno a noi è un trionfo di torte salate e dolci, pane, insalate, compresa quella russa, tutti rigorosamente vegan, con famiglie che assaggiano, annuendo compiaciute.
    Nel loro banchetto tante pubblicazioni di Ecoeditoria Creativa. Loro è la Troglodita Tribe S.p.A.f (Società per Azioni felici) con convinzione spiegano di essere vegani da quattordici anni. E’ stata la presa di coscienza del livello di violenza che subiscono gli animali, proprio in quella campagna bucolica che avevano immaginato prima di lasciare la metropoli, a condurli su questa strada, insieme a cinquanta miliardi di animali uccisi ogni anno.
    Si tratta anche una scelta etica dettata dall’antispecismo, la filosofia che considera un’ingiustizia il fatto che specie diverse da quella umana vengano discriminate, imprigionate, sfruttate, uccise e che si batte contro l’antropocentrismo – in un parallelo con razzismo, sessismo, omofobia – mirando ad una società in cui tutte le specie vengano considerate alla pari. Spiegano che – assodato che la violenza c’è, è evidente capita anche a loro di ammazzare una zanzara – l’intento è eliminare tutta la violenza intenzionale e sistematica.
    Essere Vegan è la pratica dell’antispecismo e l’antispecismo è la teoria.
    Raccontano di tre generazioni di vegani in Inghilterra con dati scientifici assolutamente positivi e di ambulatori – ne indicano uno pediatrico anche a Firenze – dove i dottori sono vegani e vegetariani. Parlano di nutrizionisti che favoriscono questo stile alimentare.
    Si scopre così che maionese e besciamella possono essere fatte con il latte di soia, che le frittate non hanno bisogno di uova per essere tali e che un ospite a cena vegano non è un marziano. Si può cucinare facilmente anche per lui. Bastano due parole chiave, ricette vegane e un giro nella rete.
    Chi proprio non vuole rinunciare a formaggetta e carne, ma volesse iniziare a capire, potrebbe fare come nei tempi andati, quando si mangiava pesce il venerdì, ed accostarsi all’alimentazione vegana una volta a settimana.
    (Giovanna Profumo – foto dell’autrice)

  • OLI 402: PAROLE DEGLI OCCHI – Mistero e vicoli

    Foto di Paola Pierantoni
    Capita, nel mistero dei vicoli, di fare magici incontri

  • OLI 402: LAVORO – Salute, lobby e serial killer

    Sempre più frequentemente una serie di eventi correlati alla qualità del lavoro inducono l’opinione pubblica a porsi una serie di domande specificatamente riferite al rapporto fra il lavoro, anzi il mantenimento del posto di lavoro, (perché c’è la crisi, perché il Paese ne abbisogna, perché è necessario tenere i piedi per terra e stare attenti ai paesi dell’Est, perché lì costa tutto meno ed un operaio guadagna un Euro l’ora che nemmeno i cinesi) ed il suo impatto sulla salute degli addetti, se pur nella salvaguardia dell’ambiente circostante il sito produttivo.
    E’ sinonimo di civiltà o di inadeguatezza del mercato lavorare in sicurezza nel rispetto dell’ambiente? Se ci si riferisce a chi lavora all’interno dell’impresa, non possiamo che pretendere la verifica del rispetto di quanto è considerato il significato del termine stesso “salute”, cioè lo “stato di completo benessere psico fisico e sociale dell’individuo”, e scusate se è poco. Tale definizione non è un parere filosofico, etico o quanto risultante da una discussione fra saggi o letto in un fumetto di Cipputi, ma quanto per legge è obbligatoriamente compito di colui il quale ha “obbligo di prevenzione” nei confronti dei lavoratori: il Datore di Lavoro in una qualsiasi delle varie forme in cui nell’ordinamento italiano si manifesti.
    Obbligo di prevenzione, non libera scelta. La filosofia infatti dell’impianto prevenzionistico vigente definisce un percorso routinario dal quale egli, il Datore di Lavoro, non può esimersi prima di svolgere una qualsiasi attività lavorativa infatti, deve immaginare gli eventi pericolosi che possono manifestarsi per la salute dei lavoratori che intende impiegare, affrontarli e eliminarli o ridurli a quanto definibile come un livello di sicurezza accettabile.
    Lo sviluppo di questo percorso legislativo è relativamente recente e si è trasformato nel tempo, è il risultato di lotte operaie e sindacali a seguito di decine di migliaia di morti causati da infortuni sul lavoro, centinaia e centinaia di migliaia di feriti gravi, di arti amputati, di schiacciamenti fratture e cadute, di intossicazioni, organi interni deteriorati, sordità, cecità, dolore e sangue, tanto ma tanto sangue. E orfani e vedove in lacrime, e bandiere ai funerali.
    Sino all’altro ieri non era impedito dalla legge monetizzare il rischio, cioè incentivare il lavoratore a svolgere una attività per varia natura rischiosa pagandolo per affrontare il pericolo, nelle buste paga dell’epoca si potevano leggere a chiare lettere e senza possibilità di equivoci ad esempio i valori orari di indennità orarie a fronte di esposizione a sostanze chimiche.
    La esposizione al pericolo in quel periodo veniva spesso scambiato con ore di permesso, ferie aggiuntive, turnazioni agevolate, premi in varia natura. Allora non c’era la crisi, anzi si era in piena ricostruzione, boom economico post bellico, il potere contrattuale all’epoca elevato veniva speso anche per tali scopi, sia a livello individuale che collettivo.
    Certo, prima era ancora peggio, brutti periodi per la contrattazione, durante la trasformazione industriale delle fabbriche, la Grande Crisi, la produzione bellica con il massiccio uso di sostanze pericolose ed esplodenti, l’Autarchia, le due guerre.
    I rapporti di forza, le Società Operaie, il Sindacato, le Piazze, la direzione e veicolazione della capacità contrattuale e i sempre tanti, troppi morti sul lavoro hanno trasformato ed accresciuto l’impianto normativo rendendolo quello attuale, ma mai nulla venne regalato, ma anzi sempre scontrandosi con la forte ritrosia della controparte per la quale la sicurezza non è mai un investimento, ma un costo, sopratutto laddove il pericolo è sinonimo di “mala”organizzazione del lavoro.
    Come sempre è avvenuto sono stati proprio gli eventi di maggiore gravità a promuovere e sviluppare percorsi di prevenzione dedicati e maggiormente incisivi, eventi che a volte vengono ricordati con nomi che oggi poco ci ricordano, ma che all’epoca sviluppavano tale risonanza da non poter essere ignorati come la tragedia nella miniera di Ribolla con il conseguente sviluppo della prevenzione in ambito minerario e la nascita dei primi “Rls” della storia negli anni ’50, o la storia dell’incidente di Seveso ed il cancro da diossina, la legge Lama, la Tito Campanella, La Thyssen, le morti multiple nelle stive di cereali, in silos e ambienti confinati determinanti la legge 177, e solo ieri la Torre in porto a Genova e le nuove successive regole che ne conseguono.
    Nel frattempo si trasformava e specializzava Medicina del Lavoro, si acquisivano nuovi dati di pericolosità di sostanze da tempo in uso e si riducevano i livelli limite di esposizione, laddove sino al giorno precedente un quantitativo soglia limite di esposizione ad una sostanza veniva considerato come un adeguato livello di protezione, poteva venire nel tempo sostituita con altri valori maggiormente protettivi, sviluppando nel frattempo più adeguati percorsi di sorveglianza sanitaria per gli esposti.
    In epoca ormai lontana era considerato un toccasana sparare in atmosfera fumi e polveri tossiche ad elevata temperatura dalla bocca di una alta ciminiera, sino a quando il legislatore è stato costretto a recepire il fatto che prima o dopo gli inquinanti sarebbero ricaduti nell’ambiente circostante e che i cittadini tutti, anche non lavoratori, da tali rifiuti avrebbero dovuto essere protetti, ma oltre ai lavoratori esposti nel ciclo produttivo, anche i terreni, le piante e gli animali, l’ambiente tutto divenne oggetto di prevenzione. Si incominciò a pensare che l’essere in cima alla catena alimentare potesse non essere, in caso di siti inquinati, una grande soddisfazione.
    Mentre nel sottobosco dei palazzi romani lobby trasversali si occupavano, spesso riuscendovi (ieri come oggi), di modificare l’impianto prevenzionistico edulcorandolo e rendendolo meno impositivo per quanto riguardante le norme di salute e sicurezza sul lavoro, imprenditori di piccole e medie imprese sotterravano inusitate quantità di sostanze tossiche e rifiuti pericolosi, veri sottoprodotti del proprio ciclo produttivo, spesso con la connivenza di amministratori locali. Per molti piccoli proprietari terrieri divenne per anni, decenni, l’unica possibilità di far fruttare i propri terreni, non a caso le terre dei fuochi, che sono tante nella penisola, sono prevalentemente dislocate in zone economicamente depresse. Non solo nel centro sud italiano, ma anche al nord, laddove veniva effettuato uno scavo per una bretella autostradale, per un molo o si esauriva una cava, nottetempo, ma spesso anche alla luce del sole, camion in retromarcia riempivano buche con materiali dai contenuti più vari, dai radioattivi ai rifiuti sanitari, metalli pesanti, sostanze velenose, fumi di fonderia. Dopo una ruspa compiacente era sempre pronta a coprire e nascondere le buche.
    Di norma le aziende di piccola dimensione erano autosufficienti, ma per le grandi era necessario ricorrere a veri professionisti dello smaltimento clandestino, un business di dimensioni colossali che, per logistica ed attrezzature, ha permesso a svariate organizzazioni malavitose di specializzarsi diversificando la propria attività, Eco-Mafia è il termine corretto con cui chiamare questo ambiente. Ma attenzione i malavitosi sono senza dubbio i gestori del traffico, ma non da meno sono tali i produttori di rifiuti, gli autisti dei mezzi, gli armatori con i colletti bianchi delle compagnie di navigazione che buttavano in mare i fusti inquinanti o che a volte affondavano le navi colme di veleni, così come i Comandanti e gli ufficiali e gli equipaggi, ricattati con lavoro sicuro in cambio del silenzio.
    Ma i grandi gruppi industriali, sia pubblici che privati o partecipati, hanno da sempre usato metodi diversi: lobby di pressione, acquisto di consensi nelle amministrazioni locali o regionali o direttamente nei governi, l’uno per l’altro, atti a garantire una sorta di patto di non aggressione, la certezza di non essere controllati o, spesso, di avere dalla propria i controllori, i certificatori, i periti, gli ispettori, gli amministratori, burocrati che con un timbro giusto di forma e colore, siano in grado di asseverare il processo, di garantire che quella polvere cancerogena che uccide non paia poi così pericolosa, che l’abbattimento degli animali infetti passi sotto silenzio, che i cavoli radioattivi dell’orto siano stati irradiati dai marziani, che la scientificità dei dati presentati dai superstiti possa essere contestata, pagando mazzette a tutti, accattivandosi i lavoratori o la cittadinanza utilizzando i circoli aziendali ricreativi gestiti dalle parti sociali o finanziando le trasferte di confraternite di portacristi.
    E tutti giù a dar di matto quando le vedove denunciavano, ma venivano comprati giornalisti per condizionare l’opinione del popolo bue.
    Il dramma nel dramma è sempre lo stesso, e le domande, oggi come ieri non cambiano. Queste aziende, piccole o grandi inquinano, fanno ammalare, intossicano uccidono. Oggi come ieri. Quelle piccole tutto sommato non importano a nessuno, inquinano è vero, ma poco per volta, hanno pochi dipendenti che si ammalano e pochi inoltre perderanno il posto di lavoro se qualcuno decidesse nel rispetto delle regole di impedire l’inquinamento. Molte di queste probabilmente riescono a stare sul mercato proprio nascondendo sotto il tappeto le briciole, peccato però che le piccole imprese siano la stragrande maggioranza delle imprese italiane e che non ci sia un adeguato numero di controllori per verificarne anche solo una parte consistente e se chiudono l’impatto sull’opinione pubblica è minimo, non occuperanno mai una piazza, ma al massimo l’androne di un portone. Quelle grandi hanno dalla loro un’altra carta da giocare e si trovano alleati con parti di per se antagoniste. Queste sono quelle che inquinano il territorio per chilometri quadrati, intere città. Sono quelle che hanno sulla coscienza centinaia di morti, con amministratori delegati con stipendi a grandi cifre e studi di avvocati specializzati nel prender tempo, pelo sullo stomaco e conti nei paradisi fiscali e stupore di tanto clamore per quello che per loro non è che un danno collaterale, una bomba intelligente che solitamente produce energia od acciaio che, sorpresa sorpresa, negli anni uccide i bambini di cancro.
    Certo per i lavoratori di queste imprese non è bello sapere di essere o essere stati esposti continuamente a sostanze che possono procurare danni irreparabili, malattie incurabili e trovarsi ad un certo punto della propria vita a dover scegliere da che parte stare per campare, se pur malamente. Rischiare che, nel pretendere la salvaguardia della propria salute e, perché no, quella dei bambini dei quartieri vicini ci sia il rischio di perdere il lavoro, ‘che fuori c’è la crisi. Legittimamente domandarsi perché l’impresa, gli amministratori locali, gli esperti, non si fossero accorti di ospitare sul territorio un vero serial killer, ma non uno di quelli che ammazza tre o quattro prostitute e si prende l’ergastolo, ma bensì uno che uccide 500 o 1000 persone nell’arco di una decina d’anni e che, come capita, prenderà una multa se mai la pagherà.
    Saranno loro forse a dover pagare con una riduzione di diritti e tutele, con meno lavoro, meno certezze nel futuro.
    E’ a loro che verrà chiesto, quando scenderanno in piazza con bandiere e striscioni, quante giornate lavorative, quanti posti di lavoro vale un bambino morente di cancro.
    E sempre loro, che non c’entrano niente, verranno utilizzati dall’impresa che giocherà la carta del ricatto occupazionale, muovendo le proprie pedine, sempre le stesse, all’Ilva di Taranto come nella centrale a carbone di Vado Ligure.
    (Aris Capra – Responsabile Sportello Sicurezza CDML Genova – disegno di Guido Rosato)

  • OLI 402: EUROPA – Università tra i PIGS

    E’ un tramonto fantastico, il cielo azzurro si tinge di rosa, un vento sottile corre tra le fronde, le cicogne si accoccolano sul camino del chiostro, in Spagna le chiese chiudono tardi, alle otto c’è ancora messa e così puoi entrare a visitare chiese e musei. Intanto nella piazzetta della facoltà di filologia c’è chi legge sulle panchine, mentre ragazzi chiacchierano stravaccati sulla scalinata in mezzo alla strada perché il centro storico è rigorosamente pedonale, con la gente che passeggia, godendosi l’arietta e l’ultimo tiepido sole. Poi la piazza si svuota, restano soltanto i passanti, non ci si fa caso, ma si sono accese le luci al piano rialzato del vecchio palazzo, ecco s’intravedono una lavagna con scritte in francese, un uomo in piedi che sta parlando, di fronte tanti giovani: sono le otto di sera della vigilia di giovedì grasso e c’è lezione all’università di Salamanca e alla sera i ragazzi saranno in piazza a festeggiare il carnevale. Ma che bravi questi insegnanti spagnoli e anche i ragazzi.

    A Coimbra, Portogallo, è domenica e c’è fermento nel cortile centrale dell’Università, un piazzale maestoso, edifici importanti, dall’aria antica e molto fatiscente, fotografati dai turisti insieme al panorama che si gode da lassù. Coimbra è sede universitaria dal 1300, una delle più antiche del mondo, arroccata nel centro storico dalle viuzze strette, lucide di ciotoli bianchi, percorsi da temerari in auto che sfiorano i muri. Tutto appare un po’ fanè, poche le vie ben tenute e le case paiono abbandonate, soltanto alcune, le più degradate, hanno panni stesi, luci accese e manifesti appesi alle ringhiere. Sembra disabitato il centro storico, in maggioranza vedi giovani, probabilmente studenti, che taroccano su giù per i vicoli sotto lo sguardo indifferente dei rari abitanti del posto. Non ci sono spazi, piazzette, ritrovi e i giovani sono invisibili. Non c’è l’atmosfera di Salamanca, l’università più antica della Spagna, dove, non soltanto per il Carnevale, il centro della città, Plaza Mayor, il modello di quella più famosa di Madrid, è un brulicare di giovani e non, che passeggiano in libertà, senti chiacchierare in tante lingue sotto gli ombrelloni dei baretti. Coimbra ricorda Genova per il “riguardo” riservato alla gioventù, ai ragazzi che vengono qui a studiare, ma nel cortile dell’Università di Coimbra gli studenti hanno trascorso il pomeriggio festivo a distribuire volantini ai turisti, disciplinavano le visite all’Aula magna, alle cappelle, con la loro toga nera svolazzavano sorridenti tra i passanti.
    (Bianca Vergati – foto dell’autrice)